Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 20 novembre 2012 - Ricorso n.17995/08 - Attilio Pacifico c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
DECISIONE
Ricorso n. 17995/08
Attilio PACIFICO
contro Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 20 novembre 2012 in una camera composta da:
Danutė Jočienė, presidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Nebojša Vučinić,
Helen Keller, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato, proposto il 17 marzo 2008,
Dopo avere deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

1. Il ricorrente, sig. Attilio Pacifico, è un cittadino italiano nato nel 1933 e residente a Roma. È rappresentato dinanzi alla Corte dall’avv. A. Colabianchi, del foro di Roma, e dall’avv. A. Quattrocchi, del foro di Milano.

A. Le circostanze del caso di specie

2. I fatti della causa, così come esposti dal ricorrente, si possono riassumere come segue.

1. L’esame congiunto delle cause Lodo Mondadori e IMI/SIR

3. Il ricorrente, che all’epoca dei fatti era un avvocato del foro di Roma, riferisce che, nel 1989 e nel 1990, gli imprenditori Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi erano in concorrenza per l’acquisto della casa editrice Mondadori. A seguito di una clausola arbitrale, la vertenza fu risolta dalla decisione di un collegio di arbitri (di seguito il «Lodo Mondadori»), che fu piuttosto favorevole al sig. De Benedetti.

4. Successivamente, il Lodo Mondadori fu impugnato dinanzi alla corte d’appello di Roma, che lo annullò nel 1991. I sigg. Berlusconi e De Benedetti giunsero poi ad una definizione amichevole.

5. Dal 1996 la procura di Milano avviò un’azione penale per corruzione e corruzione in atti giudiziari (reato previsto e punito dall’articolo 319ter del codice penale – di seguito il «CP») nei confronti del ricorrente, del giudice Metta (che era giudice relatore nel procedimento dinanzi alla corte d’appello di Roma) e di altre due persone (gli avv. Previti e Acampora).

6. I procedimenti relativi al Lodo Mondadori furono riuniti a quelli riguardanti un’altra causa in materia di corruzione in atti giudiziari, chiamata «IMI/SIR», nell’ambito della quale anche il ricorrente era indagato. A partire dal 28 gennaio 2002, in primo grado, in appello e fino alla sentenza resa dalla Corte di cassazione il 4 maggio 2006 (paragrafo 20 infra), le due cause furono trattate e giudicate congiuntamente.

7. Il 2 novembre 2006 uno dei co-imputati del ricorrente (il sig. Previti) propose un ricorso dinanzi alla Corte (n. 45291/06), nell’ambito del quale lamentava, tra l’altro, la mancanza di equità nel procedimento penale IMI/SIR, l’inosservanza del principio della presunzione di innocenza e la mancanza di imparzialità dei giudici interni.

8. Con decisione dell’8 dicembre 2009 la Corte dichiarò il ricorso n. 45291/06 irricevibile. La decisione contiene una descrizione dettagliata del processo IMI/SIR.

9. Il ricorrente propose dei motivi di ricorso simili a quelli di Previti nell’ambito di un altro ricorso avente ad oggetto il processo IMI/SIR (n. 44531/06). Affermò inoltre che aveva chiesto al tribunale di Milano il rinvio delle udienze del 17 e 31 maggio e del 29 luglio 2002, depositando dei certificati e dei rapporti medici dai quali risultava che non era in condizione di recarsi al tribunale per prendere parte al processo. Il tribunale di Milano aveva disposto una perizia medica ai fini di valutare lo stato di salute del ricorrente; successivamente, aveva rigettato le richieste dell’interessato in quanto dalla perizia si evinceva che la frequenza delle cure somministrate al ricorrente non era affatto incompatibile con l’esercizio del diritto di quest’ultimo di recarsi in tribunale. Anche il ricorso n. 44531/06 fu dichiarato irricevibile con decisione resa dal giudice in composizione monocratica il 21 giugno 2012.

2. Il procedimento di primo grado nella causa Lodo Mondadori

10. Nell’ambito della causa Lodo Mondadori il ricorrente era accusato di avere, in collaborazione con i sigg. Berlusconi, Previti e Acampora, promesso e versato al giudice Metta delle somme di denaro per indurlo a contravvenire ai propri doveri di imparzialità, indipendenza e probità nell’esercizio delle sue funzioni allo scopo di favorire la famiglia Mondadori/Formenton, e dunque il sig. Berlusconi. Secondo la tesi dell’accusa, il 15 e il 16 ottobre 1991 il ricorrente avrebbe prelevato da un conto bancario estero una somma di denaro (425.000.000 lire italiane (ITL), ossia circa 219.494 euro (EUR)) che avrebbe consegnato al giudice Metta. Quest’ultimo l’avrebbe poi utilizzata per acquistare un appartamento. Secondo il capo d’accusa, gli accordi tra gli indagati sarebbero stati conclusi «in luogo non precisato a partire dal 1990 [con] pagamenti su banche della Confederazione Elvetica, del Lussemburgo e dell’Italia almeno fino al 1991».

