Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo 25 settembre 2012 - Ricorso n. 41264/02 - Causa Gatti e Nalbone c. Italia

Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione© effettuata da Ombretta Palumbo, funzionario linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
Causa Gatti e Nalbone c. Italia
(Ricorso n. 41264/02)
SENTENZA
STRASBURGO
25 settembre 2012

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Gatti e Nalbone c. Italia, La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in un Comitato composto da:
Isabelle Berro-Lefèvre, presidentessa,
Guido Raimondi,
Helen Keller, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, vicecancelliera di sezione, Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 4 settembre 2012,
Rende la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All'origine della causa vi è un ricorso (no 42164/02) presentato contro la Repubblica italiana con il quale tre cittadini di quello Stato, la sig.ra Giancarla Gatti e i sigg.ri Claudio Nalbone e Fabio Nalbone («i ricorrenti»), hanno adito la Corte l’8 novembre 2002 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. I ricorrenti sono rappresentati dall’Avv. P. Bianchini, del foro di Genova. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo ex agente, I.M. Braguglia, e dal suo ex coagente, N. Lettieri.
3. Il 12 maggio 2006, il ricorso è stato comunicato al Governo. Ai sensi del Protocollo n° 14, il ricorso è stato assegnato ad un Comitato.

IN FATTO

LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. I ricorrenti, la sig.ra Giancarla Gatti e i sigg.ri Claudio Nalbone e Fabio Nalbone, sono nati rispettivamente nel 1941, nel 1962 e nel 1964 e sono residenti a Genova.

A. La sentenza in via principale

5. Il 7 novembre 1975, l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro («INAIL») citò il sig. C.G. e la compagnia di assicurazioni T. dinanzi al tribunale di Cuneo al fine di esercitare un’azione di rivalsa ai sensi dell’articolo 1916 del codice civile (RG. no 591/75). Tale azione era avviata nell’ambito di un incidente stradale che aveva causato la morte del sig. S. Nalbone, rispettivamente marito e padre dei tre ricorrenti.
6. Il 10 marzo 1977, i ricorrenti intervennero nel procedimento. Su nove udienze fissate tra il 14 luglio 1977 e il 23 novembre 1978, una sola fu rinviata d’ufficio. L’udienza di discussione si tenne il 22 febbraio 1979.
7. Con sentenza del 26 luglio 1979, il cui testo fu depositato in cancelleria il 3 agosto 1979, il tribunale accolse parzialmente la richiesta dell’INAIL.
8. Il sig. C.G. presentò appello dinanzi alla corte d’appello di Torino (RG no 1083/79).
9. La prima udienza ebbe luogo il 16 gennaio 1980. Il 2 aprile 1980, le parti presentarono le proprie conclusioni e il consigliere istruttore fissò l’udienza di discussione dinanzi alla competente sezione per il 19 dicembre 1980.
10. Con sentenza dello stesso giorno, il cui testo fu depositato in cancelleria il 16 marzo 1981, la corte respinse la richiesta del sig. C.G.
11. Quest’ultimo ricorse in cassazione (RG no 5754/81). L’udienza ebbe luogo il 14 gennaio 1985.
12. Con sentenza dello stesso giorno, il cui testo fu depositato in cancelleria il 28 maggio 1985, la Corte di cassazione annullò la sentenza del tribunale di Cuneo in quanto mancavano delle parti e rinviò le parti dinanzi al tribunale di Cuneo.
13. Il 26 gennaio 1986, l’INAIL riprese il procedimento dinanzi alla giurisdizione in questione ( (RG. no 130/86), citando altresì le parti che mancavano (integrazione del contraddittorio), ossia i signori C.R., C.C. e C.E.
14. Con sentenza del 23 ottobre 1989, il cui testo fu depositato in cancelleria il 29 gennaio 1990, il tribunale accolse parzialmente la richiesta dell’INAIL.
I signori C.G., C.R., C.C. e C.E presentarono appello dinanzi alla corte d’appello di Torino (RG. no 974/90).
15. La prima udienza ebbe luogo il 25 ottobre 1990. Una delle due udienze fissate tra il 7 febbraio 1991 ed il 16 maggio 1991 fu rinviata su richiesta delle parti. Il 16 maggio 1991, le parti presentarono le proprie conclusioni ed il consigliere istruttore fisso l’udienza di discussione dinanzi alla competente sezione per il 6 novembre 1992.
16. Con sentenza emessa lo stesso giorno, il cui testo fu depositato in cancelleria il 26 novembre 1992, la corte respinse la richiesta dei signori C.G., C.R., C.C. e C.E.
17. Questi ultimi presentarono ricorso in cassazione. (R.G. no 643/94). Il 9 gennaio 1996 ebbe luogo l’udienza.
18. Con sentenza emessa lo stesso giorno, il cui testo fu depositato in cancelleria il 14 maggio 1996, la Corte di cassazione cassò la sentenza della corte di appello di Torino e rinviò a giudizio le parti dinanzi alla cote d’appello di Torino.
19. In data imprecisata, i signori C.G., C.R., C.C. e C.E. riaprirono il procedimento. Il 17 giugno 1999, le parti presentarono le loro conclusioni ed il consigliere istruttore fissò l’udienza di discussione dinanzi alla competente sezione per il 29 ottobre 1999.
20. Con sentenza emessa lo stesso giorno, il cui testo fu depositato in cancelleria il 18 novembre 1999, la corte d’appello di Torino accolse la richiesta dei signori C.G., C.R., C.C. e C.E. La sentenza non fu notificata e passò in giudicato il 2 gennaio 2001.

