Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 26 ottobre 2017 - Ricorsi nn. 1442/14 e altri - Causa Blair e altri c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA BLAIR E ALTRI c. ITALIA

(Ricorsi nn. 1442/14 e altri 2 – si veda la lista allegata)

SENTENZA

STRASBURGO

26 ottobre 2017
 

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
 
Nella causa Blair e altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:
Linos-Alexandre Sicilianos, presidente,
Kristina Pardalos,
Guido Raimondi,
Aleš Pejchal,
Ksenija Turković,
Armen Harutyunyan,
Pauliine Koskelo, giudici,
e da Abel Campos, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 3 ottobre 2017,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1.  All’origine della causa vi sono tre ricorsi (nn. 1442/14, 21319/14 e 21911/14) presentati contro la Repubblica italiana da ventotto cittadini di varie nazionalità («i ricorrenti»), i cui nomi sono riportati nell’allegato I, dinanzi alla Corte rispettivamente il 10 dicembre 2013, il 6 marzo 2014 e il 10 marzo 2014 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2.  I nomi dei rappresentanti dei ricorrenti sono anch’essi riportati nell’allegato I. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, A. Aversano.
3.  I governi tedesco, britannico, spagnolo e svizzero non si sono avvalsi del loro diritto di intervenire nel procedimento (articolo 36 § 1 della Convenzione).
4.  Dal punto di vista dell’articolo 3 della Convenzione, i ricorrenti affermavano in particolare di essere stati vittime di tortura. Lamentavano che le autorità interne non avessero adempiuto al loro obbligo di condurre un’inchiesta effettiva in merito a quanto da essi dedotto. Per di più, denunciavano l’assenza nel diritto interno di un reato che punisca la tortura e i trattamenti inumani e degradanti.
5.  Il 28 settembre 2015 le doglianze relative all’articolo 3 della Convenzione, preso separatamente e in combinato disposto con l’articolo13, nonché agli articoli 5 § 2, 8, 9, 10, 11 e 14 della Convenzione, sono stati comunicati al Governo, e i ricorsi sono stati dichiarati irricevibili per il resto conformemente all’articolo 54 § 3 del regolamento della Corte.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

6.  I fatti di causa, così come esposti dai ricorrenti e come risultano dai documenti pertinenti nel caso di specie e provenienti da varie cause legate ai fatti all’origine della presente controversia1 , si possono riassumere come segue.

A.  Il contesto generale

7.  Il 19, 20 e 21 luglio 2001, la città di Genova accolse il ventisettesimo vertice degli otto paesi più industrializzati (G8), sotto la presidenza del governo italiano. Numerose organizzazioni non governative, riunite sotto l’egida del gruppo di coordinamento «Genoa Social Forum – GSF («il GSF»), organizzarono un vertice «altermondialista» che si svolse nello stesso periodo. È stato stimato che all’evento parteciparono da 200.000 persone (secondo il Ministero dell’Interno) a 300.000 persone (secondo il GSF).
8.  Le autorità italiane misero in atto un vasto dispositivo di sicurezza (sentenze Giuliani e Gaggio c. Italia [GC], n. 23458/02, § 12, CEDU 2011, e Cestaro c. Italia, n. 6884/11, §§ 11-12, 23-24, 7 aprile 2015) dividendo la città in tre zone concentriche: la «zona rossa», di massima sorveglianza, dove si sarebbe svolto il vertice e dove avrebbero alloggiato le delegazioni; la «zona gialla», una zona cuscinetto in cui le manifestazioni erano in linea di principio vietate, salvo autorizzazione del questore; e la «zona bianca», in cui erano programmate le principali manifestazioni.
9.  Le autorità attribuirono un colore a ogni gruppo organizzato, associazione, sindacato e ONG, in funzione della loro potenziale pericolosità: il «blocco rosa», non pericoloso; il «blocco giallo» e il «blocco blu» che comprendevano alcuni potenziali autori di atti di vandalismo, di blocco delle strade e dei binari, e anche di scontri con la polizia; e, infine, il «black block», di cui facevano parte più gruppi, anarchici o in generale più violenti, che avevano lo scopo di commettere dei saccheggi sistematici.
10.  La giornata del 19 luglio si svolse in un’atmosfera relativamente tranquilla, senza episodi particolarmente significativi. Per contro, i giorni 20 e 21 luglio furono caratterizzati da scontri sempre più violenti tra le forze di polizia e alcuni manifestanti appartenenti essenzialmente ai «black block». Nel corso di questi incidenti, diverse centinaia di manifestanti e di membri delle forze dell’ordine furono feriti o intossicati dai gas lacrimogeni. Interi quartieri della città di Genova furono devastati (per un’analisi più dettagliata, si vedano Giuliani e Gaggio, sopra citata, §§ 12-30, e Cestaro, sopra citata, §§ 9-17).

B.  I trattamenti subiti dai ricorrenti alla caserma di Bolzaneto

11.  Il 12 giugno 2001 il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblici elaborò un piano logistico relativo alla presa in carico delle persone arrestate durante il summit.
12.  Poiché il carcere di Marassi si trova in una zona considerata sensibile, fu deciso, per motivi di sicurezza, di creare, in luoghi decentrati, due centri temporanei in cui le persone arrestate dovevano essere raggruppate per essere sottoposte alle pratiche che seguono l’arresto, ossia l’identificazione, la notifica del verbale di arresto, la perquisizione, l’immatricolazione e la visita medica, prima di essere trasferite verso carceri diversi.
13.  Con un decreto del Ministero della Giustizia del 12 luglio 2001, le caserme di Forte San Giuliano e di Bolzaneto furono designate in qualità di «siti utilizzati ai fini di detenzione, annessi all’ufficio medico e all’ufficio matricola degli istituti penitenziari di Pavia, Voghera, Vercelli e Alessandria».
14.  All’interno della caserma di Bolzaneto, una parte dei locali fu destinata alle attività della polizia giudiziaria. Il resto dei locali fu riservato alle attività della polizia penitenziaria (immatricolazione, perquisizione e visita medica).
15.  A seguito del decesso di Carlo Giuliani durante gli scontri tra carabinieri e manifestanti in piazza Alimonda, i carabinieri non furono più destinati alle attività di gestione dell’ordine pubblico nella città. A partire dal 20 luglio, la caserma di Bolzaneto, posta sotto la responsabilità della polizia, rimase perciò l’unico luogo di raduno e di smistamento delle persone arrestate.
16.  Secondo il Ministero della Giustizia, nel periodo di attività della struttura, dal 12 al 24 luglio, 222 persone sono state immatricolate prima di essere trasferite verso gli istituti penitenziari di Alessandria, Pavia, Vercelli e Voghera (si veda la «Relazione conclusiva dell’indagine parlamentare conoscitiva sui fatti del G8 di Genova del 20 settembre 2001» indicata nella nota a piè di pagina della pagina precedente).
17.  I tribunali interni hanno stabilito con esattezza, al di là di ogni ragionevole dubbio, i maltrattamenti di cui erano state oggetto le persone presenti all’interno della caserma di Bolzaneto. Le testimonianze delle vittime sono state confermate dalle deposizioni dei membri delle forze dell’ordine e della pubblica amministrazione, dai riconoscimenti parziali dei fatti da parte degli imputati e dai documenti a disposizione dei magistrati, in particolare le relazioni dei medici e le perizie giudiziarie. A partire da queste molteplici informazioni, è possibile descrivere gli episodi di violenza di cui furono oggetto i ricorrenti:

1.  Ricorso n. 1442/14

18.  Il ricorrente, sig. Blair, fu arrestato durante l’irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz-Pertini (per le condizioni nelle quali si è svolto l’intervento, si veda Cestaro sopra citata, § 25-35) e poi condotto alla caserma di Bolzaneto domenica 22 luglio 2001, verso le ore 5. Egli indica che, al suo arrivo, un agente gli ha tracciato una croce rossa sulla guancia con un pennarello, dopodiché è stato preso a calci. Durante la perquisizione, sarebbe stato schiaffeggiato in pieno viso e sarebbe stato costretto a spogliarsi in presenza di agenti e a fare delle flessioni. Insieme agli altri occupanti della cella, sarebbe stato privato del sonno, in quanto alcuni agenti gridavano e ridevano fragorosamente nel corridoio o procedevano a numerosi controlli di identità imprevisti. Nelle toilette, sarebbe stato colpito da un agente della polizia penitenziaria. Il 23 luglio fu trasferito nel carcere di Pavia.
19.  Il ricorrente, sig. Mc Quillan, fu ferito al braccio, alla testa e alla caviglia durante l’irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz-Pertini. Dopo essere passato al pronto soccorso dove fu curato, fu condotto alla caserma di Bolzaneto il 22 luglio. Egli indica che gli è stata tracciata una croce sul viso con il pennarello, e aggiunge che, durante la perquisizione, ha ricevuto un colpo alla caviglia ferita. Nella cella, sarebbe stato privato del sonno, e sottoposto a controlli di identità frequenti e ingiustificati. All’uscita dalle toilette, alcuni agenti gli avrebbero gettato addosso un secchio di acqua fredda. Infine, il ricorrente afferma di essere stato costretto a firmare alcuni documenti senza averne la traduzione e in assenza di un interprete. Non ha precisato la data del suo trasferimento né il carcere nel quale è stato mandato.
20.  Il ricorrente, sig. Buchanan, fu arrestato durante l’irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz-Pertini e condotto alla caserma di Bolzaneto. Egli afferma che, al suo arrivo, è stato picchiato a sangue da un ufficiale e da alcuni agenti, e aggiunge di essere stato costretto a firmare alcuni documenti senza averne la traduzione e in assenza di un interprete. Non ha precisato la data del suo trasferimento né il carcere nel quale è stato mandato.