11. Con ordinanza del 19 giugno 2000, il giudice dell’udienza preliminare di Milano pronunciò un non luogo in favore del ricorrente e dei suoi co-indagati perché il fatto non sussiste.

12. La procura interpose appello avverso tale decisione.

13. Con ordinanza emessa il 12 maggio 2001 la corte d’appello di Milano accolse parzialmente l’appello della procura e rinviò il ricorrente e i sigg. Previti, Acampora e Metta a giudizio dinanzi al tribunale di Milano, fissando la data della prima udienza al 4 ottobre 2001. La corte d’appello considerò che gli elementi a carico non permettevano di assolvere gli indagati nella fase delle indagini preliminari. La corte d’appello pronunciò un non luogo a procedere nei confronti del sig. Berlusconi, in quanto i fatti costituenti reato a lui ascritti erano caduti in prescrizione.

14. Il processo Lodo Mondadori fu assegnato alla stessa sezione del tribunale di Milano che, da circa un anno, era incaricata di esaminare la causa IMI/SIR. Il 28 gennaio 2002, nonostante il ricorrente si fosse opposto, la causa Lodo Mondadori fu riunita alla causa IMI/SIR. Secondo la tesi del ricorrente, poiché il processo IMI/SIR era iniquo e soggetto a pressioni di natura politica, la riunione delle cause poteva solo nuocere all’equità del processo Lodo Mondadori.

15.  Con sentenza del 29 aprile 2003 il tribunale di Milano condannò il ricorrente per gli episodi di corruzione Lodo Mondadori e IMI/SIR a undici anni di reclusione.

16. Il presidente della sezione del tribunale di Milano che condannò il ricorrente era il giudice Carfì. Secondo il ricorrente, il comportamento di quest’ultimo denoterebbe una mancanza di imparzialità. Il ricorrente fa riferimento, al riguardo, alle circostanze, indicate in Previti c. Italia ((dec.), n. 45291/06, §§ 93-100, 8 dicembre 2009). La Corte, in quest’ultima decisione (§§ 256-260), ha ritenuto che tali circostanze fossero insufficienti per concludere che vi era stata una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

3. Il procedimento di appello

17. Il ricorrente e i suoi co-imputati interposero appello avverso la sentenza del 29 aprile 2003.

18. Con sentenza resa il 23 maggio 2005 la corte d’appello di Milano condannò il ricorrente a sette anni di reclusione per la causa IMI/SIR e prosciolse il ricorrente e i co-imputati nell’ambito della causa Lodo Mondadori perché il fatto non sussiste.

4. Il primo procedimento in cassazione

19. Il ricorrente e i suoi co-imputati proposero ricorso per cassazione. La procura e una delle parti civili proposero ricorso per cassazione contro l’assoluzione decisa nella causa Lodo Mondadori.

20. Con sentenza del 4 maggio 2006, il cui testo fu depositato in cancelleria il 5 ottobre 2006, la sesta sezione della Corte di cassazione, presieduta dal giudice Ambrosini e composta da altri quattro giudici, ridusse la pena inflitta al ricorrente nella causa IMI/SIR a sei anni di reclusione, e respinse per il resto il ricorso del ricorrente.

21. La Corte di cassazione accolse invece i ricorsi della procura e della parte civile relativi alla causa Lodo Mondadori, ritenendo che la corte d’appello non avesse motivato in maniera logica e corretta la decisione di assoluzione degli imputati. La Corte cassò pertanto la decisione di assoluzione del ricorrente e dei suoi co-imputati nell’ambito di quest’ultima causa disponendo il rinvio dinanzi alla corte d’appello di Milano.

22. Il ricorrente contesta l’imparzialità del giudice Ambrosini per i motivi esposti in Previti, decisione sopra citata, § 135. Nei paragrafi 260-265 di tale decisione, la Corte ha respinto questo motivo di ricorso in quanto manifestamente infondato.

5. Il ricorso straordinario del ricorrente per errore di fatto

23. Il 29 marzo 2007 il ricorrente presentò, contro la sentenza del 4 maggio 2006, un ricorso straordinario per errore di fatto (articolo 625 bis del codice di procedura penale – di seguito il «CPP»). Egli affermava che la Corte di cassazione aveva commesso degli errori di fatto respingendo una questione preliminare di competenza ratione loci e rigettando una richiesta della difesa volta a ottenere chiarimenti sul materiale rinvenuto e sequestrato nell’ufficio del ricorrente.

24. Con sentenza del 23 maggio 2007, il cui testo fu depositato in cancelleria il 14 giugno 2007, la seconda sezione della Corte di cassazione, presieduta dal giudice Morelli e composta da altri quattro giudici, tra i quali il giudice Macchia, dichiarò il ricorso del ricorrente irricevibile.

