Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 19 marzo 2013 - Ricorso n. 43575/09 - Salvatore Riina c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Pucci, funzionario linguistico

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 43575/09

Salvatore RIINA contro Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 19 marzo 2013 in una Camera composta da:
Danutė Jočienė, presidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Nebojša Vučinić,
Helen Keller, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato proposto il 5 agosto 2009,
Dopo avere deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

1. Il ricorrente, sig. Salvatore Riina, è un cittadino italiano nato nel 1930 e detenuto a Milano Opera. E’ rappresentato dinanzi alla Corte dall’Avv. L. Bauccio, del foro di Milano.

A. Le circostanze del caso di specie

2. I fatti della causa, così come esposti dal ricorrente, si possono riassumere come segue.

3. Il ricorrente è stato condannato all’ergastolo per avere commesso reati gravissimi, tra i quali quello di associazione per delinquere di tipo mafioso e numerosi omicidi. Al momento della presentazione del ricorso, pendevano nei suoi confronti diversi procedimenti penali.

4. Incarcerato dal 15 gennaio 1993, il ricorrente sostiene di essere stato sottoposto da allora al regime speciale di detenzione previsto all’articolo 41 bis, comma 2, della legge sull’ordinamento penitenziario (di seguito, la «legge n. 354 del 1975»). Modificata dalla legge n. 279 del 23 dicembre 2002 (di seguito, la «legge n. 279 del 2002»), tale disposizione permette di sospendere, in tutto o in parte, l’applicazione del regime ordinario di detenzione quando lo richiedano motivi di ordine e di sicurezza pubblici.

5. Il ricorrente non ha presentato nessuno dei provvedimenti di applicazione e di proroga del regime 41 bis. Ha presentato le decisioni giudiziarie seguenti.

6. Con ordinanza del 16 ottobre 2003, il tribunale di sorveglianza di Ancona rigettò l’istanza del ricorrente volta ad ottenere il rinvio dell’esecuzione della pena o la detenzione domiciliare, per motivi di salute. Peraltro, il ricorrente aveva lamentato di essere de facto isolato giacché spesso si ritrovava da solo nelle ore d’aria e di socialità, dato che gli altri due detenuti dell’area riservata cui era assegnato non sfruttavano regolarmente tali occasioni. Ciò si ripercuoteva sul suo stato psicologico. Egli aveva lamentato anche la videosorveglianza del bagno e l’illuminazione notturna della sua cella. Il tribunale di sorveglianza non si pronunciò sui motivi relativi alla videosorveglianza e all’illuminazione notturna. Prese atto del fatto che i medici del carcere di Ascoli Piceno giudicavano lo stato di salute del ricorrente compatibile con la detenzione, visto che questi usufruiva di controlli medici in ambiente carcerario o, quando necessario, nell’ospedale civile. Pur rigettando l’istanza del ricorrente, il tribunale di sorveglianza trasmise la sua decisione all’amministrazione penitenziaria perché questa valutasse l’eventualità di trasferire il ricorrente in un carcere dotato di un centro medico specializzato, cosa che avrebbe consentito di dispensare la gran parte delle cure in ambiente carcerario limitando i trasferimenti nell’ospedale civile.

7. In data imprecisata il ricorrente fu trasferito nel carcere di Milano Opera.

8. Con ordinanza del 12 novembre 2004, il tribunale di sorveglianza di Milano rigettò il reclamo proposto dal ricorrente avverso il decreto del 23 dicembre 2003 che prorogava di un anno l’applicazione del regime 41 bis. L’interessato sosteneva, da un lato, di non essere pericoloso e, dall’altro, che il suo stato di salute era incompatibile con quel regime detentivo. Basandosi, tra l’altro, sui recenti rapporti di polizia e carabinieri, il tribunale di sorveglianza ritenne che il ricorrente fosse ancora molto pericoloso, per il suo ruolo di spicco in seno alla mafia siciliana, i suoi legami con l’ambiente criminale e la gravità dei reati commessi e di quelli per i quali era rinviato a giudizio in procedimenti penali. Quanto alle restrizioni derivanti dal regime 41 bis, esse erano compatibili con lo stato di salute dell’interessato, in quanto questi beneficiava, in particolare, di quattro ore al giorno all’esterno e delle visite dei familiari.

9. Con ordinanza del 14 ottobre 2005, il tribunale di sorveglianza di Milano rigettò, per motivi analoghi, il reclamo proposto dal ricorrente avverso il decreto del 17 dicembre 2004 che prorogava di un anno l’applicazione del regime 41 bis.