2.  Ricorso n. 21319/14

21.  Il ricorrente, sig. Amodio, fu condotto alla caserma di Bolzaneto il 21 luglio 2001, verso le ore 15. Egli riferisce che, posto in una cella, ha sofferto di un’infezione intestinale e ha dovuto attendere a lungo prima di essere condotto alle toilette, di cui non sarebbe stato autorizzato a chiudere la porta. Gli sarebbe inoltre stato impedito di terminare i suoi bisogni. Di ritorno alla cella, sarebbe stato costretto a mettersi in ginocchio, sarebbe stato insultato a causa della sua altezza («Ora giochiamo al circo, specie di scimmia, nano!»), poi minacciato («Diciamo a tutti che sei un pedofilo, che hai aggredito dei bambini, così quando sarai in cella ti fanno festa!»), e questo tra le esalazioni di gas irritante all’interno della cella. Secondo la testimonianza del sig. Della Corte (ricorrente del ricorso n. 21319/14 indicato nell’allegato I al numero 3 della lista), il ricorrente ha avuto una crisi isterica: «Ridotto in uno stato pietoso, piangeva, ha avuto una crisi isterica, in quanto era stato davvero spaventato.» Avrebbe assistito al pestaggio di un co-detenuto che portava una protesi alla gamba (il ricorrente Mohammed Tabbach, ricorrente del ricorso n. 21319/14 indicato nell’allegato I al numero 8 della lista). Non ha precisato la data del suo trasferimento né il carcere nel quale è stato mandato.
22.  Il ricorrente, sig. Callieri, fu condotto nella caserma di Bolzaneto il 21 luglio, verso le ore 14. Egli indica che, condotto in una piccola sala, è stato pestato per aver guardato un agente negli occhi. Sarebbe poi stato condotto in una cella e nuovamente colpito e insultato. Precisa che è stato sparso del gas irritante all’interno della cella. Avrebbe chiesto di recarsi alla toilette e sarebbe stato colpito da agenti della polizia penitenziaria. Di ritorno nella cella, avrebbe assistito al pestaggio di un co-detenuto che portava una protesi alla gamba (il ricorrente Mohammed Tabbach). Durante la visita medica, sarebbe stato costretto a fare delle flessioni e, poiché aveva difficoltà a toccarsi le dita dei piedi con le mani, sarebbe stato preso a calci da un agente. Non ha precisato la data del suo trasferimento né il carcere nel quale è stato mandato.
23.  Il ricorrente, sig. Della Corte, arrivò alla caserma di Bolzaneto il 21 luglio, verso le ore 14. Egli riferisce che è stato propagato del gas irritante nella cella, e afferma inoltre di avere chiesto di andare alle toilette e di essere stato colpito da agenti della polizia penitenziaria. Testimone del pestaggio di un co-detenuto che portava una protesi (il ricorrente Mohammed Tabbach), avrebbe protestato verbalmente. In seguito al suo intervento, gli agenti gli avrebbero assestato dei colpi sulla schiena. Il ricorrente fu trasferito nel carcere di Alessandria in una data non precisata.
24.  Il ricorrente, sig. De Munno, che soffriva di una frattura al piede, fu condotto nella caserma di Bolzaneto il 21 luglio, verso le ore 17. Egli indica che è stato oggetto di colpi e insulti, e aggiunge che, avendo difficoltà a respirare a causa di una frattura di una costola, ha chiesto molte volte di vedere un medico prima di svenire. Avrebbe ripreso conoscenza in infermeria e sarebbe poi stato condotto al pronto soccorso. Al suo ritorno alla caserma, un agente gli avrebbe camminato intenzionalmente sul piede fratturato mentre altri vigilanti avrebbero minacciato di rompergli l’altro piede. Ricondotto nella cella, sarebbe stato autorizzato a sedersi, con la schiena al muro. In questa posizione, avrebbe assistito alle violenze inflitte ad altri detenuti. Durante la sua testimonianza, ha dichiarato di non avere chiesto di andare alle toilette, su ammonimento di uno dei carabinieri, in ragione delle sue condizioni fisiche e per paura di essere esposto a violenze.
25.  Il ricorrente, il sig. Morozzi, arrivò alla caserma di Bolzaneto il 21 luglio, verso le ore 12. Egli indica che, quando è entrato, è stato condotto da agenti incappucciati in una stanza ed è stato colpito molte volte sulla schiena e sulle gambe. Condotto poi in una cella, avrebbe inalato del gas irritante. Avrebbe anche assistito al pestaggio di un co-detenuto che portava una protesi (il ricorrente Mohammed Tabbach). Al suo ritorno in infermeria, sarebbe stato colpito con due pugni al viso. Avendo saputo che era il giorno del suo compleanno, gli agenti lo avrebbero condotto in una stanzetta e gli avrebbero assestato molti colpi («Hanno chiamato altri agenti: «venite, ce n’è uno che fa il compleanno, gli facciamo festa.»). Il ricorrente fu trasferito nel carcere di Alessandria in una data non precisata.
26.  La ricorrente, sig.ra Morrone, arrivò alla caserma di Bolzaneto il 21 luglio, verso le ore 15. Riferisce che, soffrendo di un’ernia discale, ha segnalato la sua patologia agli agenti, ma è comunque stata picchiata più volte. Sarebbe stato sparso del gas irritante nella sua cella, nella quale sarebbe inoltre stata oggetto di insulti a sfondo sessuale. Avrebbe chiesto, invano, degli assorbenti igienici e avrebbe dovuto decidersi a stracciare la sua t-shirt e a servirsene a mo’ di protezione. Nell’infermeria, sarebbe stata costretta a togliersi i vestiti in presenza di due agenti di sesso maschile. Non ha precisato la data del suo trasferimento né il carcere nel quale è stata mandata.
27.  Il ricorrente, sig. Pignatale, fu condotto alla caserma di Bolzaneto il 21 luglio. Riferisce che, condotto in una sala, è stato costretto a spogliarsi, a mettersi in posizione fetale e poi a saltare sotto i colpi che alcuni agenti gli avrebbero assestato. Aggiunge che, nella cella, ha dovuto subire delle esalazioni di gas irritante. Sarebbe stato anche insultato e minacciato in quanto impiegato nella pubblica amministrazione («Sei un infame, un traditore (...), sei un dipendente pubblico e vieni qui, contro di noi? Vergognati, ti faremo licenziare, tuo figlio si vergognerà di te, non lo rivedrai più per molto tempo.»). Non ha precisato la data del suo trasferimento né il carcere nel quale è stato mandato.
28.  Il ricorrente, sig. Tabbach, arrivò alla caserma di Bolzaneto il 21 luglio, verso le ore 14. Riferisce di avere segnalato a due agenti di avere una protesi alla gamba destra. Malgrado ciò, sarebbe stato obbligato nella cella a rimanere di fronte al muro, con le gambe divaricate e le braccia alzate, nella stessa posizione vessatoria imposta a tutte le persone arrestate. Sarebbe stato sparso del gas irritante nella cella. Non potendo più rimanere in questa posizione, si sarebbe seduto due volte per terra. ogni volta gli agenti avrebbero fatto irruzione nella cella e lo avrebbero colpito con il manganello. Nell’ambulatorio medico, gli sarebbe stata rifiutata una sedia, sarebbe stato obbligato a sedersi per terra e, in questa posizione, a togliersi i vestiti in presenza di vari agenti. Il ricorrente non ha precisato la data del suo trasferimento né il carcere nel quale è stato mandato.

3.  Ricorso n. 21911/14

29.  La ricorrente, sig.ra Allueva, fu arrestata durante l’irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz-Pertini. Riferisce che, all’interno della caserma di Bolzaneto, è stata insultata e pestata da alcuni agenti. In particolare, un agente l’avrebbe obbligata a scrivere degli insulti su un foglio e a leggerli ad alta voce. Alle toilette, sarebbe stata costretta a lasciare la porta aperta e a fare i suoi bisogni sotto lo sguardo di agenti di sesso maschile. Il 22 luglio, prima di essere trasferita al carcere di Vercelli, sarebbe stata costretta a firmare alcuni documenti senza averne la traduzione e in assenza di un interprete.
30.  Il ricorrente, sig. Brauer, fu arrestato durante l’irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz-Pertini e condotto nella caserma di Bolzaneto. Egli riferisce che, all’interno del recinto della caserma, è stato insultato e colpito alla schiena. Il viso sarebbe stato marchiato con due croci fatte con un pennarello. Nella cella, avrebbe ricevuto dei getti di gas irritante in pieno viso, il che avrebbe scatenato una forte crisi che ha costretto il personale medico a intervenire e a «decontaminarlo» (sarebbe stato svestito e bagnato con un getto di acqua fredda). Egli precisa che, in seguito a questo intervento, i suoi vestiti sono stati gettati e che, ancora bagnato, sarebbe rimasto vestito con un semplice camice da ospedale. Prima di uscire, sarebbe stato costretto a firmare alcuni documenti senza averne la traduzione e in assenza di un interprete. Il 23 luglio, fu condotto nel carcere di Pavia.
31.  Il ricorrente, sig. Hinrichsmeyer, fu arrestato durante l’irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz-Pertini e poi, il 22 luglio, fu condotto nella caserma di Bolzaneto. Egli riferisce che, al suo arrivo, sarebbe stato costretto a camminare davanti ad alcuni agenti con un cappello rosso in testa e un autoadesivo sulla schiena. Alle toilette, sarebbe stato costretto a tenere la porta aperta e a fare i propri bisogni sotto lo sguardo degli agenti. Infine, sarebbe stato costretto a firmare alcuni documenti senza averne la traduzione e in assenza di un interprete. Il 23 luglio, fu trasferito nel carcere di Pavia.
32.  Il ricorrente, sig. Marquello, fu arrestato durante l’irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz-Pertini e, il 22 luglio, condotto nella caserma di Bolzaneto. Riferisce di essere stato insultato e picchiato, e di essere stato costretto a firmare alcuni documenti senza averne la traduzione e in assenza di un interprete. Il giorno dopo, fu trasferito nel carcere di Pavia.
33.  Il ricorrente, sig. Moret, fu arrestato durante l’irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz-Pertini e, il 22 luglio, fu condotto nella caserma di Bolzaneto. Egli riferisce che gli è stata tracciata una croce sul viso con un pennarello e che, successivamente, ha subito insulti e sputi. Infine, sarebbe stato costretto a firmare alcuni documenti senza averne la traduzione e in assenza di un interprete. Il 23 luglio, fu trasferito nel carcere di Pavia.
34.  Il ricorrente, sig. Samperiz fu arrestato durante l’irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz-Pertini, e condotto nella caserma di Bolzaneto il 22 luglio. Ferito alla gamba, fu colpito da alcuni agenti e insultato. Afferma di essere stato privato degli effetti personali, in particolare della sua medicina contro l’asma. Nell’infermeria, sarebbe stato costretto a svestirsi sotto lo sguardo degli agenti. Sarebbe stato costretto a firmare alcuni documenti senza averne la traduzione e in assenza di un interprete. Il giorno dopo, fu trasferito in un carcere di cui non è precisato il nome nel fascicolo.
35.  La ricorrente, sig.ra Wagenschein, fu arrestata durante l’irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz-Pertini e, il 22 luglio, fu condotta nella caserma di Bolzaneto. Riferisce di essere stata oggetto di ripetuti insulti. Durante la visita medica sarebbe stata costretta a spogliarsi davanti a un medico di sesso maschile e a fare delle flessioni. Infine, sarebbe stata costretta a firmare alcuni documenti senza averne la traduzione e in assenza di un interprete. Il giorno successivo, fu trasferita nel carcere di Voghera.
36.  La ricorrente, sig.ra Zapatero, fu arrestata durante l’irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz-Pertini e, il 22 luglio, fu condotta nella caserma di Bolzaneto. Riferisce di essere stata costretta a firmare alcuni documenti senza averne la traduzione e in assenza di un interprete. Il giorno successivo, fu trasferita nel carcere di Voghera.
37.  Il ricorrente, sig. Cuccadu, fu condotto nella caserma di Bolzaneto il 21 luglio. Afferma che, nella cella, gli è stata sbattuta varie volte la testa contro il muro ed è stato colpito alle gambe e alla schiena. Aggiunge che, il giorno successivo, prima del suo trasferimento nel carcere di Alessandria, è stato oggetto di minacce («Ti porteranno in una bella prigione con giardino, dove ci sono molti alberi con corde»).
38.  La ricorrente, sig.ra Germano, arrivò nella caserma di Bolzaneto il 21 luglio. Afferma di essere stata oggetto di insulti a sfondo sessuale e di essere stata obbligata a togliersi un piercing sotto la minaccia di un agente. Sarebbe stata costretta a firmare alcuni documenti senza poterne leggere il contenuto. Il giorno dopo, fu trasferita nel carcere di Alessandria.
39.  Il ricorrente, sig. Ighina, fu condotto nella caserma di Bolzaneto il 21 luglio. Riferisce che è stato sparso del gas irritante nella cella. Afferma di aver ricevuto un primo pugno alle costole, poi un secondo mentre attendeva di essere condotto all’ospedale in ambulanza. Inoltre, sarebbe stato oggetto di minacce (tra altre: «ti ammazziamo», «sei morto»). Il 22 luglio, fu trasferito nel carcere di Alessandria.
40.  Il ricorrente, sig. Laconi, arrivò alla caserma di Bolzaneto nella notte del 20 luglio. Riferisce che, durante la perquisizione, si è tolto la cintura e che un agente l’ha utilizzata per colpirlo. Nella cella, sarebbe stato colpito alla schiena e alle costole. Sarebbe stato poi insultato e costretto a gridare frasi che facevano l’apologia di un dittatore italiano. Il giorno successivo, fu trasferito nel carcere di Alessandria.
41.  La ricorrente, sig.ra Menegon, fu condotta nella caserma di Bolzaneto il 21 luglio e trasferita lo stesso giorno nel carcere di Alessandria. Riferisce che, nella caserma, è stata oggetto di insulti e minacce a sfondo sessuale. Durante la visita medica, il personale avrebbe mimato degli atti sessuali e il medico avrebbe fatto delle osservazioni sul suo aspetto fisico. La ricorrente non ha precisato la data del suo trasferimento né il carcere nel quale è stata condotta.
42.  Il ricorrente, sig. M. Passiatore, arrivò nella caserma di Bolzaneto il 21 luglio. Riferisce che, nella cella, è stato colpito alla schiena e sulla nuca. A causa di questi colpi, la testa avrebbe sbattuto così violentemente contro il muro che egli avrebbe perso conoscenza per un momento. Poi, sarebbe stato sottoposto a getti di gas irritante. Il giorno successivo, fu trasferito nel carcere di Alessandria.
43.  Il ricorrente, sig. Pfister arrivò nella caserma di Bolzaneto il 21 luglio. Riferisce che, costretto da alcuni agenti a mettersi in ginocchio, con la testa al pavimento, è stato colpito in questa posizione con un manganello. Sarebbe stato insultato e costretto a gridare insulti contro personalità della sinistra. Il giorno successivo, fu trasferito nel carcere di Alessandria.
44.  Il ricorrente, sig. Sesma, fu condotto nella caserma di Bolzaneto il 20 luglio. Riferisce di essere stato oggetto di insulti e picchiato nel corridoio e nelle toilette, dove alcuni agenti gli avrebbero tagliato dei ciuffi di capelli e sezionato una collana per gettarla poi nella tazza del water. Sarebbe stato costretto a firmare alcuni documenti senza averne la traduzione e in assenza di un interprete. Il 22 luglio, fu trasferito nel carcere di Alessandria.
45.  Il ricorrente, sig. Spingi, arrivò nella caserma di Bolzaneto il 21 luglio. Riferisce di avere chiesto di contattare i suoi genitori e che gli è stato risposto: «Li chiamiamo noi e diciamo loro che sei morto.» Sarebbe anche stato oggetto di insulti e sarebbe stato picchiato. Con altri detenuti, sarebbe stato costretto a rimanere in posizioni strane, indicate con l’espressione «composizioni umane». Il giorno successivo, fu trasferito nel carcere di Alessandria.

