Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 27 novembre 2012 - Ricorso n. 4686/06 - Sebastiano Tiralongo e Sebastiana Carbe c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
SECONDA SEZIONE
DECISIONE
Ricorso n. 4686/06
Sebastiano TIRALONGO e Sebastiana CARBE  contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 27 novembre 2012 in una camera composta da:
Peer Lorenzen, presidente,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione.
Visto il ricorso sopra menzionato proposto il 21 gennaio 2006,
Viste le osservazioni sottoposte dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dai ricorrenti,
Dopo aver deliberato, rende la seguente decisione:

IN FATTO

1. I ricorrenti Sebastiano Tiralongo e Sebastiana Carbe, sono dei cittadini italiani nati rispettivamente nel 1947 e 1956 e residenti ad Avola (Siracusa). Essi sono rappresentati dinanzi alla Corte dall'avvocato F. Magro, del foro di Avola.

2. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo son co-agente, N. Lettieri.

A. Le circostanze del caso di specie

3. I fatti della causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

4. Con un contratto del 19 dicembre 1975, i ricorrenti divennero proprietari di un terreno di 105 metri quadrati (m²), situato ad Avola e registrato in catasto al foglio 57, particella 1064.

5. Precedentemente, il 31 gennaio 1972, la regione Sicilia aveva approvato il piano regolatore generale di Avola che destinava questo terreno all'intervento infrastrutturale della rete viaria della città e, di conseguenza, gli attribuiva un vincolo di inedificabilità preordinato all’esproprio.

6. Conformemente all'articolo 1 della legge regionale siciliana n. 38 del 5 novembre 1973, il vincolo di inedificabilità imposto dal piano regolatore generale perse efficacia nel 1982, non essendo stato adottato alcun piano particolareggiato entro dieci anni dall'applicazione dello strumento urbanistico.

7. Il 23 dicembre 1983, il comune espropriò una parte del terreno dei ricorrenti, ossia 48,40 m².

8. La restante parte del terreno, nonostante la scadenza del vincolo di inedificabilità, non fu libera da vincoli. In effetti, in attesa della decisione del comune di Avola sulla nuova destinazione del terreno in causa, quest'ultimo fu sottoposto al regime previsto dall'articolo 4 della legge n. 10 del 1977, disposizione considerata applicabile a questo tipo di situazioni dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato. Ai sensi di questa disposizione, relativa ai terreni situati nei comuni che non hanno adottato piani regolatori generali, un permesso a costruire può essere concesso per un volume molto ridotto e soltanto se il terreno è situato fuori del perimetro dei centri abitati, quando sono soddisfatte alcune condizioni. Se il terreno è situato nell'ambito dei centri abitati, è vietata ogni nuova costruzione.

9. Il 28 ottobre 1987 il consiglio comunale di Avola, in applicazione del piano regolatore generale adottato il 31 gennaio 1972, approvò un piano particolareggiato che destinava il terreno dei ricorrenti all'infrastruttura viaria della città e di conseguenza gli applicava un nuovo vincolo assoluto di inedificabilità in vista della sua espropriazione.

10. Nel 1987 e nel 1998, i ricorrenti chiesero al comune l'assegnazione di un altro terreno edificabile per potervi costruire la loro abitazione principale. Queste domande restarono senza risposta.

11. Il 14 gennaio 1993 il comune di Avola approvò una variante al piano regolatore generale e al piano particolareggiato che confermava la destinazione del terreno all'infrastruttura viaria della città, senza tuttavia procedere alla sua espropriazione.

12. I ricorrenti contestarono la decisione riguardante la destinazione d'uso del loro terreno e chiesero di poterlo utilizzare come terreno edificabile.

13. Nel 1994 tentarono di vendere il loro terreno, senza riuscirvi. Il 19 settembre 1995 i ricorrenti chiesero l'autorizzazione a costruire un'abitazione sul loro terreno. Questa richiesta fu rigettata dall'amministrazione in quanto il terreno era ancora destinato all'infrastruttura viaria.

