Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 4 dicembre 2012 - Ricorso n. 31956/05 - Hamidovic c. Italia

 Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione© effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA HAMIDOVIC c. ITALIA
(Ricorso n. 31956/05)
SENTENZA
STRASBURGO
4 dicembre 2012


Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma

Nella causa Hamidovic c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Peer Lorenzen, presidente,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 13 settembre 2011 e il 13 novembre 2012,
Pronuncia la seguente sentenza adottata in quest’ultima data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 31956/05) proposto contro la Repubblica italiana e con cui una cittadina della Bosnia-Erzegovina, la sig.ra Nevresa Hamidovic («la ricorrente»), ha adito la Corte il 2 settembre 2005 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. La ricorrente è rappresentata dall'avvocato Luca Santini, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente P. Accardo.

3. La ricorrente lamentava una violazione degli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata familiare) e 34 della Convenzione in ragione della sua espulsione dal territorio italiano.

4. Il 5 aprile 2007 la Corte ha invitato il governo della Bosnia-Erzegovina a presentare, qualora lo desiderasse, delle osservazioni scritte su questa causa ai sensi dell'articolo 36 § 1 della Convenzione. Il governo della Bosnia-Erzegovina non ha dato seguito a questa richiesta.

5. Con decisione del 13 settembre 2011, la camera ha dichiarato il ricorso parzialmente ricevibile.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

1. La situazione familiare della ricorrente

6. La ricorrente è nata nel 1975 e risiede a Roma. Cittadina della Bosnia-Erzegovina di origine rom, si sposò a Roma nel 1991. Da questa unione nacquero 5 figli, rispettivamente nel 1992, 1993, 1995, 2001 e 2002. Tutta la famiglia vive nel campo nomadi «Castel Romano», a Roma.

7. Dal fascicolo emerge che i primi tre figli sono stati iscritti a scuola per gli anni scolastici 1999-2000 e 2002-2003. Dai registri scolastici risulta che la loro frequenza scolastica era discontinua.

8. Il marito della ricorrente, anch'esso cittadino della Bosnia-Erzegovina di origine rom, è impiegato in una cooperativa. Secondo le informazioni fornite dal Governo il 24 giugno 2011, costui è attualmente titolare di un permesso di soggiorno rilasciato in data non precisata e valido fino all'11 luglio 2013. Il permesso di soggiorno del marito della ricorrente, durante gli anni in cui costui ha risieduto in Italia, è scaduto ed è stato rinnovato più volte.

2.  Il soggiorno della ricorrente in Italia e la procedura di espulsione di cui è stata oggetto

9. Il 13 gennaio 1996 la ricorrente ottenne un permesso di soggiorno in quanto cittadina della ex Jugoslavia per motivi straordinari di carattere umanitario. Questo permesso fu revocato il 9 ottobre 1997 per ragioni che non sono note.

10. Il 19 agosto 1998 la ricorrente chiese il rinnovo del suo permesso alla Questura di Roma. Con decisione del 18 maggio 1999 questa richiesta fu rigettata in quanto la ricorrente aveva commesso dei reati.

11. Il 24 settembre 2002 il consolato generale della Bosnia-Erzegovina a Milano rilasciò alla ricorrente un passaporto valido fino al 24 settembre 2007.

12. In seguito ad un controllo dei documenti d'identità della ricorrente effettuato ad Alba Adriatica (Teramo), il prefetto di Teramo, con decreto del 20 luglio 2005, ordinò l'espulsione di quest'ultima in quanto risiedeva irregolarmente sul territorio italiano. La ricorrente fu dunque rinchiusa nel centro di permanenza temporanea di Ponte Galeria, a Roma.

13. Il 2 agosto 2005 la ricorrente impugnò questa decisione dinanzi al giudice di pace di Teramo. Invocò, tra l’altro, il suo diritto al rispetto della vita familiare, così come protetto dall'articolo 8 della Convenzione.

14. Il 24 agosto 2005 il giudice di pace, considerando che il decreto contestato era stato emesso conformemente alla legge, rigettò questa istanza. In primo luogo rilevò che il permesso di soggiorno della ricorrente era stato revocato il 9 ottobre 1997 e che il suo rinnovo non era stato richiesto entro i sessanta giorni previsti dall'articolo 13, comma 2 b), del decreto-legge n. 286 del 25 giugno 1998 («il decreto legislativo n. 286/98»; si veda la parte «Diritto interno pertinente»). Sottolineò anche che nei confronti della ricorrente era già stato emesso un decreto di espulsione il 9 ottobre del 19911 e che a suo carico pendevano numerosi procedimenti penali.

15. Quanto alla necessità di mantenere l'unità familiare, il giudice rilevò che il permesso di soggiorno del marito della ricorrente era scaduto nel 2004, che non era stata fornita alcuna prova della scolarizzazione dei figli della coppia né dell'inserimento sociale della famiglia e che, comunque, il diritto di mantenere l'unità familiare era riconosciuto agli stranieri titolari di un regolare permesso di soggiorno, secondo l'articolo 28 del decreto legislativo n. 286/98.

16. Il giudice rilevò infine che, ai sensi dell'articolo 19 dello stesso decreto legislativo, i minori hanno la possibilità di seguire il genitore espulso e che il tribunale per i minorenni ha il potere di autorizzare l'ingresso o il soggiorno del membro della famiglia espulso per un determinato periodo di tempo. Secondo il giudice, questo sistema permetterebbe di conciliare l'esigenza del rispetto dell'unità familiare evitando che la presenza di minori impedisca l'applicazione della legislazione volta a proteggere l'integrità delle frontiere.

3.  Le informazioni risultanti dal casellario giudiziale della ricorrente

17. Tra il 1985 (epoca in cui essa aveva dieci anni) e il 1990, la polizia di Roma arrestò quattro volte la ricorrente per furto aggravato e borseggio.

18. Nei mesi di aprile e agosto 1995 la ricorrente fu fermata due volte dalla polizia per mendicità. Furono avviati dei procedimenti penali che si conclusero con due decisioni di archiviazione.

19. Nel 2003 la ricorrente fu fermata dalla polizia per mendicità attuata con l'impiego di minori - nella fattispecie i suoi figli - che all'epoca dei fatti avevano nove mesi e dieci anni. Con sentenza del 24 novembre 2003 il tribunale di Rimini condannò la ricorrente a un mese e quindici giorni di reclusione. Questa pena fu in seguito sostituita con un'ammenda di 1.710 EUR.

20. Il reato di cui si parla, previsto dall'articolo 671 del codice penale, fu in seguito depenalizzato dalla legge n. 94 del 15 2009.

4.  L'espulsione della ricorrente e l'applicazione dell'articolo 39 del regolamento della Corte

21. Al momento dell'introduzione del presente ricorso via fax, venerdì 2 settembre 2005 alle ore 11:33, la ricorrente chiese anche l'applicazione dell'articolo 39 del regolamento della Corte sostenendo che una sua eventuale espulsione avrebbe comportato la violazione dell'articolo 8 della Convenzione per quanto riguarda la sua vita privata e familiare.

22. Il giorno stesso la Corte decise di accogliere questa richiesta; alle ore 18:36 fu così inviato un fax alla rappresentanza permanente d'Italia presso il Consiglio d'Europa. Con un fax del 6 settembre 2005, il rappresentante della ricorrente comunicò alla cancelleria della Corte che alle ore 13:08 del 5 settembre 2005 aveva informato via fax il centro di permanenza di Roma - Ponte Galeria, dove la ricorrente era rinchiusa, che era stato applicato l'articolo 39 del regolamento. Tuttavia, la mattina del 6 settembre 2005 la ricorrente fu accompagnata all'aeroporto e imbarcata sul volo in partenza alle ore 10 per Sarajevo.

23. L'8 settembre 2005 la ricorrente presentò una domanda di autorizzazione speciale al Ministero dell'Interno per poter ritornare in Italia (articolo 13, comma 13, del decreto legislativo n. 286/98).

24. Con lettera del 16 settembre 2005 il Ministero dell'Interno invitò il Ministero degli Affari esteri a mettere in atto le misure necessarie per riammettere la ricorrente in Italia.

25. Il 12 gennaio 2006 il Ministero dell'Interno chiese al legale della ricorrente l'indirizzo di quest'ultima in Bosnia Erzegovina. Il 16 gennaio il legale comunicò di non essere in grado di fornire questa informazione.

26. Il 5 giugno 2006 l'ufficio immigrazione della Questura di Roma trasmise alla Ambasciata d'Italia a Sarajevo il suo parere favorevole al ritorno della ricorrente in Italia. L'Ambasciata convocò quindi la ricorrente più volte per rilasciarle un visto d'ingresso, tuttavia senza successo. La ricorrente si presentò infine all'Ambasciata il 18 ottobre 2006.

27. Secondo le informazioni fornite dal legale della ricorrente, il 9 novembre 2006 quest'ultima ritornò in Italia munita di un permesso di ingresso sul territorio fornito dall'Ambasciata d'Italia a Sarajevo.

28. Il 12 marzo 2007 fu revocato il decreto di espulsione disposto nei confronti della ricorrente.

29. In una data non precisata dopo il ritorno della ricorrente in Italia, il Ministero dell'Interno rilasciò a quest'ultima un permesso di soggiorno valido fino al 14 dicembre 2013.

II.  IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

30.  Il decreto legislativo n. 286/98 («Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero»), come modificato dalle leggi nn. 271 del 2004 e 155 del 2005, dispone:

Articolo 5

« Nei confronti dello straniero che si è trattenuto nel territorio dello Stato quando il permesso di soggiorno è scaduto di validità da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo, l'espulsione contiene l'intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni. Il questore dispone l'accompagnamento immediato alla frontiera dello straniero, qualora il prefetto rilevi il concreto pericolo che quest'ultimo si sottragga all'esecuzione del provvedimento

Articolo 13

«1.  Per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, il Ministro dell'interno può disporre l'espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato, dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro degli affari esteri.  L'espulsione è disposta dal prefetto quando lo straniero:  è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera (...) ;  si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo. (...)

2. L'espulsione è disposta dal prefetto quando lo straniero:

a) è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera (...) ;

b) si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo. (...)
 

8. Avverso il decreto di espulsione può essere presentato unicamente ricorso al giudice di pace del luogo in cui ha sede l'autorità che ha disposto l'espulsione. Il termine è di sessanta giorni dalla data del provvedimento di espulsione. Il giudice di pace accoglie o rigetta il ricorso, decidendo con unico provvedimento adottato, in ogni caso, entro venti giorni dalla data di deposito del ricorso. Il ricorso di cui al presente comma può essere sottoscritto anche personalmente, ed è presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica consolare italiana nel Paese di destinazione. (...)

13. Lo straniero espulso non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’Interno. In caso di trasgressione lo straniero è punito con l’arresto da sei mesi ad un anno ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera.»

Articolo 19

«1. In nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviati verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione.  Non è consentita l'espulsione, salvo che nei casi previsti dall'articolo 13, comma 1, nei confronti: degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi; degli stranieri in possesso della carta di soggiorno (...); degli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado o con il coniuge, di nazionalità italiana; delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono.»

2. Non è consentita l'espulsione, salvo che nei casi previsti dall'articolo 13, comma 1, nei confronti:

  1. degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi;
  2. degli stranieri in possesso della carta di soggiorno (...);
  3. degli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado o con il coniuge, di nazionalità italiana;
  4. delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono.»

 

Articolo 28

« 1. Il diritto a mantenere o a riacquistare l'unità familiare nei confronti dei familiari stranieri è riconosciuto, alle condizioni previste dal presente testo unico, agli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno, rilasciato per lavoro subordinato o per lavoro autonomo ovvero per asilo, per studio o per motivi religiosi. (…)»

Articolo 29

« 1. Lo straniero può chiedere il ricongiungimento per i seguenti familiari:

a) coniuge non legalmente separato; (...)

4. E' consentito l'ingresso, al seguito dello straniero titolare di carta di soggiorno (…) dei familiari con i quali è possibile attuare il ricongiungimento (...).»

Articolo 31

«Il tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l'ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico.»

IN DIRITTO

I.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE PER QUANTO RIGUARDA IL DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA E FAMILIARE

31.  Invocando l'articolo 8 della Convenzione, la ricorrente sostiene che l'esecuzione della decisione di espellerla verso la Bosnia Erzegovina ha comportato la violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare perché è stata obbligata a lasciare il marito e i figli che risiedevano in Italia. Questo articolo è così formulato:

« 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, (...).

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

A.  La posizione delle parti

32. Il Governo osserva che la ricorrente si è formata una famiglia nel corso della sua clandestinità in Italia e che non ha fornito alcuna prova sulla scolarizzazione dei figli e sull'inserimento sociale della sua famiglia.

33. Il Governo sostiene anche che l'espulsione della ricorrente è stata disposta in base all'articolo 5 del decreto legislativo n. 286/98, visto che quest'ultima era sprovvista di un permesso di soggiorno in corso di validità, e che nessuno dei motivi previsti dagli articoli 13, comma 2 b) (forza maggiore) e 19 del citato decreto costituivano un ostacolo a questa espulsione.

34. La ricorrente espone di avere legami familiari solidi in Italia, ossia suo marito e i suoi cinque figli. Segnala anche di risiedere in Italia dal 1988 e di essere stata titolare di un permesso di soggiorno per un breve periodo negli anni '90.

35. La ricorrente sostiene altresì che la decisione era priva di fondamento in quanto, come previsto dall'articolo 29 del decreto legislativo n. 286/98, essa avrebbe potuto ottenere il ricongiungimento familiare.

B.  La valutazione della Corte

1. I principi generali

36. La Corte rammenta a titolo preliminare che la Convenzione non garantisce, in quanto tale, il diritto di entrare o di risiedere sul territorio di uno Stato di cui non si è cittadini, e che gli Stati contraenti hanno il diritto di controllare, in virtù di un consolidato principio di diritto internazionale, l'ingresso, il soggiorno e l'allontanamento degli stranieri (si vedano, fra molte altre, El Boujaïdi c. Francia, 26 settembre 1997, § 39, Recueil des arrêts et décisions 1997-VI; Baghli c. Francia, n. 34374/97, § 45, CEDU 1999-VIII, e Boultif c. Svizzera, n. 54273/00, § 39, CEDU 2001-IX).

37. Tuttavia, le decisioni prese dagli Stati in materia di immigrazione possono, in alcuni casi, costituire una ingerenza nell'esercizio del diritto al rispetto della vita privata e familiare protetto dall'articolo 8 § 1 della Convenzione, soprattutto quando gli interessati possiedono, nello Stato di accoglienza, legami personali o familiari sufficientemente forti che rischiano di essere gravemente lesi nel caso in cui venga applicata una misura di allontanamento. Una ingerenza di questo tipo viola l'articolo 8, a meno che, «prevista dalla legge», essa persegua uno o più scopi legittimi rispetto al secondo paragrafo di tale articolo e appaia «necessaria in una società democratica» per raggiungerli (Moustaquim c. Belgio, 18 febbraio 1991, § 36, serie A n. 193; Dalia c. Francia, 19 febbraio 1998, § 52, Recueil 1998 I ; Amrollahi c. Danimarca, n. 56811/00, § 33, 11 luglio 2002; Kaftaïlova c. Lettonia, n. 59643/00, 22 giugno 2006 e Nada c. Svizzera [GC], n. 10593/08, § 167, 12 settembre 2012).

38. La Corte rileva anche che l'articolo 8 non comporta un obbligo generale per lo Stato di rispettare la scelta degli immigranti di risiedere sul suo territorio e di autorizzare il ricongiungimento familiare nel suo paese. Premesso ciò, in una causa che riguarda la vita familiare e l'immigrazione, l'ampiezza degli obblighi per lo Stato di ammettere sul suo territorio congiunti delle persone che vi risiedono varia in funzione della particolare situazione delle persone coinvolte e dell'interesse generale (Gül c. Svizzera, 19 febbraio 1996, § 38, Recueil 1996-I, Rodrigues da Silva e Hoogkamer c. Paesi Bassi, n. 50435/99, § 39, CEDU 2006 I).

2. L'applicazione dei principi sopra menzionati nel caso di specie

a)  Il diritto al rispetto della vita privata e familiare della ricorrente

39. Nel caso di specie nessuno può dubitare che la ricorrente abbia tessuto in Italia dei legami solidi. Risulta dal fascicolo che la ricorrente risiede in Italia dal 1985 (anno in cui fu arrestata per la prima volta), ossia da quando aveva dieci anni. Tenuto conto del considerevole lasso di tempo durante il quale la ricorrente ha vissuto sul territorio italiano, non si può mettere in dubbio che essa abbia allacciato relazioni personali, sociali ed economiche che costituiscono la vita privata di ogni essere umano (Kaftaïlova, sopra citata, §§ 63 e 67).

40. La Corte ritiene inoltre che sia anche provata l'esistenza di una vita familiare della ricorrente: quest'ultima si è sposata in Italia nel 1991, da questa unione sono nati cinque figli e tutta la famiglia risiede in Italia da allora (si veda, mutatis mutandis, C. c. Belgio, 7 agosto 1996, § 34, in fine, Recueil 1996 III).

b)  L'esistenza di una ingerenza, di una base legale e di uno scopo legittimo

41. La Corte rileva che la misura dell'espulsione di cui la ricorrente è stato oggetto ha costituito una ingerenza nel diritto al rispetto della sua vita privata e familiare. Questa misura era prevista dalla legge (ossia, il decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998) e perseguiva uno scopo legittimo che consisteva nell'ordine pubblico e la sicurezza.

c)  La proporzionalità della misura contestata con lo scopo perseguito

42. La Corte fa riferimento ai criteri stabiliti dalla sua giurisprudenza sul rispetto degli obblighi derivanti dall'articolo 8 della Convenzione in materia di interdizione dal territorio a seguito di una condanna penale (Boultif, sopra citata, § 48, e Üner c. Paesi Bassi [GC], n. 46410/99, §§ 57-58, CEDU 2006 XII) e di rispetto della normativa sull'immigrazione (si veda, fra molte altre, Rodrigues da Silva e Hoogkamer, sopra citata, § 39), ossia:

  • la natura e la gravità del reato commesso;
  • la durata del soggiorno dell'interessato nel paese dal quale deve essere espulso;
  • la sua situazione familiare (eventualmente la durata del suo matrimonio);
  • l'eventuale nascita di figli dal matrimonio, la loro età;
  • l'ampiezza dei legami che le persone coinvolte hanno con lo Stato contraente in causa;
  • la questione di sapere se esistano o meno ostacoli insormontabili a che la famiglia viva nel paese di origine;
  • e la questione di sapere se la vita familiare in causa si è sviluppata in un'epoca in cui le persone coinvolte sapevano che la situazione di una di loro riguardo alle regole sull'immigrazione era tale da far immediatamente comprendere che il mantenimento di questa vita familiare nello Stato ospite avrebbe assunto subito un carattere precario.

43. Tornando all'esame del caso di specie, la Corte rileva innanzitutto che la ricorrente è stata condannata una volta per impiego di minori nell'accattonaggio alla pena della reclusione e che questa pena è stata in seguito sostituita con un'ammenda. Essa nota ancora che l'articolo 671 del codice penale, che prevede il reato in causa, è stato abrogato dalla legge n. 94 del 15 luglio 2009. La Corte ritiene che questo reato non sia di natura tale da essere qualificato «grave» ai sensi della giurisprudenza della Corte (Kaftaïlova, sopra citata, § 68; Ezzouhdi c. Francia, n. 47160/99, § 34, 13 febbraio 2001, e, mutatis mutandis, El Boujaïdi, sopra citata, § 41). La Corte nota per di più che i procedimenti penali avviati a carico della ricorrente a seguito del suo fermo per mendicità nel 1995 sono stati archiviati (si veda il paragrafo 18 supra).

44. Quanto all'esistenza di legami familiari, la Corte osserva nuovamente che la ricorrente, residente in Italia dall'età di dieci anni, si è sposata in questo paese e che da questa unione sono nati cinque figli. Ad ogni modo, pur ammettendo che la ricorrente non abbia fornito la prova di una scolarizzazione continua ed effettiva dei suoi figli, la Corte rileva che tutta la famiglia ha vissuto senza interruzione fino ad oggi in Italia: la possibilità per tutta la famiglia di stabilirsi in Bosnia Erzegovina per raggiungere la ricorrente è quindi poco realista, in quanto i figli non hanno alcun legame in questo paese.

45. La Corte non perde di vista che la ricorrente risiedeva irregolarmente in Italia nel momento in cui è stata raggiunta dal decreto di espulsione e non poteva ignorare la precarietà che ne derivava (Dalia, sopra citata, § 54; Useinov c. Paesi Bassi (dec.), n. 61292/00, 11 aprile 2006; Syssoyeva e altri c. Lettonia (cancellazione dal ruolo) [GC], n. 60654/00, § 94, CEDU 2007 I, e, mutatis mutandis, Mawaka c. Paesi Bassi, n. 29031/04, § 61, 1° giugno 2010). Rimane comunque il fatto che la ricorrente ha ottenuto un permesso di soggiorno per un breve periodo nel 1996-1997 e che, secondo le informazioni ricevute dal governo convenuto, è attualmente titolare di un permesso di soggiorno valido fino al 14 dicembre 2013. La Corte ritiene quindi che la ricorrente non fosse in una situazione tale da non potersi mai ragionevolmente aspettare di poter continuare la sua vita familiare nel paese ospite (Rodrigues da Silva e Hoogkamer, prima citata, § 43, e Solomon c. Paesi Bassi (dec.) n. 44328/95, 5 settembre 2000).

46. Per giunta, la Corte constata che, nonostante l'applicazione dell'articolo 39 del regolamento della Corte, la ricorrente è stata espulsa dal territorio italiano e così allontanata dalla sua famiglia per un anno e due mesi (dal 6 settembre 2005 al 9 novembre 2006).

47. Alla luce di tutti questi elementi, la Corte ritiene che la misura controversa non sia stata proporzionata all'obiettivo perseguito. Vi è quindi stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione.

II.  SULL’APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

48. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A.  Danno

49. La ricorrente chiede 50.000 EUR per il danno morale che avrebbe subito.

50. Il Governo contesta queste pretese.

51. La Corte ritiene necessario accordare la ricorrente 15.000 EUR per il danno morale.

B.  Spese

52. In riferimento al «danno materiale» che avrebbe subito, la ricorrente chiede anche 10.504,49 EUR per le spese sostenute nell’ambito delle procedure svoltesi innanzi alla Corte e alle istanze nazionali.

53. La Corte ritiene che questa richiesta debba essere esaminata sotto il profilo delle spese sostenute nella procedura interna e in quella innanzi alla Corte.

54. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, tenuto conto dei documenti poco dettagliati in suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte rigetta la richiesta relativa alle spese sostenute nell’ambito della procedura nazionale, ma ritiene ragionevole la somma di 2.000 EUR per la procedura svoltasi innanzi alla Corte e la accorda alla ricorrente.

C.  Interessi moratori

55. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
 

  1. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione;
  2. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. 15.000 EUR (quindicimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      2. 2.000 EUR (duemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dalla ricorrente, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  3. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 4 dicembre 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Peer Lorenzen
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere

1Dal fascicolo non risulta che questo decreto sia stato eseguito.