Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo dell'8 gennaio 2013 - Ricorso n.4604/09 - Qama c. Albania e Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Daniela Riga, funzionario linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

QUARTA SEZIONE

CAUSA QAMA c. ALBANIA E ITALIA
(Ricorso n. 4604/09)

SENTENZA

STRASBURGO

8 gennaio 2013

 

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Qama c. Albania e Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (quarta sezione), riunita in una camera composta da:
Ineta Ziemele, presidente,
David ThórBjörgvinsson,
GuidoRaimondi,
PäiviHirvelä,
GeorgeNicolaou,
LediBianku,
Vincent A. De Gaetano, giudici,
e da Fatoş Aracı, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 4 dicembre 2012,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 4604/09) proposto contro la Repubblica di Albania con il quale un cittadino albanese, il sig. Flamur Qama («il ricorrente»), ha adito la Corte il 23 dicembre 2008 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Il governo albanese («il Governo») è stato rappresentato da E. Hajro e successivamente da L. Mandia, agenti dell’ufficio dell’Avvocatura dello Stato. Il governo italiano è stato rappresentato da N. Lettieri e successivamente da P. Accardo, co-agenti.

3. Il ricorrente sosteneva, in particolare, che la mancata tutela da parte delle autorità albanesi e italiane del diritto alle relazioni personali con il figlio in Italia avesse costituito una violazione degli articoli 6 § 1 e 8 della Convenzione.

4. Il 21 settembre 2009 il ricorso è stato comunicato al Governo convenuto. Come consentito dall'articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata contestualmente sulla ricevibilità e sul merito della causa.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. Il ricorrente è nato nel 1960 e risiede a Durazzo. Ha un figlio nato il 25 agosto 1994 che ha attualmente 18 anni.

6. Nel settembre del 1999 la defunta moglie del ricorrente, che soffriva di una grave malattia, entrò in Italia irregolarmente, insieme al figlio, per sottoporsi a cure mediche. In una data non precisata il ricorrente si ricongiunse con la moglie e il figlio in Italia.

7. In una data non precisata di agosto o settembre 2002, a seguito di contrasti con i suoi parenti acquisiti, il ricorrente venne espulso dall’Italia in quanto non era in possesso di un permesso di soggiorno. Pur non avendo ancora regolato la loro situazione, la moglie e il figlio rimasero in Italia. La moglie morì il 7 ottobre 2002.

A. Procedimento per l’affidamento in Italia

8. Il 17 ottobre 2002, la cognata del ricorrente, Z., presentò una richiesta al tribunale per i minorenni di Ancona («il tribunale italiano»), al fine di ottenere l’affidamento del figlio del ricorrente.

9.  Il 30 dicembre 2002 una relazione della a.s.l. affermò che il figlio temeva di tornare a vivere con il padre a causa dei presunti maltrattamenti subiti dalla defunta madre. La relazione evidenziava inoltre che il padre aveva abbandonato la moglie e il figlio improvvisamente, nel momento in cui essi avevano maggiormente bisogno di lui.

10. Il 4 giugno 2003 il tribunale italiano accolse la richiesta di Z., concedendole l’affidamento del figlio del ricorrente, sotto la vigilanza del Servizio Sociale del Comune di Senigallia (affida il minore alla zia ... sotto la vigilanza del Servizio Sociale del Comune di Senigallia...). Nominò inoltre il Sindaco di Senigallia tutore provvisorio del minore. Il tribunale dichiarò sospesa la potestà dei genitori sulla base del fatto che essi avevano permesso al minore di lasciare l’Albania senza aver considerato le gravi difficoltà che si sarebbero presentate successivamente. Proibì inoltre l’allontanamento del minore dal territorio italiano. Assegnò al Servizio Sociale Internazionale («SSI» una O.N.G.) il compito di condurre un’indagine sulla situazione familiare del ricorrente. Non fu prevista alcuna disposizione relativa al diritto del ricorrente alle visite o alle relazioni personali con il figlio.

11. Il 25 settembre 2003 il SSI, dopo aver provato a mettersi in contatto con il ricorrente, informò il tribunale italiano che quest’ultimo si era rifiutato di partecipare al colloquio propostogli, richiedendo semplicemente che gli fosse restituito il figlio. A seguito di contatti con i vicini, il SSI dichiarò che il ricorrente si era risposato e che sua moglie aspettava un bambino. Non avendo un lavoro, egli era mantenuto dalla moglie.

12. Il 22 marzo 2004 i servizi sociali italiani consegnarono al tribunale un aggiornamento sul figlio del ricorrente. Per quella data, la posizione del minore in Italia era stata regolarizzata e la sua situazione sembrava essere equilibrata.

13. Con nota del 4 aprile 2005 il Ministero della Giustizia italiano informò il ricorrente delle disposizioni operative contenute nella decisione del 4 giugno 2003 e gli fornì un aggiornamento sul figlio alla data del 6 novembre 2004. Il ricorrente fu inoltre informato della possibilità di presentare un ricorso avverso tale decisione presso la corte di appello italiana, avvalendosi dell’assistenza di un avvocato.

14. Il 21 dicembre 2005 la nota venne tradotta e certificata, alla presenza del ricorrente, da un notaio albanese.
15. In una dichiarazione del 15 gennaio 2007 dinanzi al tribunale italiano, il figlio del ricorrente affermò di non avere avuto contatti né di aver visto il ricorrente per diversi anni. Non desiderava parlare per telefono con il padre in quanto asseriva di aver subito maltrattamenti da parte sua in passato.

16. Il 7 dicembre 2007 il figlio del ricorrente confermò al tribunale italiano la dichiarazione resa il 15 gennaio 2007.

B. I tentativi del ricorrente di avere contatti con il figlio in Italia

17. In una nota recante una data non precisata, inviata per raccomandata e registrata sul protocollo del tribunale italiano il 22 gennaio 2007, il ricorrente affermò che i suoi parenti acquisiti avevano sottratto suo figlio e che egli non aveva contatti con lui. Affermò che, senza il suo preventivo consenso, il figlio era stato affidato alla zia e richiese dunque l’assistenza delle autorità italiane per ristabilire le relazioni con il minore.

18. Con una nota, inviata per raccomandata e registrata sul protocollo del tribunale italiano il 22 febbraio 2007 e firmata dall’avvocato albanese del ricorrente, questi chiese che le autorità italiane dessero esecuzione alla decisione del Tribunale Distrettuale di Durazzo del 30 giugno 2006 (paragrafo 26 infra), con la quale veniva riconosciuto il suo diritto di visita al figlio. Visto che non poteva recarsi in Italia, il ricorrente chiese al tribunale italiano di permettere al figlio di andare in Albania, come disposto dalla decisione del tribunale albanese. Affermò di avere un reddito mensile pari a 700 euro, di vivere in un appartamento di 70 metri quadrati che offriva una sistemazione adeguata, di non avere precedenti penali, e di nutrire immutati e ininterrotti sentimenti di affetto nei confronti del figlio; asseriva inoltre che i suoi tentativi di avere relazioni con il figlio si erano scontrati con l’irremovibile rifiuto della zia. Il ricorrente inoltre affermò che la sua richiesta era volta all’esercizio del diritto alle relazioni personali con il figlio riconosciutogli dal tribunale albanese con decisione del 30 giugno 2006, relazioni che comprendevano contatti telefonici liberi con il minore o qualsiasi altro tipo di contatto considerato adeguato dal tribunale italiano. Egli chiedeva inoltre che il figlio venisse affidato ai servizi sociali italiani. Tuttavia, non richiedeva il definitivo ritorno del figlio in Albania. Non venne presentata alla segreteria del tribunale italiano alcuna procura.

19.  Risulta che il 15 novembre 2007 il ricorrente, in virtù di quanto disposto dalla Convenzione sulla sottrazione dei minori dell’Aja e dalla Convenzione sulla competenza dell’Aja (paragrafi 36-43 infra), chiese al Ministero della giustizia italiano di avviare il procedimento per il riconoscimento della sentenza del tribunale albanese del 30 giugno 2006 e del suo diritto alle relazioni personali con il figlio.

C. Procedimento relativo al ritorno e all’illecito trattenimento del figlio del ricorrente in Albania

20. Il 27 novembre 2002 il ricorrente presentò una denuncia al Tribunale Distrettuale di Durazzo («il Tribunale Distrettuale»), ai sensi dell’articolo 127 del codice penale («CP») e dell’articolo 59 del codice di procedura penale («CPP»), richiedendo il ritorno del figlio che era stato, a suo dire, trattenuto illecitamente in Italia.

21. Il 13 gennaio 2003 il Tribunale Distrettuale decise di archiviare il caso (vendosi pushimin e çështjes) sulla base del fatto che la denuncia del ricorrente non era comprovata.

22. Il 7 ottobre 2003 il ricorrente presentò una ulteriore denuncia presso il Tribunale Distrettuale accusando i suoi parenti acquisiti di illecito trattenimento di minore in violazione dell’articolo 127 del CP.

23. Il 29 dicembre 2004 il Tribunale Distrettuale dichiarò i parenti acquisiti del ricorrente colpevoli del reato loro ascritto e li condannò, Z. compresa, al pagamento di una multa. Tale decisione venne confermata dalla corte di appello e dal Tribunale Supremo nel 2005 e nel 2007 solo per quanto riguardava Z. Il procedimento si svolse in assenza di Z. che formalmente era assistita da un avvocato. Non si menzionava in alcun modo la decisione del tribunale italiano del 4 giugno 2003 (paragrafo 10 supra).

24. L’11 aprile 2008, a seguito di una ulteriore denuncia presentata dal ricorrente ai sensi dell’articolo 127 del codice penale e dell’articolo 59 del CPP, il Tribunale Distrettuale archiviò la denuncia. Pur avendo notificato a Z. il procedimento attraverso il Ministero della Giustizia italiano, il tribunale ritenne che Z. fosse già stata processata una volta e ritenuta colpevole dello stesso reato, relativamente al quale aveva goduto di un’amnistia (paragrafo 23 supra). Basandosi sulla decisione del tribunale italiano del 4 giugno 2003, il Tribunale Distrettuale decise che Z. non era stata coinvolta in alcun illecito allontanamento del minore.

25. Tuttavia, il 3 marzo 2009 il Tribunale Distrettuale ritenne Z. colpevole del reato di trattenimento illecito di minore ai sensi dell’articolo 127 del CP e la condannò al pagamento di una multa. La decisione affermava anche che, sebbene Z. tornasse in Albania ogni estate, rifiutava deliberatamente di portare con sé il figlio del ricorrente, in violazione della decisione del tribunale del 30 giugno 2006 (paragrafo 26 infra), al fine di recidere completamente il vincolo affettivo tra il ricorrente e il figlio. Z. non era presente durante il procedimento, nel quale era rappresentata da un avvocato di sua scelta.

D. Procedimento relativo all’instaurazione delle relazioni personali con il minore in Albania

26. Il 30 giugno 2006, a seguito della denuncia del ricorrente, il Tribunale Distrettuale accolse la sua richiesta di incontrare il figlio. Ordinò a Z. di permettere al ricorrente di vedere il minore almeno due volte l’anno, tra il 1° e il 15 agosto e tra il 27 dicembre e il 6 gennaio. Z. non era presente durante il procedimento che le venne notificato tramite avviso pubblico. Non si menzionava in alcun modo la decisione del tribunale italiano del 4 giugno 2003 (paragrafo 10 supra). La parte rilevante della decisione recita quanto segue:

«Il richiedente  è stato informato del fatto che il figlio è trattato molto bene dalla zia, la convenuta [in questa fase del procedimento]; il minore frequenta la scuola ottenendo buoni risultati. Motivato da sentimenti paterni, il ricorrente inizialmente e senza avere piena coscienza della situazione aveva richiesto l’allontanamento del figlio dalla convenuta.

Nel corso del procedimento, anteponendo l’interesse del figlio, si è limitato a chiedere al tribunale di emettere una decisione che sancisse il suo diritto di avere relazioni personali con il minore. Ha presentato una dichiarazione al tribunale nella quale afferma di disporre di un buono stipendio, di aver trovato una nuova famiglia e di avere una casa e un figlio dal suo secondo matrimonio.

Ai sensi dell’articolo 155 del diritto di famiglia, il tribunale ha richiesto l’intervento di un assistente sociale. In applicazione dell’articolo 255 del diritto di famiglia la richiesta deve essere accolta e deve essere tutelato il suo diritto di incontrare il figlio, del quale si prende cura la zia, durante le vacanze scolastiche.»

27. Il 27 novembre 2006 venne emesso un decreto di esecuzione della decisione del Tribunale Distrettuale. L’ufficiale giudiziario locale venne incaricato della sua esecuzione.

28. Il 24 luglio 2008 il Tribunale Distrettuale respinse la richiesta del ricorrente volta al riconoscimento delle decisioni del 29 dicembre 2004 e del 30 giugno 2006 sulla base della Convenzione sulla sottrazione di minori dell’Aja e della Convenzione sulla competenza dell’Aja con la motivazione che tali decisioni erano direttamente applicabili in Albania.

29. Il 3 marzo 2009 il Tribunale Distrettuale ordinò a Z. di permettere al ricorrente di incontrare il figlio. La decisione affermava che al ricorrente non poteva essere negato tale diritto in quanto non gli era stata revocata la potestà genitoriale. Tuttavia, affermava anche che il ricorrente avrebbe dovuto trovare i mezzi legali per garantire l’applicazione di tale sentenza, visto che il tribunale si trovava nell’impossibilità di assicuragli che gli sarebbe stato concesso un visto per l’Italia e che pertanto avrebbe potuto recarsi in tale paese. Archiviò il procedimento relativamente alla richiesta del ricorrente di far tornare il figlio, visto che il ricorrente aveva ritirato tale istanza.

E. La corrispondenza del ricorrente con le istituzioni albanesi

30.  Dal 2003 al 2009 il ricorrente richiese l’assistenza delle competenti autorità albanesi (il Ministero dell’Interno, il Ministero della Giustizia, il Ministero degli Affari Esteri, l’Ombudsman (Avokati i Popullit), l’Ufficio del Primo Ministro e l’Ufficio del Presidente) per far rispettare il suo diritto alle relazioni personali con il figlio.

31. Il 6 luglio 2005 l’Ufficio del Procuratore Generale chiese l’assistenza dell’Ufficio della Missione italiana interforze di Polizia in Albania («l’Interforze»), relativamente alla situazione del figlio del ricorrente in Italia. L’8 luglio 2005 l’Interforze informò l’Ufficio del Procuratore Generale della sentenza del tribunale italiano del 2003.

32. Nel settembre 2006 il Ministero dell’Interno affermò che non rientrava nella sua giurisdizione assicurare il ritorno del minore in Albania o accogliere altre richieste presentate dal ricorrente in quanto il minore era stato affidato a Z. sulla base di una decisione di un tribunale italiano.

33. Nel 2002, 2006 e 2008 il Ministero degli Affari Esteri informò il ricorrente che il consolato albanese a Milano era stato incaricato di seguire il suo caso.

34. Il 29 gennaio 2009, a seguito di una richiesta di informazioni presentata dall’Ombudsman sul caso del ricorrente, il Ministero della Giustizia rispose, per quanto rilevante, come segue:

«il Ministero della Giustizia ha avuto frequenti contatti con [il Sig. Qama] e ha espresso il desiderio di trovare una soluzione al problema. Egli ha chiesto al Ministero della Giustizia di dare esecuzione alla decisione del Tribunale Distrettuale di Durazzo del 30 giugno 2006. Il Ministero della Giustizia, insieme alla Direzione per gli ufficiali giudiziari, ha ripetutamente informato il sig. Qama che non sussistono fondamenti giuridici per richiedere alle autorità italiane di riconoscere e dare esecuzione alla decisione di un tribunale civile albanese, visto che l’Albania non è parte di alcun accordo internazionale che regolamenta il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni dei tribunali civili albanesi. ... Il Ministero della Giustizia ha proposto al sig. Qama di chiedere informazioni al Ministero degli Affari Esteri (e ka orientuar Z. Qama që t’i drejtohet Ministrisë së Punëve të Jashtme).

35. Il 16 febbraio 2009 il ricorrente venne informato della risposta del Ministero della Giustizia.

II. IL DIRITTO INTERNAZIONALE PERTINENTE

A. La Convenzione del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori («la Convenzione sulla sottrazione di minori dell’Aja»)

36.  La Convenzione sulla sottrazione di minori dell’Aja è entrata in vigore per l’Albania il 1 agosto 2007 e per l’Italia il 1 maggio 1995. Ai sensi dell’articolo 1, essa ha il duplice obiettivo:

  1. «di assicurare l'immediato rientro dei minori illecitamente trasferiti o trattenuti in qualsiasi Stato Contraente; e
  2. di assicurare che i diritti di affidamento e di visita previsti in uno Stato Contraente siano effettivamente rispettati negli altri Stati Contraenti.»

37. Ai sensi dell’articolo 5 il «diritto di affidamento» comprende i diritti concernenti la cura della persona del minore, ed in particolare il diritto di decidere riguardo al suo luogo di residenza; e il «diritto di visita» comprende il diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo.

38. Per gli adempimenti di cui alla Convenzione dell’Aja sulla sottrazione di minori viene nominata una autorità centrale in conformità con l’articolo 6. Per l’Albania è stato nominato come autorità centrale il Ministero della Giustizia, Dipartimento per il diritto di famiglia e dei minori, e per l’Italia è stato nominato come autorità centrale il Ministero della Giustizia, Dipartimento per la Giustizia Minorile.

39. Ai sensi dell’articolo 7, sia direttamente, o tramite qualsivoglia intermediario, l’autorità centrale è incaricata di prendere provvedimenti, atti a conseguire i seguenti obiettivi della Convenzione sulla sottrazione dei minori dell’Aja:

  1. «per localizzare un minore illecitamente trasferito o trattenuto;
  2. per impedire nuovi pericoli per il minore o pregiudizi alle parti interessate, adottando a tal scopo o facendo in modo che vengano adottate, misure provvisorie;
  3. per assicurare la consegna volontaria del minore, o agevolare una composizione amichevole;
  4. per scambiarsi reciprocamente, qualora ciò si riveli utile, le informazioni relative alla situazione sociale del minore;
  5. per fornire informazioni generali concernenti la legislazione del proprio Stato, in relazione all'applicazione della Convenzione;
  6. per avviare o agevolare l'instaurazione di una procedura giudiziaria o amministrativa, diretta ad ottenere il rientro del minore e, se del caso, consentire l'organizzazione o l'esercizio effettivo del diritto di visita;
  7. per concedere o agevolare, qualora lo richiedano le circostanze, l'ottenimento dell'assistenza giudiziaria e legale, ivi compresa la partecipazione di un avvocato;
  8. per assicurare che siano prese, a livello amministrativo, le necessarie misure per assicurare, qualora richiesto dalle circostanze, il rientro del minore in condizioni di sicurezza;
  9. per tenersi reciprocamente informate riguardo al funzionamento della Convenzione, rimuovendo, per quanto possibile, ogni eventuale ostacolo riscontrato nella sua applicazione.»

40. L’articolo 8 riconosce alla persona il diritto di rivolgersi sia all'autorità centrale della residenza abituale del minore, sia a quella di ogni altro Stato Contraente per assicurare il ritorno del minore che è stato trasferito o trattenuto in violazione di un diritto di affidamento.

41. L’articolo 21 riconosce alla persona il diritto di presentare una domanda concernente la tutela dell’esercizio effettivo del diritto di visita con le stesse modalità di quelle previste per la domanda di rientro del minore. Afferma che:

«Una domanda concernente l'organizzazione o la tutela dell'esercizio effettivo del diritto di visita, può essere inoltrata all'autorità centrale di uno Stato Contraente con le stesse modalità di quelle previste per la domanda di rientro del minore.

Le autorità centrali sono vincolate dagli obblighi di cooperazione di cui all'articolo 7, al fine di assicurare un pacifico esercizio del diritto di visita, nonché l'assolvimento di ogni condizione cui l'esercizio di tale diritto possa essere soggetto. Le autorità centrali faranno i passi necessari per rimuovere, per quanto possibile, ogni ostacolo all'esercizio di detti diritti.

Le autorità centrali, sia direttamente, sia per il tramite di intermediari, possono avviare, o agevolare, una procedura legale al fine di organizzare o tutelare il diritto di visita e le condizioni cui l'esercizio di detto diritto di visita possa essere soggetto.»

42. Per quanto riguarda l’articolo 21, la Relazione esplicativa di Elisa Pérez-Vera sulla redazione della Convenzione dell’Aja sulla sottrazione dei minori, consultabile sul sito http://www.hcch.net/upload/expl28.pdf, afferma, nelle parti rilevanti, quanto segue:

«...è necessario riconoscere che la Convenzione non cerca di regolamentare il diritto di visita in modo esaustivo; ciò andrebbe indubbiamente ben oltre gli obiettivi della Convenzione. Invero, sebbene l’attenzione che è stata posta sul diritto di visita sia la conseguenza della convinzione che esso sia il normale corollario del diritto di affidamento, al livello della Convenzione è sufficiente che sia semplicemente garantita la cooperazione tra le autorità centrali per quanto riguarda la sua organizzazione e la tutela del suo effettivo esercizio.»

B. La Convenzione del 19 ottobre 1996 concernente la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di potestà genitoriale e di misure di protezione dei minori («la Convenzione sulla competenza dell’Aja»).

43. La Convenzione sulla competenza dell’Aja è entrata in vigore in Albania il 1 aprile 2007. L’Italia ha sottoscritto la Convenzione sulla competenza dell’Aja il 1° aprile 2003, ma alla data attuale essa non è ancora stata ratificata. Il suo scopo è quello di stabilire norme comuni per quanto concerne la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento e l'esecuzione in materia di misure di protezione dei minori.

C. Convenzione del Consiglio d’Europa sulle relazioni personali relative ai minori («la Convenzione sulle relazione personali – CETS n. 192)

44. La Convenzione sulle relazioni personali è entrata in vigore in Albania il 1° settembre 2005. L’Italia ha sottoscritto la Convenzione sulle relazioni personali il 15 maggio 2005, ma alla data attuale essa non è ancora stata ratificata. I suoi obiettivi sono quelli di definire i principi generali da applicare alle decisioni relative alle relazioni personali, di stabilire misure di tutela e di garanzie adeguate per assicurare un giusto esercizio del diritto alle relazioni personali e il rientro immediate dei minori alla fine del periodo di visita e di instaurare una cooperazione tra le autorità centrali, le autorità giudiziarie e gli altri organi al fine di promuovere e migliorare le relazioni personali tra i minori e i loro genitori e altre persone aventi legami familiari con i minori.

III.  IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

A.  Il diritto interno albanese

1.  La Costituzione dell’Albania

45. L’articolo 122 prevede che un «accordo internazionale che è stato ratificato, diventa parte dell’ordinamento giuridico interno…». Tale accordo internazionale è direttamente applicabile e, in caso di conflitto, prevale sulla legislazione interna.

46. L’articolo 142 § 3 prevede che «le autorità dello Stato devono ottemperare alle decisioni giudiziarie».

2.  Diritto di Famiglia

47. L’articolo 218 del Diritto di Famiglia prevede che «i genitori possono richiedere al tribunale di assicurare il rientro del figlio minore quando egli non vive con loro o è stato illecitamente trattenuto da altre persone.»

3.  Codice penale

48. L’articolo 127 del CP sanziona l’illecito allontanamento del minore da, inter alia, la persona che esercita la potestà genitoriale come un reato minore (kundërvajtje penale) punibile con una multa o una pena di sei mesi di reclusione.

4.  Codice di procedura penale (CPP)

49. L’articolo 59 del CPP stabilisce che una vittima (i dëmtuari akuzues) può presentare una querela e chiedere un risarcimento ad una persona che ha commesso uno dei reati in esso previsti.

50. L’articolo 467 del CPP prevede che gli ufficiali giudiziari diano esecuzione alle decisioni del tribunale che dispongano l’imposizione di una multa.

B.  Il diritto interno italiano

1.   Codice civile

51. L’articolo 330 del codice civile prevede:

«Il giudice può pronunziare la decadenza della potestà quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio.
In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare.»

52. L’articolo 332 del codice civile recita:

«Il giudice può reintegrate nella potestà il genitore che ne è decaduto, quando, cessate le ragioni per le quali la decadenza è stata pronunciata, è escluso ogni pericolo di pregiudizio per il figlio.»

53. La Legge n. 149 del 28 marzo 2001 ha emendato talune previsioni del Libro I, Titolo VIII, del codice civile e della Legge n. 184/1983. L’articolo 333 del codice civile, come emendato dall’articolo 37(2) della Legge n. 149/2001, prevede:

«Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall’articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole per il figlio, il giudice, secondo le circostanze può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l’allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.

Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento.»

54. L’articolo 336 del codice civile come emendato dall’articolo 37(3) della stessa legge, prevede:

«I provvedimenti indicati negli articoli precedenti sono adottati su ricorso dell’altro genitore, dei parenti o del pubblico ministero e, quando si tratta di revocare deliberazioni anteriori, anche dal genitore interessato.
Il tribunale provvede in camera di consiglio assunte informazioni e sentito il pubblico ministero. Nei casi in cui il provvedimento è richiesto contro il genitore, questi deve essere sentito.

In caso di urgente necessità il tribunale può adottare, anche di ufficio, provvedimenti temporanei nell’interesse del figlio.

Per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori  e il minore sono assistiti da un difensore, anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge.»

55. L’articolo 337 del codice civile recita:

«Il giudice tutelare deve vigilare sull’osservanza delle condizioni che il tribunale abbia stabilito per l’esercizio della potestà e per l’amministrazione dei beni.»

56. Le decisioni dei tribunali per i minorenni ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile sono provvedimenti di volontaria giurisdizione, non sono definitive e possono dunque essere revocate in qualsiasi momento. Non è prevista una istanza di appello avverso tali decisioni, ma entrambe le parti interessate possono presentare un reclamo alla corte di appello per un riesame della situazione che ha portato alla decisione.

2.  Codice di procedura civile

57. L’articolo 125 del codice di procedura civile recita quanto segue:

«Salvo che la legge disponga altrimenti, la citazione, il ricorso, la comparsa, il controricorso, il precetto debbono indicare l’ufficio giudiziario, le parti, l’oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o la istanza, e, tanto nell’originale quanto nelle copie da notificare, debbono essere sottoscritti dalla parte se essa sta in giudizio personalmente, oppure dal difensore.»

IN DIRITTO

I.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

58. Il ricorrente lamenta che le autorità albanesi e italiane non hanno tutelato il suo diritto alle relazioni personali con il figlio in violazione degli articoli 6 § 1 e 8 della Convenzione.

59. Per quanto riguarda la qualificazione giuridica dei fatti della causa, la Corte ritiene più opportuno esaminare la doglianza ai sensi del solo articolo 8 della Convenzione. Anche se tale articolo non contiene precisi requisiti procedurali, richiede che il processo decisionale che ha determinato misure di ingerenza debba essere giusto e garantisca il debito rispetto degli interessi tutelati da tale articolo (si veda Šneersone e Kampanella c. Italia, n. 14737/09, § 56, 12 luglio 2011).

60. L’articolo 8 della Convenzione recita quanto segue:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

A.  Sulla ricevibilità

1. Per quanto concerne l’Italia

61. Il governo italiano sostiene che il ricorrente non abbia esaurito le vie di ricorso interne. In primo luogo, ai sensi dell’articolo 125 del codice di procedura civile e degli articoli 332, 333 e 336 del codice civile, avrebbe dovuto richiedere l’annullamento della decisione resa dal tribunale italiano il 4 giugno 2003 o interporre appello avverso la stessa. Successivamente, visto che il ricorrente lamentava il rifiuto del tutore o il rifiuto del figlio di avere contatti con lui, avrebbe dovuto rivolgersi al giudice tutelare ai sensi dell’articolo 337 del codice civile.

62. Il ricorrente non ha presentato osservazioni al riguardo.

63. Un ricorrente deve rispettare le norme e le procedure del diritto interno applicabili: in caso contrario il ricorso presentato alla Corte può confliggere con le condizioni previste dall’articolo 35 (Ben Salah Adraqui e Dhaime c. Spagna (dec.), n. 45023/98, 27 aprile 2000). Nel caso di specie, la Corte ritiene che le note del 22 gennaio e del 22 febbraio 2007 non possono equivalere a una azione legale volta o all’annullamento della decisione del tribunale italiano del 4 giugno 2003 o a presentare un appello avverso tale decisione. Inoltre, tali note non avevano rispettato i requisiti di diritto interno, in particolare, non avevano rispettato quanto previsto dall’articolo 125 del codice di procedura civile italiano essendo firmate da un avvocato albanese che non risultava avere una procura conferitagli dal ricorrente (paragrafo 18 supra).

64. In tali circostanze, la doglianza del ricorrente contro l’Italia deve essere rigettata in quanto non sono state esaurite le vie di ricorso interne ai sensi dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione. La Corte, tuttavia, osserva che nulla impedisce al ricorrente di avvalersi delle vie di ricorso previste dall’ordinamento italiano, visto che le decisioni dei tribunali per i minorenni italiani non sono definitive e possono essere revocate in ogni momento (paragrafo 56 supra).

2.  Per quanto concerne l’Albania

(a)  Rispetto del requisito dei sei mesi

65. Il Governo albanese sostiene che il ricorso sia tardivo visto che la decisione definitiva è stata adottata il 30 giugno 2006.

66. Il ricorrente non ha presentato osservazioni al riguardo.

67. Ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione «La Corte non può essere adita se non …entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva.» Il requisito dei sei mesi non si applica alle situazioni che danno adito a una violazione continuata dei diritti sanciti dalla Convenzione (si veda, inter alia, Iordache c. Romania, n. 6817/02, § 50, 14 ottobre 2008).

68. Nel caso di specie, il ricorrente sta ancora cercando di far rispettare il suo diritto alle relazioni personali con il figlio riconosciutogli dal tribunale albanese. Tra il 2006 e il 2009 ha ripetutamente richiesto che venisse data esecuzione alla decisione del 30 giugno 2006 richiedendo l’assistenza del governo competente e delle altre istituzioni (paragrafi 32-35 supra). In considerazione di quanto sopra e con riguardo alle particolari circostanze del caso di specie, la Corte ritiene che non si ponga alcuna questione riguardo al rispetto del termine di sei mesi e, di conseguenza, respinge l’obiezione del Governo.

(b)  Rispetto del requisite dell’esaurimento delle vie di ricorso interne

69. Il Governo albanese sostiene che il ricorrente non abbia esaurito le vie di ricorso interne. Non ha presentato alcuna denuncia ai sensi dell’articolo 59 del codice di procedura penale («CPP») né ha esaurito le vie di ricorso come previsto dalla Convenzione sulle relazioni personali e dalla Convenzione sulla sottrazione dei minori dell’Aja.

70. Il ricorrente non ha presentato osservazioni al riguardo.

71. La Corte osserva che a un ricorrente viene richiesto di avvalersi di vie di ricorso sufficientemente certe non solo in teoria ma anche in pratica, poiché in caso contrario esse difetterebbero della necessaria accessibilità ed efficacia (si veda Bajrami c. Albania, n. 35853/04, § 39, CEDU 2006 XIV (estratti)).

72. Nel caso di specie il ricorrente ha presentato due denunce ai sensi dell’articolo 59 del CPP senza ottenere esito positivo (paragrafi 20 e 24 supra). Con riguardo all’esito delle precedenti denunce, la Corte ritiene che ogni ulteriore denuncia che il ricorrente avesse presentato ai sensi dell’articolo 59 del CPP, come indicato dal Governo, non avrebbe avuto ragionevoli prospettive di successo.

73. Inoltre, anche se la Convenzione sulla sottrazione dei minori dell’Aja e la Convenzione sulle relazioni personali fornivano il fondamento giuridico interno perché il ricorrente presentasse un’altra denuncia, la Corte osserva che quando una via di ricorso è stata esperita, non è richiesto l’esaurimento di un’altra via di ricorso avente essenzialmente lo stesso oggetto (si veda, inter alia, Micallef c. Malta [GC], n. 17056/06, § 58, CEDU 2009). Nel caso di specie, il ricorrente aveva già ottenuto una decisione definitiva di un tribunale albanese a suo favore riguardo il suo diritto alle relazioni personali con il figlio (paragrafo 26 supra).

74. Ne consegue che la doglianza del ricorrente non può essere respinta per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne e che l’obiezione del Governo albanese deve pertanto essere rigettata.

(c)  Conclusioni

75. La Corte constata che la doglianza del ricorrente contro l’Albania non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione. Osserva peraltro che essa non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararla ricevibile.

B.  Sul merito

1.  Argomenti delle parti

(a)  Il ricorrente

76. Il ricorrente sostiene che vi sia stata una violazione dell’articolo 8 della Convenzione in quanto le autorità albanesi non hanno tutelato l’esercizio del suo diritto alle relazioni personali con il figlio.

(b)  Il Governo

77. Il Governo albanese ha inizialmente sostenuto che, visto che la decisione dei genitori di recarsi in Italia nel settembre del 1999 insieme al figlio è stata una decisione condivisa, non si è verificata alcuna illecita sottrazione del figlio del ricorrente. Nel procedimento interno in Albania, pur accettando che il figlio continuasse ad essere affidato alla zia, il ricorrente richiedeva al tribunale interno di far rispettare il suo diritto di visita nei confronti del figlio. Le autorità avevano adottato tutte le misure procedurali, in particolare attraverso i canali diplomatici, per tutelare tale diritto. L’ordine di esecuzione era stato registrato presso l’ufficiale giudiziario, ma la sua esecuzione era oggettivamente impossibile visto che il minore si trovava al di fuori della giurisdizione albanese. Le autorità avevano cercato di ottenere informazioni sulla localizzazione e sullo stato di salute del minore nel 2004 e invitato il ricorrente a presentare una richiesta all’Autorità Centrale designata ai sensi della Convenzione sulla sottrazione di minori dell’Aja.

78. Per quanto riguarda la decisione del 3 marzo 2009, il Governo albanese ha affermato che i tribunali interni hanno concesso al convenuto un termine di due anni per dare adempimento a tale decisione. Visto che tale termine non era scaduto il 6 novembre 2009, momento in cui ha presentato le osservazioni, il Governo asseriva che non si poneva alcuna questione di mancata applicazione. Inoltre, la legislazione interna offriva altri mezzi giuridici, in particolare la mediazione e la conciliazione, per la soluzione di tali controversie.

2.  Valutazione della Corte

79. La Corte osserva che il godimento della reciproca compagnia da parte di genitori e figli costituisce un elemento fondamentale della «vita familiare» ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione (si veda, inter alia, Eberhard e M. c. Slovenia, n. 8673/05 e 9733/05, § 125, 1 dicembre 2009).

80. Sebbene l’obiettivo principale dell’articolo 8 sia quello di proteggere la persona contro l’ingerenza ingiustificata delle autorità pubbliche, vi sono, in aggiunta, obblighi positivi inerenti l’efficace «rispetto» della vita familiare (si veda, tra le altre, Maumousseau e Washington c. Francia, n. 39388/05, § 83, 6 dicembre 2007). In entrambi i casi si deve avere riguardo al giusto equilibrio da mantenere tra gli interessi concorrenti della persona e della comunità nel suo insieme; in entrambe le ipotesi lo Stato gode di un certo margine di apprezzamento (si veda, tra le altre, Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 94, CEDU 2000 I).

81. Nell’effettuare questo esercizio di equilibrio, la Corte conferisce particolare importanza all’interesse del minore, che, a seconda della sua natura e complessità, può avere la precedenza su quello del genitore. In particolare, a un genitore non possono essere riconosciuti diritti ai sensi dell’articolo 8 che potrebbero danneggiare la salute e lo sviluppo del minore (si vedano, per esempio, Sommerfeld c. Germania [GC], n. 31871/96, § 64, CEDU 2003 VIII (estratti); e Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 134, CEDU 2010).

82. Tornando ai fatti del caso di specie, il 30 giugno 2006 il tribunale albanese ha accolto la richiesta del ricorrente di vedere suo figlio due volte all’anno e ha ordinato a Z. di dare adempimento a tale decisione. È stato emesso un decreto di esecuzione e l’ufficiale giudiziario è stato incaricato di assicurarsi dell'adempimento dello stesso. La Corte osserva che, da una parte, la decisione del 30 giugno 2006 del tribunale albanese non era sufficientemente chiara quanto al modo in cui si dovevano svolgere le relazioni tra il ricorrente e il figlio e, dall’altra, che essa produceva effetti esclusivamente nell’ambito della giurisdizione dell’Albania, ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione.

83. Le parti non hanno contestato l’impossibilità da parte del ricorrente di incontrare il figlio a seguito della pronuncia della decisione del tribunale. La questione nel caso di specie, pertanto, riguarda la portata degli obblighi positivi delle autorità albanesi, qualora ve ne siano, relativamente al rispetto del diritto del ricorrente alle relazioni personali con il figlio.

84. In relazione a questo, la Corte osserva che il minore è stato affidato alla zia, Z., in virtù di una decisione del tribunale italiano del 2003. Il ricorrente non ha mai chiesto al tribunale italiano di modificare la decisione sull’affidamento del 2003, né, tanto meno, che gli venissero riconosciuti diritti alle relazioni personali o di visita.

85. Inoltre, il ricorrente non asserisce che il minore sia stato sottratto o trattenuto illecitamente in Italia. Infatti, sebbene i tribunali albanesi abbiano ritenuto che Z. avesse illecitamente trattenuto il minore, non è certo che essi abbiano valutato la vera natura e portata della decisione sull’affidamento già emessa dal tribunale italiano, visto che essa non è mai stata citata.

86. Inoltre, nei casi in cui il figlio di un ricorrente non sia soggetto alla giurisdizione di uno Stato convenuto, senza considerare se il ricorrente abbia avviato i procedimenti ai sensi della Convenzione sulla sottrazione di minori dell’Aja e se l’affidamento sia stato concesso, la Corte ha ritenuto che a tale ricorrente dovesse essere richiesto di intentare procedimenti volti alla tutela dell’esercizio del suo diritto alle relazioni personali o di visita nello Stato convenuto sotto la cui giurisdizione si trovava il minore. Per esempio, in Deak c. Romania e Regno Unito, n. 19055/05, 3 giugno 2008, in cui il ricorrente ha presentato denunce ai sensi della Convenzione sulla sottrazione dei minori dell’Aja in Romania e nel Regno Unito relative all’illecito trasferimento del figlio da parte della madre del minore dalla Romania al Regno Unito, la Corte ha ritenuto che, visto che il procedimento dinanzi ai tribunali rumeni non aveva direttamente regolato la questione dei diritti di visita del ricorrente, che era stato precedentemente confermato da una decisione del tribunale rumeno, il ricorrente, che non aveva ottenuto l’affidamento del figlio, avrebbe potuto richiedere ai tribunali inglesi un ampliamento del suo diritto di visita o una modifica del modo in cui esso era esercitato (paragrafo 69). In Stenzel c. Polonia (dec.), n. 63896/00, 28 febbraio 2006, anche se i tribunali polacchi non hanno alienato al ricorrente la potestà genitoriale, in assenza di un procedimento avviato ai sensi della Convenzione sulla sottrazione dei minori dell’Aja, la Corte ha ritenuto, per quanto riguarda il diritto di visita del ricorrente, che egli non avesse mai presentato domanda di assistenza alle autorità tedesche, ai sensi della Convenzione, al fine di tutelare il diritto di visita al figlio in Germania.

87. Alla luce della giurisprudenza sopra citata e con riguardo alle particolari circostanze del caso di specie, l’articolo 8 non può essere inteso nel senso di imporre allo Stato l’obbligo di garantire a un ricorrente delle relazioni personali quando il minore si è trasferito ad un’altra giurisdizione e quindi non è più soggetto alla giurisdizione di tale Stato (si veda, per esempio, Stenzel, sopra citata). Inoltre, l’articolo 8 della Convenzione, letto alla luce della Convenzione per la sottrazione dei minori dell’Aja, non impone alle autorità nazionali obblighi positivi per assicurare il rientro del minore se il ricorrente detiene solo diritti di visita e alle relazioni personali (si veda R.R. c. Romania (n. 1), n. 1188/05, § 164, 10 novembre 2009; in senso contrario Bajrami, sopra citata, in cui lo Stato convenuto aveva obblighi positivi per assicurare l’esecuzione di una sentenza di affidamento emessa a favore del ricorrente; in senso contrario Eberhard e M. c. Slovenia, n. 8673/05 e 9733/05, 1 dicembre 2009 e Siemianowski c. Polonia, n. 45972/99, 6 settembre 2005, in cui gli obblighi positivi dello Stato convenuto di assicurare l’esecuzione degli accordi di visita, che non erano stati regolati nell’ambito della Convenzione sulla sottrazione dei minori dell’Aja, rientravano interamente nella sua giurisdizione).

88. La Corte, pertanto conclude che, visto che entrambi i genitori hanno concordato volontariamente di recarsi con il minore in Italia e visto che il minore è rimasto in Italia in forza di una ordinanza legittima emessa da un tribunale italiano che non ha conferito al ricorrente diritti di affidamento, non vi era un obbligo positivo per l’Albania di adottare le misure che tutelassero il rispetto dei diritti alle relazioni personali del ricorrente con il figlio come riconosciuto da una decisione del tribunale albanese. Il ricorrente avrebbe dovuto presentare una richiesta presso il tribunale italiano al fine di ottenere il riconoscimento del diritto alle relazioni personali o di visita.

89. Di conseguenza non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE ALL’UNANIMITÀ

  1. Dichiara ricevibile il ricorso ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione per quanto riguarda l’Albania e irricevibile la restante parte del ricorso relativa all’Italia;
  2. Dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione da parte dell’Albania.

Fatta in inglese e poi comunicata per iscritto l’8 gennaio 2013 in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Ineta Ziemele
Presidente

Fatoş Aracı,
Cancelliere aggiunto