 

6. Il procedimento dinanzi al giudice di rinvio

25. A seguito dell’annullamento da parte della Corte di cassazione della decisione di assoluzione del ricorrente relativamente al reato ascrittogli nell’ambito della causa Lodo Mondadori, la causa fu rinviata dinanzi alla corte d’appello di Milano.

26. Il ricorrente contestò invano la competenza ratione loci di quest’ultima, affermando che, in un processo connesso (chiamato «SME/Ariosto») la Corte di cassazione aveva ritenuto competente la magistratura di Perugia e che l’articolo 627 c. 1 del CPP (ai sensi del quale nel giudizio di rinvio non è ammessa discussione sulla competenza ratione loci in assenza di fatti nuovi), era incostituzionale.

27. Con sentenza resa il 23 febbraio 2007 la corte d’appello di Milano condannò il ricorrente a un anno e sei mesi di reclusione. Secondo tale sentenza, la somma di circa 400.000.000 ITL (circa 206.582 euro (EUR)) di cui disponeva il giudice Metta per l’acquisto di un appartamento gli era stata versata per corromperlo. A giudizio della corte d’appello, nulla escludeva che tale somma rappresentasse la retribuzione ottenuta dal giudice sia per la causa IMI/SIR che per la causa Lodo Mondadori.

7. Il secondo procedimento in cassazione

28. Il 3 maggio 2007 il ricorrente presentò ricorso per cassazione. Affermò, tra l’altro, che, ai sensi dell’articolo 166 del CPP, la notifica della citazione a comparire nei confronti della persona interdetta si esegue presso il tutore della stessa. Essendo stato condannato a più di cinque anni di reclusione nell’ambito del processo IMI/SIR, il ricorrente si trovava, ai sensi dell’articolo 32 del CP, nello stato di interdizione suddetto. Nonostante ciò, la citazione a comparire dinanzi al giudice di rinvio non era stata notificata al suo tutore.

29. Il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, osservando che la prescrizione del reato era imminente, chiese la riduzione (da 30 a 15 giorni) dei termini di comparizione dinanzi alla Suprema corte italiana. Il 16 giugno 2007 il giudice Morelli, Presidente della seconda sezione della Corte di cassazione, accolse la richiesta.

30. Con sentenza del 13 luglio 2007, il cui testo fu depositato in cancelleria il 27 settembre 2007, la seconda sezione della Corte di cassazione, presieduta dal giudice Morelli e composta da altri quattro giudici, tra i quali il giudice Macchia, respinse il ricorso, osservando in particolare che la notifica presso il tutore si applica unicamente alle persone in stato di interdizione ai sensi dell’articolo 414 del codice civile, ossia alle persone affette da infermità che le rende incapaci di provvedere ai propri interessi, e non nei casi di interdizione legale derivante da una condanna ai sensi dell’articolo 32 del CP.

B. Il diritto e la prassi interni pertinenti

31. La giurisprudenza interna ha esaminato la questione di stabilire in quale momento sia stato commesso il reato di corruzione. Secondo una prima interpretazione si tratterebbe del momento in cui è stato concluso l’accordo (pactum sceleris) tra il corruttore e il pubblico ufficiale corrotto (si veda Corte di cassazione, quarta sezione, 9 giugno 2004, Medici; Corte di cassazione, sesta sezione, 21 luglio 1994, Caputo; e Corte di cassazione, 27 marzo 1984, De Rosa). Secondo una diversa interpretazione (divenuta maggioritaria), la corruzione si considera commessa quando il corruttore consegna del denaro o procura un altro vantaggio al pubblico ufficiale corrotto (si veda Corte di cassazione, sesta sezione, 25 marzo 2003, Lodigiani; Corte di cassazione, sesta sezione, 28 gennaio 1999, Maraffi; e Corte di cassazione, 17 febbraio 1996, Carboni).

32. Nel processo Lodo Mondadori, i giudici interni hanno seguito questa seconda interpretazione.

MOTIVI DI RICORSO

33. Invocando gli articoli 6, 7 e 14 della Convenzione, il ricorrente lamenta una mancanza di equità nel procedimento Lodo Mondadori e una mancanza di imparzialità da parte dei giudici che hanno pronunciato la sua condanna.

34. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il ricorrente lamenta l’eccessiva durata del processo a suo carico.

35. Invocando l’articolo 4 del Protocollo n. 7, in combinato disposto con gli articoli 6 e 14 della Convenzione, il ricorrente lamenta una violazione del principio del ne bis in idem.

IN DIRITTO

A. Motivi di ricorso relativi alla mancanza di equità del procedimento ed alla mancanza di imparzialità dei giudici nazionali

36. Il ricorrente considera che il procedimento Lodo Mondadori non sia stato equo e che i giudici che hanno pronunciato la sua condanna non fossero imparziali.

37. Invoca gli articoli 6, 7 e 14 della Convenzione che, nelle loro parti pertinenti recitano:

Articolo 6

«1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole, da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti.