10.Con ordinanza del 12 ottobre 2007, il tribunale di sorveglianza di Milano rigettò il reclamo proposto dal ricorrente avverso il decreto del 12 dicembre 2006 che prorogava di un anno l’applicazione del regime 41 bis. Alla luce dei recenti rapporti di polizia, il tribunale di sorveglianza ritenne che il ricorrente fosse ancora molto pericoloso e, di conseguenza, rifiutò di aumentare la frequenza delle visite dei familiari e del ricevimento dei pacchi dall’esterno, perché ciò avrebbe rafforzato i legami con l’ambiente criminale. Il tribunale di sorveglianza negò anche la detenzione domiciliare del ricorrente, dato che i medici del carcere giudicavano lo stato di salute di questi compatibile con la carcerazione. Egli beneficiava infatti di cure adeguate e rispondeva bene alle terapie.

11. Con ordinanza del 10 giugno 2009, il tribunale di sorveglianza di Milano rigettò il reclamo proposto dal ricorrente avverso il decreto del 5 dicembre 2008 che prorogava di un anno l’applicazione del regime 41 bis. Da tale ordinanza emerge che i figli del ricorrente proseguivano l’attività del padre e gestivano il suo patrimonio e che l’interessato continuava ad essere estremamente pericoloso.

12. Non risulta dal fascicolo che il ricorrente abbia proposto ricorso per cassazione avverso le ordinanze dei tribunali di sorveglianza.

13. Peraltro, senza fornire precisazioni al riguardo, il ricorrente sostiene di avere trascorso una parte della detenzione in isolamento, come previsto dal codice penale per i condannati all’ergastolo.

14. Quanto alle condizioni di salute del ricorrente, questi soffre di diverse patologie (epatopatia, pressione arteriosa, problemi cardiaci, gozzo tiroideo). Il 16 maggio 2003 ebbe un infarto. Il 27 ottobre 2003 il ricorrente fu ricoverato per problemi cardiaci (ischemia miocardica). Fu allora deciso di trasferirlo nel carcere di Milano Opera, essendo questo dotato di un ottimo centro medico che lavorava in stretta cooperazione con l’ospedale San Paolo di Milano. Dal fascicolo emerge che il ricorrente ha beneficiato di controlli medici regolari e adeguati e che lo stato di salute del suo cuore si è stabilizzato perché egli ha risposto bene alle terapie cardiologiche. Ha inoltre usufruito di controlli psichiatrici. L’ultimo referto medico acquisito agli atti, redatto il 25 giugno 2010 dai medici dell’ospedale San Paolo, attesta che l’interessato è stato ricoverato in ospedale tra il 7 e l’11 febbraio 2010 per il morbo di Parkinson e le conseguenze di questo, riferibili in particolare alle funzioni motorie. Il ricorrente soffre anche di diabete.

15. Un estratto del fascicolo medico redatto presso l’ospedale San Paolo nel febbraio 2010 è acquisito agli atti. Si tratta del solo documento sul quale è apposto un visto di censura dell’amministrazione penitenziaria, recante la data del 22 aprile 2010. A tale documento non è allegata alcuna busta o lettera.

B.  Il diritto e la prassi interni pertinenti

16. Il diritto interno è riassunto nella sentenza Enea c. Italia [GC], n. 74912/01, §§ 30-47, CEDU 2009.

MOTIVI DI RICORSO

17. Invocando l’articolo 3 della Convenzione, il ricorrente sostiene che il suo mantenimento in stato detentivo sotto il regime 41 bis costituisce un trattamento inumano e degradante. Egli lamenta ripercussioni sul suo stato di salute dovute, a suo dire, a tale regime detentivo.

18. Invocando l’articolo 3 della Convenzione, il ricorrente lamenta l’illuminazione notturna della sua cella.

19. Invocando gli articoli 3 e 8 della Convenzione, il ricorrente lamenta la videosorveglianza costante nella sua cella, compreso nel bagno.

20. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, il ricorrente denuncia la violazione del suo diritto al rispetto della vita privata e familiare a causa delle restrizioni applicate nei suoi confronti. In particolare, egli lamenta la frequenza, a suo dire insufficiente, delle visite e la presenza di un vetro divisorio che non gli consente di avere un contatto fisico con le persone che vanno a trovarlo.

21. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, il ricorrente lamenta il controllo della sua corrispondenza e sostiene che le autorità penitenziarie hanno trattenuto parte della posta.

IN DIRITTO

A.  Motivi di ricorso relativi al mantenimento in stato detentivo sotto il regime 41 bis

22. Il ricorrente lamenta di avere subito un trattamento contrario all’articolo 3 della Convenzione per essere stato mantenuto in stato detentivo sotto il regime 41 bis nonostante il suo stato di salute. La disposizione invocata dal ricorrente è così redatta:
 «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.»

23. Conformemente alla giurisprudenza costante della Corte, per rientrare nella previsione dell’articolo 3 della Convenzione, un maltrattamento deve raggiungere un minimo di gravità. La valutazione di tale minimo è relativa e dipende dall’insieme degli elementi della causa, in particolare dalla durata del trattamento e dalle sue conseguenze fisiche o mentali nonché, talvolta, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima (si vedano, tra le altre, Price c. Regno Unito, n. 33394/96, § 24, CEDU 2001-VII, Mouisel c. Francia, n. 67263/01, § 37, CEDU 2002-IX, e Gennadi Naoumenko c. Ucraina, n. 42023/98, § 108, 10 febbraio 2004). Perché una pena e il trattamento ad essa associato possano essere definiti «inumani» o «degradanti», la sofferenza o l’umiliazione devono comunque eccedere quelle che comporta inevitabilmente una data forma di trattamento o di pena legittimi (Jalloh c. Germania [GC], n. 54810/00, § 68, CEDU 2006-IX). Tenuto conto delle esigenze pratiche della carcerazione, la salute e il benessere del detenuto devono essere garantiti in modo adeguato, in particolare attraverso la somministrazione delle cure mediche necessarie (Kudła c. Polonia [GC], n. 30210/96, § 94, CEDU 2000 XI, e Rivière c. Francia, n. 33834/03, § 62, 11 luglio 2006). Così, la mancanza di cure mediche appropriate e, più in generale, la detenzione di una persona malata in condizioni inadeguate possono in linea di principio costituire un trattamento contrario all’articolo 3 (si vedano, ad esempio, İlhan c. Turchia [GC], n. 22277/93, § 87, CEDU 2000-VII, e Gennadi Naoumenko sopra citata, § 112, Papon c. Francia (n. 1) (dec.), n. 64666/01, CEDU 2001-VI, Sawoniuk c. Regno Unito (dec.), n. 63716/00, CEDU 2001-VI, e Priebke c. Italia (dec.), n. 48799/99, 5 aprile 2001). Ciò premesso, la Corte deve tenere conto di tre elementi, in particolare, nell’esaminare la compatibilità del mantenimento in stato detentivo di un ricorrente con uno stato di salute preoccupante, vale a dire: a) le condizioni del detenuto, b) la qualità delle cure dispensate, e c) l’opportunità di mantenere lo stato detentivo alla luce delle condizioni di salute del ricorrente (Farbtuhs c. Lettonia, n. 4672/02, § 53, 2 dicembre 2004, e Sakkopoulos sopra citata, § 39).
24. Nella presente causa, si pone in primo luogo la questione della compatibilità del mantenimento in stato detentivo del ricorrente con il suo stato di salute.

25. La Corte osserva che il ricorrente soffre di diverse patologie. I giudici di sorveglianza, sulla base dei referti redatti dai medici curanti del ricorrente, hanno rigettato le istanze di sospensione dell’esecuzione della pena o di detenzione domiciliare, ritenendo che le cure dispensate dal servizio medico interno del carcere, o all’occorrenza in ambiente ospedaliero, fossero adeguate allo stato di salute del ricorrente. Essa osserva poi che il ricorrente non ha asserito di non avere potuto beneficiare di cure adeguate al suo stato di salute. Alla luce degli elementi in suo possesso, la Corte è del parere che le autorità nazionali abbiano adempiuto all’obbligo di tutelare l’integrità fisica del ricorrente, seguendo attentamente l’evoluzione del suo stato di salute.

26. In secondo luogo, la Corte deve accertare se l’applicazione prolungata del regime speciale di detenzione previsto all’articolo 41 bis sia compatibile con l’articolo 3 della Convenzione, essendo tale questione oggetto di doglianza da parte del ricorrente.

27. La Corte rammenta di avere esaminato il regime 41 bis in più occasioni e di averlo giudicato compatibile con la Convenzione. Se, in generale, la prolungata applicazione di alcune restrizioni può porre un detenuto in una situazione che potrebbe costituire un trattamento inumano o degradante, tuttavia la Corte non può prendere in considerazione una durata precisa per stabilire il momento a partire dal quale è raggiunta la soglia minima di gravità per l’applicazione dell’articolo 3. Al contrario, la durata deve essere esaminata alla luce delle circostanze di ogni caso di specie, il che implica in particolare di verificare se il rinnovo e la proroga delle restrizioni in questione fossero giustificati o meno (Argenti c. Italia, n. 56317/00, § 21, 10 novembre 2005, e Campisi c. Italia, n. 24358/02, § 38, 11 luglio 2006). Nella causa Gallico c. Italia (n. 53723/00, § 29, 28 giugno 2005), la Corte ha ritenuto utile precisare che non vedeva una violazione di tale disposizione in conseguenza del mero trascorrere del tempo. La compatibilità del regime 41 bis con la Convenzione è stata confermata anche in caso di assegnazione del detenuto ad una sezione penitenziaria di alta sicurezza (Enea c. Italia [GC], n. 74912/01, CEDU 2009; Madonia c. Italia (dec.) n. 1273/06, 22 settembre 2009), e anche quando il regime 41 bis è associato all’isolamento diurno (Genovese c. Italia (dec.), n. 24407/09, 10 novembre 2009), dato che tale situazione non consiste né in un isolamento sensoriale completo né in un isolamento sociale completo.

28. Nel caso di specie, la Corte osserva innanzitutto che il ricorrente, malgrado sia rappresentato da un avvocato, non ha presentato nessuno dei provvedimenti di applicazione o proroga del regime 41 bis (articolo 47 § 1 h) del regolamento della Corte). La Corte dispone soltanto di alcune ordinanze dei giudici di sorveglianza dalle quali risulta che le restrizioni imposte al ricorrente in conseguenza del regime speciale di detenzione erano necessarie per impedire all’interessato, soggetto molto pericoloso, di rafforzare il suo ruolo in seno all’organizzazione criminale e di mantenere i contatti con questa. Ora, il ricorrente non ha fornito alla Corte elementi tali da consentirle di concludere che la proroga di tali restrizioni non era manifestamente giustificata (Argenti, sopra citata, §§ 20-23; Enea, sopra citata, §§ 65-66). D’altra parte, la Corte ha appena constatato che il ricorrente ha beneficiato di cure adeguate al suo stato di salute.

29. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che il trattamento riservato al ricorrente non abbia ecceduto l’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione. Non essendo stata raggiunta la soglia minima di gravità per l’applicazione dell’articolo 3 della Convenzione, questa parte del ricorso è manifestamente infondata e deve essere rigettata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

B.  Motivi di ricorso relativi all’illuminazione notturna della cella del ricorrente

30. Invocando l’articolo 3 della Convenzione, il ricorrente lamenta l’illuminazione notturna della sua cella.

31. La Corte rammenta che l’illuminazione costante di una cella è un elemento da prendere in considerazione per stabilire se un detenuto sia stato sottoposto all’isolamento sensoriale completo (Kröcher e Möller c. Svizzera, decisione della Commissione, 9 luglio 1981, n. 8463/78) e che tale è il caso quando l’illuminazione in questione è associata ad altri elementi come: l’assenza di orologio nella cella e la confisca dell’orologio personale, il divieto assoluto di comunicare con il difensore, il divieto di leggere i quotidiani, il divieto di ascoltare la radio. Come la Corte ha ricordato in precedenza (paragrafo 27 supra), il regime 41 bis non comporta un isolamento sensoriale o sociale completo. Pertanto, l’illuminazione notturna della cella del ricorrente non raggiunge un livello di gravità sufficiente per rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione.

32. Quanto alle possibili ripercussioni dell’illuminazione notturna della cella sul sonno del detenuto, la Corte rammenta di avere giudicato le disfunzioni del ciclo del sonno compatibili con l’articolo 3 della Convenzione in una causa in cui, ad ogni ora della notte tra mezzanotte e le sei del mattino, il detenuto in questione era svegliato rumorosamente dalle guardie (Ramirez Sanchez c. Francia [GC], n. 59450/00, §§ 95 e 130, CEDU 2006 IX). Nel caso di specie, poiché il fastidio derivante dall’illuminazione notturna costante ha avuto sicuramente ripercussioni meno importanti sul sonno del ricorrente, la Corte ritiene che neanche a tale riguardo sia stato raggiunto il livello richiesto dall’articolo 3.

33. Ne consegue che questa parte del ricorso è manifestamente infondata e deve essere rigettata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

C.  Motivi di ricorso relativi alla videosorveglianza

34. Invocando gli articoli 3 e 8 della Convenzione, il ricorrente lamenta la sottoposizione a videosorveglianza costante della sua cella, compreso del bagno. L’articolo 8 della Convenzione dispone:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (…).

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria (…) alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati (…)»

35. Allo stato attuale del procedimento, la Corte non ritiene di essere in grado di pronunciarsi sulla ricevibilità di questi motivi di ricorso e giudica necessario comunicare questa parte del ricorso al governo convenuto conformemente all’articolo 54 § 2 b) del suo regolamento.

D. Motivi di ricorso relativi alle restrizioni alla vita privata e familiare

36. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, il ricorrente denuncia la violazione del suo diritto al rispetto della vita familiare in conseguenza delle restrizioni del regime 41 bis alle quali è sottoposto e delle modalità delle visite. In particolare, egli lamenta la presenza di un vetro divisorio che non gli consente di avere un contatto fisico con le persone che vanno a trovarlo.

37. La Corte si è già dovuta pronunciare sulla questione se le restrizioni derivanti dall’applicazione dell’articolo 41 bis nel campo della vita privata e familiare di alcuni detenuti costituissero un’ingerenza giustificata dall’articolo 8 § 2 della Convenzione (Messina sopra citata, §§ 59-74, e Indelicato c. Italia (dec.), n. 31143/96, 6 luglio 2000). Secondo la sua giurisprudenza, il regime previsto all’articolo 41 bis mira a tagliare i legami esistenti tra le persone interessate e l’ambiente criminale d’origine, al fine di ridurre al minimo il rischio di contatti personali di quei detenuti con le strutture delle organizzazioni criminali di tale ambiente. Prima dell’introduzione del regime speciale, un gran numero di detenuti pericolosi riuscivano a mantenere la loro posizione in seno all’organizzazione criminale di appartenenza, a scambiare informazioni con gli altri detenuti e con l’esterno e ad organizzare e a fare eseguire reati. Pertanto, la Corte ritiene che, tenuto conto della natura specifica del fenomeno della criminalità organizzata, in particolare di tipo mafioso, e del fatto che molto spesso le visite familiari hanno consentito la trasmissione di ordini e istruzioni verso l’esterno, le restrizioni, certamente importanti, alle visite e i controlli che ne accompagnano lo svolgimento non possano essere considerati sproporzionati agli scopi legittimi perseguiti (Salvatore c. Italia (dec.), n. 42285/98, 7 maggio 2002, e Bastone c. Italia (dec.), n. 59638/00, CEDU 2005 II). La Corte ha dovuto anche approfondire la questione se l’applicazione prolungata di questo regime ad un detenuto violasse il diritto sancito dall’articolo 8 della Convenzione. Nella causa Gallico (sopra citata, § 29; si veda anche Enea, sopra citata, § 131), essa ha ritenuto utile precisare che non vedeva una violazione di tale disposizione in conseguenza del mero trascorrere del tempo.

38. Alla luce delle considerazioni che precedono, e nella misura in cui le asserzioni del ricorrente sono state suffragate da prove, la Corte ritiene che le restrizioni apportate al diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata e familiare non abbiano ecceduto quanto, ai sensi dell’articolo 8 § 2 della Convenzione, è necessario, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati.

39. Ne consegue che questa parte del ricorso è manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

E.  Motivi di ricorso relativi al controllo della corrispondenza

40. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, il ricorrente lamenta il controllo della corrispondenza e denuncia il trattenimento di parte della posta da parte delle autorità.

41. La Corte osserva innanzitutto che il ricorrente non ha presentato alcun elemento a sostegno del motivo di ricorso secondo il quale le autorità hanno trattenuto una parte della posta.

42. Quanto alla sottoposizione a controllo della corrispondenza, il solo documento acquisito agli atti recante il visto delle autorità è stato controllato il 22 aprile 2010. Tale controllo è previsto dal diritto nazionale come modificato nel 2004 (Enea, sopra citata, §§ 39-40). Pertanto, nel caso di specie non si pone un problema di insufficienza del fondamento giuridico (a contrario, Labita c. Italia, sopra citata, §§ 175-185). La Corte osserva che il ricorrente non lamenta l’illegittimità del controllo della corrispondenza. Ad ogni modo, poiché il documento controverso non è accompagnato da una busta o da una lettera che consenta di sapere a chi era indirizzato, la Corte non ha elementi per concludere che esso era destinato al ricorrente.Alla luce degli elementi del fascicolo, niente consente di ritenere che il controllo della corrispondenza non sia avvenuto in condizioni conformi all’articolo 8 della Convenzione, vale a dire che era previsto dalla legge, rispondeva agli scopi legittimi della difesa dell’ordine e della prevenzione dei reati ed era proporzionato.

43. Tenuto conto di quanto precede, questa parte del ricorso è pertanto manifestamente infondata e deve essere rigettata conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Rinvia l’esame dei motivi di ricorso del ricorrente relativi alla videosorveglianza.

Dichiara il ricorso irricevibile per il resto.

Danutė Jočienė
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere