Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 30 aprile 2013 - Ricorso n.14064/07 - Gian Paolo Cariello e altri c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE
Ricorso n. 14064/07

Gian Paolo CARIELLO e altri
contro Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 30 aprile 2013 in una camera composta da:
Danutė Jočienė, presidente,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione
Visto il ricorso sopra menzionato proposto il 23 marzo 2007,
Viste le osservazioni sottoposte dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dai ricorrenti,
Dopo aver deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

1. I ricorrenti,  sig. Gian Paolo Cariello («il primo ricorrente»), sigg.re Maria Rosaria Avolio De Martino («la seconda ricorrente»), Maria Teresa Protani («la terza ricorrente») e sig. Giovanni Cariello («il quarto ricorrente»), sono cittadini italiani nati rispettivamente nel 1938, 1940, 1946 e 1962 e risiedono a Napoli. Dinanzi alla Corte sono rappresentati dagli avvocati A.G. Lana e A. Saccucci, del foro di Roma.

2. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, P. Accardo.

A. Le circostanze del caso di specie

3. I fatti della causa, come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

4. Il primo ricorrente è un magistrato che, all'epoca dei fatti, esercitava le funzioni di presidente dell'ottava sezione del tribunale di Napoli incaricata del riesame delle misure cautelari, di seguito la «sezione riesame».

1.  Procedimento penale a carico del primo ricorrente

5. Nel dicembre 2002, a seguito delle dichiarazioni di un pentito, L.G., la procura della Repubblica di Roma avviò a carico del primo ricorrente un'indagine per corruzione e corruzione in atti giudiziari. Egli veniva accusato, assieme ad altri quattro magistrati, di aver favorito alcune persone coinvolte in affari di mafia in cambio di somme di denaro e altra utilità.

6. Nell'ambito di questa indagine, il 22 maggio 2003, il giudice delle indagini preliminari (il «GIP») di Roma autorizzò la procura della Repubblica a mettere sotto intercettazione otto linee telefoniche appartenenti al primo ricorrente e a sua moglie, la seconda ricorrente. Il GIP autorizzò inoltre le intercettazioni nell'ufficio del ricorrente presso il tribunale di Napoli e nell'auto utilizzata da quest'ultimo .

7. Il GIP rilevò che le dichiarazioni di L.G., esponente di spicco di un'organizzazione criminale dedita al traffico di stupefacenti e al contrabbando di prodotti del tabacco, descrivevano un contesto di corruzione che coinvolgeva alcuni magistrati del tribunale di Napoli, fra cui il primo ricorrente. In particolare, quest'ultimo avrebbe abusato delle sue funzioni disponendo la scarcerazione di esponenti di un clan criminale, compreso L.G., in violazione delle norme di legge applicabili. Le dichiarazioni del pentito apparivano attendibili tenuto conto del suo percorso di collaborazione con la giustizia. Peraltro, facevano presumere la complicità del personale amministrativo del tribunale.
8.  In questo contesto, il GIP affermò che le intercettazioni telefoniche e ambientali richieste dalla procura erano necessarie per lo svolgimento dell'indagine e giustificate da sufficienti indizi di reato.

9. In seguito, con decisione del 18 luglio 2003, il GIP autorizzò anche l'intercettazione di una linea telefonica aperta a nome del primo ricorrente e utilizzata dalla terza ricorrente, con la quale aveva una relazione sentimentale.

10.Queste intercettazioni telefoniche e ambientali furono autorizzate fino al novembre 2003 per effetto delle proroghe successive disposte dal GIP.

11. Il 19 febbraio 2004 il GIP autorizzò nuove intercettazioni nell'ambito dello stesso procedimento ritenendo che l'esame delle operazioni bancarie del primo ricorrente, che mostravano movimenti di denaro sospetti, fosse parzialmente confermato dalle dichiarazioni di L.G. e che si rendesse necessario riprendere le operazioni di ascolto. L'indagine aveva peraltro dimostrato che i contatti tra il primo ricorrente e le banche erano assicurati dal nipote di costui, il quarto ricorrente, da qui la necessità di intercettare anche le conversazioni telefoniche di quest'ultimo. Peraltro, il primo ricorrente e la terza ricorrente erano anche titolari di un conto comune sul quale avevano effettuato numerosi versamenti di denaro.

12. Numerose linee telefoniche utilizzate dai quattro ricorrenti furono quindi sottoposte a intercettazione, come pure alcune autovetture e l'ufficio del primo ricorrente. Queste intercettazioni furono prorogate per parecchie settimane, l'ultima fino all'8 dicembre 2004.

13. Con decisione del 18 luglio 2005, il GIP di Roma autorizzò per la terza volta l'intercettazione di più linee telefoniche appartenenti al primo ricorrente, alcune delle quali erano utilizzate anche dagli altri ricorrenti. Nella sua decisione, il GIP precisò che la durata massima delle indagini preliminari a carico del primo ricorrente era stata raggiunta. Di conseguenza i risultati delle nuove intercettazioni non potevano in alcun caso essere utilizzati per provare la responsabilità penale di quest'ultimo. Tuttavia il GIP affermò che le intercettazioni erano utili per la prosecuzione dell'indagine a carico di altre persone indiziate e le autorizzò per un periodo di quaranta giorni.

14. Dette intercettazioni furono prorogate più volte, l'ultima fino al novembre 2005.

15. Il 29 luglio e il 26 settembre 2005, il primo ricorrente fu interrogato dal GIP nell'ambito dell'indagine.

16. Il 3 ottobre 2005 il procuratore della Repubblica chiese al GIP di Roma di fissare una udienza ad hoc per l'incidente probatorio al fine di far luce sui movimenti bancari che riguardavano il primo ricorrente. Il GIP accolse questa richiesta e, in una data che non è stata precisata, si svolse un'udienza alla quale parteciparono il primo ricorrente, il suo avvocato e alcuni avvocati degli altri imputati. In tale circostanza, il primo ricorrente affermò che le somme versate sul suo conto bancario corrispondevano a una vendita immobiliare e non al prezzo della corruzione come sostenuto dal pubblico ministero.