C.  Il procedimento penale avviato contro alcuni membri delle forze dell’ordine per i fatti commessi nella caserma di Bolzaneto

46.  In seguito ai fatti commessi nella caserma di Bolzaneto, la procura di Genova avviò un’azione penale contro quarantacinque persone, tra le quali un vice-questore aggiunto, alcuni membri della polizia e della polizia penitenziaria, alcuni carabinieri e alcuni medici dell’amministrazione penitenziaria. I capi di accusa considerati erano i seguenti: abuso d’ufficio, abuso di potere nei confronti di persone arrestate o detenute, lesioni personali, oltraggio, violenza, minacce, omissione, favoreggiamento personale e falso. Il 27 gennaio 2005 la procura chiese il rinvio a giudizio degli imputati. I ricorrenti e altre persone (155 in totale) si costituirono parti civili.

1.  La sentenza di primo grado

47.  Con la sentenza n. 3119 del 14 luglio 2008, depositata il 27 novembre 2008, il tribunale di Genova condannò quindici dei quarantacinque imputati a pene comprese tra nove mesi e cinque anni di reclusione e alla pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici. Dieci condannati beneficiarono della sospensione condizionale e della non menzione della condanna nel casellario giudiziale. Infine, in applicazione della legge n. 241 del 29 luglio 2006 relativa alle condizioni per la concessione dell’indulto, tre condannati beneficiarono di un indulto totale della pena della reclusione e altri due, condannati rispettivamente a tre anni e due mesi e a cinque anni di reclusione, di un indulto di tre anni.
48.  Il tribunale ritenne anzitutto che fosse provato che i fatti seguenti erano stati commessi nei confronti di tutti i ricorrenti: insulti, minacce, lesioni personali, posizioni vessatorie, vaporizzazione di prodotti irritanti nelle celle, distruzione di effetti personali, lunghi tempi di attesa per utilizzare le toilette e marcatura con pennarello sul viso delle persone arrestate alla scuola Diaz-Pertini. Osservò che questi trattamenti potevano essere definiti inumani e degradanti ed erano stati commessi in un contesto particolare «e, si sper[ava], unico». Aggiunse che tali episodi avevano leso anche la Costituzione della Repubblica e indebolito la fiducia del popolo italiano nelle forze dell’ordine.
49.  Il tribunale sottolineò inoltre che, malgrado la lunga, laboriosa e meticolosa indagine condotta dalla procura, la maggior parte degli autori dei maltrattamenti, la cui esistenza era stata dimostrata durante il dibattimento, non avevano potuto essere identificati a causa di difficoltà oggettive, e in particolare la mancanza di collaborazione da parte della polizia, che derivava a suo avviso da una cattiva interpretazione dello spirito di corpo.
50.  Il tribunale precisò infine che l’assenza nel diritto penale del reato di tortura aveva costretto la procura a circoscrivere la maggior parte dei maltrattamenti accertati nell’ambito del reato di abuso d’ufficio. Nella fattispecie, gli agenti, i quadri e i funzionari sarebbero stati accusati di non avere impedito, con il loro comportamento passivo, i maltrattamenti denunciati. A questo proposito, il tribunale ritenne che la maggior parte degli imputati del reato di abuso d’ufficio non potessero essere giudicati colpevoli tenuto conto che: a)  il delitto in questione era caratterizzato da un dolo specifico, ossia l’intenzione chiara e accertata dell’agente pubblico di commettere un determinato delitto o di non impedirne la perpetrazione, e che b)  l’esistenza di questo dolo specifico non era stata dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio.
51.  I colpevoli degli atti controversi e i Ministeri dell’Interno, della Giustizia e della Difesa furono condannati a pagare le spese e a risarcire le parti civili, e furono accordate somme comprese tra 2.500 e 15.000 euro (EUR) a titolo di provvisionale sul risarcimento danni.