B. La procedura «Pinto»

21. Il 3 ottobre 2001, i ricorrenti adirono la corte d’appello di Milano ai sensi della legge n° 89 del 24 marzo 2001, detta «legge Pinto», denunciando la durata del procedimento succitato. I ricorrenti chiesero alla corte di dichiarare che vi era stata una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e di condannare lo Stato al risarcimento dei danni materiali e morali subiti. I ricorrenti chiesero in particolare almeno 100.000.000 di lire [51.645,68 euro (EUR)] a titolo di risarcimento per i danni materiali, ossia le spese di giudizio per il procedimento principale, e 1.500.000.000 lire [774.685,34 EUR] per i danni morali.
22. Con sentenza del 19 dicembre 2001, il cui testo fu depositato in cancelleria il 24 dicembre 2001, la corte d’appello constatò il superamento di una durata ragionevole. La corte respinse la richiesta relativa al risarcimento materiale in quanto i ricorrenti non avevano fornito alcuna prova del fatto che le spese di giudizio per la procedura principale fossero una diretta conseguenza del superamento della durata ragionevole, e concesse ad ognuno dei ricorrenti 10.000.000 di lire [5.164,56 euro (EUR)] in equità a titolo di risarcimento dei danni morali e 2.000.000 di lire [1.032,91 EUR] per le spese di giudizio. La decisione fu notificata all’amministrazione e passò in giudicato l’11 agosto 2002.
23. L’8 giugno 2002, i ricorrenti notificarono al ministero della Giustizia l’ordine di pagare le somme indicate dalla corte d’appello di Milano.
24. Il 3 settembre 2002, fu pagata ad ognuno dei ricorrenti la somma di 5.578,28 EUR.
25. Con lettera del 3 settembre 2002, i ricorrenti chiesero al ministero della Giustizia il rimborso delle spese relative alla procedura esecutiva. Nel mese di ottobre 2002, il ministero rimborsò ad ognuno dei ricorrenti il resto della somma, ammontante a 183, 43 EUR.

B. Il diritto e la prassi interni pertinenti

26. Il diritto e la pratica interni pertinenti relativi alla legge n° 89 del 24 marzo 2001, chiamata «legge Pinto», si trovano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDU 2006 V).