17. L'8 settembre 2005 apparve sul settimanale L’Espresso un articolo che riguardava il caso giudiziario del primo ricorrente e che svelava il contenuto delle intercettazioni delle comunicazioni telefoniche di quest'ultimo e degli altri coimputati.

18. Un passaggio di detto articolo riportava:

«Le conversazioni e le telefonate di Cariello intercettate dall'Arma disegnano il ritratto di un giudice molto disinvolto. Il 28 maggio 2004, per esempio, Cariello chiama la segretaria e chiede di cercare un altro magistrato al Tribunale di sorveglianza per risolvere il problema del suo maestro di tennis: era sottoposto all'obbligo di soggiorno a Napoli per un reato, ma voleva ottenere il permesso per andare in Francia "per questioni sportive". Il presidente in persona si muove per far preparare l'istanza nel suo ufficio e per 'seguirla' poi con un paio di telefonate giuste, "perché il maestro è un uomo suo che garantisce lui". Venti giorni dopo Cariello disturba un giudice fallimentare napoletano, di nome Michelangelo, per chiedergli di fare avere altri incarichi (retribuiti) al figlio da parte dei colleghi della sezione fallimentare. E Michelangelo si mette a disposizione: "Certo, certo. È importante perché così può entrare nel giro come dire degli incarichi". Un'altra volta si informa con una collega sulla composizione della Corte dei minorenni che avrebbe dovuto giudicare il figlio di un suo amico. E non manca una telefonata al capo di gabinetto del questore per sollecitare la polizia a eseguire velocemente uno sfratto a Roma contro l'inquilino del cognato di un altro magistrato.»

19. Con decisione del 22 settembre 2006, che accoglieva la richiesta del pubblico ministero, il GIP di Roma archiviò con un non luogo a procedere il procedimento a carico del primo ricorrente e degli altri accusati.

20. Pur affermando che le dichiarazioni di L.G. erano attendibili e che le investigazioni avevano effettivamente mostrato l'esistenza di versamenti dubbi di somme di denaro sul conto del primo ricorrente, il GIP ritenne che gli indizi raccolti nel corso dell'indagine non fossero sufficienti per formulare un'imputazione di corruzione e non giustificassero il rinvio a giudizio dinanzi al tribunale.

21. Nel frattempo, il 9 settembre 2005, la procura di Roma aprì un procedimento contro ignoti per violazione del segreto istruttorio in merito all'articolo apparso su L’Espresso l'8 settembre 2005 (paragrafi 17 e 18 supra).

22. Il 15 settembre 2005, il pubblico ministero aveva richiesto alla polizia di individuare tutte le linee telefoniche utilizzate dal giornalista autore dell'articolo. Il 21 settembre 2005 la polizia aveva comunicato alla procura i numeri delle cinque linee in questione. Il 23 settembre 2005 il pubblico ministero chiese agli operatori telefonici coinvolti nell'operazione di produrre i tabulati relativi alle chiamate in entrata e in uscita da queste linee a decorrere dal 1° agosto 2005. Tuttavia questo controllo non permise di individuare nessuna chiamata che potesse essere legata a una delle persone implicate nelle intercettazioni. L'audizione dell'avvocato del primo ricorrente, come pure l'audizione delle numerose persone che a diversi livelli si erano occupate dell'indagine, non diede alcun risultato significativo.

23.Il 7 maggio 2006 il pubblico ministero richiese l'archiviazione del procedimento vista l'impossibilità di individuare i colpevoli. Il 6 novembre 2007 il GIP di Roma accolse la richiesta.

2.  Le denunce del primo ricorrente riguardanti l'irregolarità delle intercettazioni e la divulgazione di informazioni coperte dal segreto istruttorio

24.Il 1° agosto 2005 diciotto magistrati del tribunale di Napoli, compreso il primo ricorrente, presentarono al procuratore della Repubblica di Napoli una denuncia contro ignoti. Essi temevano di essere o di essere stati oggetto di intercettazioni ambientali illegali nel luogo in cui lavoravano e chiedevano la distruzione del materiale eventualmente raccolto tramite intercettazioni illegali.

25. Il 5 agosto 2005 al termine di una perquisizione negli uffici dei denuncianti disposta dalla procura, le autorità scoprirono dei dispositivi per intercettazioni ambientali nell'ufficio del primo ricorrente, nel quale si svolgevano le riunioni per le deliberazioni della sezione riesame del tribunale da lui presieduta.

26. In seguito gli atti furono trasmessi alla procura della Repubblica di Perugia, competente ratione loci.

27. Con denuncia del 4 novembre 2005, i magistrati del tribunale di Napoli denunciarono la pubblicazione sulla stampa di estratti delle intercettazioni telefoniche di cui erano stati oggetto. Si riferivano, tra l'altro, all'articolo apparso su L'Espresso l'8 settembre 2005 riguardante il primo ricorrente (paragrafi 17 e 18 supra).

28. Il pubblico ministero ascoltò parecchie persone implicate nelle intercettazioni, fra cui i magistrati del tribunale di Napoli, alcuni agenti della polizia e un impiegato della società che aveva fornito assistenza tecnica.

29. Il 6 luglio 2007 il pubblico ministero richiese l'archiviazione delle azioni penali osservando che sussistevano gli elementi costitutivi del reato di divulgazione di informazioni coperte dal segreto istruttorio, ma che non era stato possibile individuarne i colpevoli. Il primo ricorrente si oppose a tale richiesta.

30. Il 7 marzo 2008 si svolse un'udienza dinanzi al GIP.

31. Il 10 aprile 2009, accogliendo la richiesta della procura, il GIP archiviò le due denunce del primo ricorrente e dei suoi colleghi. Per quanto riguardava il delitto di intercettazioni illegali di comunicazioni, previsto dall'articolo 617 bis del codice penale (il «CP»), il GIP affermò che le operazioni di intercettazione condotte dalla procura di Roma avevano avuto lo scopo di verificare le dichiarazioni di un pentito in merito ai fatti di corruzione in atti giudiziari da parte di parecchi magistrati del tribunale di Napoli. Di conseguenza, le intercettazioni erano state condotte nell'ambito di un'inchiesta giudiziaria legittima ed erano volte alla scoperta della verità. In questo contesto era giustificato l'aver disposto le intercettazioni nei luoghi di lavoro delle persone sospettate, compreso l'ufficio nel quale si svolgevano le riunioni in camera di consiglio. Peraltro, le operazioni di intercettazione erano state debitamente autorizzate dall'autorità giudiziaria ed erano state condotte secondo le procedure previste dalla legge. Pertanto, l'elemento materiale del primo reato denunciato dai magistrati veniva a mancare.