14. Il 7 febbraio 2001 i ricorrenti chiesero un permesso a costruire precisando che avrebbero accettato di farsi carico dei costi per spostare una condotta fognaria che attraversava una parte del loro terreno. L'amministrazione comunale aveva proposto di accogliere questa richiesta, ma la direzione urbanistica regionale di Palermo la rigettò il 25 maggio 2004.

15. Nel frattempo, l'8 aprile 2003, il comune aveva approvato un nuovo piano regolatore generale che confermava la destinazione del terreno dei ricorrenti all'infrastruttura viaria della città e gli imponeva un nuovo vincolo di inedificabilità assoluta.

B. Il diritto e la prassi interni pertinenti

16. Il diritto e la prassi interni pertinenti sono esposti nella causa Scordino c. Italia (n. 2), n. 36815/97, §§ 25-45, 15 luglio 2004.

17. Per le necessità della presente causa, occorre precisare che con la sentenza numero 179 del 20 maggio 1999, la Corte costituzionale ha dichiarato incompatibile con la Costituzione il fatto che la legge non preveda una forma di indennizzo nei casi in cui consente all’amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità in modo tale che il diritto di proprietà risulti esserne gravemente leso. Il diritto di proprietà è limitato in maniera problematica quando un vincolo di inedificabilità è rinnovato o prorogato sine die o quando è rinnovato più volte per un periodo determinato.

18. Pur mantenendo inalterata la possibilità per l'amministrazione di rinnovare i vincoli di inedificabilità, la Corte costituzionale ha dichiarato che è necessario che il legislatore intervenga e preveda una forma di indennizzo, precisando inoltre i criteri e le modalità di quest'ultimo.

19. La Corte costituzionale non ha escluso che un giudice investito di una richiesta di indennizzo prima che intervenga il legislatore possa ricercare nel sistema giuridico dei criteri che gli permettano di concedere, eventualmente, una compensazione economica.

20. La Corte costituzionale ha anche precisato che l'obbligo dell'indennizzo opera soltanto dopo i primi cinque anni dall'applicazione del vincolo (periodo di franchigia).

21. Il D.P.R. n. 327 dell'8 giugno 2001 (di seguito indicato anche come il «Testo Unico»), successivamente modificato dal decreto legislativo n. 302 del 2002 entrato in vigore il 30 giugno 2003, ha codificato le disposizioni esistenti in materia di espropriazione e i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia. Il suo articolo 39 è così formulato:

«1.  In attesa di una organica risistemazione della materia, nel caso di reiterazione di un vincolo preordinato all'esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo è dovuta al proprietario una indennità, commisurata all'entità del danno effettivamente prodotto.

2. Qualora non sia prevista la corresponsione dell'indennità negli atti che determinano gli effetti di cui al comma 1, l'autorità che ha disposto la reiterazione del vincolo è tenuta a liquidare l'indennità, entro il termine di due mesi dalla data in cui abbia ricevuto la documentata domanda di pagamento ed a corrisponderla entro i successivi trenta giorni, decorsi i quali sono dovuti anche gli interessi legali.

3. Con atto di citazione innanzi alla corte d'appello nel cui distretto si trova l'area, il proprietario può impugnare la stima effettuata dall'autorità. L'opposizione va proposta, a pena di decadenza, entro il termine di trenta giorni, decorrente dalla notifica dell'atto di stima.

4. Decorso il termine di due mesi, previsto dal comma 2, il proprietario può chiedere alla corte d'appello di determinare l'indennità.

5. Dell'indennità liquidata ai sensi dei commi precedenti non si tiene conto se l'area è successivamente espropriata.»

22. Con la sentenza n. 12185 del 25 maggio 2007 (Rv. 597121), le sezioni unite della Corte di cassazione hanno precisato che è devoluta al giudice ordinario la domanda volta ad ottenere un indennizzo per la reiterazione dei vincoli sostanzialmente espropriativi, quando il richiedente non contesta la legittimità degli atti amministrativi impositivi di quei vincoli (si vedano anche, in questo stesso senso, Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza n. 11097 del 15 maggio 2006, Rv. 588614, e decisione n. 22997 del 9 dicembre 2004, Rv. 580240). Se gli atti che reiterano i vincoli sono stati adottati prima del 30 giugno 2003 (data di entrata in vigore del Testo Unico), il tribunale - e non la corte d'appello - è competente a conoscere delle controversie concernenti il riconoscimento del diritto all'indennizzo (si veda Corte di cassazione, prima sezione, decisione n. 1741 del 26 gennaio 2007, Rv. 594983). La Corte di cassazione (prima sezione, sentenza n. 8384 del 31 marzo 2008, Rv. 602677) ha inoltre precisato che alla scadenza di un piano regolatore, l'autorità deve reiterare i vincoli di inedificabilità (concedendo un indennizzo al proprietario) o indicare la nuova destinazione dell'area in questione. In caso di inerzia dell'amministrazione, il proprietario può promuovere gli interventi sostitutivi della regione o far accertare l'illegittimità del silenzio dell'amministrazione. Se l'amministrazione rimane inerte, vi è lesione del bene della vita identificabile nell'interesse alla certezza circa la possibilità di razionale e adeguata utilizzazione della proprietà, con conseguente diritto del proprietario leso al risarcimento del danno.

MOTIVI DI RICORSO

23. Invocando l'articolo 1 del Protocollo n. 1, i ricorrenti contestano i vincoli di inedificabilità imposti al loro terreno.

IN DIRITTO

24. I ricorrenti lamentano l'eccessiva durata del vincolo di inedificabilità preordinato all'esproprio imposto al loro terreno e sostengono che, in mancanza di indennizzo, questa situazione equivale ad una espropriazione de facto.

Essi invocano l'articolo 1 del Protocollo n. 1, così formulato:

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

25. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Le eccezioni del Governo basate sulla tardività del ricorso e sul mancato esaurimento delle vie di ricorso interne

26. Il Governo eccepisce innanzitutto la tardività del ricorso in quanto l'ultimo piano regolatore generale, che sarebbe un «atto amministrativo di natura istantanea», è stato adottato nell'aprile 2003, ossia più di sei mesi prima della data di introduzione del ricorso (21 gennaio 2006).

27. Esso eccepisce anche il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne perché i ricorrenti non si sono avvalsi del rimedio previsto dall'articolo 39 del Testo Unico (in vigore dal 2003), che prevede il diritto a ad essere indennizzati nel caso venga imposto il vincolo di inedificabilità e la possibilità di far valere questo diritto citando l'amministrazione innanzi alla corte d'appello. Inoltre, nella sentenza n. 179 del 1999, la Corte costituzionale aveva introdotto nel sistema giuridico italiano il diritto dei cittadini di ottenere una compensazione economica per ogni limitazione di eccessiva durata imposta alle facoltà inerenti al loro diritto di proprietà. Il Governo rammenta che, in Predil Anstalt c. Italia ((dec.), n. 31993/96, 14 marzo 2002), la Corte aveva respinto un motivo simile a quello sollevato dai ricorrenti con il seguente ragionamento:

«La Corte nota che occorre distinguere i primi cinque anni di imposizione del vincolo di inedificabilità dal periodo successivo. In effetti, come sottolineato dalla società ricorrente, nella sua sentenza numero 179 del 1999 la Corte costituzionale ha ritenuto illegittima la mancanza di indennizzo per la reiterazione di un vincolo di inedificabilità che leda gravemente il diritto di proprietà, ma ha escluso qualsiasi obbligo di indennizzo per il periodo di franchigia.

1.Il periodo di franchigia

La Corte ricorda che nella sentenza Katte Klitsche de la Grange, essa ha ritenuto che la mancanza di indennizzo per un vincolo di inedificabilità imposto per un periodo che non abbia oltrepassato i cinque anni non era tale da rompere l'equilibrio tra gli interessi della collettività e quelli del proprietario (sentenza Katte Klitsche de la Grange c. Italia del 27 ottobre 1994, serie A n. 293-B, p. 37, §§ 47-48).

Nella presente causa la Corte non vede alcuna ragione per discostarsi dalla sua giurisprudenza su questo punto.

Ne consegue che questa parte del ricorso deve essere rigettata in quanto manifestamente infondata, in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

2. Il periodo successivo al periodo di franchigia

Per quanto riguarda il periodo successivo al periodo legale di cinque anni, la Corte rileva che la società ricorrente potrà sostenere, basandosi sulla sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999, che le è dovuto un indennizzo in conseguenza del vincolo di inedificabilità imposto al suo terreno. In particolare, è opportuno ricordare che nella sentenza in questione la Corte costituzionale non ha escluso che, anche prima dell'entrata in vigore di una nuova legislazione in materia, il giudice di merito possa ricercare nel sistema giuridico dei criteri che gli permettano di concedere una compensazione economica.

Ora, la Corte osserva che nell'ambito della procedura civile per ottenere un indennizzo, la Corte di cassazione ha dichiarato che l'interessato era titolare di un diritto pieno e assoluto ed ha indicato il tribunale di Milano quale giudice di rinvio (si veda la sentenza del 5 novembre 1999). A questo stadio, non è necessario ragionare sui risultati ai quali potrà giungere la procedura che si svolgerà innanzi al giudice di rinvio che, come sembrerebbe risultare dalla memoria della società ricorrente del 10 agosto 2001, a tale data ancora non era stata iniziata. Pertanto, le doglianze della società Predil su questo punto sono premature.

Ne consegue che questa parte del ricorso deve essere rigettata in quanto manifestamente infondata, in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.»

28. E' vero che, in contrasto con la giurisprudenza Predil Anstalt, nella causa Scordino (n. 2) (sopra citata, §§ 57-60), la Corte aveva scartato una analoga eccezione di mancato esaurimento ritenendo che, nella sentenza n. 179 del 1999, la Corte costituzionale si era limitata a non escludere che «anche in caso di persistente mancanza di specifico intervento legislativo determinativo di criteri e parametri per la liquidazione delle indennità, il giudice competente sulla richiesta di indennizzo possa ricavare dall'ordinamento le regole per la liquidazione di obbligazioni indennitarie», e che, codificando il diritto all'indennizzo, il Testo Unico «non aveva previsto né le condizioni per ottenerlo né le modalità di pagamento di tale indennizzo, nell'attesa di una risistemazione della materia». Inoltre, la Corte aveva sottolineato che il Governo non aveva prodotto alcuna sentenza interna che dimostrasse l'applicazione di questa giurisprudenza e del Testo Unico.

29. Tuttavia, questa lacuna sarebbe ormai colmata dalla giurisprudenza interna (paragrafo 22 supra), secondo la quale il tribunale e la corte d'appello sono competenti per indennizzare i vincoli di inedificabilità imposti, rispettivamente, prima o dopo l'entrata in vigore del Testo Unico. Il summenzionato articolo 39 è applicabile al caso dei ricorrenti dal momento che il vincolo previsto dall'ultimo piano regolatore produceva ancora i suoi effetti alla data di entrata in vigore del Testo Unico (30 giugno 2003).

30.  Per quanto riguarda l'importo dell'indennizzo, che ai sensi dell'articolo 39 deve essere proporzionato al danno effettivamente subito, il Governo ricorda che, secondo la giurisprudenza della Corte, soltanto i vincoli di inedificabilità reiterati pongono un problema dal punto di vista della Convenzione. La mancata concessione di danni morali a livello interno non può ledere l'efficacia del ricorso, in quanto la riparazione accordata a livello nazionale non deve essere pienamente equivalente a quella che potrebbe essere concessa dalla Corte.

B. Gli argomenti dei ricorrenti

31. Per quanto riguarda l'eccezione di tardività del Governo i ricorrenti osservano che il vincolo di inedificabilità produce ancora i suoi effetti e che la situazione da essi lamentata è una situazione continua.

32. Per quanto riguarda l'eccezione di mancato esaurimento, i ricorrenti sostengono: che l'articolo 39 del Testo Unico non prevede alcun indennizzo per il danno morale subito dal proprietario del terreno; che, non essendo retroattivo, il Testo Unico non si applicherebbe ai vincoli imposti prima della sua entrata in vigore; che, essendo i vincoli rinnovabili, un cittadino sarebbe obbligato ad introdurre più ricorsi ai sensi del summenzionato articolo 39. Peraltro, poiché il primo vincolo non dava luogo all'indennizzo per il «periodo di franchigia», il proprietario dovrebbe aspettare che cessi; in caso di mancata reiterazione o di reiterazione di breve durata di quest'ultimo, potrebbe non ottenere alcun compenso o aver diritto ad una compensazione irrisoria.

33. I ricorrenti osservano anche che la possibilità di adire il giudice nazionale in base alla sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999 non è stata considerata come un ricorso effettivo dalla Corte in Terazzi S.r.l. c. Italia ((dec.), n. 27265/95, 30 marzo 1999). Ad ogni modo, tenuto conto della durata e delle ripercussioni dell'ingerenza oggetto di causa, sarebbe irragionevole obbligare i ricorrenti ad avviare un procedimento interno (nell'ambito del quale il comune potrebbe proporre appello e ricorrere in cassazione) e a sopportarne dei costi.

34. Secondo i ricorrenti, il carattere incerto ed aleatorio del rimedio invocato dal Governo risulta anche dal fatto che l'articolo 39 del Testo Unico non indica criteri per calcolare l'indennizzo. Inoltre, trovandosi il comune di Avola in una situazione economica disastrosa, con debiti per circa 12 milioni di euro, potrebbe de facto non ottenersi alcuna compensazione. Per mancanza di mezzi economici, il comune potrebbe anche non procedere alla espropriazione del terreno.

C. La valutazione della Corte

35. La Corte rammenta innanzitutto che può essere adita soltanto entro sei mesi dalla data della decisione interna definitiva. Quando un ricorrente lamenta una situazione continua, questo termine decorre dal momento in cui quest'ultima cessa (si vedano, fra molte altre, Ortolani c. Italia (dec.), n. 46283/99, 31 maggio 2001, e Pianese c. Italia e Paesi Bassi (dec.), n. 14929/08, 15 giugno 2010).

36. Nel caso di specie, i ricorrenti lamentano sostanzialmente la lunga durata dei vincoli di inedificabilità imposti al loro terreno. Nessuno contesta che, dopo l'8 aprile 2003, data in cui è stato adottato il nuovo piano regolatore generale (paragrafo 15 supra), questi divieti fossero ancora in vigore alla data di introduzione del ricorso (21 gennaio 2006). È quindi opportuno rigettare l'eccezione di tardività del Governo.

37. La Corte rammenta anche che, ai sensi dell'articolo 35 § 1 della Convenzione, essa può essere adita soltanto dopo l'esaurimento delle vie di ricorso interne. La finalità di questa norma è quella di riservare agli Stati contraenti l'opportunità di prevenire o di correggere le violazioni lamentate contro di loro prima che la Corte ne venga investita (si vedano, fra altre, Mifsud c. Francia (dec.) [GC], n. 57220/00, § 15, CEDU 2002 VIII, e, più recentemente, Simons c. Belgio (dec.), n. 71407/10, § 23, 28 agosto 2012).

38. Tuttavia l'articolo 35 § 1 della Convenzione prescrive soltanto l'esaurimento dei ricorsi che si riferiscono alle violazioni denunciate e che, al tempo stesso, sono disponibili e adeguati. Un ricorso è effettivo quando è disponibile sia in teoria che in pratica all'epoca dei fatti, ossia quando è accessibile, capace di offrire al ricorrente la correzione di quanto da lui lamentato e presenta ragionevoli prospettive di esito positivo. A tale proposito, il semplice fatto di avere dubbi sulle prospettive di esito positivo di un determinato ricorso che non è manifestamente votato all'insuccesso non costituisce una ragione valida per giustificare la mancata utilizzazione dei ricorsi interni ((Brusco c. Italia (dec.), n. 69789/01, CEDU 2001 IX; Sardinas Albo c. Italia (dec.), n. 56271/00, CEDU 2004 I (estratti); Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, § 46 CEDU 2006 II; e Alberto Eugenio da Conceicao c. Portogallo (dec.), n. 74044/11, 29 maggio 2012).

39. Nel caso di specie i ricorrenti lamentano i vincoli di inedificabilità imposti al loro terreno dal 1972, e quindi anche prima che essi ne divenissero proprietari. La Corte ritiene che, quando la causa ha ad oggetto delle restrizioni al diritto di proprietà, un'azione di risarcimento, idonea a portare ad un riconoscimento del carico eccessivo sostenuto dal proprietario e all'attribuzione di un indennizzo, è in linea di principio un ricorso effettivo che deve essere esperito se la sua efficacia sia stata debitamente stabilita (si vedano, mutatis mutandis e relativamente all'articolo 5 della Convenzione, Gavril Yossifov c. Bulgaria, n. 74012/01, § 41, 6 novembre 2008; Rahmani e Dineva c. Bulgaria, n. 20116/08, § 66, 10 maggio 2012; e Demir c. Turchia (dec.), n. 51770/07, § 23, 16 ottobre 2012).

40. Ora, dal 1999, la Corte costituzionale italiana ha dichiarato incompatibile con la Costituzione l'assenza di previsione da parte della legge d'una forma di indennizzo nel caso in cui vincoli preordinati all'esproprio o di inedificabilità vengano reiterati dall'amministrazione in modo tale che il diritto di proprietà si trovi ad esserne gravemente leso. Essa ha quindi invitato il legislatore a prevedere una forma di indennizzo, precisando i criteri e le modalità di quest'ultimo (paragrafi 17 e 18 supra).

41. Il legislatore italiano ha dato seguito all'invito della Corte costituzionale tramite l'articolo 39 del Testo Unico entrato in vigore il 30 giugno 2003. Questa norma (paragrafo 21 supra) prevede esplicitamente il diritto ad un indennizzo «proporzionato alla misura del danno effettivamente subito» per i proprietari che, come i ricorrenti, hanno subito la reiterazione di vincoli preordinati all'esproprio. Essa prevede inoltre la possibilità di presentare alla corte d'appello una richiesta per determinare l'indennità.

42. L'esistenza di questo diritto è stata confermata da numerose sentenze della Corte di cassazione (paragrafo 22 supra), che hanno precisato che è devoluta al giudice ordinario la domanda volte ad ottenere un indennizzo quando il richiedente non contesta la legittimità degli atti amministrativi impositivi dei vincoli.

43. La Corte rileva che sono trascorsi più di otto anni dalla sentenza Scordino (n. 2) sopra citata, e che gli elementi prodotti dal Governo dinanzi ad essa nell'ambito del presente ricorso dimostrano che il procedimento per la richiesta di indennizzo previsto dall'articolo 39 del Testo Unico esiste oramai con un sufficiente grado di certezza. Esso è volto a far dichiarare che i diritti del proprietario interessato sono stati gravemente lesi e ad accordargli un compenso economico. Appare quindi teoricamente efficace.

44. Quanto alla sua efficacia pratica, è vero che il Governo non ha prodotto esempi di cause in cui l'articolo 39 del Testo Unico sarebbe stato invocato con successo in una situazione paragonabile a quella dei ricorrenti. Tuttavia non vi è nulla che indichi che il controllo che sarà esercitato dai giudici interni in questa circostanza sarà in qualche maniera limitato per poter dubitare subito dell'efficacia di un tale ricorso e affermare che sarebbe manifestamente votato all'insuccesso (si vedano, mutatis mutandis, Demir, decisione sopra citata, § 31, e Gurcegiz c. Turchia, n. 11045/07, § 30, 15 novembre 2012).

45. Certamente il ricorso in questione riguarda la reiterazione di un vincolo di inedificabilità, e la Corte costituzionale stessa ha precisato che l'obbligo di indennizzo opera soltanto dopo la scadenza della fase di franchigia (paragrafo 20 supra). Tuttavia, la Corte ha già avuto occasione di affermare che l'assenza di indennizzo per questo periodo non era di natura tale da rompere l'equilibrio tra gli interessi della collettività e quelli del proprietario (Katte Klitsche de la Grange c. Italia, 27 ottobre 1994, §§ 47-48, serie A n. 293-B, e Predil Anstalt c. Italia (dec.), n. 31993/96, 14 marzo 2002). Peraltro i ricorrenti non hanno sostenuto i loro timori quanto all'insolvenza del comune di Avola (paragrafo 34 supra). In quanto tali, mancando un qualsiasi rifiuto del citato comune di ottemperare ad una decisione giudiziale definitiva in favore degli interessati, essi non potrebbero essere presi in considerazione dalla Corte.

46. Ricordando qui il suo ruolo sussidiario rispetto ai sistemi nazionali di garanzia dei diritti dell'uomo (Handyside c. Regno Unito, 7 dicembre 1976, § 48, serie A n. 24), la Corte ritiene che i ricorrenti avrebbero potuto avvalersi di una nuova norma legale che avrebbe permesso di fornire ai giudici interni l'occasione per rimediare a livello nazionale alla pretesa violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1. Per di più, trattandosi di una nuova disposizione di legge adottata con l'obiettivo specifico di creare un ricorso che potesse portare rimedio a questo tipo di doglianza, vi è interesse ad adire i giudici interni al fine di permettere loro l'applicazione di questa disposizione (si vedano, mutatis mutandis, Iambor c. Romania (n. 1), n. 64536/01, § 221, 24 giugno 2008, e Demir, decisione sopra citata, § 31).

47. Anche la Corte conclude che il ricorso previsto dall'articolo 39 del Testo Unico era accessibile. A tale riguardo, essa osserva che l'argomento dei ricorrenti secondo il quale non essendo retroattivo, il Testo Unico non si applicherebbe ai divieti imposti prima della sua entrata in vigore (paragrafo 32 supra), è smentito dalla Corte di cassazione che, nella sua decisione numero 1741 del 26 gennaio 2007 (Rv. 594983) ha precisato che se, come nel caso di specie, gli atti che reiterano i vincoli di inedificabilità sono stati adottati prima del 30 giugno 2003 (data di entrata in vigore del Testo Unico), l'esame della richiesta di indennizzo è devoluto al tribunale - e non alla corte d'appello - (paragrafo 22 supra).

48. Peraltro, la Corte non dispone di alcun elemento che le consentirebbe di dichiarare che il ricorso in questione non potesse apportare una correzione appropriata alla doglianza dei ricorrenti basata sull'articolo 1 del Protocollo n. 1 e che non offrisse prospettive ragionevoli di esito positivo (si vedano, in questo senso e mutatis mutandis, Taron c. Germania (dec.), n. 53126/07, § 40, 29 maggio 2012, e Demir, decisione sopra citata, § 33). È opportuno a questo punto ricordare che quando esiste un dubbio sull'efficacia e sulle possibilità di successo di un ricorso interno, come sostengono i ricorrenti, quest'ultimo deve essere tentato (Voisine c. Francia, n. 27362/95, decisione della Commissione del 14 gennaio 1998, e Gurcegiz, sopra citata, § 32). Si tratta di un punto che deve essere sottoposto ai giudici (Roseiro Bento c. Portogallo (dec.), n. 29288/02, 30 novembre 2004).

49. La Corte sottolinea tuttavia che questa conclusione non pregiudica in alcun modo, eventualmente, un possibile riesame della questione della effettività del ricorso in questione, e in particolare della capacità dei giudici interni di stabilire, relativamente all'applicazione dell'articolo 39 del Testo Unico, una giurisprudenza uniforme e compatibile con le esigenze dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 (si vedano, mutatis mutandis, Korenjak c. Slovenia (dec.), n. 463/03, § 73, 15 maggio 2007; Demir, decisione sopra citata, § 34; e Gurcegiz, sopra citata, § 33).

50. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che i ricorrenti fossero tenuti a rivolgersi ai giudici interni con una domanda di indennizzo basata sull'articolo 39 del Testo Unico, cosa che non hanno fatto. La Corte accoglie quindi l'eccezione del Governo e rigetta il ricorso per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell'articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all'unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Peer Lorenzen
Presidente

Françoise Elens-Passos
Cancelliere aggiunto