MOTIVI DI RICORSO

27. Appellandosi all’articolo 6 della Convenzione, i ricorrenti denunciano la durata del procedimento civile. Dopo aver tentato la procedura «Pinto», i ricorrenti ritengono che la somma concessa dalla corte d’appello per i danni morali non sia sufficiente a risarcire il danno subito a causa della violazione dell’articolo 6.
28. I ricorrenti denunciano altresì il ritardo delle autorità nazionali nell’uniformarsi alla decisione della corte d’appello.

IN DIRITTO

I. SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1

29.    Appellandosi all'articolo 6 § 1 della Convenzione, i ricorrenti denunciano l’eccessiva durata del procedimento principale e la mancanza di un indennizzo nell'ambito del rimedio "Pinto", nonché il ritardo nel pagamento di quest’’ultimo.
30.    Il Governo si oppone a questa tesi.
31.    L’articolo 6 § 1 della Convenzione nella sua parte pertinente è così formulato:
«Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…)».

A. Sulla ricevibilità

1. Tardività del ricorso

29. Il Governo eccepisce la tardività del ricorso per quanto attiene al motivo relativo all’insufficiente indennizzo «Pinto», in quanto i ricorrenti avrebbero omesso di adire la Corte entro i sei mesi dalla decisione interna contestata.
30. La Corte osserva che la decisione interna definitiva, ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, è la decisione della corte d’appello di Milano depositata il 24 dicembre 2001, passata in giudicato l’11 agosto 2002, ossia meno di sei mesi prima della data in cui è stato presentato il ricorso, cioè l’8 novembre 2002 (vedi paragrafi 1 e 22 supra), e respinge quindi l’eccezione.

2. Qualità di «vittima»

31. Il Governo sostiene che i ricorrenti non possono più dichiararsi «vittime» della violazione dell’articolo 6 § 11 perché hanno ottenuto dalle corti d'appello «Pinto» una costatazione di violazione e una riparazione adeguata e sufficiente, anche in considerazione dell’oggetto e della posta della controversia. Il Governo afferma che le corti d'appello «Pinto» hanno deciso le cause conformemente ai criteri di indennizzo derivanti dai precedenti della giurisprudenza della Corte disponibili all’epoca. Sottolinea che sarebbe inadeguato giudicare la valutazione delle corti d’appello, fatta l’11 dicembre 2001, sulla base dei criteri introdotti dalla Corte in occasione delle sentenze della Grande Camera del 29 marzo 2006 (tra molte, Cocchiarella c. Italia, già cit.).
32. La Corte, non individuando alcun motivo per derogare alle sue precedenti conclusioni, dopo aver esaminato tutti i fatti di causa e le argomentazioni delle parti, considera che la riparazione si sia rivelata insufficiente (v. Delle Cave e Corrado c. Italia, n. 14626/03, §§ 26-31, 5 giugno 2007, CEDU 2007 VI; Cocchiarella c. Italia [GC], n° 64886/01, §§ 69-98, CEDU 2006-V).
33. Per quanto attiene alle osservazioni del Governo relative ad una presunta incoerenza tra, da una parte, i criteri di indennizzo derivanti dalle sentenze della Grande Camera, e, dall’altra, quelli seguiti nei ricorsi italiani sulla durata già decisi dalla Corte nonché nelle analoghe cause di altri paesi, la Corte ricorda di aver già respinto un’eccezione simile nella sentenza Aragosa c. Italia (Aragosa c. Italia, no 20191/03, §§ 17 24, 18 dicembre 2007). Nel caso di specie la Corte non scorge alcun motivo per derogare a questo precedente e respinge quindi l’eccezione del Governo.
34. Pertanto, i ricorrenti possono ancora sostenere di essere delle «vittime» ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.

2. Conclusione

35. La Corte constata che i motivi di ricorso non incorrono in alcuno dei motivi di irricevibilità di cui all’articolo 35 § 3 della Convenzione, e perciò li dichiara ricevibili.

B. Sul merito

36. La Corte constata che il procedimento principale, iniziato il 7 novembre 1975 e conclusosi il 18 novembre 1999, è durato più di ventiquattro anni per tre gradi di giurisdizione. La Corte constata inoltre che l’indennizzo «Pinto» è stato versato soltanto il 3 settembre 2002, ossia più di otto mesi dopo il deposito in cancelleria della decisione della corte d’appello di Milano.
37. La Corte ha trattato più volte ricorsi che sollevavano questioni simili a quelle del caso di specie ed ha constatato che viene ignorata l'esigenza del «termine ragionevole», tenuto conto dei criteri derivanti dalla sua consolidata giurisprudenza in materia (si veda, in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, sopra citata). Non scorgendo nulla che possa indurla a concludere diversamente nella presente causa, la Corte ritiene che sia altresì opportuno constatare una violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

38. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

39. I ricorrenti chiedono la somma complessiva di un milione di euro per il danno morale e materiale che avrebbero subito, sostenendo che il procedimento controverso aveva una posta in gioco particolarmente seria e importante (vedi paragrafo 5, supra), soprattutto dal punto di vista umano.
40. Il Governo sostiene che i ricorrenti non hanno subito, a causa della lunghezza dei procedimenti, alcun danno oltre a quello già riconosciuto e risarcito a livello nazionale.
41. . La Corte ritiene che avrebbe potuto accordare a ciascun ricorrente per la violazione dell’articolo 6 § 1, in assenza di vie di ricorso interne e tenuto conto della posta in gioco nel caso della controversia, la somma di 31.200 EUR. Il fatto che la corte d’appello «Pinto» abbia accordato loro il 16%di tale somma ha portato ad un risultato manifestamente irragionevole. Di conseguenza, in considerazione delle caratteristiche della via di ricorso «Pinto», tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia (sopra citata, §§ 139-142 e 146), la Corte, deliberando equamente, accorda a ciascun ricorrente la somma di 8.875 EUR nonché la somma di 200 EUR per l’ulteriore frustrazione derivante dal ritardo nel versamento dell’indennizzo «Pinto» (vedi paragrafo 24, supra).

B. Spese

42. I ricorrenti, sostenendo la loro richiesta con pagamenti di parcelle, chiedono anche la somma di 50.000 EUR per il rimborso delle spese sostenute nei procedimenti dinanzi alle giurisdizioni nazionali e dinanzi alla Corte.
43. Il Governo non si è pronunciato in merito.
44. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, l’attribuzione delle spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che ne siano accertate la realtà e la necessità, e che il loro importo sia ragionevole (Can e altri c. Turchia, n. 29189/02, § 22, 24 gennaio 2008). Inoltre, le spese di giustizia possono essere rimborsate solo nella misura in cui si riferiscono alla violazione constatata (si veda, ad esempio, Beyeler c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 33202/96, § 27, 28 maggio 2002; Sahin c. Germania [GC], n. 30943/96, § 105, CEDU 2003-VIII).
45. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri sopra menzionati, la Corte ritiene ragionevole accordare globalmente la somma di 2.500 EUR per le spese.

C. Interessi moratori

46. La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITA’

  1. Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda il motivo di ricorso relativo alla durata del procedimento «Pinto» e irricevibile per il resto;
  2. Decide che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a causa della durata eccessiva del procedimento «Pinto»;
  3. Decide
    1. che lo Stato convenuto deve versare a ciascun ricorrente, entro tre mesi,. 9.075 EUR (novemilasettantacinque euro) per danno morale, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta. e 2.500 euro EUR (duemilacinquecento euro) per le spese, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dai ricorrenti;
    2. che a decorrere dallo scadere di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese e poi comunicata per iscritto il 25 settembre 2012 in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Françoise Elens-Passos   
Vicecancelliera   

Isabelle Berro-Lefèvre
Presidentessa