2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.

3. In particolare, ogni accusato ha diritto di:

a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico;

b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;

c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;

(...).»

Articolo 7

«1. Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, nel momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al tempo in cui il reato è stato commesso.

(...).»

Articolo 14

«Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.»

38. La Corte osserva anzitutto che gli articoli 7 e 14 della Convenzione, invocati dal ricorrente, non sono pertinenti nel caso di specie. Infatti, l’interessato non ha affermato di essere stato condannato per un’azione che, nel momento in cui è stata commessa, non costituiva reato ai sensi della legge italiana o che la pena che gli è stata inflitta fosse più severa della pena massima prevista da tale legge. Inoltre, il ricorrente non ha dimostrato di essere stato trattato in modo diverso rispetto a persone poste in situazioni analoghe alla sua, il che rappresenta la condizione essenziale per poter esaminare la giustificazione di una discriminazione alla luce dell’articolo 14 (si veda, per esempio, Willis c. Regno Unito, n. 36042/97, § 48, CEDU 2002 IV).

39. Le doglianze del ricorrente, pertanto, si prestano unicamente ad essere esaminate sotto il profilo dell’articolo 6 della Convenzione. La Corte rammenta che le esigenze dei paragrafi 2 e 3 di tale disposizione rappresentano degli aspetti particolari del diritto a un processo equo sancito dal paragrafo 1. Pertanto, esaminerà le doglianze del ricorrente dal punto di vista del combinato disposto di questi due testi di legge (si veda, tra molte altre, Van Geyseghem c. Belgio [GC], n. 26103/95, § 27, CEDU 1999-I). Nel contempo, ritiene opportuno analizzare i motivi di ricorso relativi alla mancanza di imparzialità dei giudici nazionali separatamente da quelli riguardanti la contestata iniquità del procedimento Lodo Mondadori.

1.I motivi di ricorso relativi alla mancanza di imparzialità dei giudici nazionali

40. Il ricorrente lamenta anzitutto il comportamento dei giudici Carfì e Ambrosini, nonché il fatto che i giudici Morelli e Macchia (che si erano pronunciati su un ricorso straordinario per errore di fatto) facessero parte della sezione della Corte di cassazione che ha pronunciato la sentenza del 13 luglio 2007. Afferma che tali circostanze fanno sorgere dei dubbi oggettivamente giustificati circa l’imparzialità dei magistrati in questione.

41. Per quanto riguarda i giudici Carfì e Ambrosini, la Corte rammenta che ha esaminato e rigettato motivi di ricorso identici nell’ambito della decisione Previti (sopra citata; si vedano, in particolare, i paragrafi 256-265 – si vedano anche i paragrafi 16 e 22 supra). Essa non vede, nella presente causa, alcun motivo per discostarsi da tale decisione o giungere a conclusioni diverse.

42. Quanto ai giudici Morelli e Macchia, la Corte rammenta i principi generali che regolano le procedure per valutare l’imparzialità di un «tribunale», esposti, tra l’altro, nelle sentenze seguenti: Padovani c. Italia, 26 febbraio 1993, § 20, serie A n. 257-B; Thomann c. Svizzera, 10 giugno 1996, § 30, Recueil des arrêts et décisions 1996-III; Ferrantelli e Santangelo c. Italia, 7 agosto 1996, § 58, Recueil 1996-III; Castillo Algar c. Spagna, 28 ottobre 1998, § 45, Recueil 1998-VIII; Wettstein c. Svizzera, n. 33958/96, § 44, CEDU 2000-XII; Morel c. Francia, n. 34130/96, § 42, CEDU 2000-VI; Cianetti c. Italia, n. 55634/00, § 37, 22 aprile 2004.

43. Per quanto riguarda l’aspetto soggettivo dell’imparzialità del tribunale, la Corte constata che nella presente causa non vi sono elementi che indichino l’esistenza di un pregiudizio o di un partito preso da parte dei giudici Morelli e Macchia. Pertanto, non può che presumere l’imparzialità personale dei due magistrati.

44. Per quanto attiene all’aspetto oggettivo, è opportuno ricordare che nelle sentenze Ringeisen c. Austria (16 luglio 1971, § 97, serie A n. 13) e Diennet c. Francia (26 settembre 1995, § 38, serie A n. 325-A), la Corte ha affermato che «non si può ricavare dal dovere di imparzialità un principio generale in base al quale un giudice d’appello che annulli una decisione amministrativa o giudiziaria abbia l’obbligo di rinviare la causa ad un’altra autorità giudiziaria o a un organo altrimenti costituito della stessa autorità». Essa ha ammesso che «non si può considerare un motivo di legittimo sospetto la circostanza» che dei giudici che hanno «preso parte alla prima decisione» partecipino anche alla seconda (si veda anche Thomann, sopra citata, § 33).