32. Al contrario, il GIP constatò la sussistenza dell'elemento materiale del delitto di divulgazione di informazioni coperte dal segreto, previsto e sanzionato dall'articolo 326 del CP. Tuttavia, le indagini non avevano permesso di individuare gli autori del delitto, soprattutto per la complessità del caso e per il consistente numero di persone che avevano partecipato alle operazioni di intercettazione.
Pertanto, anche la seconda denuncia dei magistrati napoletani doveva essere archiviata.

B.  Il diritto interno pertinente

1.  Il regime delle intercettazioni nel corso delle indagini preliminari

33. Gli articoli da 266 a 271 del codice di procedura penale (il «CPP») disciplinano le intercettazioni delle conversazioni, delle comunicazioni telefoniche e degli scambi tramite altri mezzi di telecomunicazione, comprese le comunicazioni informatiche e telematiche.

34. L’articolo 266 del CPP prevede i casi in cui possono essere legalmente disposte le intercettazioni. Fra questi casi rientrano i delitti contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione pari o superiore a cinque anni.

35. L’articolo 267 del CPP fissa le condizioni e il tipo di decisione da adottare per disporre le intercettazioni:

« 1. Il pubblico ministero richiede al giudice per le indagini preliminari l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'art. 266 [intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche o di altre forme di telecomunicazione]. L'autorizzazione è data con decreto motivato quando vi sono gravi indizi di reato e l'intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini.
 (...)
4.  Tale durata non può superare i quindici giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi di quindici giorni. »

36.La legge n. 203 del 1991 «recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata» prevede deroghe al regime delle intercettazioni quando l'indagine riguarda un delitto legato alla criminalità organizzata. In particolare, derogando parzialmente all'articolo 267 del CPP, l'articolo 13 di detta legge stabilisce che le intercettazioni possono essere autorizzate quando vi sono «sufficienti indizi» di reato (in luogo di «gravi indizi di reato») e per un periodo di quaranta giorni (in luogo di quindici) prorogabile per periodi successivi di venti giorni.

37. L’articolo 268 del CPP disciplina l'esecuzione delle operazioni di intercettazione. Il comma 4 è così formulato:

«I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al pubblico ministero. Entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, essi sono depositati in segreteria insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l'intercettazione, rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero, salvo che il giudice non riconosca necessaria una proroga.»

38. Ai sensi dell'articolo 268 § 6 del CPP, i difensori delle parti sono avvisati che, entro un dato termine, hanno facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni. Scaduto tale termine, il giudice dispone l'acquisizione delle conversazioni che non appaiano manifestamente irrilevanti per il procedimento, procedendo anche di ufficio allo stralcio del materiale la cui utilizzazione è vietata. Il pubblico ministero e i difensori hanno il diritto di partecipare allo stralcio.

39. L’articolo 269 del CPP prevede che le trascrizioni delle intercettazioni siano conservati dal pubblico ministero fino al momento della decisione giudiziaria definitiva. Tuttavia, quando la documentazione raccolta non è più necessaria per il procedimento, gli interessati possono chiederne la distruzione al giudice che ha autorizzato l'intercettazione. La distruzione viene eseguita sotto il controllo del giudice.

2.  I divieti di utilizzare e pubblicare le intercettazioni

40. L’articolo 271 del CPP stabilisce i divieti di utilizzazione delle intercettazioni. Ai sensi del suo paragrafo 1,

«I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora le stesse siano state eseguite fuori dai casi consentiti dalla legge o qualora non siano state osservate le disposizioni degli articoli 267 e 268 commi 1 e 3.»

41. Il comma 1 dell'articolo 114 del CPP prevede il divieto di pubblicare gli atti coperti dal segreto istruttorio. Ai sensi dell'articolo 329 del CPP, sono coperti dal segreto istruttorio gli atti compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria fino alla chiusura delle indagini preliminari.

MOTIVI DI RICORSO

42. Invocando l'articolo 8 della Convenzione, i ricorrenti lamentano le intercettazioni di cui sono stati oggetto e la pubblicazione sulla stampa di alcuni estratti delle trascrizioni di queste intercettazioni.

43.Invocando l'articolo 13 della Convenzione, i ricorrenti denunciano l'assenza di ricorsi effettivi per contestare l'intercettazione delle loro conversazioni.

44. Invocando gli articoli 6 § 2 e 13 della Convenzione, il primo ricorrente lamenta la violazione del principio della presunzione di innocenza.

IN DIRITTO

A. Motivo di ricorso relativo all’articolo 8 della Convenzione

45. I ricorrenti sostengono che le intercettazioni ambientali e telefoniche di cui sono stati oggetto erano illegali e che la pubblicazione del loro contenuto sulla stampa ha violato l'articolo 8 della Convenzione.
Questa disposizione è così formulata:

1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. »

1.  La compatibilità delle intercettazioni con l'articolo 8 della Convenzione

a)  Argomenti delle parti

i.  I ricorrenti

46. I ricorrenti sostengono che le intercettazioni telefoniche e ambientali di cui sono stati oggetto erano illegali: da una parte, l'installazione di apparecchi nell'auto e nell'ufficio del primo ricorrente è stata eseguita in violazione del diritto di quest'ultimo al rispetto del suo domicilio; dall'altra parte, le autorità giudiziarie non hanno giustificato in modo circostanziato la presenza di «indizi sufficienti», come richiesto dalla legge n. 203 del 1991 (paragrafo 36 supra).

47. I ricorrenti sostengono anche che le disposizioni interne pertinenti non definivano con sufficiente precisione i casi in cui le intercettazioni potevano essere disposte e utilizzate, e non indicherebbero le persone che potrebbero essere sottoposte a intercettazione né i luoghi in cui l'intercettazione potrebbe essere eseguita. Le modalità e la durata degli ascolti sono peraltro risultate sproporzionate. Inoltre, la seconda e la terza ricorrente e il quarto ricorrente sostengono di essere stati messi sotto intercettazione pur mancando una imputazione nei loro confronti, e quindi senza uno scopo legittimo. Infine, in assenza di imputazione, essi sostengono di non aver avuto alcuna possibilità di intervenire nel corso del procedimento, di accedere alle trascrizioni delle intercettazioni che li riguardavano e di chiederne la distruzione.

ii.  Il Governo

48. Il Governo osserva che le intercettazioni ambientali e telefoniche erano state autorizzate per verificare le dichiarazioni del pentito L.G. I supporti informatici contenenti le conversazioni intercettate sono stati sigillati e custoditi in una cassaforte in procura, e potevano essere letti soltanto con un idoneo programma informatico. Le trascrizioni informali di queste registrazioni, effettuate dalla polizia per permettere una prima valutazione da parte del pubblico ministero, sono state inserite nel fascicolo. La loro distruzione poteva essere disposta soltanto alla fine dell'indagine. Peraltro, ai sensi dell'articolo 266 del CPP, il GIP può autorizzare le intercettazioni telefoniche soltanto per reati molto gravi. Unicamente in casi di urgenza il pubblico ministero può disporre le intercettazioni senza la preventiva autorizzazione, e tale decisione deve in ogni caso essere convalidata dal GIP entro 48 ore, pena l'impossibilità di utilizzare i risultati delle intercettazioni realizzate.

b)  Valutazione della Corte

i.  Esistenza di una ingerenza

49. La Corte sottolinea che le comunicazioni telefoniche e ambientali fanno parte della nozione di «vita privata» e di «corrispondenza» nel senso dell'articolo 8, la loro intercettazione, la memorizzazione dei dati così ottenuti e la loro eventuale utilizzazione nell'ambito dei procedimenti penali costituisce una «ingerenza da parte di un'autorità pubblica» nel godimento di un diritto che il paragrafo 1 di questa disposizione garantisce ai ricorrenti (si vedano, fra molte altre, Malone c. Regno Unito, 2 agosto 1984, § 64, serie A n. 82; Valenzuela Contreras c. Spagna, 30 luglio 1998, § 47, Recueil des arrêts et décisions 1998-V; e Panarisi c. Italia, n. 46794/99, § 64, 10 aprile 2007). Peraltro il Governo non lo contesta.

ii. Giustificazione dell'ingerenza

50.Tale ingerenza viola l'articolo 8 a meno che, «prevista dalla legge», essa persegua uno o più scopi legittimi rispetto al paragrafo 2 e sia «necessaria in una società democratica» per raggiungerli (Panarisi, sopra citata, § 65, e Graviano c. Italia (dec.), n. 24320/03, 6 ottobre 2007).

α) L'ingerenza era «prevista dalla legge»?

51. Le parole «prevista dalla legge» nel senso dell'articolo 8 § 2 richiedono che la misura contestata abbia una base nel diritto interno, ma riguardano anche la qualità della legge in causa: richiedono che quest'ultima sia accessibile per la persona interessata, che debba inoltre poterne prevedere le conseguenze per lei, e che sia compatibile con la preminenza del diritto (Khan c. Regno Unito, n. 35394/97, § 26, CEDU 2000-V, e Coban c. Spagna (dec.), n. 17060/02, 25 settembre 2006).

52. La Corte rileva che il GIP ha disposto le intercettazioni in causa in base agli articoli 266 e seguenti del CPP e alla legge n. 203 del 1991 (paragrafi 6-8 e 33-36 supra). L'ingerenza in causa aveva dunque una base legale nel diritto italiano.

53. La seconda esigenza che deriva dalle parole «prevista dalla legge», ossia l'accessibilità di quest'ultima, non solleva alcun problema in questo caso. Lo stesso vale per la terza, la «prevedibilità della legge» per quanto riguarda il senso e la natura delle misure applicabili (Panarisi, sopra citata, § 68, e Graviano, decisione sopra citata). A tale proposito, è opportuno ricordare che il diritto italiano indica i reati per i quali le intercettazioni possono essere disposte ed effettuate, la loro durata massima e le modalità di conservazione e di distruzione delle registrazioni (paragrafi 33-39 supra). La Corte rammenta anche di aver evidenziato l'impossibilità di raggiungere una precisione assoluta nel redigere le leggi, e che molte leggi, in ragione della necessità di evitare una rigidità eccessiva e di adattarsi ai cambiamenti di situazione, si servono per forza di cose di formule più meno vaghe (si vedano, mutatis mutandis, Barthold c. Germania, 25 marzo 1985, § 47, serie A n. 90, e Müller e altri c. Svizzera, 24 maggio 1988, § 29, serie A n. 133). Nelle circostanze particolari della presente causa, mancando ulteriori specificazioni da parte dei ricorrenti, la Corte non ritiene necessario pronunciarsi sulla questione di stabilire se il legislatore debba indicare con esattezza tutti i luoghi in cui potrebbero essere effettuate le intercettazioni o tutte le persone che, essendo in contatto con una persona sospetta, possono essere oggetto di intercettazione. Peraltro, nel caso di specie il GIP di Roma ha precisato i luoghi e le linee telefoniche da mettere sotto intercettazione nella sua autorizzazione del 22 maggio 2003 (paragrafo 6 supra).

54. Resta unicamente da stabilire se la maniera con cui il GIP di Roma ha autorizzato le intercettazioni in causa fosse compatibile con le esigenze del diritto nazionale e della Convenzione.

55. A tale proposito, la Corte ricorda che spetta in primo luogo alle autorità nazionali, e in particolare alle corti e ai tribunali, interpretare e applicare il diritto interno (si vedano, fra molte altre, Malone, sopra citata, § 79, e Eriksson c. Svezia, 22 giugno 1989, § 62, serie A n. 156). Peraltro non si può prescindere da una giurisprudenza consolidata. In effetti la Corte ha sempre inteso il termine «legge» nella sua accezione «materiale» e non «formale»; in un ambito coperto dal diritto scritto, la «legge» è il testo vigente così come viene interpretato dai giudici competenti (Kruslin c. Francia, 24 aprile 1990, § 29, serie A n. 176-A).

56. Nel caso di specie, il GIP di Roma ha autorizzato le intercettazioni notando che le dichiarazioni accusatorie del pentito L.G. sembravano attendibili tenuto conto del suo percorso di collaborazione con la giustizia e che le intercettazioni fossero giustificate da sufficienti indizi di reato (paragrafi 7 e 8 supra). Secondo la Corte, il giudice ha sufficientemente motivato la sua decisione. Inoltre, poiché risultava necessario verificare la veridicità della versione di L.G., secondo la quale il primo ricorrente avrebbe abusato delle sue funzioni disponendo la scarcerazione di membri di un clan criminale, la Corte non comprende perché la messa sotto intercettazione dell'auto e dell'ufficio del primo ricorrente sarebbe stata illegale.

57. Alla luce di ciò che precede, la Corte ritiene che l'ingerenza controversa fosse «prevista dalla legge».

β) Finalità e necessità dell'ingerenza

58. La Corte ritiene che l'ingerenza si prefiggesse di consentire la manifestazione della verità nell'ambito di un procedimento penale e fosse quindi volta alla difesa dell'ordine (Coban, decisione prima citata; Panarisi, prima citata, § 73; e Graviano, decisione prima citata).

59. Resta da esaminare se l'ingerenza fosse «necessaria in una società democratica» per raggiungere questi obiettivi. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, gli Stati contraenti godono di un certo margine di apprezzamento per giudicare l'esistenza e l'ampiezza di tale necessità, ma questo va di pari passo con un controllo europeo che ha ad oggetto al tempo stesso la legge e le decisioni che la applicano, anche quando esse promanano da un’autorità giudiziaria indipendente (si veda, mutatis mutandis, Silver e altri c. Regno Unito, 25 marzo 1983, § 97, serie A n. 61, e Barfod c. Danimarca, 22 febbraio 1989, § 28, serie A n. 149). Nell'ambito dell'esame della necessità dell'ingerenza, la Corte deve soprattutto convincersi che esistono garanzie adeguate e sufficienti contro gli abusi (Klass e altri c. Germania, 6 settembre 1978, §§ 50, 54 e 55, serie A n. 28).

60. La Corte rileva che il ricorso alle intercettazioni costituiva uno dei principali mezzi di indagine la cui natura fosse tale da consentire di verificare se il primo ricorrente avesse, come sosteneva L.G., abusato delle sue funzioni allo scopo di favorire i membri di un’organizzazione criminale (si veda, mutatis mutandis, Panarisi, sopra citata, § 75).

61. Inoltre, il primo ricorrente ha beneficiato di un «controllo efficace» delle intercettazioni di cui è stato oggetto. Egli in effetti ha potuto depositare una denuncia per intercettazioni illegali (paragrafo 24 supra). Quest'ultima è stata esaminata nel merito dal GIP di Roma, che si è pronunciato sia sulla legalità che sulla giustificazione delle intercettazioni (paragrafo 31 supra). Peraltro, nell'ambito di questo procedimento, il primo ricorrente ha avuto la facoltà di opporsi alla richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero (paragrafo 29 supra) e di partecipare all'udienza svoltasi dinanzi al GIP (paragrafo 30 supra). Per quanto riguarda gli altri tre ricorrenti, nulla impediva loro di unirsi alla denuncia del primo ricorrente o di presentare una denuncia a nome proprio.

62. Per quanto riguarda la durata delle intercettazioni, queste ultime sono iniziate nel maggio 2003 (paragrafo 6 supra) e, dopo una serie di proroghe, sono terminate nel novembre 2003 (paragrafo 10 supra). Nel febbraio 2004 sono state autorizzate nuove intercettazioni in ragione dei movimenti di denaro sospetti sul conto bancario del primo ricorrente (paragrafo 11 supra), durate fino al dicembre 2004 (paragrafo 12 supra). Una terza decisione che disponeva le intercettazioni, giustificata dalla necessità di raccogliere elementi a carico di altri indiziati, è stata adottata nel luglio 2005 (paragrafo 13 supra); le operazioni sono proseguite fino al novembre 2005 (paragrafo 14 supra). Secondo la Corte, vista la gravità delle accuse elevate contro il primo ricorrente e le altre persone coinvolte nel procedimento nonché la necessità di verificare se alcuni magistrati del tribunale di Napoli abusassero delle loro funzioni in favore delle organizzazioni criminali, la durata complessiva di queste intercettazioni -circa 20 mesi - non può essere considerata sproporzionata rispetto allo scopo legittimo perseguito dalle autorità.

63. È vero che le intercettazioni hanno riguardato anche le linee telefoniche utilizzate da persone, in particolare gli ultimi tre ricorrenti, che non erano accusate o sospettate di un reato nell'ambito del procedimento penale in causa. Tuttavia, la Corte ritiene che la sorveglianza di un indiziato non possa essere limitata unicamente perché le linee telefoniche di cui è titolare sono utilizzate anche da altre persone. Inoltre, quando un indiziato è in contatto con terze persone, è possibile che le autorità mettano sotto intercettazione anche le linee telefoniche appartenenti ai terzi interessati, a condizione che questa ingerenza, conformemente alla legislazione nazionale, sia giustificata da un bisogno imperioso. A tale proposito la Corte nota che, secondo l'articolo 267 del CPP (paragrafo 35 supra), l'autorizzazione a procedere all'ascolto di conversazioni, o di comunicazioni telefoniche o di altro tipo è data dal GIP soltanto se le intercettazioni sono «assolutamente indispensabili» per la prosecuzione dell'indagine. La documentazione contenuta nel fascicolo non consente di ritenere che la decisione di mettere sotto intercettazione le linee in questione fosse arbitraria o contraria alla legge nazionale per altro motivo.

64. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte ritiene che i ricorrenti abbiano beneficiato di un «controllo efficace» così come richiesto dalla preminenza del diritto e idoneo a limitare l'ingerenza controversa a quello che era «necessario in una società democratica». Alla luce dei principi sviluppati dalla giurisprudenza degli organi della Convenzione, la Corte ritiene che la documentazione contenuta nel fascicolo non permetta di rilevare una violazione da parte dei giudici italiani del diritto al rispetto della vita privata e delle comunicazioni, così come riconosciuto dall'articolo 8 della Convenzione (si vedano, mutatis mutandis, Coban, decisione prima citata; Panarisi, prima citata, § 77; e Graviano, decisione prima citata).

65. Ne consegue che questa parte del motivo di ricorso è manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell'articolo  35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione.

2.  La pubblicazione sulla stampa del contenuto delle intercettazioni

66. I ricorrenti sostengono che la pubblicazione sulla stampa di estratti delle conversazioni intercettate del primo ricorrente ha violato il diritto al rispetto della loro vita privata.

a)  Argomenti delle parti

i.  Sull'esaurimento delle vie di ricorso interne

α) L’eccezione del Governo

67.; Nelle sue osservazioni complementari e sull'equa soddisfazione del 1° settembre 2011, il Governo eccepisce per la prima volta il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne osservando che i ricorrenti avrebbero potuto avviare un procedimento civile per risarcimento a carico del giornalista che ha pubblicato l'articolo in contestazione e del direttore de L'Espresso entro un termine di cinque anni a decorrere dall'8 settembre 2005.

β)La replica dei ricorrenti

68. I ricorrenti rammentano innanzitutto che ai sensi dell'articolo 55 del regolamento della Corte, «la Parte contraente convenuta che intenda sollevare un’eccezione di irricevibilità deve farlo, nella misura in cui lo consentano la natura dell’eccezione e le circostanze, nelle osservazioni scritte od orali sulla ricevibilità del ricorso da essa presentate». Nel caso di specie, il Governo ha sollevato l’eccezione soltanto nelle sue osservazioni complementari e sull'equa soddisfazione del 1° settembre 2011, senza indicare le circostanze che gli avrebbero impedito di farlo prima. Pertanto il Governo dovrebbe essere decaduto dalla possibilità di eccepire il mancato esaurimento dei ricorsi interni.

69. Ad ogni modo, l'azione civile per risarcimento non può costituire un rimedio appropriato per porre rimedio alle violazioni dedotte dai ricorrenti. In effetti, le doglianze non vertono sulla responsabilità della stampa per quanto riguarda la pubblicazione delle intercettazioni in causa, ma sul fatto che lo Stato ha omesso di tutelare in maniera effettiva il diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata e della loro corrispondenza, prevedendo garanzie per impedire la divulgazione del contenuto delle intercettazioni e conducendo una indagine effettiva per individuare e punire i responsabili della divulgazione (si veda, in particolare, Craxi c. Italia (n. 2), n. 25337/94, §§ 73-74, 17 luglio 2003). L’azione civile non avrebbe permesso di chiarire le circostanze nelle quali la stampa ha avuto accesso alle trascrizioni delle intercettazioni e non avrebbe sanzionato i responsabili della fuga di informazioni. La condanna della stampa al risarcimento dei danni non avrebbe portato al riconoscimento di una violazione dell'articolo 8 da parte delle autorità pubbliche.

ii.  Sulla fondatezza del motivo di ricorso

α) I ricorrenti

70. I ricorrenti considerano che la pubblicazione dell'articolo apparso su L’Espresso l' 8 settembre 2005 (paragrafi 17 e 18 supra) costituisce una lesione indebita e illegale del rispetto della loro vita privata. A tal proposito essi rammentano che all'epoca le intercettazioni erano coperte dal segreto istruttorio e sostengono che in Italia sarebbe prassi corrente, che rimane ampiamente impunita, rivelare alla stampa il contenuto di atti riservati.

71. Secondo i ricorrenti, la presente causa si distingue dalla causa Dupuis e altri c. Francia (n. 1914/02, 7 giugno 2007) per il fatto che le intercettazioni citate da L’Espresso non avevano alcun rapporto con i reati ascritti al primo ricorrente e non erano state rese pubbliche in precedenza. Esse riguardavano la vita privata del primo ricorrente e il pubblico non aveva alcun interesse a conoscerne il contenuto. In queste circostanze, la tutela del segreto istruttorio avrebbe dovuto costituire un imperativo preponderante e giustificare la condanna del giornalista e del direttore della rivista. Tuttavia, a questi ultimi non è stata inflitta alcuna sanzione. La pubblicazione ha compromesso sia il rispetto dell'autorità giudiziaria che il corretto svolgimento dell'indagine a carico del primo ricorrente.

72. Peraltro, le indagini condotte per individuare e sanzionare i responsabili della fuga di informazioni sono state tardive e inefficaci in quanto le autorità si sono rifiutate di procedere alle indagini complementari suggerite dal primo ricorrente nella sua opposizione alla richiesta di archiviazione. Le autorità non hanno tentato di comprendere come il giornalista abbia avuto accesso alla nota dei carabinieri che riassumeva le conversazioni intercettate. Ora, soltanto gli impiegati potevano avere accesso a questa nota e questo escludeva che soggetti esterni all'amministrazione avessero potuto commettere il reato. Il pubblico ministero stesso ammette peraltro che non vi sono mai state trascrizioni formali delle intercettazioni; e non vi è stato alcun intervento tecnico esterno. Un elemento ulteriore dimostrerebbe che la fonte delle fughe era interna all'amministrazione: l'avvocato del primo ricorrente spiega in effetti che un giornalista era venuto a conoscenza della data dell'interrogatorio del suo cliente prima che questa data fosse comunicata alla difesa.

73. In queste circostanze gli inquirenti avrebbero dovuto esaminare la posizione dell'autore della nota dei carabinieri, M. A., per verificare se fosse coinvolto nella divulgazione. Non soltanto M. A. non è stato sentito, ma i tabulati delle sue chiamate non sono stati raccolti. M.A. era anche l'autore di un'altra nota, relativa a un altro processo, il cui contenuto era stato pubblicato dalla stampa.

β) Il Governo

74. Il Governo osserva che la regolamentazione delle intercettazioni e la loro utilizzazione è volta a limitare, per quanto possibile, le ingerenze nella vita privata delle persone interessate. Purtroppo, nel caso di specie, vi è stata pubblicazione sulla stampa di estratti delle intercettazioni telefoniche, fatto che non soltanto ha violato i diritti del primo ricorrente, ma ha anche pregiudicato l'indagine. Il giorno seguente la pubblicazione dell'articolo su L’Espresso (9 settembre 2005), la procura di Roma ha aperto un fascicolo contro ignoti per violazione del segreto istruttorio (paragrafi 21-23 supra). Per individuare l'autore delle divulgazioni, la procura ha chiesto alla polizia di reperire tutti i numeri di telefono utilizzati dal giornalista autore dell'articolo e ha in seguito acquisito la scheda dettagliata delle chiamate passate su queste linee a partire dal 1° agosto 2005. Tuttavia, questi controlli non hanno permesso di risalire a  persone  in qualche modo legate all'indagine. Molte delle persone che si sono occupate a diversi livelli dell'indagine sono state ascoltate, ma la loro audizione non ha fornito elementi significativi (paragrafo 22 supra). E' per questo che il 7 maggio 2006 il pubblico ministero di Roma ha richiesto l'archiviazione del fascicolo (paragrafo 23 supra).

75. Alla luce di quello che precede, il Governo ritiene che il diritto interno prevedesse dei mezzi di tutela della vita privata, che semplicemente non hanno dato risultato a causa dell'azione illecita di persone non identificate. L'indagine sulla violazione del segreto istruttorio è stata seria e rapida, e i responsabili della fuga di notizie avrebbero potuto essere sia impiegati, sia persone esterne all'amministrazione (ad esempio i tecnici per il programma informatico).

76. Il Governo osserva infine che gli estratti delle conversazioni divulgate da L’Espresso non riguardavano la vita privata del primo ricorrente, ma piuttosto la sua onorabilità professionale, aspetto che non rientrerebbe direttamente nella sfera di applicazione dell'articolo 8 della Convenzione.

b)  Valutazione della Corte

77. La Corte non ritiene necessario pronunciarsi sull'eccezione preliminare del Governo per quanto riguarda l'esaurimento dei ricorsi interni né sulla questione di stabilire se gli ultimi tre ricorrenti, le cui conversazioni intercettate non sono state riportate dalla stampa, possano ritenersi «vittime» dei fatti da essi denunciati, visto che la presente parte del motivo di ricorso relativo all'articolo 8 è del tutto irricevibile per i motivi seguenti.

78. A titolo preliminare la Corte rileva che le parti sono d'accordo nel dire che la pubblicazione sul settimanale L’Espresso di estratti delle conversazioni telefoniche del primo ricorrente oggetto delle intercettazioni controverse abbia avuto luogo in violazione del diritto interno, dal momento che le trascrizioni di queste conversazioni erano coperte dal segreto istruttorio. La Corte non vede alcuna ragione per concludere diversamente. Il pregiudizio arrecato ai diritti dei ricorrenti da questa pubblicazione non era quindi, certamente, «previsto dalla legge».

79. Allo stesso modo, non era neanche «necessario in una società democratica». A tale proposito, la Corte ricorda che nella causa Craxi (n. 2) (sopra citata, §§ 66-67), ha concluso che la pubblicazione sulla stampa degli estratti di conversazioni di natura strettamente privata e contenenti soltanto pochi riferimenti alle accuse elevate contro il ricorrente, se non addirittura nessuno, non corrispondesse ad alcun bisogno sociale imperioso (si veda anche il richiamo dei principi pertinenti in materia di valutazione degli interessi relativi alla protezione della vita privata da una parte e della libertà di stampa dall'altra, contenuto nella sentenza Craxi (n. 2), sopra citata, §§ 62-65). La Corte non può che giungere a conclusione identiche nella presente causa, in cui, come nella causa Craxi (n. 2), le conversazioni del primo ricorrente riportate dalla stampa non riguardavano direttamente l'indagine penale in corso, ma piuttosto alcuni aspetti della vita privata dell'interessato nonché la sua integrità professionale (si veda anche, a contrario, Dupuis e altri, sopra citata, §§ 44-46). Ciò non viene contestato dal Governo.

80. Resta da stabilire se l'ingerenza controversa possa essere ascritta allo Stato e se quest’ultimo sia responsabile dinanzi agli organi della Convenzione.

81. A tale proposito, la Corte osserva che la pubblicazione controversa è stata fatta da un settimanale privato, e che i ricorrenti non sostengono che questo settimanale si trovasse, in qualche maniera, sottoposto al controllo delle autorità pubblica.

82. Dal momento che le intercettazioni che riguardano il primo ricorrente non erano state rese pubbliche ed erano coperte dal segreto istruttorio, la Corte ritiene provato che la fonte di informazioni della stampa risiedesse nelle trascrizioni delle conversazioni depositate presso la segreteria della procura (si veda, mutatis mutandis, Craxi (n. 2), sopra citata, § 70). Per quanto riguarda il modo in cui la stampa ha avuto accesso a queste trascrizioni, la Corte non può lasciarsi convincere dalle affermazioni dei ricorrenti secondo le quali la fuga di notizie sarebbe necessariamente ascrivibile a un dipendente, e dunque ad una persona che con le sue azioni coinvolge la responsabilità dello Stato (paragrafi 72-73 supra). In effetti, come sottolineato dal Governo (paragrafo 75 supra), anche gli impiegati di una società privata erano stati coinvolti nelle operazioni di intercettazione e avevano quindi avuto la possibilità di accedere alle trascrizioni (si veda, mutatis mutandis, Craxi (n. 2), sopra citata, §§ 71-72).

83 Ciò premesso, è opportuno ricordare che se l'articolo 8 si prefigge essenzialmente di premunire la persona dalle ingerenze arbitrarie delle autorità pubbliche, esso non si limita ad ordinare allo Stato di astenersi da ingerenze di questo tipo: a tale obbligo negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti il rispetto effettivo della vita privata (Von Hannover c. Germania, n. 59320/00, § 57, CEDU 2004 VI). La Corte deve pertanto verificare se le autorità nazionali abbiano adottato le misure necessarie per assicurare la tutela effettiva del diritto degli interessati al rispetto della loro vita privata e della loro corrispondenza garantito dall'articolo 8 (Craxi (n. 2), sopra citata, § 73; si veda anche, mutatis mutandis, Lόpez Ostra c. Spagna, 9 dicembre 1994, § 55, serie A n. 303-C, e Guerra e altri c. Italia, 19 febbraio 1998, § 58, Recueil 1998-I).

84. In questa prospettiva, la Corte rammenta che la legislazione interna deve predisporre adeguate garanzie per impedire qualsiasi comunicazione o divulgazione di dati a carattere personale non conforme alle garanzie previste dall'articolo 8 della Convenzione (si veda, mutatis mutandis, in merito alla divulgazione di informazioni sanitarie, Z c. Finlandia, 25 febbraio 1997, § 95, Recueil 1997-I). Inoltre, quando risulta esserci una lacuna nella tutela delle informazioni riservate o segrete messa in atto dallo Stato, gli obblighi positivi che derivano dall'articolo 8 della Convenzione impongono alle autorità di condurre un'indagine effettiva al fine di rimediare, per quanto possibile, alla situazione, soprattutto perseguendo gli eventuali responsabili dell'indiscrezione commessa  (Craxi (n. 2), sopra citata, § 74; si veda anche Stoll c. Svizzera [GC], n. 69698/01, §§ 141-144, CEDU 2007 XIV).

85. Nella causa Craxi (n. 2) (sopra citata, §§ 75-76), non era stata aperta alcuna indagine di questo tipo, per cui la Corte era stata indotta a concludere per la violazione dell'articolo 8 della Convenzione. Il presente caso di specie, tuttavia, differisce dalla causa Craxi (n 2), in quanto è stata proprio svolta un'indagine di questo tipo: dal giorno successivo alla pubblicazione, la procura ha aperto un procedimento giudiziario nell'ambito del quale ha interrogato numerosi impiegati coinvolti nelle intercettazioni ed ha esaminato l'elenco dettagliato delle comunicazioni passate sulle linee telefoniche del giornalista autore dell'articolo (paragrafi 21-22 e 74 supra); si veda anche, a contrario, Drakšas c. Lituania, n 36662/04, §§ 35-36 e 60, 31 luglio 2012).

86. E' vero che, soprattutto in ragione del numero di persone coinvolte nella causa e della complessità della stessa, questa indagine non ha permesso di identificare i responsabili della divulgazione per cui è stata disposta l'archiviazione del procedimento (paragrafo 23 supra). Tuttavia, il dovere di condurre un'indagine effettiva non può essere inteso come un obbligo di risultato. Secondo la Corte, i mezzi utilizzati nel caso di specie erano sufficienti riguardo alla natura del reato e l'articolo 8 della Convenzione non può essere interpretato nel senso di imporre allo Stato, nelle particolari circostanze della presente causa, di procedere alle verifiche supplementari richieste dai ricorrenti (acquisizione dei tabulati telefonici di un impiegato, nuovi interrogatori - si veda il paragrafo 73 supra).

87. In queste circostanze, la Corte ritiene che il Governo abbia soddisfatto le esigenze procedurali che derivano dall'articolo 8, come stabilite nella causa Craxi (n. 2).

88. Ne consegue che questa parte del motivo di ricorso è anch'essa manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione.

B.  Motivo di ricorso relativo all'articolo 6 § 2 della Convenzione

89. Invocando gli articoli 6 § 2 e 13 della Convenzione, il primo ricorrente lamenta che la pubblicazione sulla stampa di estratti delle intercettazioni che lo riguardavano abbia leso il principio della presunzione di innocenza.

Il secondo paragrafo dell'articolo 6 della Convenzione è così formulato:

«Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata»

90. La Corte osserva di aver appena esaminato le affermazioni del ricorrente secondo il punto di vista dell'articolo 8 della Convenzione e di averle rigettate perché manifestamente infondate (paragrafi 78-88 supra). Essa non può giungere a conclusioni diverse sotto il punto di vista degli articoli 6 § 2 o 13 della Convenzione.

91. Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione.

C. Motivo di ricorso relativo all'articolo 13 della Convenzione

92.  I ricorrenti sostengono di non aver avuto a disposizione, nel diritto italiano, dei ricorsi effettivi per contestare le intercettazioni delle loro conversazioni.

Essi invocano l'articolo 13 della Convenzione, così formulato:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

93.  La Corte rammenta che l'articolo 13 non può essere interpretato nel senso di esigere un ricorso interno per qualsivoglia doglianza, per quanto ingiustificata, che un individuo può presentare in base alla Convenzione: deve trattarsi di un motivo di ricorso difendibile rispetto a quest'ultima (Boyle e Rice c. Regno Unito, serie A n. 131, § 52, 24 aprile 1988). Nella presente causa, la Corte ha appena concluso che i motivi di ricorso dei ricorrenti basati sugli articoli 8 e 6 § 2 della Convenzione sono irricevibili in quanto manifestamente infondati.

94.  Gli elementi di fatto sopra considerati dalla Corte per respingere quanto sostenuto dai ricorrenti sotto il profilo delle clausole sostanziali invocate la inducono consequenzialmente a concludere, secondo il punto di vista dell'articolo 13, che non si tratta di motivi di ricorso difendibili (si veda, fra molte altre Al Shari e altri c. Italia (dec.), n. 57/03, 5 luglio 2005; Walter c. Italia (dec.), n. 18059/06, 11 luglio 2006; Schiavone c. Italia (dec.), n. 65039/01, 13 novembre 2007; e Zeno e altri c. Italia (dec.), n. 1772/06, 27 aprile 2010). Pertanto, nel caso di specie, non deve essere applicato l’articolo 13.

95.  Ne consegue che il presente motivo di ricorso è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell'articolo 35 § 3 (a) e deve essere rigettato in applicazione dell'articolo 35 § 4.

Per questi motivi, la Corte,

a maggioranza,

Dichiara irricevibile il motivo di ricorso dei ricorrenti avente ad oggetto la compatibilità delle intercettazioni con l'articolo 8 della Convezione;

all'unanimità,

Dichiarala restante parte del ricorso irricevibile.

Danutė Jočienė
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere