Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 25 settembre 2012 - Ricorsi nn. 39567/02 e 40281/02 - Parenti (Erede) e Deidda c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata dal Anna Aragona, funzionario linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
SENTENZA PARENTI (EREDE) e DEIDDA c. ITALIA
(Ricorsi nn. 39567/02 e 40281/02)
SENTENZA
STRASBURGO
25 settembre 2012

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

 
Nella causa Parenti (erede) e Deidda c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in un comitato composto da:
Isabelle Berro-Lefèvre, presidente,
Guido Raimondi,
Helen Keller, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 4 settembre 2012,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi sono due ricorsi (nn. 39567/02 e 40281/02) proposti contro la Repubblica italiana, con i quali due cittadine di tale Stato, le sigg.re Luciana Parenti e Maria Chiara Deidda («le ricorrenti»), avevano adito rispettivamente la Commissione europea dei diritti dell’uomo («la Commissione») il 29 luglio 1998 e la Corte il 14 giugno 2000 in virtù della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato da I. M. Braguglia e, successivamente, da E. Spatafora, agenti, e dal suo coagente, N. Lettieri.

3. Il 7 settembre 2004 la Corte ha deciso di comunicare i ricorsi al Governo. Come previsto dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, nella versione all’epoca vigente, essa ha inoltre deciso di esaminare contestualmente la ricevibilità ed il merito dei ricorsi.

4. Il 5 gennaio 2006 la sig.ra Parenti è deceduta. Con una lettera del 15 maggio 2006 il sig. Lorenzo Jannicola, figlio della suddetta, si costituiva nella procedura in qualità di erede. Per ragioni di ordine pratico, nella presente sentenza la sig.ra Parenti continuerà ad essere indicata come la "ricorrente", benché tale qualità debba oggi essere attribuita al figlio.

5. In virtù del Protocollo 14, il ricorso è stato assegnato ad un comitato.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

6. Le ricorrenti, in qualità di parti di procedimenti giudiziari, hanno adito i giudici competenti ai sensi della legge «Pinto» al fine di lamentare l’eccessiva durata degli stessi.

7. I fatti essenziali relativi ai ricorsi si evincono dalle informazioni contenute nel prospetto allegato alla presente sentenza.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

8. Il diritto e la prassi interni pertinenti relativi alla legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta «legge Pinto», sono riportati nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, §§ 23-31, CEDU 2006 V).

IN DIRITTO

I.  SULLA RIUNIONE DEI RICORSI

9. Tenuto conto dell’analogia dei ricorsi per quanto riguarda i fatti ed il problema che essi pongono nel merito, la Corte ritiene necessario riunirli e decide di esaminarli congiuntamente in un’unica sentenza.

II. OSSERVAZIONE PRELIMINARE

10. Il Governo si oppone alla decisione della Corte di esaminare contestualmente la ricevibilità e il merito dei ricorsi, come previsto dall’articolo 29 § 3 della Convenzione. Esso ritiene che tale procedura non sia applicabile ai ricorsi in considerazione delle peculiari caratteristiche della via di ricorso «Pinto» e della data di deposito delle decisioni «Pinto».

11. La Corte rileva, da un lato, che il Governo non ha prodotto elementi a sostegno dell’argomento relativo alle peculiarità dei ricorsi. Essa osserva, d’altro canto, che la procedura di esame congiunto in questione non impedisce un attento esame delle questioni sollevate e degli argomenti invocati dal Governo (si veda, mutatis mutandis, Leo Zappia c. Italia, n. 77744/01, §§ 12-14, 29 settembre 2005). Quindi la richiesta del Governo non può essere accolta.

III.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

12. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, le ricorrenti lamentano l’eccesiva durata dei procedimenti in via principale e l’insufficienza degli indennizzi «Pinto».

13. Il Governo si oppone a questa tesi.

14.L’articolo 6 § 1 della Convenzione recita:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (...) entro un termine ragionevole, da un tribunale (...), il quale sia chiamato a pronunciarsi (...) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

A. Sulla ricevibilità

1. Mancato esaurimento delle vie di ricorso interne

15. Il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in quanto le ricorrenti non hanno adito la Corte di cassazione, ai sensi della legge «Pinto».

16. Nella causa Scordino ((dec.), n. 36813/97, CEDU 2003 IV) la Corte, da un lato, aveva ritenuto che un ricorrente, il quale lamenti unicamente l’importo dell’indennizzo, non sia tenuto ai fini dell’esaurimento delle vie di ricorso interne ad impugnare in cassazione la decisione della corte d’appello e, dall’altro, che il ricorrente possa continuare a considerarsi «vittima» ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, qualora la somma accordata non possa essere considerata adeguata a risarcire il danno e la violazione asseritamente subiti, sebbene la corte d’appello abbia riconosciuto la durata eccessiva del procedimento.

17. Per giungere a questa conclusione, la Corte si era basata sull’esame di un centinaio di sentenze della Corte di cassazione, senza trovare nessun caso in cui la Corte di cassazione avesse preso in considerazione un motivo di ricorso basato sulla circostanza che l’importo accordato dalla corte d’appello fosse insufficiente rispetto al danno asseritamente subito o inadeguato rispetto alla giurisprudenza di Strasburgo.

18. La Corte ricorda altresì che, nel gennaio 2004, la Corte di cassazione, con le sentenze nn. 1338, 1339, 1340 e 1341, ha sancito il principio secondo il quale «la liquidazione del danno non patrimoniale effettuata dalla Corte di appello a norma dell’art. 2 della legge n. 89/2001, pur conservando la sua natura equitativa, è tenuta a muoversi entro un ambito che è definito dal diritto perché deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo, da cui è consentito discostarsi purché in misura ragionevole» (si veda Cocchiarella c. Italia, sopra citata, §§ 24-25). A seguito di tale inversione di tendenza, la Corte ha ritenuto che, a partire dal 26 luglio 2004, data in cui tali sentenze, ed in particolare la sentenza n. 1340 della Corte di cassazione, non potevano non essere comunemente note, si dovesse esigere che i ricorrenti promuovano ricorso per cassazione ai sensi della legge «Pinto» ai fini dell’articolo 35 § 1 della Convenzione (Di Sante c. Italia (dec.), sopra citata; Cocchiarella c. Italia, sopra citata, §§ 42-44).

19. Nel caso di specie, la Corte rileva che le decisioni delle corti d’appello «Pinto» sono divenute definitive, rispettivamente, il 13 maggio 2002 (ricorso n. 39567/02) ed il 19 marzo 2003 (ricorso n. 40281/02), dunque ben prima del 26 luglio 2004. In queste circostanze, la Corte ritiene che le ricorrenti siano dispensate dall’obbligo di adire la Corte di cassazione e che l’obiezione del Governo non possa essere accolta.

2. Qualità di «vittima»

20. Il Governo sostiene che le ricorrenti non possano più considerarsi «vittime» della violazione dell’articolo 6 § 1, in quanto hanno ottenuto dalle corti d’appello «Pinto» una constatazione di violazione ed una riparazione appropriata e sufficiente.

21. La Corte, dopo aver esaminato complessivamente i fatti della causa e gli argomenti delle parti, ritiene che la riparazione si sia rivelata insufficiente (si vedano Delle Cave e Corrado c. Italia, n. 14626/03, §§ 26-31, 5 giugno 2007; Cocchiarella c. Italia, sopra citata, §§ 69-98). Pertanto, le ricorrenti possono tuttora considerarsi «vittime», ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.

3. Conclusione

22. La Corte constata che i presenti ricorsi non incorrono in nessun altro dei motivi di irricevibilità previsti dall’articolo 35 § 3 della Convenzione. Pertanto, li dichiara ricevibili.

B. Sul merito

23. La Corte constata che la durata dei procedimenti contestati è stata rispettivamente pari a:

  1. n. 39567/02 : 9 anni per due gradi di giudizio;
  2. n .40281/02 : 15 anni e 6 mesi per due gradi di giudizio;

24. La Corte ha trattato più volte ricorsi aventi per oggetto questioni analoghe a quelle sollevate nel caso di specie, constatando una inosservanza dell’esigenza del «termine ragionevole», tenuto conto dei criteri stabiliti dalla sua giurisprudenza ben consolidata in materia (si veda, in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, sopra citata). In assenza di elementi che possano condurre ad una conclusione diversa nella presente causa, la Corte ritiene di dovere constatare, anche nei due ricorsi in questione, una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, per i medesimi motivi.

IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

25. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

26. Le ricorrenti chiedono delle somme per il danno morale che esse avrebbero subito, rimettendosi alla Corte per la determinazione degli importi.

27. Il Governo sostiene che le ricorrenti non hanno subito, in ragione della lunga durata dei procedimenti, nessun altro danno oltre quello già riconosciuto ed indennizzato a livello interno.

28. Tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia (sopra citata, §§ 139-142 e 146) e deliberando in via equitativa, la Corte accorda a ciascuna ricorrente le somme indicate nello schema che segue, comparandole agli importi che essa avrebbe accordato in assenza di vie di ricorso interne, tenuto conto dell’oggetto di ciascuna controversia e dell’esistenza di ritardi imputabili alle ricorrenti.

Tabella riepilogativa
Numero N. di ricorso Somme che la Corte avrebbe accordato in assenza di vie di ricorso interne Percentuale attribuita  dall’autorità giudiziaria « Pinto » Somma accordata per danno morale
1. 39567/02 8.000 EUR 18,75% 2.100 EUR
2. 40281/02 20.000 EUR 38,73% 1.250 EUR


 

 

B. Spese

29. Producendo le relative parcelle, le ricorrenti chiedono alla Corte di determinare un importo a tal titolo (ricorso n. 39567/02). Esse chiedono 5.000 EUR (ricorso n. 40281/02) a titolo di rimborso delle spese relative ai ricorsi «Pinto».

30. Il Governo non ha assunto una posizione al riguardo.

31. La Corte rammenta che, secondo la sua giurisprudenza, l’attribuzione di somme per le spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che ne siano accertate la realtà e la necessità, e che il loro importo sia ragionevole (Can e altri c. Turchia, n. 29189/02, § 22, 24 gennaio 2008). Inoltre, le spese giudiziarie sono recuperabili solo se si riferiscono alla violazione constatata (si vedano, ad esempio, Beyeler c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 33202/96, § 27, 28 maggio 2002; Sahin c. Germania [GC], n. 30943/96, § 105, CEDU 2003 VIII).

32. Nel caso di specie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri sopra menzionati, la Corte ritiene ragionevole accordare per ciascun ricorso la somma di 1.000 EUR per le spese.

C. Interessi moratori

33. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Decide di riunire i ricorsi e di esaminarli congiuntamente in una sola sentenza;
  2. Dichiara i ricorsi ricevibili;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  4. Dichiara
  1. che lo Stato convenuto deve versare alle ricorrenti, entro tre mesi, le seguenti somme:
    1. per il danno morale:
      1. ricorso n. 39567/02: 2.100 EUR (duemilacento euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dalla parte ricorrente;
      2. ricorso n. 40281/02: 1.250 EUR (milleduecentocinquanta euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dalla parte ricorrente
    2. per le spese:
      1. 1.000 EUR (mille euro) per ogni ricorso, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dalle ricorrenti;
  2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto in data 25 settembre 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Isabelle Berro-Lefèvre
Presidente

Françoise Elens-Passos 
Cancelliere aggiunto