45. Nella causa Thomann c. Svizzera (sopra citata, §§ 35-37), la Corte ha escluso che vi fosse stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione in quanto gli stessi giudici che avevano condannato il ricorrente in contumacia avevano poi riesaminato la causa in presenza dell’interessato. Essa aveva osservato in particolare che i giudici in questione non erano in alcun modo vincolati dalla loro prima decisione e che riprendevano dall’inizio l’esame della causa nel suo complesso, in quanto tutte le questioni sollevate nell’ambito della stessa rimanevano aperte ed erano oggetto, questa volta, di un dibattimento in contraddittorio alla luce dell’informazione più completa che può rappresentare per loro la comparizione personale dell’imputato.

46. Nella presente causa, i giudici Morelli e Macchia hanno inizialmente preso parte alla decisione sul ricorso straordinario del ricorrente. Nell’ambito di tale procedimento, l’unica questione che si poneva era quella di stabilire se, nella sentenza del 4 maggio 2006, la Corte di cassazione avesse commesso errori di fatto scartando una questione preliminare di competenza ratione loci e rigettando una richiesta presentata dalla difesa al fine di ottenere dei chiarimenti sul materiale rinvenuto e sequestrato nell’ufficio del ricorrente (paragrafo 23 supra). Quest’ultimo non ha affermato che la decisione che dichiarava irricevibile il ricorso straordinario contenesse un riferimento di qualsiasi tipo alla sua colpevolezza o agli indizi esistenti a suo carico nella causa Lodo Mondadori (si vedano Gómez de Liaño y Botella c. Spagna, n. 21369/04, § 66, 22 luglio 2008 nonché, a contrario, Rojas Morales c. Italia, n. 39676/98, §§ 33 34, 16 novembre 2000; Perote Pellon c. Spagna, n. 45238/99, §§ 50-52, 25 luglio 2002; e Cianetti, sopra citata, §§ 41-43).

47. In seguito, i giudici Morelli e Macchia hanno fatto parte della sezione della Corte di cassazione che si è pronunciata sul ricorso presentato dal ricorrente contro la sentenza resa dalla corte d’appello di Milano il 23 febbraio 2007. In tale occasione sono stati chiamati a pronunciarsi su questioni diverse e indipendenti da quelle esaminate nella decisione di irricevibilità del 23 maggio 2007, in particolare quella di stabilire se, condannando il ricorrente per l’episodio di corruzione denominato Lodo Mondadori, la corte d’appello di Milano avesse applicato la legge e motivato tutti i punti controversi in maniera logica e corretta.

48. In queste circostanze, la Corte considera che la presente causa sia assimilabile alle cause Ringeisen, Diennet e Thomann sopra citate, nelle quali ha ritenuto che la partecipazione di uno o più giudici a una decisione precedente non impedisse agli stessi giudici di intervenire in una fase successiva dello stesso procedimento, fase in cui avrebbero deliberato senza essere in alcun modo vincolati dalla loro prima decisione.

49. Pertanto, i dubbi del ricorrente riguardo alla imparzialità dei giudici Morelli e Macchia non possono essere ritenuti oggettivamente giustificati.

50. Di conseguenza, questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione.

2. I motivi di ricorso relativi alla asserita iniquità del procedimento Lodo Mondadori

a) La dedotta mancanza di precisione del capo di imputazione

51. Secondo il ricorrente il capo di imputazione era impreciso. In particolare, non vi era indicato in quale modo il denaro sarebbe entrato in Italia e come e quando egli lo avrebbe dato al giudice Metta, e vi era unicamente affermato, in maniera assolutamente generica, che la condotta illecita avrebbe avuto luogo «almeno fino al 1991». Il ricorrente sottolinea che ciò ha dato luogo ad assoluzioni e condanne basate su indizi fragili e contraddittori, e ad una valutazione diversa del suo ruolo, che è stato considerato da alcuni giudici come quello di un semplice intermediario di una transazione finanziaria illecita e da altri come quello di un partecipante all’accordo corruttivo. Inoltre, nel capo di imputazione non era indicato che il reato era stato commesso a Roma e, di conseguenza, sono stati ritenuti competenti i giudici di Milano.

52. L’atto d’accusa svolge un ruolo determinante nel procedimento penale: a decorrere dalla sua notifica, la persona imputata viene ufficialmente informata della base giuridica e fattuale delle accuse mosse nei suoi confronti (Kamasinski c. Austria, 19 dicembre 1989, § 79, serie A n. 168). Peraltro, l’articolo 6 § 3 a) riconosce all’imputato il diritto di essere informato non solo del motivo dell’accusa, vale a dire dei fatti materiali posti a suo carico e sui quali si basa l’imputazione, ma anche, in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica attribuita a tali fatti (Pélissier e Sassi c. Francia [GC], n. 25444/94, § 51, CEDU 1999-II).

53. Senza alcun dubbio, la portata dell’informazione «dettagliata» prevista dalla disposizione in questione varia a seconda delle particolari circostanze della causa; tuttavia, l’imputato deve in ogni caso disporre di elementi sufficienti per comprendere pienamente le accuse mosse a suo carico allo scopo di preparare adeguatamente la sua difesa. Al riguardo, l’adeguatezza delle informazioni deve essere valutata dal punto di vista del comma b) del paragrafo 3 dell’articolo 6, che riconosce a ogni persona il diritto di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa (Mattoccia c. Italia, n. 23969/94, § 60, CEDU 2000-IX). La Corte rammenta anche che l’informazione di cui all’articolo 6 § 3 a) della Convenzione non deve necessariamente fare menzione degli elementi di prova sui quali si basa l’accusa (Previti, decisione sopra citata, § 204, e X c. Belgio, n. 7628/76, decisione della Commissione del 9 maggio 1977, Décisions et Rapports (DR) 9, pp. 169-171).

54. La Corte rammenta che, in una causa in materia di corruzione, ha ritenuto sufficiente l’informazione con la quale la procura precisava che l’imputato aveva ricevuto somme di denaro da parte di persone, specificamente indicate, che agivano per conto di alcune case farmaceutiche, in cambio del compimento, da parte del ministro della pubblica sanità, di atti contrari ai doveri d’ufficio e volti a procurare ingiusti profitti ai corruttori (De Lorenzo c. Italia (dec.), n. 69264/01, 12 febbraio 2004; si vedano anche, mutatis mutandis, Dallos c. Ungheria, n. 29082/95, §§ 49-53, CEDU 2001-II; D.C. c. Italia (dec.), n. 55990/00, 28 febbraio 2002; e Feldman c. Francia (dec.), n. 53426/99, 6 giugno 2002). Lo stesso è avvenuto nella causa Previti (decisione sopra citata, §§ 206-210), in cui si specificava nel capo di imputazione che la condotta ascritta agli imputati consisteva nell’aver concluso ed eseguito un accordo con il quale dei funzionari pubblici sarebbero venuti meno, nell’esercizio delle loro funzioni, ai loro doveri di imparzialità e indipendenza per favorire delle persone precisamente indicate nella causa civile IMI/SIR.

55. La Corte ha esaminato il capo di imputazione posto a carico del ricorrente nella causa Lodo Mondadori. Tale documento (paragrafo 10 supra) specificava che la condotta contestata al ricorrente consisteva nell’avere, in concorso con i sigg. Berlusconi, Previti e Acampora, promesso e versato al giudice Metta delle somme di denaro per indurlo a violare i suoi doveri di imparzialità, indipendenza e probità nell’esercizio delle sue funzioni allo scopo di favorire la famiglia Mondadori/Formenton, e dunque il sig. Berlusconi. Inoltre, la procura ha indicato le date (15 e 16 ottobre 1991) nelle quali il ricorrente avrebbe prelevato da un conto bancario estero una somma di denaro che avrebbe dato al giudice Metta. Infine, la procura si è attivata per informare l’imputato che gli accordi corruttivi sarebbero stati conclusi «in luogo non precisato a partire dal 1990 [con] pagamenti su banche della Confederazione Elvetica, del Lussemburgo e dell’Italia almeno fino al 1991».

56. Secondo la Corte, gli elementi sopra indicati costituivano una informazione sufficiente ai sensi dell’articolo 6 § 3 a) della Convenzione ed erano tali da permettere al ricorrente di comprendere pienamente le accuse mosse nei suoi confronti e di preparare la sua difesa in maniera adeguata. Per completezza, si osserva che l’interessato era un avvocato iscritto al foro di Roma e dunque una persona avvezza agli arcani del linguaggio giuridico.

57. Senza dubbio nel capo di imputazione non erano indicati né il luogo di perpetrazione del reato né in quale modo il denaro sarebbe entrato in Italia e come e quando sarebbe stato consegnato al giudice Metta. Tuttavia, per la loro stessa natura, i capi di imputazione sono redatti in maniera sintetica e i particolari relativi alla condotta ascritta vengono normalmente riportati negli altri documenti del processo, come l’ordinanza di rinvio a giudizio e gli atti contenuti nel fascicolo della procura messo a disposizione della difesa. Inoltre, non si può escludere che alcuni dettagli – come ad esempio il luogo in cui è stato concluso l’accordo orale – restino oscuri anche all’esito del procedimento giudiziario interno. La Corte osserva per di più che la Convenzione non vieta ai giudici interni di precisare, sulla base degli elementi prodotti al dibattimento pubblico e portati a conoscenza dell’imputato, le modalità di esecuzione del reato ascrittogli (Previti, decisione sopra citata, §§ 208-209).

58. Di conseguenza questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione.

b) Gli ulteriori indizi di una mancanza di equità

59. Il ricorrente afferma inoltre che la violazione dei principi del processo equo e l’esistenza di un pregiudizio sulla sua colpevolezza risultano dai fatti seguenti:

  • il rifiuto di rinviare le udienze del 17 e 31 maggio e del 29 luglio 2002;
  • la riunione della causa Lodo Mondadori con la causa IMI/SIR;
  • la decisione del giudice Morelli di ridurre i termini di comparizione dinanzi alla Corte di cassazione;
  • dinanzi al giudice di rinvio e nell’ambito del secondo procedimento in cassazione, la mancata notifica dell’avviso di comparizione presso il suo tutore;
  • l’impossibilità, ai sensi dell’articolo 627, c. 1 del CPP, di contestare la competenza ratione loci del giudice di rinvio (la corte d’appello di Milano) indicata dalla Corte di cassazione nella sentenza del 4 maggio 2006;
  • il rifiuto di accordargli le «circostanze attenuanti generiche», delle quali, a suo dire, beneficerebbe la quasi totalità degli imputati in Italia.

60. Il ricorrente critica infine l’approccio dei giudici interni per quanto riguarda l’utilizzo, il 15 aprile 1992 da parte del giudice Metta, della somma di denaro asseritamente ricevuta per acquistare un appartamento a Roma. Dopo aver considerato che tale utilizzo fosse un elemento costitutivo del reato e che incidesse dunque in qualche modo sulla determinazione del momento in cui quest’ultimo era stato commesso (si veda, in particolare, la giurisprudenza nazionale citata nel paragrafo 31 supra), i giudici lo avrebbero considerato un semplice «indizio significativo» della perpetrazione del reato ai fini della determinazione della competenza ratione loci dei giudici di merito o del rigetto delle eccezioni della difesa.

61. La Corte osserva anzitutto che il ricorrente ha denunciato il rifiuto di rinviare le udienze del 17 e 31 maggio e del 29 luglio 2002 nel suo ricorso n. 44531/06, che è stato dichiarato irricevibile il 21 giugno 2012 (paragrafo 9 supra). Questo motivo di ricorso è dunque essenzialmente identico a quello sollevato dal ricorrente nel ricorso n. 44531/06. Poiché il ricorrente non ha portato all’attenzione della Corte alcun fatto nuovo non esaminato nell’ambito della decisione sulla ricevibilità del ricorso in questione, questo motivo deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 2 b) e 4 della Convenzione.

62. La Corte ha anche esaminato le altre doglianze dell’interessato, senza tuttavia trovarvi alcun elemento che indichi che vi sia stata violazione dei diritti sanciti dall’articolo 6 della Convenzione. Per quanto riguarda la qualificazione giuridica attribuita all’utilizzo, da parte del giudice Metta, della somma di denaro asseritamente ricevuta dal ricorrente e il rifiuto di accordare le circostanze attenuanti, la Corte rammenta che non ha competenza per esaminare gli errori di fatto o di diritto asseritamente commessi da un giudice interno, salvo se e nella misura in cui tali errori possano aver pregiudicato i diritti e le libertà sanciti dalla Convenzione (Khan c. Regno Unito, n. 35394/97, § 34, CEDU 2000-V), e che, in linea di principio, sono i giudici interni a dover valutare i fatti e interpretare e applicare il diritto interno. Peraltro, la Convenzione non pone ostacoli alla riunione dei procedimenti dinanzi ai giudici nazionali e non tutela un diritto a contestare la competenza ratione loci di un giudice di rinvio indicato dalla Corte di cassazione.

63. Per quanto riguarda la mancata notificazione dell’avviso di comparizione presso il tutore, il ricorrente non ha dimostrato che tale circostanza gli abbia impedito di prendere parte al procedimento di rinvio e al secondo procedimento in cassazione, e di presentare nell’ambito di quest’ultimo gli argomenti che ha ritenuto utili per la sua difesa.

64. Per quanto riguarda infine la decisione del giudice Morelli di ridurre i termini di comparizione dinanzi alla Corte di cassazione (paragrafo 29 supra), la Corte rammenta che, nella causa Ortolani c. Italia ((dec.), n. 46283/99, 31 maggio 2001), ha ritenuto che un termine di 40 giorni per interporre appello avverso una sentenza di 4.392 pagine non avesse ostacolato il pieno esercizio da parte del ricorrente del diritto a disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa. Essa è giunta alla stessa conclusione nella causa Previti (decisione sopra citata, § 236), in cui il termine per presentare il ricorso per cassazione era di 45 giorni e la motivazione della sentenza in contestazione era meno lunga. A maggior ragione, essa ritiene che nel caso di specie non si sia verificata alcuna violazione dei diritti della difesa, dato che il termine lamentato dal ricorrente non è quello per interporre appello o presentare ricorso per cassazione, ma semplicemente il termine per la comparizione all’udienza dinanzi alla Corte di cassazione. Tale termine è iniziato a decorrere dalla presentazione per iscritto, da parte degli avvocati del ricorrente, di tutti i motivi di ricorso e riguardava unicamente la preparazione della difesa orale. La Corte ritiene che 15 giorni fossero sufficienti a tale scopo.

65. Di conseguenza questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione.

B. Motivo di ricorso relativo alla durata del procedimento

66. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il ricorrente lamenta l’eccessiva durata del procedimento a suo carico.

67. La Corte osserva che il ricorrente non ha indicato di aver presentato un ricorso ai sensi della legge «Pinto» (legge n. 89 del 2001) allo scopo di ottenere riparazione per la durata asseritamente eccessiva del suo processo. Un tale ricorso è stato invece considerato dalla Corte accessibile e, in linea di principio, efficace per denunciare, a livello interno, la lentezza della giustizia (si veda tra molte altre, Brusco c. Italia (dec.), n. 69789/01, CEDU 2001 IX).

68. Di conseguenza questo motivo di ricorso deve essere rigettato per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

C. Motivo di ricorso relativo alla violazione del principio del ne bis in idem

69. Invocando l’articolo 4 del Protocollo n. 7, in combinato disposto con gli articoli 6 e 14 della Convenzione, il ricorrente denuncia una violazione del principio del ne bis in idem.

70. L’articolo 4 del Protocollo n. 7 recita:

«1. Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato.

2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge e alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta.

3. Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione.»

71. Il ricorrente osserva che, nella sentenza del 4 maggio 2006, la Corte di cassazione aveva ritenuto che il denaro di cui disponeva il giudice Metta per l’acquisto dell’appartamento costituisse il prezzo della corruzione nella causa IMI/SIR. Tuttavia, la corte d’appello di Milano, in qualità di giudice di rinvio, ha ritenuto che il denaro in questione potesse rappresentare la retribuzione ottenuta dal giudice sia per quanto riguarda la causa IMI/SIR che per la causa Lodo Mondadori (paragrafo 27 supra). Inoltre, nella sentenza del 13 luglio 2007, la Corte di cassazione ha fatto riferimento anche ad altre risorse finanziarie ingiustificate del giudice Metta, acquisite tra il 1990 e il 1993. Tuttavia, in nessun altro atto del processo vengono menzionate tali risorse, rispetto alle quali il ricorrente non ha avuto la possibilità di presentare le proprie osservazioni e difese. Sulla base di queste stesse risorse ingiustificate è stata poi dedotta l’esistenza di una corruzione in assenza della prova del versamento di una somma di denaro da parte del ricorrente in favore del giudice Metta.

72. Inoltre, nella sentenza del 4 maggio 2006, cassando la decisione di assoluzione del ricorrente, la Corte di cassazione non si sarebbe limitata a controllare se la motivazione della corte d’appello fosse logica e corretta, ma sarebbe entrata nella questione della valutazione delle prove a carico, che dovrebbe essere lasciata al giudice di merito. Essa ha reso definitiva la decisione di condanna per la causa IMI/SIR, obbligando al tempo stesso il giudice di rinvio a riesaminare le prove della causa Lodo Mondadori in un modo che non poteva che essere coerente con la valutazione – sfavorevole per la difesa – attribuita agli elementi di prova nell’ambito dell’episodio di corruzione IMI/SIR. Pertanto, la prova che il giudice Metta aveva ricevuto la somma di 400.000.000 ITL è stata ricavata dalla motivazione della condanna definitiva per la causa IMI/SIR.

73. La Corte rammenta che l’articolo 4 del Protocollo n. 7 sancisce che nessuno può essere perseguito o punito penalmente per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva. Ai sensi di tale articolo una persona non può essere perseguita o giudicata per un secondo «reato» se all’origine di quest’ultimo vi sono fatti identici o fatti che sono sostanzialmente gli stessi. La garanzia che esso sancisce entra in gioco quando viene avviata una nuova azione penale e la precedente decisione di assoluzione o di condanna è già passata in giudicato (Sergueï Zolotoukhine c. Russia [GC], n. 14939/03, §§ 58, 82 e 83, 10 febbraio 2009).

74. La Corte non vede in che modo le circostanze evocate dal ricorrente ai paragrafi 71 e 72 supra possano aver violato l’articolo 4 sopra citato. L’interessato è stato giudicato e condannato per due episodi di corruzione separati, commessi nell’ambito di due cause giudiziarie (IMI/SIR e Lodo Mondadori) indipendenti. Alla base dei reati a lui ascritti non vi erano dunque fatti identici o sostanzialmente uguali. La circostanza che la retribuzione ricevuta da uno dei coimputati del ricorrente – il giudice Metta – abbia potuto essere la stessa per i due episodi non ha comportato un duplice processo o la ripetizione del procedimento a carico del ricorrente. Lo stesso si può dire per quanto riguarda il riferimento ad «altre risorse finanziarie» di cui avrebbe disposto il giudice Metta o alla asserita «valutazione coerente» degli elementi di prova nelle due cause.

75. Di conseguenza questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, a maggioranza,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Danutė Jočienė
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere