Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 18 dicembre 2012 - Ricorso n.24887/03 - Maselli c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA MASELLI c. ITALIA
(Ricorso n. 24887/03)
SENTENZA
STRASBURGO
18 dicembre 2012

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Maselli c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in un comitato composto da:
Dragoljub Popović, presidente,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 27 novembre 2012,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All'origine della causa vi è un ricorso (n. 24887/03) presentato contro la Repubblica italiana con il quale un cittadino di tale Stato, sig. Nicola Maria Maselli («il ricorrente») ha adito la Corte il 3 febbraio 2000 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Il ricorrente è stato rappresentato dall'avvocato L. Crisci, del foro di Benevento. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e da P. Accardo e N. Lettieri, co-agenti.

3.Il 1° giugno 2006 il ricorso è stato comunicato al Governo.

4.In applicazione del Protocollo n. 14, il ricorso è stato assegnato a un comitato.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. Il ricorrente è nato nel 1929 e risiede a Castelpagano.

6. I fatti della causa, come sono stati esposti dal ricorrente, posono essere riassunti come segue.

7. Il ricorrente era proprietario di un terreno situato a Castelpagano e registrato in catasto al foglio 30, particella 353.

8. Con delibera del 6 settembre 1989, la comunità montana dell'Alto Tammaro approvò il progetto di costruzione di una strada su questo terreno.

9. Il 23 ottobre 1989, una parte del terreno del ricorrente, ossia 305 metri quadrati, fu materialmente occupata dalla società T., alla quale la comunità montana dell'alto Tammaro aveva affidato i lavori di costruzione della strada.

10. Con delibera del 10 maggio 1990, il comune di Castelpagano autorizzò la comunità montana dell'Alto Tammaro a occupare d'urgenza il terreno del ricorrente in vista della sua espropriazione.

11. Il 18 maggio 1992, il comune di Castelpagano versò al ricorrente la somma di 483.000 ITL (249,45 EUR, circa) a titolo di acconto sull'indennità di espropriazione.

12. Con delibera del 27 maggio 1995, il comune di Castelpagano decretò l'espropriazione della parte del terreno che era già stata occupata.

1.  Il procedimento principale

13. Nel frattempo, con atto di citazione notificato il 12 settembre 1992, il ricorrente avviò un'azione di risarcimento danni a carico della comunità montana dell'Alto Tammaro dinanzi al tribunale di Benevento. Egli sosteneva che l'occupazione del terreno era illegittima fin già dall'inizio in quanto si era verificata prima dell'adozione del decreto che la autorizzava. Alla luce di queste considerazioni, chiedeva in particolare un risarcimento per la perdita della parte di terreno che era stata occupata, un indennizzo per la perdita di valore della restante parte di terreno e un indennizzo per la distruzione delle colture esistenti sul terreno avvenuta durante i lavori.

14. Nel corso del processo fu depositata una perizia in cancelleria. Il perito valutò il valore venale della parte di terreno che era stata occupata in 5.000 ITL (2,58 EUR, circa) al metro quadrato nel 1989 e in 6.256 ITL (3,23 EUR, circa) al metro quadrato nel 1994.

15. Con sentenza depositata in cancelleria l'8 aprile 2003, il tribunale respinse le richieste del ricorrente in quanto quest'ultimo aveva dato il suo consenso all'occupazione del terreno e, di conseguenza, aveva concluso una transazione con l'amministrazione.

16. Con atto del 13 ottobre 2003, il ricorrente interpose appello avverso questa sentenza dinanzi alla corte d'appello di Napoli.

17. La comunità montana dell'Alto Tammaro e la società T. si costituirono in giudizio.

18. Con sentenza depositata in cancelleria il 3 novembre 2004, la corte d'appello dichiarò dapprima il difetto di legittimazione passiva della società T. in quanto quest'ultima non era stata parte nel giudizio dinanzi al tribunale di Benevento e condannò il ricorrente a rimborsare le spese del procedimento alla società T. Inoltre, la corte d'appello dichiarò che la proprietà del terreno era stata trasferita all'amministrazione in virtù del principio dell'espropriazione indiretta a decorrere dal 16 dicembre 1991, data della sua trasformazione irreversibile. Di conseguenza, il decreto di espropriazione del 27 maggio 1995 era tardivo. Alla luce di queste considerazioni, la corte d'appello condannò la comunità montana dell'Alto Tammaro a versare al ricorrente un risarcimento di 675 EUR più interessi, pari alla differenza tra il valore venale del terreno nel 1994 rivalutata al giorno della pronuncia e la somma già ricevuta dal ricorrente a titolo di acconto sull'indennità di espropriazione.

19. Secondo il ricorrente, la parte di questa sentenza relativa alla condanna al risarcimento a seguito della perdita del terreno è passata in giudicato il 19 dicembre 2005.

20. Con ricorso notificato il 17 dicembre 2005, il ricorrente intentò dinanzi alla corte d'appello di Napoli un'azione di revocazione avente ad oggetto la sentenza della stessa corte d'appello depositata in cancelleria il 3 novembre 2004, unicamente per quanto riguardava la condanna al rimborso delle spese del procedimento alla società T.

21. Dagli atti risulta che questo procedimento è tuttora pendente.

2. La procedura «Pinto»

22. Con ricorso del 13 aprile 2002, il ricorrente si rivolse alla corte d'appello di Roma ai sensi della legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta «legge Pinto» al fine di contestare la durata del procedimento svoltosi dinanzi al tribunale di Benevento sopra descritto. Chiese alla corte d'appello di dichiarare che vi era stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione e di condannare lo Stato italiano al versamento di 18.550 EUR a titolo di risarcimento per i danni materiali e morali subìti.

23. Con decisione depositata in cancelleria il 17 aprile 2003, la corte d'appello constatò il superamento di una durata ragionevole, rigettò la richiesta relativa al danno materiale in quanto non comprovata, accordò 1.400 EUR come riparazione del danno morale, 500 EUR per le spese inerenti alla procedura nazionale e 700 EUR per le spese per la procedura dinanzi alla Corte.

24. Risulta dal fascicolo che questa decisione fu notificata all'amministrazione il 24 dicembre 2003 e passò in giudicato il 23 febbraio 2004.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

25. Il diritto interno pertinente relativo all'espropriazione indiretta è descritto nella sentenza Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009.

26. Il diritto e la prassi interni pertinenti relativi alla legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta «legge Pinto» sono descritti nella sentenza Cocchiarella c. Italia [GC], n. 64886/01, CEDU 2006 V.

IN DIRITTO

I.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N.1 ALLA CONVENZIONE

27. Il ricorrente sostiene di essere stato privato del suo bene in maniera incompatibile con l'articolo n. 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione così formulato:

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

28. Il Governo si oppone a tale tesi.

A.  Sulla ricevibilità

29. Il Governo sostiene che il ricorrente non è più «vittima» della violazione dedotta avendo ottenuto dalla corte d'appello di Napoli un risarcimento corrispondente al valore venale del terreno espropriato.

30. Il ricorrente chiede il rigetto di tale eccezione.

31. La Corte rammenta che l'esistenza di una inosservanza delle esigenze della Convenzione è concepibile anche in assenza di un danno; quest'ultimo svolge un ruolo soltanto sul terreno dell'articolo 41. Dunque una decisione o una misura favorevole al ricorrente è in linea di principio sufficiente a revocargli la qualità di «vittima» soltanto se le autorità nazionali hanno riconosciuto, esplicitamente o sostanzialmente, e poi riparato la violazione della Convenzione (si vedano Guerrera e Fusco c. Italia, n. 40601/98, § 53, 3 aprile 2003; Amuur c. Francia, 25 giugno 1996, Recueil 1996-III, p. 846, § 36). Ne consegue che questa eccezione non può essere tenuta in considerazione.

32. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 (a) della Convenzione e rileva peraltro che esso non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B.  Sul merito

33. Il ricorrente ricorda di essere stato privato del suo bene in virtù del principio dell'espropriazione indiretta, un meccanismo che permette all'autorità pubblica di acquisire un bene in totale illegalità, fatto non ammissibile in uno Stato di diritto.

34. Secondo il Governo, nonostante mancasse un decreto legittimo di espropriazione e il terreno non fosse stato trasformato in modo irreversibile dalla costruzione di un'opera di pubblica utilità così da rendere impossibile la sua restituzione, l'occupazione controversa è avvenuta nell'ambito di una procedura amministrativa basata su una dichiarazione di pubblica utilità. Nel caso di specie, il Governo sostiene che il ricorrente ha ottenuto dal tribunale un risarcimento pari al valore venale del terreno al momento della sua trasformazione irreversibile.

35. La Corte nota innanzitutto che le parti sono d'accordo nel dichiarare che vi è stata «privazione della proprietà».

36. La Corte rinvia alla sua giurisprudenza in materia di espropriazione indiretta (si vedano, fra altre, Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, n. 31524/96, CEDU 2000-VI; Scordino c. Italia (n. 3), n. 43662/98, 17 maggio 2005; Velocci c. Italia, n. 1717/03, 18 marzo 2008) per un riepilogo dei principi pertinenti e per una sintesi della sua giurisprudenza in materia.

37. Nella presente causa, la Corte rileva che, applicando il principio dell'espropriazione indiretta, i giudici nazionali hanno considerato che il ricorrente è stato privato del suo bene a decorrere dalla data di realizzazione dell'opera pubblica. Tuttavia, in assenza di un atto formale di espropriazione, la Corte ritiene che questa situazione non possa essere considerata «prevedibile», in quanto soltanto con la decisione giudiziaria definitiva è possibile considerare effettivamente applicato il principio dell'espropriazione indiretta e sancita l'acquisizione del terreno da parte delle autorità pubbliche. Di conseguenza, il ricorrente ha avuto la «certezza giuridica» di essere stato privato del terreno solo il 19 dicembre 2005, data in cui la sentenza della corte d'appello di Napoli è divenuta definitiva.

38. La Corte ritiene che l'ingerenza controversa non sia compatibile con il principio di legalità e che abbia quindi violato il diritto al rispetto dei beni del ricorrente comportando la violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1.

II.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE

39. Il ricorrente lamenta l’eccessiva durata del procedimento civile e l'insufficienza dell'indennizzo ottenuto nell'ambito del ricorso «Pinto».

40. Le disposizioni pertinenti dell'articolo 6 § 1 sono così formulate:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…)»

41. Il Governo si oppone a tale tesi.

A.  Sulla ricevibilità

1.  Il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne

42. Il Governo solleva l'eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sotto un duplice aspetto. Innanzitutto afferma che la Corte avrebbe sospeso l'esame del ricorso e ciò avrebbe permesso al ricorrente di avvalersi del rimedio introdotto dalla legge «Pinto», nel frattempo entrata in vigore, creando così una disparità di trattamento rispetto ad altri ricorsi proposti prima dell'adozione di tale legge e rigettati dalla Corte per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in quanto i ricorrenti non avevano utilizzato il ricorso «Pinto» (inter alia, Brusco c. Italia (dec.), n. 69789/01). In secondo luogo, il Governo afferma che il principio di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sarebbe stato violato anche in ragione del fatto che il ricorrente non ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione della corte d'appello di Roma.

43. Per quanto riguarda il primo aspetto dell'eccezione di mancato esaurimento del Governo, la Corte osserva che, contrariamente alla causa Brusco, dove il ricorrente aveva comunicato di non volersi avvalere del rimedio offerto dalla legge «Pinto» e aveva invitato la Corte a registrare il suo ricorso, il ricorrente, nel caso di specie, ha comunicato alla Corte la sua intenzione di avviare la procedura «Pinto», cosa che ha fatto in seguito senza rinunciare al suo ricorso. Poiché le vie di ricorso sono state esaurite (si vedano Di Matteo e altri c. Italia, nn. 7603/03, 7610/03, 7614/03 e 7616/03, § 12, 21 dicembre 2010 e Di Sante c. Italia (dec.), 56079/00, 24 giugno 2004), la Corte ritiene che questo aspetto dell'eccezione di mancato esaurimento non possa essere preso in considerazione.

44. Per quanto riguarda il secondo aspetto dell'eccezione, la Corte rileva che la decisione della corte d'appello di Napoli è divenuta definitiva solo il 23 febbraio 2004. Alla luce della sua giurisprudenza (Di Sante c. Italia, sopra citata) essa ritiene che il ricorrente abbia esaurito le vie di ricorso interne.

45. Ne consegue che i due aspetti dell'eccezione di mancato esaurimento del Governo non possono essere tenuti in considerazione.

2.  Qualità di «vittima»

46. Il Governo sostiene che il ricorrente non è più «vittima» della dedotta violazione dell'articolo 6 § 1 in quanto ha ottenuto dalla corte d'appello di Roma una constatazione di violazione e una riparazione appropriata e sufficiente rispetto al valore della controversia.

47. Il ricorrente si oppone all'eccezione del Governo e sostiene che la somma accordata dalla corte d'appello non permette di considerare la che la riparazione offerta in questo caso sia sufficiente a porre rimedio alla dedotta violazione.

48. La Corte richiama la sua giurisprudenza nella causa Cocchiarella c. Italia (sopra citata, § 84) secondo la quale, in questo tipo di cause, spetta alla Corte verificare, da una parte, se vi sia stato riconoscimento da parte delle autorità, almeno in sostanza, della violazione di un diritto tutelato dalla Convenzione e, dall'altra parte, se la riparazione possa essere considerata appropriata e sufficiente.

49. La prima condizione, ossia la constatazione di violazione da parte delle autorità nazionali, non è in discussione in quanto la corte d'appello di Roma ha espressamente accertato che vi è stata una violazione.

50. Per quanto riguarda la seconda condizione, la Corte ricorda le caratteristiche che un ricorso interno deve avere per apportare una riparazione appropriata e sufficiente; si tratta in particolare del fatto che per valutare l'importo dell'indennizzo concesso dalla corte d'appello, la Corte valuta, sulla base degli elementi di cui dispone, ciò che essa avrebbe accordato nella stessa situazione per il periodo preso in considerazione dal giudice nazionale (Cocchiarella c. Italia, sopra citata, §§ 86-107).

51. La Corte ritiene che, limitandosi ad accordare la somma di 1.400 EUR al ricorrente per danno morale, la corte d'appello di Roma non abbia riparato la violazione in causa in modo adeguato e sufficiente. Nel far riferimento ai principi che promanano dalla sua giurisprudenza (vedere, tra altre Cocchiarella c. Italia, sopra citata, §§ 69-98), la Corte rileva in effetti che la somma in questione non rappresenti più del 10% dell'importo che essa in genere concede nelle cause simili presentate contro l'Italia.

52. Per quanto sopra esposto e tenuto conto della insufficiente riparazione accordata, la Corte ritiene che il ricorrente possa ancora considerarsi «vittima» ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione.

53. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione e che non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B.  Sul merito

54. La Corte constata che il procedimento principale, iniziato il 12 settembre 1992 e terminato il 3 novembre 2004, è durato circa dodici anni per due gradi di giudizio.

55. La Corte ha trattato più volte ricorsi che sollevavano questioni simili a quella del caso di specie e ha constatato una inosservanza dell'esigenza del «termine ragionevole», tento conto dei criteri sviluppati dalla sua giurisprudenza consolidata in materia (si veda, in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, sopra citata). In assenza di elementi che possano condurre ad una conclusione diversa nella presente causa, la Corte ritiene di dovere constatare anche una violazione dell’articolo 6 § 1.

III.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

56. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno materiale

57. Il ricorrente chiede la restituzione e il ripristino del terreno in causa nonché un risarcimento per essere stato privato illegittimamente del suo bene. Valuta la somma richiesta in 225.000 EUR.

58.Il Governo si oppone e fa notare in primo luogo che la restituzione del terreno è impossibile a causa dell'espropriazione indiretta. In secondo luogo fa notare che il ricorrente ha ottenuto dai giudici nazionali un indennizzo pari al valore venale del terreno, in conformità con i criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte.

59. La Corte rammenta che una sentenza che constata una violazione comporta per lo Stato convenuto l'obbligo di porre fine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire per quanto possibile la situazione preesistente (Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 31107/96, § 32, CEDU 2000-XI).

60. La Corte ricorda che nella causa Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009, la Grande Camera ha modificato la giurisprudenza della Corte per quanto riguarda i criteri in materia di indennizzo nelle cause di espropriazione indiretta. In particolare, ha deciso di respingere le richieste dei ricorrenti nella misura in cui sono fondate sul valore dei terreni alla data della sentenza della Corte e di non tener più conto, per valutare il danno materiale, del costo di fabbricazione degli immobili edificati dallo Stato sui terreni.

61. L’indennizzo deve dunque corrispondere al valore pieno ed intero del terreno al momento della perdita della proprietà, come stabilito dalla perizia disposta dal giudice competente nel corso del procedimento nazionale. In seguito, una volta che si sarà dedotta la somma eventualmente accordata a livello nazionale, questo importo deve essere attualizzato per compensare gli effetti dell'inflazione. E' anche opportuno maggiorarlo con interessi che possano compensare, almeno in parte, il lungo lasso di tempo trascorso dallo spossessamento dei terreni.

62. La Corte osserva che il ricorrente ha ricevuto a livello nazionale una somma corrispondente al valore venale del terreno, rivalutata e maggiorata di interessi. La Corte ritiene quindi che l'interessato abbia già ottenuto una somma sufficiente a soddisfare i criteri di indennizzo sopra citati.

B.  Danno morale

63. Il ricorrente chiede 75.000 EUR per il danno morale.

64. Il Governo si oppone a tale richiesta.

65. La Corte ritiene che il senso di impotenza e frustrazione del ricorrente di fronte allo spossessamento illegale del suo bene nonché la eccessiva durata della procedura abbiano causato al ricorrente un danno morale importante che deve essere riparato adeguatamente.

C.  Spese

67. Il ricorrente chiede anche 62.056,25 EUR per le spese sostenute dinanzi ai giudici nazionali e dinanzi alla Corte.

68. Il Governo si oppone e sostiene che le somme richieste sono eccessive.

69. La Corte rammenta che l’attribuzione delle spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che ne siano accertate la realtà e la necessità, e che il loro importo sia ragionevole (Can e altri c. Turchia, n. 29189/02, del 24 gennaio 2008, § 22).

70. La Corte non ha dubbi sulla necessità di sostenere delle spese, ma ritiene eccessivi gli onorari complessivi richiesti a tale titolo. Considera quindi che debbano essere rimborsati solo in parte. Tenuto conto delle circostanze della causa, la Corte giudica ragionevole accordare la somma di 6.000 EUR per tutte le spese sostenute.

C.  Interessi moratori

71.  La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione;
  4. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi, le seguenti somme:
      1. 9.100 EUR (novemilacento euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta, per il danno morale;
      2. 6.000 EUR (seimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 18 dicembre 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Dragoljub Popovic
Presidente

Françoise Elens-Passos
Cancelliere aggiunto