Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 18 dicembre 2012 - Ricorso n.70800/01 - Chillemi c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Anna Aragona, funzionario linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA CHILLEMI c. ITALIA

(Ricorso n. 70800/01)

SENTENZA

STRASBURGO

18 dicembre 2012

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.
 
Nella causa Chillemi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in un comitato composto da:
Dragoljub Popović, presidente,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 27 novembre 2012,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 70800/01) proposto contro la Repubblica italiana con il quale due cittadini di questo Stato, il sig. Carmelo Chillemi e la sig.ra Fortunata Chillemi («i ricorrenti»), hanno adito la Corte in data 2 aprile 2001 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»). La seconda ricorrente è deceduta il 23 dicembre 2006. Con nota del 30 agosto 2007, i sigg. Alfredo Palladino e Giuseppe Palladino e le sigg.re Girolama Marilena Palladino e Carmela Palladino informavano la Cancelleria di aver ereditato dalla seconda ricorrente, comunicando la loro intenzione di costituirsi nella procedura dinanzi alla Corte.

2. I ricorrenti sono rappresentati dall’avv. G. Romano, del foro di Benevento. Il governo italiano («il Governo») era rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dai suoi co-agenti F. Crisafulli e N. Lettieri.

3. In data 8 marzo 2004, il ricorso è stato comunicato al Governo.

4. In applicazione del Protocollo n. 14, il ricorso è stato assegnato ad un comitato. 

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. I fatti della causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

6. I ricorrenti, due cittadini italiani, nati rispettivamente nel 1926 e nel 1925, erano proprietari di un terreno di 2.525 metri quadrati a Barcellona.

A.  L’espropriazione del terreno.

7. Nel 1970, l’ANAS («Azienda Nazionale Autonoma Strade») occupava d’urgenza il terreno dei ricorrenti al fine di costruirvi una strada. L’occupazione era stata autorizzata per due anni. Il 18 aprile 1977, il Prefetto di Messina disponeva l’espropriazione definitiva del terreno.

8. Frattanto, con atto notificato il 2 marzo 1973, i ricorrenti citavano l’ANAS dinanzi al tribunale di Messina. Essi affermavano che l’occupazione del terreno era illegale, dal momento che si era protratta oltre il termine stabilito, mentre i lavori della strada si erano conclusi senza che si procedesse all’espropriazione formale del terreno ed al pagamento di un indennizzo. I ricorrenti chiedevano il risarcimento danni.

9. L’istruzione della causa aveva inizio il 10 maggio 1973.

10. Il 21 novembre 1991 veniva depositata una perizia in cancelleria. Secondo il perito si trattava di un terreno edificabile, il cui valore venale era pari a 31.562.500 ITL (circa 16.300 EUR), ossia a 12.500 ITL/m2 (6,46 EUR/m2).

11. Nel 1994 il giudice chiedeva una seconda perizia. Nel 1996 la seconda perizia veniva depositata in cancelleria.

12. Con sentenza del 22 novembre 1999, depositata in cancelleria il 5 luglio 2000, il tribunale di Messina dichiarava che l’occupazione del terreno era divenuta senza titolo il 9 maggio 1972 e che il decreto di espropriazione del 18 aprile 1977 non era efficace.

13. Il tribunale condannava l’ANAS a pagare ai ricorrenti 17.599.000 ITL (circa 9.089 EUR), a titolo di risarcimento per la perdita del terreno. Detta somma era stata calcolata ai sensi della legge finanziaria n. 662 del 1996, frattanto entrata in vigore.

14. Oltre a detto indennizzo, il tribunale condannava l’ANAS a versare 12.500.000 ITL (circa 6.455 EUR) per il danno cagionato alla restante parte del terreno, nonché  1.758.000 ITL (circa 908 EUR), a titolo di indennità di occupazione temporanea.

15. La sentenza del tribunale di Messina è divenuta definitiva in data 8 ottobre 2000.

B.  Il procedimento «Pinto».

16. Il 26 settembre 2001 i ricorrenti depositavano presso la corte d’appello di Reggio Calabria  una richiesta di indennizzo per la durata eccessiva del procedimento (circa ventisette anni), ai sensi della legge Pinto.

17. I ricorrenti chiedevano altresì il risarcimento del danno morale, per una somma complessiva di 144.000.000 ITL (74.369,79 EUR).

18. Con decisione del 10 gennaio 2002, la corte d’appello di Reggio Calabria accordava a ciascun ricorrente la somma di  8.779,77 EUR a titolo di risarcimento del solo danno morale. Inoltre, essa accordava un rimborso parziale delle spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, nonché per i procedimenti dinanzi alle autorità giudiziarie nazionali.

19. Il 5 novembre 2003, il giudice dell’esecuzione ordinava al Ministero della Giustizia di pagare congiuntamente ai ricorrenti la somma accordata dalla corte d’appello  Reggio Calabria, ossia 18.952,02 EUR.

II.  IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

20. Il diritto interno pertinente relativo all’espropriazione indiretta è descritto nella sentenza Guiso Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009.

21. Il diritto e la prassi interni pertinenti relativi alla legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta «legge Pinto», sono descritti nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, §§ 23-31).

IN DIRITTO

I.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1

22. I ricorrenti sostengono di essere stati privati del loro terreno secondo modalità incompatibili con l’articolo 1 del Protocollo n.1, così redatto:

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

23. Il Governo si oppone a questa tesi.

A.  Sulla ricevibilità

24. Il Governo eccepisce la tardività del ricorso sotto vari aspetti, ritenendo che il termine di sei mesi iniziasse a decorrere o dal momento in cui la proprietà del terreno è passata in mano all’amministrazione o dal 1o gennaio 1997, ossia dalla data di entrata in vigore della legge n. 662/1996. Esso ritiene inoltre che i ricorrenti fossero a conoscenza della decisione del tribunale di Messina del 5 luglio 2000, data del deposito della sentenza presso la cancelleria del tribunale, e pertanto che il termine di sei mesi dovesse decorrere da tale data.  

25. I ricorrenti chiedono che detta eccezione venga respinta ed affermano in particolare che, ai fini del calcolo del termine di sei mesi, la decisione da tenere in considerazione è quella del tribunale di Messina, divenuta definitiva in data 8 ottobre 2001.

26. Quanto ai primi due aspetti dell’eccezione relativa all’inosservanza del termine di sei mesi, la Corte rammenta di aver già rigettato eccezioni analoghe nelle cause Chirò (n. 2) e altri c. Italia (dec.), (n. 65137/01, 27 maggio 2004), Santinelli e altri c. Italia (n. 65141/01, (dec.), 23 settembre 2004), La Rosa e altri c. Italia (n. 3) ((dec.), n. 58386/00, del 1o aprile 2004), Donati c. Italia ((dec.), n. 63242/00, 13 maggio 2004); Maselli c. Italia ((dec.), n. 63866/00, del 1o aprile 2004). Non ravvisando alcuna ragione per derogare alle sue precedenti conclusioni, essa rigetta l’eccezione in questione. 

27. Quanto all’ultimo aspetto dell’eccezione relativa alla tardività del ricorso, la Corte rammenta di poter essere investita di una causa, in virtù dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, solo «entro il termine di sei mesi dalla data della decisione interna definitiva» vale a dire dall’atto di chiusura del processo di «esaurimento delle vie di ricorso interne», ai sensi della stessa disposizione (Kadiÿis c/Lettonia (n. 2) (dec.), n. 62393/00, 25 settembre 2003). Inoltre, una decisione è definitiva quando è passata in giudicato. Tale è il caso di una decisione irrevocabile, la quale non può essere impugnata mediante vie di ricorso ordinarie (mutatis mutandis, Nikitina c. Russia, n. 50178/99, § 37, CEDU 2004-VIII).

28. La Corte osserva che la sentenza del tribunale di Messina è divenuta definitiva in data 8 ottobre 2000 e che il ricorso è stato presentato in data  2 aprile 2001, entro il prescritto termine di sei mesi. Pertanto l’eccezione sollevata dal Governo non può essere accolta.

29. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità. E’ quindi opportuno dichiararlo ricevibile. 

B.  Sul merito

30.I ricorrenti ricordano che sono stati privati del loro bene in virtù del principio dell’espropriazione indiretta, un meccanismo che consente all’autorità pubblica di acquisire un bene in totale illegalità, il che non è ammissibile in uno Stato di diritto. Inoltre, l’applicazione della legge n. 662 del 1996 li avrebbe privati di una qualsiasi «riparazione» del danno subito.

31. Secondo il Governo, nonostante l’assenza di un decreto di espropriazione e la trasformazione irreversibile del terreno con la costruzione di un’opera di pubblica utilità, che ne ha reso impossibile la restituzione, l’occupazione controversa è stata fatta nell’ambito di un procedimento amministrativo fondato su una dichiarazione di pubblica utilità. L’applicazione al caso di specie del criterio di valutazione del risarcimento introdotto dalla legge n. 662 del 1996 non avrebbe costituito un ostacolo all’esigenza di garantire un giusto equilibrio tra il sacrificio imposto ai privati e la compensazione loro accordata.

32. La Corte osserva innanzi tutto che le parti concordano nell’affermare che vi è stata «privazione della proprietà».

33. La Corte rimanda alla sua giurisprudenza in materia di espropriazione indiretta (si vedano, tra le altre, Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, n. 31524/96, CEDU 2000-VI; Scordino c. Italia (n. 3), n. 43662/98, 17 maggio 2005; Velocci c. Italia, n. 1717/03, 18 marzo 2008) per il riepilogo dei principi pertinenti e per un quadro della sua giurisprudenza in materia.

34. Nella presente causa, la Corte rileva che, applicando il principio dell’espropriazione indiretta, i giudici nazionali hanno ritenuto che i ricorrenti fossero stati privati del loro bene a partire dalla data della realizzazione dell’opera pubblica. Tuttavia, in mancanza di un atto formale di espropriazione, la Corte ritiene che la situazione non possa essere considerata «prevedibile», poiché è solo con la decisione giudiziaria definitiva che può considerarsi effettivamente applicato il principio dell’espropriazione indiretta e sancita l’acquisizione del terreno da parte delle autorità pubbliche. Di conseguenza, i ricorrenti hanno avuto la «certezza giuridica» di essere stata privata del terreno solo l’8 ottobre 2000, data in cui la sentenza del tribunale di Messina è divenuta definitiva.

35. Secondo la Corte, l’ingerenza controversa non è compatibile con il principio di legalità ed ha quindi violato il diritto al rispetto dei beni dei ricorrenti comportando la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

II.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE

36.I ricorrenti lamentano l’eccessiva durata del procedimento civile, nonché l’insufficienza dell’indennizzo ottenuto nell’ambito del ricorso Pinto.

37. Le disposizioni pertinenti dell’articolo 6 § 1 recitano:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

38.  Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

1. Mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.

39. Il Governo solleva un’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, affermando che i ricorrenti non hanno proposto ricorso per cassazione avverso la decisione della corte d’appello di Reggio Calabria.

40. La Corte rileva che la decisione della corte d’appello di Reggio Calabria è divenuta definitiva solo il 9 maggio 2002. Alla luce della sua giurisprudenza (Di Sante c. Italia, n. 56079/00, 24 giugno 2004), essa rigetta l’eccezione.

2. Qualità di «vittima»

41. Il Governo sostiene che i ricorrenti non sono più «vittime» della dedotta violazione dell’articolo 6 § 1, avendo ottenuto dalla corte d’appello di Reggio Calabria una constatazione di violazione, nonché un risarcimento adeguato e sufficiente rispetto al valore della controversia.

42. I ricorrenti si oppongono all’eccezione del Governo ed affermano che l’importo accordato dalla corte d’appello non consente di ritenere che l’indennizzo offerto nella fattispecie sia sufficiente a riparare la violazione dedotta.  

43. La Corte rammenta la sua giurisprudenza nella causa Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, § 84) secondo la quale, in questo tipo di cause, la Corte è tenuta ad accertare, da un lato, se vi sia stato riconoscimento da parte delle autorità, almeno in sostanza, della violazione di un diritto tutelato dalla Convenzione e, dall’altro, se la riparazione possa essere considerata appropriata e sufficiente.

44. La prima condizione, vale a dire la constatazione di violazione da parte delle autorità nazionali, non è in discussione in quanto la corte d'appello di Reggio Calabria ha espressamente accertato che vi è stata una violazione.

45. Quanto alla seconda condizione, la Corte ricorda le caratteristiche necessarie affinché un ricorso interno garantisca una riparazione appropriata e sufficiente; si tratta, nello specifico, del fatto che per valutare l’importo dell’indennizzo attribuito dalla corte d’appello, la Corte tiene conto, sulla base degli elementi a sua disposizione, di quanto essa avrebbe accordato nella stessa situazione per il periodo preso in considerazione dal giudice nazionale (Cocchiarella c. Italia, sopra citata, §§ 86-107).

46.La Corte ritiene che, limitandosi a concedere una somma di 8.779,77 EUR a ciascuno dei due ricorrenti per danno morale, la corte d’appello di Reggio Calabria non abbia riparato la violazione in questione in modo appropriato e sufficiente. Richiamandosi ai principi della sua giurisprudenza (si veda, tra le altre, Cocchiarella c. Italia, sopra citata, §§ 69-98), la Corte rileva in effetti che la somma in questione rappresenta non più del 29 % dell’importo che la medesima generalmente accorda nelle cause analoghe proposte contro l’Italia.

47. Considerato quanto precede e tenuto conto dell’insufficienza dell’indennizzo concesso, la Corte ritiene che i ricorrenti possano ancora considerarsi «vittime» ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.

48. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non incorre in altri motivi di irricevibilità. E’ quindi opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

49. La Corte constata che il procedimento principale ha avuto inizio il  2 marzo 1973 e si è concluso il 5 luglio 2000. Tenuto conto del fatto che il periodo da considerare inizia a decorrere dal 1° agosto 1973 con il riconoscimento del diritto di ricorso individuale da parte dell’Italia (si veda Andreozzi c. Italia, n. 54288/00, § 12, 28 marzo 2002), il procedimento è quindi durato ventisei anni ed undici mesi per un grado di giudizio. 

50. La Corte ha trattato più volte ricorsi aventi per oggetto questioni analoghe a quelle sollevate nel caso di specie, constatando una inosservanza dell’esigenza del «termine ragionevole», tenuto conto dei criteri stabiliti dalla sua giurisprudenza ben consolidata in materia (si veda, in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, sopra citata). In assenza di elementi che possano condurre ad una conclusione diversa nella presente causa, la Corte ritiene di dovere constatare una violazione dell’articolo 6 § 1.

III. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE

51. Invocando l’articolo 13, i ricorrenti lamentano l’inefficacia del rimedio «Pinto».

52. La Corte rammenta che l'articolo 13 della Convenzione garantisce l'esistenza nel diritto interno di un ricorso che consenta di far valere i diritti e le libertà in essa sanciti. Ne consegue che il giudice nazionale competente è in primo luogo autorizzato a esaminare il contenuto della doglianza fondata sulla Convenzione e in seguito può offrire, laddove opportuno, la riparazione adeguata (si vedano Mifsud c. Francia (dec.) [GC], n. 57220/00, § 17, CEDU 2002-VIII; Scordino c. Italia (n. 1), n. 36813/97, §§ 186-188, CEDU 2006; Sürmeli c. Germania [GC], n. 75529/01, § 98, 8 giugno 2006). Pertanto, il diritto ad un ricorso effettivo ai sensi della Convenzione non può essere interpretato come diritto all’accoglimento della domanda nel senso voluto dall’interessato (Sürmeli, sopra citata, § 98).

53. La Corte rammenta che, secondo la giurisprudenza Gagliano Giorgi (n. 23563/07, § 79, 6 marzo 2012) e Delle Cave e Corrado (n. 14626/03, §§ 43-46, 5 giugno 2007), l’insufficienza dell’indennizzo «Pinto» non rimette in causa, allo stato attuale, l’efficacia di tale via di ricorso.

54. Nel caso di specie, la corte d’appello di Reggio Calabria aveva di certo la competenza per pronunciarsi sulla doglianza dei ricorrenti ed ha effettivamente proceduto al suo esame. A parere della Corte, la semplice insufficienza dell’importo dell’indennizzo non costituisce, di per sé, un elemento tale da rimettere in causa l’efficacia del ricorso «Pinto» (si veda, mutatis mutandis, Zarb c. Malta, n. 16631/04, § 51, 4 luglio 2006).

55. Pertanto, tale motivo di ricorso deve essere dichiarato irricevibile in quanto manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

IV.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

56. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A.  Danno materiale

57. I ricorrenti chiedono una somma corrispondente alla differenza tra il valore venale del terreno e l’importo del risarcimento accordato a livello nazionale, da rivalutare e maggiorare degli interessi a partire dal 9 maggio 1972.

58. Il Governo si oppone a tale domanda.

59. La Corte rammenta che una sentenza che constati una violazione comporta per lo Stato convenuto l’obbligo di far cessare la violazione e di eliminarne le conseguenze in modo da ristabilire, nei limiti del possibile, la situazione anteriore a quest’ultima (Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 31107/96, § 32, CEDU 2000-XI).

60. Essa rammenta che, nella causa Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009), la Grande Camera ha modificato la giurisprudenza della Corte riguardante i criteri di indennizzo nelle cause di espropriazione indiretta. In particolare, la Grande Camera ha deciso di respingere le richieste dei ricorrenti che siano fondate sul valore dei terreni alla data della sentenza della Corte e di non tenere più conto, ai fini della stima del danno materiale, del costo di fabbricazione degli edifici costruiti dallo Stato sui terreni.

61. L’indennizzo deve quindi corrispondere al valore pieno ed intero del terreno al momento della perdita della proprietà, quale stabilito dalla perizia disposta dal giudice competente nel corso del procedimento nazionale. Poi, una volta detratta la somma eventualmente accordata a livello nazionale, l’importo deve essere indicizzato per compensare gli effetti dell’inflazione. È inoltre opportuno maggiorarlo di interessi tali da compensare, almeno in parte, il lungo lasso di tempo trascorso dallo spossessamento dei terreni.

62. Nel caso di specie, i ricorrenti hanno perso la proprietà del loro terreno il 9 maggio 1972. Stando alla perizia disposta dal tribunale di Messina, in tale data il valore del terreno era di  31.562.500 ITL, ossia 16.300 EUR (si veda il § 10 supra).

63. Tenuto conto di questi elementi e deliberando in via equitativa, la Corte ritiene ragionevole accordare congiuntamente ai ricorrenti, che ripartiranno l’importo sulla base della rispettiva quota, 141.500 EUR per il danno materiale, più l’importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta su tale somma.

64. Rimane da valutare la perdita di opportunità subita a causa dell’espropriazione in questione (Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC] sopra citata, § 107). A giudizio della Corte, è opportuno prendere in considerazione il danno derivante dall’indisponibilità del terreno nel periodo compreso tra l’inizio dell’occupazione legittima (1970) e il momento della perdita di proprietà (9 maggio 1972). Deliberando in via equitativa, la Corte accorda congiuntamente ai ricorrenti 1.100 EUR.

B.  Danno morale

65.I ricorrenti chiedono 144.000 EUR a titolo di risarcimento del danno morale.

66.Il Governo si oppone a tale richiesta.

67. La Corte ritiene che il senso di impotenza e frustrazione di fronte allo spossessamento illegale dei loro beni, nonché l’eccessiva durata del procedimento abbiano causato ai ricorrenti un danno morale notevole, da ripararsi in maniera adeguata.

68. Conformemente alla giurisprudenza Guiso-Gallisay c. Italia (sopra citata) e Cocchiarella c. Italia (sopra citata, §§ 139-142 e 146) e deliberando in via equitativa, la Corte accorda 20.000 EUR, ossia 10.000 EUR al primo ricorrente e 10.000 EUR agli eredi della seconda ricorrente, da ripartire secondo la rispettiva quota di eredità.

C.  Spese

69. I ricorrenti chiedono 13.958 EUR per le spese del procedimento dinanzi alla Corte. 

70. Il Governo si oppone, affermando che le somme richieste sono eccessive. 

71. Secondo la giurisprudenza della Corte, il ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo qualora ne siano accertate la realtà e la necessità ed il loro importo sia ragionevole.

72. Tenuto conto delle circostanze della causa, la Corte giudica ragionevole accordare l’intero l’importo richiesto per le spese complessivamente sostenute.

E. Interessi moratori

73. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITA’,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile quanto alle doglianze relative alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione e dell’articolo 6 § 1 della Convenzione ed irricevibile per il resto;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  4. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, entro tre mesi, le seguenti somme:
      1. congiuntamente 142.600 EUR (centoquarantaduemilaseicento euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno materiale;
      2. 20.000 EUR (ventimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      3. congiuntamente 13.958 EUR (tredicimilanovecentocinquantotto euro), più l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 18 dicembre 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Françoise Elens-Passos
Cancelliere aggiunto

Dragoljub Popović
Presidente