2.  La sentenza di appello

52.  Adita dagli imputati, dal procuratore presso il tribunale di Genova, dal procuratore generale, dai ministri dell’Interno, della Giustizia e della Difesa (responsabili civili) e dalle vittime che si erano costituite parti civili, la corte d’appello di Genova, con la sentenza n. 678 del 5 marzo 2010, depositata il 15 aprile 2011, invalidò parzialmente la sentenza impugnata.
53.  Per quanto riguarda il reato di abuso di ufficio nei confronti delle persone arrestate, essa confermò anzitutto la condanna a un anno di reclusione con sospensione condizionale per due imputati e l’indulto totale per un terzo imputato. Peraltro, condannò un agente a tre anni e due mesi di reclusione per il reato di lesioni personali. Quest’ultimo beneficiò di un indulto di tre anni di pena.
Per quanto riguarda il reato di falso, essa condannò tre imputati ritenuti non colpevoli in primo grado a una pena di un anno e sei mesi di reclusione con sospensione condizionale e non menzione nel casellario giudiziale e una quarta imputata a due anni di reclusione con sospensione condizionale e non menzione nel casellario giudiziale.
54.  Infine, pronunciò un non luogo a procedere per intervenuta prescrizione dei reati di cui erano accusate ventotto persone, tra cui due persone condannate che hanno beneficiato di un indulto in primo grado (paragrafo 47 supra), ed emise un non luogo a procedere anche nei confronti di un altro imputato deceduto.
55.  La corte d’appello condannò inoltre tutti gli imputati (ad eccezione di quest’ultimo) nonché i ministeri dell’Interno, della Giustizia e della Difesa, alle spese processuali e al risarcimento delle parti civili. Furono accordate somme comprese tra 5.000 e 30.000 EUR a titolo provvisionale sui risarcimenti danni.
56.  Nelle motivazioni della sentenza, la corte d’appello precisò anzitutto che, pur essendo intervenuta la prescrizione per i reati in questione, essa doveva provvedere agli effetti civili degli stessi.
57.  La corte indicò inoltre che l’attendibilità delle deposizioni delle vittime non era in discussione: da una parte, le stesse deposizioni erano state corroborate attraverso il confronto delle diverse dichiarazioni, tra cui quelle di due infermieri e di un ispettore di polizia, dalle parziali ammissioni di alcuni imputati nonché da vari documenti del fascicolo; d’altra parte, tali testimonianze presentavano le caratteristiche tipiche dei racconti di vittime di eventi traumatici e rivelavano una volontà sincera di restituire la verità.
58.  Quanto ai fatti che erano avvenuti nella caserma di Bolzaneto, la corte d’appello osservò che tutte le persone che erano transitate per tale centro erano state sottoposte a sevizie di tutti i tipi, continue e sistematiche, da parte di agenti della polizia penitenziaria o di agenti delle forze dell’ordine che avevano partecipato, per la maggior parte, alla gestione dell’ordine pubblico nella città nel corso delle manifestazioni.
59.  In effetti, essa osservò che, sin dal loro arrivo e per tutto il periodo in cui furono detenute nella caserma, tali persone, talvolta già provate dalle violenze subite durante l’arresto, erano state obbligate a rimanere in posizioni vessatorie ed erano state oggetto di percosse, minacce ed ingiurie di natura principalmente politica e sessuale. Anche nell’infermeria, i medici e gli agenti presenti avrebbero palesemente contribuito, con atti od omissioni, a provocare e ad aumentare il terrore e il panico nelle persone arrestate. La corte d’appello osservò che alcune di esse, ferite al momento dell’arresto o in caserma, avrebbero, in ogni caso, necessitato di cure adeguate, se non addirittura di un ricovero immediato. Per di più, osservò anche che il corridoio della caserma era stato soprannominato «il tunnel di agenti», in quanto i numerosi passaggi delle persone arrestate si erano svolti tra due file di agenti che le insultavano e le pestavano.
60.  La corte d’appello aggiunse che molti altri elementi avevano stroncato la resistenza fisica e psicologica delle persone arrestate e temporaneamente detenute in caserma, ossia: il divieto di guardare gli agenti; la privazione o la distruzione ingiustificata degli effetti personali; il fatto – pur essendo soggetti al divieto di comunicare tra detenuti e dunque all’impossibilità di cercare un reciproco conforto – di dover assistere alle sevizie inflitte alle altre persone arrestate, di sentire le grida di queste ultime o di vederne il sangue, il vomito, l’urina; l’impossibilità di accedere regolarmente alle toilette e di utilizzarle al riparo dagli sguardi e dagli insulti degli agenti; la privazione di acqua e di cibo; il freddo e la difficoltà di trovare un po’ di riposo nel sonno; l’assenza totale di contatti con l’esterno, e la falsa indicazione da parte degli agenti della rinuncia delle persone arrestate al diritto di avvisare un loro famigliare, un avvocato e, se del caso, un diplomatico del loro paese d’origine; infine, l’assenza di informazioni pienamente intelligibili sui motivi dell’arresto delle persone interessate.
61.  Insomma, secondo la corte d’appello, queste persone erano state sottoposte a vari trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nelle sue sentenze Irlanda c. Regno Unito (18 gennaio 1978, serie A n. 25), Raninen c. Finlandia (16 dicembre 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997 VIII), e Selmouni c. Francia ([GC], n. 25803/94, CEDU 1999 V). Per la corte d’appello, tutti gli agenti e il personale sanitario che si trovavano nella caserma erano stati in grado di accorgersi che erano stati inflitti tali trattamenti, il che, a suo parere, era sufficiente nel caso di specie per costituire il reato di abuso d’ufficio.
62.  Inoltre, la corte d’appello considerò che tali trattamenti, combinati con la negazione di alcuni diritti della persona arrestata, avevano lo scopo di dare alle vittime la sensazione di essere caduti in uno spazio di negazione dell’habeas corpus, dei diritti fondamentali e di ogni altro aspetto della preminenza del diritto, cosa che, del resto, confermavano a suo parere le varie forme di evocazione del fascismo fatte dagli agenti. In altri termini, infliggendo torture e maltrattamenti, gli autori di tali sevizie avevano voluto generare un processo di spersonalizzazione simile a quello messo in atto nei confronti degli ebrei e delle altre persone internate nei campi di concentramento. Perciò, come se fossero oggetti o animali, le persone arrestate nella scuola Diaz-Pertini, al loro arrivo in caserma, sarebbero state marchiate sul viso con un pennarello.
63.  Infine, secondo la corte d’appello, tali fatti avevano avuto conseguenze molto gravi sulle vittime e i loro effetti perduravano ben oltre la fine della detenzione di queste nella caserma di Bolzaneto, in quanto avevano scardinato le categorie mentali ed emotive sulla base delle quali la persona vive la sua quotidianità, le sue relazioni con gli altri, i suoi legami con lo Stato e la sua partecipazione alla vita pubblica. I fatti in questione avrebbero colpito anche le famiglie delle vittime in quanto comunità di scambio di esperienze e di valori.

3.  La sentenza della Corte di cassazione

64.  Adita dagli imputati, dal procuratore generale, dai ministeri dell’Interno, della Giustizia e della Difesa (responsabili civili), la Corte di cassazione emise la sentenza n. 37088 il 14 giugno 2013, che fu depositata il 10 settembre 2013. La Corte di cassazione confermò in sostanza la sentenza impugnata.
65.  Anzitutto, la Corte osservò che, per quanto riguarda i reati considerati dal tribunale di primo grado e dalla corte d’appello di Genova, la quasi totalità era caduta in prescrizione, alla quale tuttavia tre ufficiali di polizia avevano rinunciato, ad eccezione del reato di lesioni personali considerato a carico di un agente e del reato di falso considerato nei confronti di altri quattro agenti.
66.  Essa respinse inoltre l’eccezione di costituzionalità sollevata dal procuratore generale di Genova ritenendo che, in virtù dell’articolo 25 della Costituzione relativo al principio di riserva della legge, solo il legislatore poteva stabilire le sanzioni penali e definire l’applicazione di misure come la prescrizione e l’indulto (per un’analisi più dettagliata, si veda Cestaro c. Italia, n. 6884/11, §§ 75-80, 7 aprile 2015).
67.  La Corte di cassazione dichiarò inoltre che le violenze perpetrate all’interno della caserma di Bolzaneto erano state ininterrotte ed erano avvenute in condizioni in cui ogni persona presente ne aveva la totale percezione uditiva e visiva, e considerò, basandosi su trentanove testimonianze concordanti, che nella caserma di Bolzaneto i principi fondamentali dello stato di diritto fossero stati soppressi.
68.  In conclusione, per quanto riguarda la sorte individuale di ciascuna persona condannata, la Corte di cassazione confermò la condanna dei tre ufficiali che avevano rinunciato alla prescrizione a un anno di reclusione per il reato di abuso d’ufficio (due dei quali beneficiarono della sospensione condizionale dell’esecuzione e il terzo dell’indulto), di altri tre ufficiali a un anno e sei mesi di reclusione con sospensione condizionale per il reato di falso, e di un medico dell’amministrazione penitenziaria a due anni per lo stesso reato. Confermò anche la condanna di un agente a tre anni e due mesi di reclusione per il reato di lesioni personali. Quest’ultimo beneficiò di un indulto di tre anni.
69.  Quanto agli altri appellanti, la Corte di cassazione confermò la sentenza impugnata per quanto riguarda la responsabilità civile dei massimi gradi implicati, ossia il vicequestore, il commissario capo e l’ispettore di polizia penitenzia incaricato della sicurezza del sito penitenziario istituito nella caserma di Bolzaneto, e giunse alla stessa constatazione nei confronti di molti ufficiali e agenti della polizia penitenziaria e delle forze dell’ordine nonché del personale sanitario in questione, tra cui il responsabile del servizio sanitario del sito.

D.  L’indagine parlamentare conoscitiva

70.  Il 2 agosto 2001 i presidenti della Camera dei Deputati e del Senato decisero che le Commissioni Affari costituzionali delle due camere del Parlamento avrebbero avviato una indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione dello svolgimento del G8 di Genova. A tale scopo fu creata una commissione composta da diciotto deputati e diciotto senatori.
71.  Il 20 settembre 2001 la commissione depositò la relazione contenente le conclusioni della maggioranza, intitolata «Relazione conclusiva dell’indagine parlamentare conoscitiva sui fatti del G8 di Genova».
72.  La relazione citava le dichiarazioni del responsabile delle attività della polizia penitenziaria in occasione del summit, secondo le quali la decisione di assegnare alla polizia penitenziaria e alla polizia giudiziaria una sola e stessa caserma si era rivelata «una scelta infelice».
73.  La relazione indicava inoltre che, nella notte tra il 21 e il 22 luglio, la durata della detenzione alla caserma di Bolzaneto delle persone arrestate era stata eccessivamente lunga a causa della chiusura di alcuni uffici, che sarebbe stata dovuta all’insufficienza di personale, all’afflusso delle persone arrestate nella scuola Diaz-Pertini e alle modalità di trasferimento verso gli istituti designati in quanto luoghi di custodia cautelare. La relazione indicava anche che, nel corso della stessa notte, tra le ore 1.35 e le ore 2.00, il ministro della Giustizia si era recato alla caserma di Bolzaneto e aveva visto in una cella una donna e dieci uomini posti con le gambe divaricate e la faccia contro il muro sotto la sorveglianza di un agente.
74.  La relazione menzionava inoltre l’esistenza di due inchieste amministrative relative ai fatti avvenuti alla caserma di Bolzaneto, avviate su iniziativa del capo della polizia e del ministro della Giustizia. La relazione provvisoria della seconda inchiesta menzionava undici casi di violenze denunciati dalla stampa o dalle vittime stesse, nonché altre vessazioni segnalate da un infermiere.
75.  La relazione indicava infine che, secondo il questore F., sentito dalla commissione parlamentare, alcune dichiarazioni fatte alla stampa o agli inquirenti dalle vittime si erano rivelate false e infondate. Il rapporto concludeva tuttavia che il prefetto F. non aveva precisato a quale luogo di smistamento (Forte San Giuliano, Bolzaneto o entrambi) si riferissero le sue osservazioni.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

76.  Per quanto riguarda il diritto e la prassi interni pertinenti nelle presenti cause, la Corte rinvia alla sentenza Cestaro (sopra citata, §§ 87-106).
77.  La proposta di legge volta a sanzionare la tortura e i maltrattamenti, intitolata «Introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento italiano», Senato della Repubblica S-849, è stata votata dal Senato della Repubblica italiana il 5 marzo 2014, poi trasmessa alla Camera dei deputati che ne ha modificato il testo ed ha inviato la nuova versione al Senato il 13 aprile 2015. Il 17 maggio 2017 il Senato ha adottato degli emendamenti alla proposta di legge e comunicato il nuovo testo alla Camera dei deputati. Il 5 luglio 2017 la Camera dei deputati ha definitivamente adottato il testo.
La legge n. 110 del 14 luglio 2017, intitolata «Introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento italiano» è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale il 18 luglio 2017, ed è entrata in vigore lo stesso giorno.

III.  ELEMENTI PERTINENTI DI DIRITTO INTERNAZIONALE

78.  Per quanto riguarda gli elementi di diritto internazionale pertinenti al caso di specie, la Corte rinvia alla sentenza Cestaro (sopra citata, §§ 107-121).

IN DIRITTO

I.  SULLA RIUNIONE DEI RICORSI

79.  Tenuto conto della similitudine dei presenti ricorsi per quanto riguarda i fatti e le questioni di merito che questi sollevano, la corte ritiene appropriato riunirli, in applicazione dell’articolo 42 del suo regolamento.

II.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE

80.  I ricorrenti lamentano di essere stati sottoposti ad atti di violenza che definiscono torture e trattamenti inumani e degradanti.
Invocano l’articolo 3 della Convenzione, che recita:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.»

81.  Essi affermano anche che l’inchiesta è stata lacunosa a causa delle sanzioni ai loro occhi inadeguate inflitte alle persone considerate responsabili. A questo proposito, denunciano in particolare la prescrizione applicata alla maggior parte dei reati ascritti, l’indulto di cui alcuni condannati avrebbero beneficiato e l’assenza di sanzioni disciplinari nei confronti di queste stesse persone. In questo ambito, essi sostengono che, astenendosi dall’inserire nell’ordinamento giuridico nazionale il reato di tortura, lo Stato non ha adottato le misure necessarie che permettano di prevenire violenze e altri maltrattamenti simili a quelli di cui si dicono vittime.
Invocano a questo proposito gli articoli 3 e 13 della Convenzione, considerati separatamente e in combinato disposto.
82.  Tenuto conto della formulazione delle doglianze dei ricorrenti, la Corte ritiene che sia opportuno esaminare la questione dell’assenza di un’inchiesta effettiva sui maltrattamenti dedotti unicamente sotto il profilo dell’elemento procedurale dell’articolo 3 della Convenzione (Dembele c. Svizzera, n. 74010/11, § 33, 24 settembre 2013, con i riferimenti ivi contenuti).
83.  Solamente nel ricorso n. 21911/14, i ricorrenti lamentano inoltre, dal punto di vista dell’articolo 5 § 2 della Convenzione, la mancata comunicazione nel minor tempo possibile e, se del caso, in presenza di un interprete, dei motivi del loro arresto e delle accuse mosse nei loro confronti; invocando l’articolo 8 della Convenzione, lamentano una privazione ingiustificata e definitiva dei loro effetti personali; invocando gli articoli 9, 10 e 11 della Convenzione, lamentano la violazione delle loro libertà esclusivamente a causa della loro partecipazione alle manifestazioni del G8. Invocano questi articoli da soli o in combinato disposto con l’articolo 14 della Convenzione.
84.  Libera di qualificare giuridicamente i fatti (Guerra e altri c. Italia, 19 febbraio 1998, § 44, Recueil 1998 I), la Corte considera gli atti denunciati in queste doglianze come elementi volti a stroncare la resistenza psicologica delle persone poste all’interno della caserma di Bolzaneto e quindi come addizionali alla doglianza principale relativa alla commissione di maltrattamenti (si vedano, tra altre, Algür c. Turchia, n. 32574/96, § 44, 22 ottobre 2002). La Corte si propone pertanto di esaminare queste doglianze unicamente dal punto di vista dell’articolo 3 della Convenzione.

A.  Sulla domanda di cancellazione dal ruolo del ricorso n. 21911/14 per quanto riguarda i ricorrenti indicati nell’allegato I ai numeri 1, 8, 9 e 14 della lista

85.  La Corte ha ricevuto delle dichiarazioni di composizione amichevole, firmate dalle parti ricorrenti il 27 luglio 2016 e dal Governo il 9 settembre 2016. Quest’ultimo si impegna a versare a ciascun ricorrente la somma di 45.000 EUR per danno materiale e morale e per le spese sostenute sia per il procedimento dinanzi alla Corte che per quello dinanzi ai giudici nazionali, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dagli interessati, i quali hanno rinunciato a ogni altra pretesa nei confronti della Repubblica italiana per quanto riguarda i fatti all’origine dei loro ricorsi.
Tale somma sarà versata entro i tre mesi successivi alla data della notifica della decisione della Corte. In assenza di versamento entro detto termine, il Governo si impegna a corrispondere, a decorrere dalla scadenza di quest’ultimo e fino al versamento effettivo della somma in questione, un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, aumentato di tre punti percentuali. Tale versamento equivarrà alla conclusione definitiva della causa.
86.  La Corte prende atto della composizione amichevole alla quale sono giunte le parti, e ritiene che essa sia ispirata al rispetto dei diritti dell’uomo come riconosciuti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli, e non ravvisa peraltro alcun motivo che giustifichi la prosecuzione dell’esame del ricorso nei confronti dei ricorrenti interessati.
87.  Pertanto, è opportuno cancellare il ricorso dal ruolo per quanto riguarda i ricorrenti indicati nell’allegato I ai numeri 1, 8, 9 e 14 della lista corrispondente al ricorso n. 21911/14. La Corte continua l’esame del ricorso n. 21911/14 nei confronti degli altri ricorrenti.

B.  Sui ricorsi nn. 1442/14 e 21319/14, e sul ricorso n. 21911/14 per quanto riguarda i ricorrenti indicati nell’allegato I ai numeri 2-7, 10-13 e 15-17 della lista

1.  Sulla ricevibilità

88.  La Corte osserva che il Governo non ha sollevato eccezioni di irricevibilità rispetto ai presenti ricorsi. Constatando che i ricorsi non sono manifestamente infondati ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorrono in altri motivi di irricevibilità, la Corte li dichiara ricevibili.

2.  Sul merito

a)  Sull’elemento materiale dell’articolo 3 della Convenzione

i.  Tesi delle parti

α)  I ricorrenti

89.  I ricorrenti, arrestati e poi condotti alla caserma di Bolzaneto, affermano di essere stati insultati, minacciati e percossi, e di essere stati oggetto di altri tipi di maltrattamenti da parte delle forze dell’ordine. Deplorano le vive sofferenze fisiche e psicologiche che tali violenze avrebbero causato loro.
90.  I ricorrenti denunciano anche l’impossibilità per loro di contattare un parente, un avvocato o, se del caso, un rappresentante consolare, nonché l’assenza di una presa in carico medica adeguata al loro stato di salute, in quanto le visite mediche cui sono stati sottoposti sarebbero state secondo loro superficiali, spesso umilianti e realizzate in presenza di agenti delle forze dell’ordine (paragrafi 18-45 supra).
91.  Essi considerano infine che lo Stato non abbia messo in atto le misure necessarie che avrebbero evitato loro di essere sottoposti a tali trattamenti e ritengono che le azioni degli agenti e dei funzionari implicati non possano trovare altra giustificazione che la volontà di punirli, loro e le altre persone arrestate, per le opinioni politiche e per la partecipazione alle manifestazioni contro il summit del G8 di Genova. Infine, secondo loro, gli autori dei maltrattamenti in causa hanno agito con il consenso e la connivenza dei loro superiori gerarchici presenti nella caserma di Bolzaneto.
92.  Pertanto, tenuto conto di tutti questi elementi, i ricorrenti ritengono di essere stati vittime di tortura e di trattamenti inumani e degradanti.

β)  Il Governo

93.  Il Governo assicura di non sottovalutare la gravità dei fatti che sono avvenuti all’interno della caserma di Bolzaneto tra il 20 e il 23 luglio 2001, e ritiene che le azioni commesse dagli agenti di polizia costituiscano dei reati gravi e deplorevoli ai quali lo Stato italiano avrebbe reagito in maniera adeguata, attraverso l’azione dei tribunali, ristabilendo lo stato di diritto indebolito da questo episodio.
94.  In cambio di «completo riconoscimento da parte dell’Italia delle violazioni dei diritti perpetrate», il Governo dichiara di aderire «al giudizio dei giudici nazionali, che hanno censurato molto duramente il comportamento degli agenti di polizia» all’epoca dei fatti.

ii.  Valutazione della Corte

α)  Principi generali

95.  I principi generali applicabili in materia sono stati recentemente richiamati nelle sentenze Bouyid c. Belgio ([GC], n. 23380/09, §§ 88-90, CEDU 2015) e Bartesaghi Gallo e altri c. Italia (nn. 12131/13 e 43390/13, §§ 111-113, 22 giugno 2017).

β)  Applicazione di questi principi alle circostanze delle presenti cause

96.  La Corte osserva anzitutto che i tribunali interni hanno stabilito in maniera dettagliata e approfondita, con esattezza e al di là di ogni ragionevole dubbio i maltrattamenti di cui sono state oggetto le persone condotte alla caserma di Bolzaneto (paragrafi 18-45 supra) e non rileva elementi convincenti per potersi discostare dalle conclusioni alle quali sono giunti (Gäfgen c. Germania [GC], n. 22978/05, § 93, CEDU 2010). Le testimonianze delle vittime sono state confermate dalle deposizioni dei membri delle forze dell’ordine e della pubblica amministrazione, dalle parziali ammissioni degli imputati e dai documenti a disposizione dei magistrati, in particolare i rapporti medici e le perizie giudiziarie.

97.  Pertanto, la Corte considera accertate sia le aggressioni fisiche e verbali lamentate dai ricorrenti che le conseguenze derivanti da queste ultime. Essa constata in particolare quanto segue:

  • fin dal loro arrivo alla caserma di Bolzaneto, ai ricorrenti è stato vietato di alzare la testa e guardare gli agenti che li circondavano; coloro che erano stati arrestati alla scuola Diaz-Pertini sono stati marchiati con una croce sulla guancia fatta con un pennarello; tutti i ricorrenti sono stati costretti a rimanere immobili, con le braccia e le gambe divaricate, di fronte alle grate all’esterno della caserma; la stessa posizione vessatoria è stata imposta a ciascuno all’interno delle celle;
  • all’interno della caserma, i ricorrenti erano costretti a muoversi piegati in avanti e con la testa bassa; in questa posizione, dovevano attraversare «il tunnel di agenti», ossia il corridoio della caserma nel quale alcuni agenti si mettevano da ciascun lato per minacciarli, colpirli e lanciare loro insulti di carattere politico o sessuale (paragrafo 59 supra);
  • durante le visite mediche, i ricorrenti sono stati oggetto di commenti, di umiliazioni e a volte di minacce da parte del personale medico o degli agenti di polizia presenti;
  • gli effetti personali dei ricorrenti sono stati confiscati, o addirittura distrutti in maniera aleatoria;
  • tenuto conto dell’esiguità della caserma di Bolzaneto nonché del numero e della ripetizione degli episodi di brutalità, tutti gli agenti e i funzionari di polizia presenti erano consapevoli delle violenze commesse dai loro colleghi o dai loro subalterni;
  • i fatti di causa non si possono ricondurre a un periodo determinato durante il quale, senza che questo possa in alcun modo giustificarlo, la tensione e le passioni esacerbate avrebbero portato a questi eccessi: tali fatti si sono svolti durante un lasso di tempo considerevole, ossia nella notte tra il 20 e il 21 luglio, e il 23 luglio, il che significa che varie squadre di agenti si sono avvicendate all’interno della caserma senza alcuna diminuzione significativa in frequenza o in intensità degli episodi di violenza.

98.  Per quanto riguarda i racconti individuali dei ricorrenti, la Corte può solo constatare la gravità dei fatti descritti dagli interessati. Ciò che emerge dal materiale probatorio dimostra nettamente che i ricorrenti, che non hanno opposto alcuna forma di resistenza fisica agli agenti, sono stati vittime di una successione continua e sistematica di atti di violenza che hanno provocato vive sofferenze fisiche e psicologiche (Gutsanovi c. Bulgaria, n. 34529/10, § 126, CEDU 2013 (estratti)). Queste violenze sono state inflitte a ciascun individuo in un contesto generale di uso eccessivo, indiscriminato e manifestamente sproporzionato della forza (Bouyid, sopra citata, § 101).
99.  Questi episodi si sono svolti in un contesto deliberatamente teso, confuso e rumoroso, in cui gli agenti gridavano contro individui arrestati e intonavano di tanto in tanto canti fascisti. Nella sua sentenza n. 678/10 del 15 aprile 2011, la corte d’appello di Genova ha accertato che la violenza fisica e morale, lungi dall’essere episodica, è stata, al contrario, indiscriminata, costante e in qualche modo organizzata, il che ha avuto come risultato quello di portare a «una sorta di processo di disumanizzazione che ha ridotto l’individuo a una cosa sulla quale esercitare la violenza» (paragrafo 62 supra).
100.  La gravità dei fatti della presente causa risiede anche in un altro aspetto che, agli occhi della Corte, è altrettanto importante. Infatti, essa ha rammentato ripetutamente che la situazione di vulnerabilità nella quale si trovano le persone in stato di fermo impone alle autorità il dovere di proteggerle (ibidem, § 107). Ora, i fatti controversi, nel complesso, dimostrano che i membri della polizia presenti all’interno della caserma di Bolzaneto, i semplici agenti e, per estensione, la catena di comando, hanno gravemente contravvenuto al loro dovere deontologico primario di protezione delle persone poste sotto la loro sorveglianza.
101.  Ciò è del resto sottolineato dal tribunale di primo grado di Genova (paragrafo 48 supra), che ha ritenuto che gli agenti perseguiti avessero tradito il giuramento di fedeltà e di adesione alla Costituzione e alle leggi repubblicane compromettendo, con il loro comportamento, la dignità e la probità della polizia italiana in quanto categoria professionale e, pertanto, indebolendo la fiducia della popolazione italiana nelle forze dell’ordine.
102.  La Corte non può pertanto ignorare la dimensione simbolica di tali atti, né il fatto che i ricorrenti siano stati non soltanto vittime dirette di sevizie ma anche testimoni impotenti dell’uso incontrollato della violenza nei confronti delle altre persone arrestate. Alle offese all’integrità fisica e psicologica individuale si è dunque aggiunto lo stato di angoscia e di stress causato dagli episodi di violenze alle quali hanno assistito (Iljina e Sarulienė c. Lituania, n. 32293/05, § 47, 15 marzo 2011).
103.  Basandosi in particolare sulle conclusioni della corte d’appello di Genova (paragrafo 63 supra) e della Corte di cassazione (paragrafo 67 supra), la Corte ritiene che i ricorrenti, trattati come oggetti nelle mani dei pubblici poteri, abbiano vissuto per tutta la durata della loro detenzione in una zona di «non diritto» in cui le garanzie più elementari erano state sospese.
104.  In effetti, oltre agli episodi di violenza sopra menzionati, la Corte non può ignorare le altre violazioni dei diritti dei ricorrenti che si sono verificate nella caserma di Bolzaneto. Nessun ricorrente ha potuto contattare un parente, un avvocato di fiducia o, se del caso, un rappresentante consolare. Gli effetti personali sono stati distrutti sotto gli occhi dei loro proprietari. L’accesso alle toilette veniva negato e, in ogni caso, i ricorrenti sono stati fortemente dissuasi dal recarvisi a causa degli insulti, delle violenze e delle umiliazioni subite dalle persone che hanno chiesto di accedervi. Inoltre, si deve osservare che l’assenza di cibo e di lenzuola in quantità sufficiente che, secondo i giudici nazionali, non derivava tanto da una volontà deliberata di privarne i ricorrenti quanto da una errata pianificazione del funzionamento del sito, non può che aver amplificato la situazione di sconforto e il livello di sofferenza provati dai ricorrenti.
105.  In conclusione, la Corte non può ignorare che, nel caso di specie, come risulta dalle sentenze nazionali (paragrafo 62 supra), gli atti che sono stati commessi nella caserma di Bolzaneto sono l’espressione di una volontà punitiva e di ritorsioni nei confronti dei ricorrenti, privati dei loro diritti e del livello di tutela riconosciuto a ogni individuo dall’ordinamento giuridico italiano (si veda, mutatis mutandis, Cestaro, sopra citata, § 177).
106.  Questi elementi bastano alla Corte per concludere che i ripetuti atti di violenza subiti dai ricorrenti all’interno della caserma di Bolzaneto devono essere visti come atti di tortura. Pertanto, nei loro confronti vi è stata violazione dell’elemento materiale dell’articolo 3 della Convenzione.

b)  Sull’elemento procedurale dell’articolo 3 della Convenzione

i.  Tesi delle parti

α)  I ricorrenti

107.  I ricorrenti, nonostante la meticolosa indagine condotta dal procuratore della Repubblica di Genova e le conclusioni del tribunale di primo grado e della corte d’appello di Genova che hanno permesso di accertare i fatti lamentati, rimproverano ai giudici di avere applicato la prescrizione alla quasi totalità dei reati ascritti agli imputati. Essi indicano che sono stati considerati solo dei reati minori nei confronti di un numero ridotto di imputati, che avrebbero inoltre, in ragione della breve durata delle pene previste, beneficiato della sospensione condizionale o di un indulto in applicazione della legge n. 241 del 29 luglio 2006. Perciò, essi denunciano l’esito del procedimento penale e richiamano a questo riguardo le sentenze della Corte Abdülsamet Yaman c. Turchia (n. 32446/96, § 55, 2 novembre 2004) e Ali e Ayşe Duran c. Turchia (n. 42942/02, § 69, 8 aprile 2008).
108.  I ricorrenti precisano inoltre che i responsabili dei fatti della caserma di Bolzaneto non sono stati puniti con alcun provvedimento disciplinare di sospensione durante il processo o di sanzione all’esito dello stesso, e che, successivamente, hanno persino ottenuto delle promozioni.
109.  Essi criticano pertanto l’assenza nell’ordinamento giuridico interno di un reato che punisca la tortura e i trattamenti inumani o degradanti, disposizione legislativa che avrebbe permesso secondo loro di perseguire non soltanto gli autori materiali ma anche i corresponsabili degli atti in questione, in particolare i superiori gerarchici. In effetti, essi argomentano che la qualificazione giuridica dei fatti applicata dai giudici nazionali prevedeva un elemento psicologico specifico che il divieto di tortura non prevedrebbe, il che permetterebbe di perseguire gli autori materiali e coloro che, in ragione della loro connivenza o del loro consenso, hanno partecipato alla perpetrazione di atti che possono essere definiti tortura o trattamenti inumani o degradanti.
110.  La necessità di criminalizzare la tortura e gli altri maltrattamenti si spiegherebbe inoltre con la necessità di evitare l’applicazione della prescrizione o di altre misure di clemenza ad atti particolarmente gravi e che suscitano notevoli disordini a livello sociale.
111.  Quanto alla possibilità di ottenere un indennizzo nell’ambito del procedimento civile di risarcimento danni, i ricorrenti si basano sulla giurisprudenza della Corte (Gäfgen, sopra citata, §§ 116-119) per sottolineare l’ineffettività dell’azione civile nel caso di atti deliberati di maltrattamenti.

β)  Il Governo

112.  Il Governo contesta la tesi dei ricorrenti e afferma che lo Stato ha adempiuto al proprio obbligo positivo di condurre un’inchiesta indipendente e imparziale. Afferma che le autorità hanno adottato tutte le misure che permettevano l’identificazione e la condanna dei responsabili dei maltrattamenti controversi a una pena adeguata, come esige la giurisprudenza della Corte.
113.  Il Governo ritiene in particolare che, all’esito di un procedimento penale complesso e approfondito che ha permesso di accertare i fatti denunciati, i quarantacinque poliziotti perseguiti sono stati condannati anche se, per la maggior parte di essi, la corte d’appello ha riconosciuto l’applicazione della prescrizione. Per quanto riguarda l’azione civile, indica che a tutti i ricorrenti è stata accordata una somma a titolo di provvisionale sul risarcimento danni.
114.  Esaminando poi la doglianza relativa all’assenza del reato di «tortura» nell’ordinamento giuridico italiano, il Governo espone che i giudici nazionali hanno potuto sanzionare in maniera adeguata i reati contro la persona utilizzando l’arsenale giuridico esistente. A questo titolo, afferma che la Convenzione contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 10 dicembre 1984 non prevede una definizione univoca della nozione di «tortura», il che implicherebbe che il codice penale italiano permette di sanzionare in maniera appropriata le varie forme di maltrattamenti.
115.  Infine, il Governo informa la Corte che una proposta di legge volta a introdurre nel codice penale italiano il reato di tortura è attualmente in corso di esame dinanzi al Parlamento (paragrafo 77 supra), e precisa che in caso di maltrattamenti inflitti da funzionari o da pubblici ufficiali sono previste pene fino a dodici anni di reclusione e che qualora i maltrattamenti in questione abbiano causato il decesso della vittima potrà essere pronunciata la pena dell’ergastolo.

ii.  Valutazione della Corte

α)  Principi generali

116.  La Corte rammenta che, quando un individuo sostiene in maniera difendibile di avere subito, da parte della polizia o di altri servizi analoghi dello Stato, un trattamento contrario all’articolo 3 della Convenzione, quest’ultima disposizione, in combinato disposto con il dovere generale imposto allo Stato dall’articolo 1 di «riconoscere a ogni persona sottoposta alla [sua] giurisdizione i diritti e le libertà enunciati (…) [nella] Convenzione», richiede, per implicazione, che sia condotta un’inchiesta ufficiale effettiva. Tale inchiesta deve poter condurre all’identificazione e, se del caso, alla punizione dei responsabili e all’accertamento della verità. Se così non fosse, nonostante la sua importanza fondamentale, il divieto generale della tortura e delle pene e dei trattamenti inumani o degradanti sarebbe inefficace in pratica, e sarebbe possibile in alcuni casi per gli agenti dello Stato calpestare, godendo di una quasi-impunità, i diritti delle persone sottoposte al loro controllo (si veda, tra molte altre, Nasr e Ghali c. Italia, n. 44883/09, § 262, 23 febbraio 2016).
117.  I principi pertinenti per quanto riguarda gli elementi di «una inchiesta ufficiale effettiva» sono stati richiamati recentemente dalla Corte nella sentenza Cestaro (sopra citata, §§ 205-212, e i riferimenti ivi citati) e riassunti nella sentenza Nasr e Ghali (sopra citata, § 263), alle quali la Corte rinvia.

β)  Applicazione di questi principi alle circostanze della presente causa

118.  La Corte osserva anzitutto che la maggior parte degli autori materiali degli atti di «tortura» (paragrafo 49 supra) non hanno potuto essere identificati dalle autorità giudiziarie né sottoposti a un’inchiesta, e sono dunque rimasti impuniti.
119.  Pur rammentando che l’obbligo di condurre un’inchiesta non è, secondo la sua giurisprudenza, un obbligo di risultato ma di mezzi (si veda, tra molte altre, Gheorghe Dima c. Romania, n. 2770/09, § 100, 19 aprile 2016), si deve notare che i notevoli sforzi dei giudici nazionali per identificare gli agenti di polizia che hanno partecipato ai fatti denunciati si sono conclusi con un fallimento per due ragioni principali.
120.  Da una parte, il divieto opposto ai ricorrenti di guardare gli agenti e l’obbligo loro imposto di restare con la faccia contro le grate all’esterno della caserma o il muro delle celle, combinato con l’assenza di segni distintivi sull’uniforme degli agenti, come un numero di matricola, hanno contribuito a rendere impossibile l’identificazione da parte delle vittime dei poliziotti presenti all’interno della caserma di Bolzaneto.
121.  Dall’altra, la Corte constata che la deplorevole mancanza di collaborazione della polizia con le autorità giudiziarie incaricate delle indagini è stata determinante nella presente causa.
122.  Per quanto riguarda il procedimento penale, essa osserva che per l’ampia maggioranza dei reati di lesioni personali, semplici o aggravate, così come per quelli di calunnia e di abuso d’ufficio, è stata dichiarata la prescrizione. In effetti, su quarantacinque persone rinviate a giudizio, la Corte di cassazione (paragrafo 65 supra) ha confermato la condanna solo di otto agenti o quadri delle forze dell’ordine a pene della reclusione che vanno da un anno per abuso d’ufficio (in quanto i tre agenti condannati hanno rinunciato alla prescrizione) a tre anni e due mesi per il reato di lesioni personali (poi ridotta di tre anni in applicazione della legge n. 241/06). La Corte constata che tutti i condannati hanno beneficiato o dell’indulto, o della sospensione condizionale e della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, e osserva che, in pratica, nessuno ha passato un solo giorno in carcere per i trattamenti inflitti ai ricorrenti.
123.  In virtù dell’articolo 19 della Convenzione, e conformemente al principio che vuole che la Convenzione garantisca dei diritti non teorici o illusori ma concreti ed effettivi, la Corte deve assicurarsi che lo Stato adempia come si deve all’obbligo di tutelare i diritti delle persone che rientrano nella sua giurisdizione, in particolare nei casi in cui esiste una sproporzione evidente tra la gravità dell’atto e la sanzione inflitta. In caso contrario, il dovere che hanno gli Stati di condurre un’inchiesta effettiva perderebbe molto del suo senso.
124.  Pertanto, essa può solo osservare che, nonostante i fatti più gravi siano stati stabiliti dai giudici nazionali, la prescrizione ha impedito l’accertamento della responsabilità penale dei loro autori. Essa osserva inoltre che, in applicazione della legge n. 241 del 29 luglio 2006 relativa alle condizioni di concessione dell’indulto, le pene pronunciate per gli altri reati sono state ridotte di tre anni (paragrafo 53 supra).
125.  Essa rammenta che, tra gli elementi che caratterizzano un’inchiesta effettiva dal punto di vista dell’articolo 3 della Convenzione, il fatto che l’azione giudiziaria non sia soggetta ad alcun termine di prescrizione è fondamentale. Essa indica anche di avere già dichiarato che la concessione di un’amnistia o di un indulto non dovrebbe essere tollerata in materia di tortura o di maltrattamenti inflitti da agenti dello Stato (Abdülsamet Yaman, sopra citata, § 55, e Mocanu e altri c. Romania [GC], nn. 10865/09 e altri 2, § 326, CEDU 2014 (estratti)).
126.  Come ha fatto nella sentenza Cestaro (sopra citata, §§ 223 e 224), la Corte riconosce che i giudici nazionali, per i fatti verificatisi alla caserma di Bolzaneto, hanno dovuto affrontare un procedimento penale complesso legato a un episodio di violenza da parte della polizia unico nella storia della Repubblica italiana. Essa non può ignorare che alle difficoltà del procedimento a carico di molti coimputati e di parti civili si sono aggiunti ostacoli legati alla mancanza di collaborazione da parte dell’amministrazione della polizia (paragrafo 49 supra).
127.  Contrariamente alla conclusione cui è giunta in altre cause, la Corte considera che, nella fattispecie, la durata del procedimento interno e il non luogo a procedere pronunciato per intervenuta prescrizione della maggior parte dei reati non siano imputabili ai temporeggiamenti o alla negligenza della procura o dei giudici nazionali ma alle lacune strutturali dell’ordinamento giuridico italiano (si vedano, tra altre, Batı e altri c. Turchia, nn. 33097/96 e 57834/00, §§ 142 147, CEDU 2004 IV (estratti), e Hüseyin Şimşek c. Turchia, n. 68881/01, §§ 68-70, 20 maggio 2008).
128.  In effetti, secondo la Corte, l’origine del problema risiede nel fatto che nessuno dei reati esistenti sembra comprendere tutta la gamma di questioni sollevate da un atto di tortura di cui un individuo rischia di essere vittima (Myumyun c. Bulgaria, n. 67258/13, § 77, 3 novembre 2015).
129.  La Corte ha già dichiarato nella sentenza Cestaro (sopra citata, § 225) che la legislazione penale nazionale applicata nelle cause in discussione si era rivelata inadeguata rispetto all’esigenza di sanzionare gli atti di tortura in questione e priva dell’effetto dissuasivo necessario alla prevenzione di violazioni simili dell’articolo 3 della Convenzione.
130.  In questo contesto, la Corte ha invitato l’Italia a munirsi degli strumenti giuridici atti a sanzionare in maniera adeguata i responsabili degli atti di tortura o di altri maltrattamenti rispetto all’articolo 3 e ad impedire che questi ultimi possano beneficiare dell’applicazione di misure che contrastano con la giurisprudenza della Corte, in particolare la prescrizione e l’indulto (ibidem, §§ 242-246).
131.  Il legislatore italiano ha presentato una proposta di legge che introduce il reato di tortura. Dopo varie modifiche, il 18 luglio 2017 la legge è entrata in vigore. La Corte prende atto dell’introduzione delle nuove disposizioni che non trovano applicazione nel caso di specie.
132.  Per quanto riguarda, infine, i provvedimenti disciplinari, la Corte osserva che il Governo indica che i poliziotti interessati non sono stati sospesi dalle loro funzioni durante il processo, che non precisa se questi stessi poliziotti siano stati oggetto di provvedimenti disciplinari e non indica, se del caso, quali siano le misure adottate a questo proposito.
133.  La Corte rammenta comunque, a questo proposito, di avere dichiarato ripetutamente che, quando degli agenti dello Stato sono imputati per reati che implicano dei maltrattamenti, è importante che siano sospesi dalle loro funzioni durante l’istruzione o il processo e che, in caso di condanna, ne siano rimossi (si vedano, tra molte altre, Abdülsamet Yaman, sopra citata, § 55, Ali e Ayşe Duran, sopra citata, § 64, Çamdereli, sopra citata, § 38, Gäfgen, sopra citata, § 125, Cestaro, sopra citata, § 205, Erdal Aslan c. Turchia, nn. 25060/02 e 1705/03, §§ 74 e 76, 2 dicembre 2008, e Saba c. Italia, n. 36629/10, § 78, 1° luglio 2014).
134.  In conclusione, la Corte considera che i ricorrenti non abbiano beneficiato di una inchiesta ufficiale effettiva ai fini dell’articolo 3 della Convenzione. Pertanto, essa conclude che vi è stata violazione dell’elemento procedurale di tale disposizione.

III.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

135.  Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A.  Danno

136.  I ricorrenti dei ricorsi nn. 1442/14 e 21319/14 chiedono la somma di 150.000 EUR ciascuno per il danno materiale e morale che ritengono di avere subito, mentre i ricorrenti del ricorso n. 21911/14 (in particolare i ricorrenti indicati nell’allegato I ai numeri 2-7, 10-13 e 15-17 della lista corrispondente) si affidano al giudizio della Corte.
137.  Il Governo contesta queste pretese e critica l’importo richiesto dai ricorrenti, che considera sproporzionato, in particolare a causa dei versamenti già effettuati di somme provvisionali sui risarcimenti danni. A questo proposito, precisa che i ricorrenti hanno ottenuto delle indennità, a livello nazionale, di importi compresi tra 10.000 EUR e 15.000 EUR, e, in due casi, dell’importo di 70.000 EUR.
138.  La Corte osserva che i ricorrenti non hanno prodotto sufficienti elementi a sostegno delle loro richieste affinché potesse essere accertato il nesso di causalità necessario tra la violazione constatata e il danno materiale dedotto. Di conseguenza, respinge questa parte della domanda (Eğitim ve Bilim Emekçileri Sendikası e altri c. Turchia, n. 20347/07, § 116, 5 luglio 2016).
139.  Per quanto riguarda il danno morale, la Corte considera che i ricorrenti abbiano subito un pregiudizio morale certo a causa delle violazioni constatate. Tenuto conto delle circostanze della causa e, in particolare, del risarcimento già ottenuto a livello nazionale dai ricorrenti (Cestaro, sopra citata, § 251), la Corte, deliberando in via equitativa, ritiene doversi accordare a questo titolo alla sig.ra Menegon e al sig. Spingi la somma di 10.000 EUR (diecimila euro) ciascuno, ai ricorrenti dei ricorsi nn. 1442/14 e 21319/14 e ai ricorrenti indicati nell’allegato I ai numeri 2-7, 10, 12, 13, 16 e 17 della lista corrispondente al ricorso n. 21911/14 la somma di 70.000 EUR (settantamila euro) ciascuno.

B.  Spese

140.  I ricorrenti del ricorso n. 1442/14 hanno chiesto il rimborso delle spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte senza quantificarle. Pertanto, la Corte ritiene doversi rigettare le domande in tal senso. Quanto ai ricorrenti del ricorso n. 21319/14, essi non hanno formulato alcuna richiesta di rimborso delle spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte. La Corte ritiene pertanto non doversi accordare loro alcuna somma a questo titolo.
141.  I ricorrenti del ricorso n. 21911/14 chiedono la somma di 66.357,28 EUR a risarcimento delle spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte e producono a questo riguardo delle parcelle di vari avvocati che li hanno rappresentati. In particolare, distinguono le spese sostenute per l’assistenza degli avv. V. Onida e B. Randazzo, che si riferiscono al lavoro di studio, di redazione e di follow-up del ricorso presentato da tutti i ricorrenti, da quelle relative al lavoro di raccolta di informazioni effettuato dagli altri avvocati che hanno assistito uno o più ricorrenti.
142.  Per quanto riguarda questi ultimi, tenuto conto dei documenti in suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte considera in linea di principio ragionevole la somma richiesta per la procedura dinanzi ad essa.
143.  Per quanto riguarda gli avvocati Onida e Randazzo, i ricorrenti chiedono la somma di 17.001,92 EUR per le spese. Essi chiedono anzitutto 4.313,92 EUR a titolo di spese sostenute dallo studio. Inoltre, chiedono il rimborso degli onorari che intendono versare agli avvocati per la loro assistenza giuridica pro bono relativa alla redazione del ricorso e al seguito del procedimento. A questo titolo, «qualora la Corte accordi a titolo di equa soddisfazione una somma a ciascun ricorrente, che comprenda anche il rimborso degli onorari degli avvocati», i ricorrenti considerano ragionevole la somma complessiva di 12.688 EUR. Essi forniscono a questo proposito una parcella dello studio legale.
144.  Il Governo contesta queste pretese.
145.  Secondo i criteri posti dalla sua giurisprudenza quando si pronuncia sull’equa soddisfazione (articolo 41 della Convenzione), la Corte esamina una domanda di rimborso delle spese sostenute considerando che un ricorrente può ottenerne il rimborso solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità e il loro importo sia ragionevole (Dudgeon c. Regno Unito (articolo 50), 24 febbraio 1983, § 20, serie A n. 59, e Koudechkina c. Russia, n. 29492/05, § 109, 26 febbraio 2009).
146.  Nella fattispecie, la Corte osserva che i ricorrenti hanno allegato alla loro domanda i necessari documenti giustificativi (Sejdić e Finci c. Bosnia-Erzegovina [GC], nn. 27996/06 e 34836/06, §§ 64-66, CEDU 2009, Troubnikov c. Russia, n. 49790/99, §§100-104, 5 luglio 2005, Akoulinine e Babitch c. Russia, n. 5742/02, §§ 71-73, 2 ottobre 2008, Omojudi c. Regno Unito, n. 1820/08, §§ 58-60, 24 novembre 2009, Artyomov c. Russia, n. 14146/02, §§ 219-222, 27 maggio 2010, Shulenkov c. Russia, n. 38031/04, § 69-71, 17 giugno 2010 e Gheorghe Dima, sopra citata, § 117-119).
147.  Per quanto riguarda la complessità della causa, la Corte osserva che i ricorrenti sono di nazionalità diverse e che, per quanto riguarda la maggior parte di essi, non risiedono in Italia, il che ha richiesto un lungo lavoro di raccolta delle informazioni e della documentazione necessarie a sostegno del ricorso e un conseguente sforzo di coordinazione. Inoltre, dalla qualità e dall’ampiezza delle osservazioni presentate risulta che, a nome dei ricorrenti, è stato svolto un lavoro considerevole.
148.  Infine, per quanto riguarda la ragionevolezza dell’importo delle spese, la Corte osserva che i diciassette ricorrenti chiedono in totale la somma di 12.688 EUR per le spese, che corrisponde a circa 750 EUR ciascuno.
149.  In conclusione, fatti salvi i paragrafi seguenti, la Corte ritiene in linea di principio ragionevole la richiesta a titolo delle spese presentata dai ricorrenti per l’attività pro bono dei loro avvocati.
150.  Essa constata tuttavia che alcuni degli avvocati hanno accettato la proposta di composizione amichevole presentata dal governo convenuto (paragrafi 85-87 supra). Il testo della dichiarazione, formulata in maniera identica per ciascuno dei ricorrenti interessati, è così formulato nella sua parte pertinente al caso di specie:
«Il Governo ha proposto al ricorrente la somma di 45.000 EUR (quarantacinquemila euro) per il danno materiale e morale e per le spese, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dall’interessato, che ha rinunciato ad ogni altra pretesa nei confronti dell’Italia relativamente ai fatti all’origine del suo ricorso.»
151.  Pertanto, accettando la proposta di composizione amichevole, questi ricorrenti hanno rinunciato a qualsiasi pretesa relativa alle spese. Di conseguenza, la Corte decide doversi dedurre dall’importo complessivo la somma corrispondente ai ricorrenti che hanno accettato la proposta di composizione amichevole (Bartesaghi Gallo e altri, sopra citata, §§ 131-133).
152.  In conclusione, la Corte accorda ai ricorrenti del ricorso n. 21911/14 indicati nell’allegato I ai numeri 2-7, 10-13 e 15-17 della lista corrispondente la somma complessiva di 40.320 EUR a rimborso delle spese sostenute per il procedimento dinanzi ad essa (si veda l’allegato II per il dettaglio delle somme accordate ai ricorrenti).

C.  Interessi moratori

153.  La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,

  1. Decide di riunire i ricorsi;
  2. Decide di cancellare il ricorso dal ruolo, per quanto riguarda i ricorrenti del ricorso n. 21911/14 riportati nell’allegato I ai numeri 1, 8, 9 e 14 della lista corrispondente;
  3. Dichiara i ricorsi ricevibili;
  4. Dichiara che vi è stata violazione dell’elemento materiale dell'articolo 3 della Convenzione;
  5. Dichiara che vi è stata violazione dell’elemento procedurale dell’articolo 3 della Convenzione;
  6. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. 10.000 EUR (diecimila euro) ciascuno ai ricorrenti Menegon e Spingi, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale,
      2. 70.000 EUR (settantamila euro) a ciascuno dei ricorrenti dei ricorsi nn. 1442/14 e 21319/14 e dei ricorrenti del ricorso n. 21911/14 riportati nell’allegato I ai numeri 2-7, 10, 12, 13, 16 e 17 della lista corrispondente, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale,
      3. 40.320 EUR (quarantamilatrecentoventi euro) ai ricorrenti del ricorso n. 21911/14 riportati nell’allegato I ai numeri 2-7, 10-13 e 15-17 della lista corrispondente, più l’importo eventualmente dovuto dagli stessi a titolo di imposta, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
    7.  Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 26 ottobre 2017, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Abel Campos
Cancelliere

Linos-Alexandre Sicilianos
Presidente

1Giuliani e Gaggio c. Italia [GC], n. 23458/02, CEDU 2011 (estratti); si vedano anche «Relazione conclusiva dell’indagine parlamentare conoscitiva sui fatti del G8 di Genova» del 20 settembre 2001; la sentenza n. 3119/08 del tribunale di Genova, emessa il 14 luglio 2008 e depositata il 27 novembre 2008; la sentenza n. 4252/08 del tribunale di Genova, emessa il 13 novembre 2008 e depositata l’11 febbraio 2009; la sentenza n. 1530/10 della corte d’appello di Genova, emessa il 18 maggio 2010 e depositata il 31 luglio 2010; la sentenza n. 678/10 della corte d’appello di Genova, emessa il 5 marzo 2010 e depositata il 15 aprile 2011; la sentenza n. 38085/12 della Corte di cassazione, emessa il 5 luglio 2012 e depositata il 2 ottobre 2012.
 

ALLEGATO 1

Ricorso n. 1442/14 (presentato il 10/12/2013)
N. Nome e cognome Data di nascita Cittadinanza Luogo di residenza Rappresentato da
1.       Jonathan Norman Blair 31/03/1963 Britannica Londra Gilberto Pagani
2.       Daniel Mark
Thomas Mc QUILLAN
23/09/1965 Britannica Londra Gilberto Pagani
3.       Samuel BUCHANAN 02/06/1965 Neozelandese Paekakariki Gilberto Pagani


Ricorso n. 21319/14 (presentato il 06/03/2014)
N. Nome e nome Data di nascita Cittadinanza Luogo di residenza Rappresentato da
1. Massimiliano Mario Amodio 01/05/1970 Italiana Napoli Simonetta Crisci
2. Valerio Callieri 09/09/1980 Italiana Roma Simonetta Crisci
3. Raffaele Della Corte 01/02/1955 Italiana Ascoli Piceno Simonetta Crisci
4. Alfonso De Munno 17/08/1974 Italiana Roma Simonetta Crisci
5. David Morozzi 22/07/1978 Italiana Bevagna Simonetta Crisci
6. Maria Addolorata Morrone 28/10/1963 Italiana Taranto Simonetta Crisci
7. Sergio Pignatale 22/04/1956 Italiana Taranto Simonetta Crisci
8. Mohamed Tabbach 25/01/1954 Siriana Villa Stellone Simonetta Crisci


Ricorso n. 21911/14 (presentato il 10/03/2014)
N. Cognome e nome Data di nascita Cittadinanza Luogo di residenza Rappresentato da
1. Rosana ALLUEVA FORTEA 16/09/1980 Spagnola Monreal del Campo Valerio Onida
Barbara Randazzo
Emanuele Tambuscio
2. Stefan Bruer 24/07/1971 Tedesca Storkow Valerio Onida
Barbara Randazzo
Silvia Rocca
3. Roberto Raimondo Cuccadu 10/01/1953 Italiana Milano Valerio Onida
Barbara Randazzo
Fabio Taddei
4. David Moret Ferndandez 07/11/1971 Spagnola Lleida Valerio Onida
Barbara Randazzo
Emanuele Tambuscio
5. Chiara Germano 09/04/1980 Italiana Genova Valerio Onida
Barbara Randazzo
Laura Tartarini
6. Adolfo Sesma Gonzales 26/05/1970 Spagnola Saragozza Valerio Onida
Barbara Randazzo
Emanuele Tambuscio
7. Thorsten Hinrichsmeyer 04/06/1973 Tedesca Amburgo Valerio Onida
Barbara Randazzo
Sara Busoli
8. Cristiano Ighina 09/07/1964 Italiana Besano (Varese) Valerio Onida
Barbara Randazzo
Fabio Taddei
9. Boris Laconi 31/05/1974 Italiana Montoggio (Genova) Valerio Onida
Barbara Randazzo
Fabio Taddei
10. Felix Pablo Marquello 05/11/1965 Spagnola Saragozza Valerio Onida
Barbara Randazzo
Emanuele Tambuscio
11. Elisabetta Valentina Menegon 05/09/1966 Italiana Londra Valerio Onida
Barbara Randazzo
12. Angelo Passiatore 22/01/1978 Italiana Torino Valerio Onida
Barbara Randazzo
Fabio Taddei
13. Stephan Pfister 17/09/1980 Svizzera Gachnang Valerio Onida
Barbara Randazzo
Fabio Taddei
14. Benito Francisco Javier
Samperiz
14/05/1976 Spagnola Saragozza Valerio Onida
Barbara Randazzo
Emanuele Tambuscio
15. Massimiliano Spingi 09/05/1966 Italiana Roma Valerio Onida
Barbara Randazzo
Paolo A. Sodani
16. Kirsten Wagenschein 12/05/1968 Tedesca Berlino Valerio Onida
Barbara Randazzo
Laura Tartarini
17. Guillermina Garcia Zapatero 09/03/1974 Spagnola Torino Valerio Onida
Barbara Randazzo
Laura Tartarini

 

Allegato 2
Avvocati rappresentanti Ricorrenti rappresentati Importo totale da pagare2.
Avv. V. ONIDA
Avv. B. RANDAZZO
Tutti i ricorrenti del ricorso n. 21911/14 13.000 EUR
Avv. S. BUSOLI Thorsten Hinrichsmeyer 2.530 EUR
Avv. S. ROCCA Stefan BRAUER 2.530 EUR
Avv. P. A. SODANI Massimo SPINGI 2.530 EUR
Avv. F. TADDEI Roberto Raimondo Cuccadu 7.600 EUR
Cristiano Ighina
Boris Laconi
Angelo Passiatore
Stephan Pfister
Avv. L. TARTARINI Chiara Germano 7.600 EUR
Kirsten Wagenschein
Guillermina Zapatero Garcia
Avv. E. TAMBUSCIO Rosana Allueva Fortea 4.500 EUR
Felix Pablo Marquello
David Moret Ferndandez
Benito Francisco Javier Samperiz
Adolfo Sesma Gonzales

2Alcuni ricorrenti hanno accettato la proposta di composizione amichevole rinunciando a ogni pretesa relativa alle spese sostenute (paragrafo 85 supra).