Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo 25 settembre 2012 - Ricorso n. 48117/99 - Causa Pedicini e altri c. Italia

Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione© effettuata da Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
Causa Pedicini e altri c. Italia
(Ricorso n. 48117/99)
SENTENZA
STRASBURGO
25 settembre 2012

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Pedicini e altri c. Italia, La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in un Comitato composto da:
Isabelle Berro-Lefèvre, presidente,
Guido Raimondi,
Helen Keller, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 4 settembre 2012, Rende la seguente sentenza, adottata in tale data:

 

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 48117/99) proposto contro la Repubblica italiana e con cui nove cittadini di tale Stato, i sigg. Silvio, Antonio e Mario Pedicini, Giuseppe Tommaselli, Floriano de Cicco, Nazzareno Iarusso, Franco Pirozzolo, Luciano Catillo e Rocco Pastore («i ricorrenti»), hanno adito la Corte il 24 aprile 1999 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convention»).
2. Sono rappresentati dinanzi alla Corte dall’avv. S. Ferrara del foro di Benevento. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo ex-agente, I.M. Braguglia, e dal suo ex co-agente, N. Lettieri.
3. Il 16 dicembre 1999 il Governo è stato informato del ricorso.
4. A seguito dell’entrata in vigore della legge «Pinto», i ricorrenti hanno comunicato alla Corte la loro intenzione di rivolgersi ai giudici competenti e hanno chiesto la sospensione dell’esame del loro ricorso fino alla conclusione del procedimento «Pinto». La Corte ha accolto la richiesta.
5. Il 25 gennaio 2008 i ricorrenti hanno presentato un nuovo motivo di ricorso relativo alla durata eccessiva del procedimento «Pinto», motivo di cui il Governo è stato informato l’11 marzo 2008 per le osservazioni complementari.
6. In applicazione del Protocollo n. 14 il ricorso è stato assegnato a un Comitato.

IN FATTO

LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

7. I ricorrenti sono nati tra il 1949 e il 1959 e sono residenti a Foglianise.

A. Il procedimento principale

8. In data non precisata sono state avviate delle indagini nei confronti dei ricorrenti, sospettati di diffamazione.
9. Il 27 aprile 1994 il giudice per le indagini preliminari fissò l’udienza preliminare all’8 giugno 1994, rinviata al 13 ottobre 1994. In tale data, gli indagati furono rinviati a giudizio dinanzi al tribunale di Benevento. In seguito, si tennero dieci udienze tra il 25 maggio 1995 e il 21 dicembre 2000.
10. Con sentenza in data 29 maggio 2001 detto tribunale dichiarò la prescrizione dell’azione penale.

B. Il procedimento «Pinto»

11. Il 10 agosto 2001 i ricorrenti adirono la corte d’appello di Roma ai sensi della legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta «legge Pinto», lamentando la durata eccessiva del procedimento sopra descritto. Chiesero alla Corte di affermare che vi era stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e di condannare lo Stato italiano a risarcire i danni da loro subiti.
12. Con decisione del 5 dicembre 2001, il cui testo fu depositato in cancelleria il 21 dicembre 2001, la corte d’appello esaminò complessivamente il procedimento e constatò che era stata superata la durata ragionevole. Accordò la somma di 30.000.000 lire italiane [ossia 15.493,71 euro] in equità a ciascuno dei ricorrenti in riparazione dei danni materiali e morali subiti, nonché la somma di 6.000.000 lire (ossia 3.098,74 euro) in totale per le spese.
13. Il 13 febbraio 2002 il rappresentante del ministero della Giustizia presentò ricorso per cassazione.
14. Con sentenza in data 11 febbraio 2003, il cui testo fu depositato in cancelleria il 5 settembre 2003, la Corte di cassazione cassò la decisione in questione e rinviò la causa dinanzi ad un’altra sezione della corte d’appello di Roma.
15. Il 5 aprile 2004 il procedimento fu ripreso dai ricorrenti.
16. Con decisione in data 19 gennaio 2005, il cui testo fu depositato in cancelleria il 17 febbraio 2005, la corte d’appello esaminò nuovamente la procedura conformemente alle indicazioni della Corte di cassazione e confermò che era stata superata la durata ragionevole. Di conseguenza, accordò la somma di 1.500 euro in equità a ciascuno dei ricorrenti in riparazione dei danni materiali e morali.
17. Il 29 marzo 2006 i ricorrenti presentarono ricorso per cassazione. Con sentenza del 19 dicembre 2008, il cui testo fu depositato in cancelleria il 30 dicembre 2008, la Corte di cassazione annullò la decisione impugnata e rinviò la causa dinanzi alla corte d’appello di Roma.
18. Il 3 febbraio 2011 la corte d’appello fissò la prima udienza al 20 giugno 2011.
19. Con lettera in data 29 febbraio 2012 i ricorrenti informarono la cancelleria della Corte che il procedimento era ancora pendente dinanzi alla d’appello suddetta.

B. Il diritto e la prassi interni pertinenti

20. Il diritto e la prassi interni pertinenti relativi alla legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta «legge Pinto», sono riportati nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, §§ 23-31, CEDU 2006 V).

MOTIVI DI RICORSO

21. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, i ricorrenti lamentano l’eccessiva durata del procedimento penale intentato a loro carico.
22. In una lettera del 25 gennaio 2008 i ricorrenti hanno proposto un nuovo motivo di ricorso relativo all’articolo 6 § 1 della Convenzione, che riguardava la durata eccessiva del procedimento «Pinto».

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE A CAUSA DELLA DURATA ECCESSIVA DEL PROCEDIMENTO PRINCIPALE

23. I ricorrenti lamentano l’eccessiva durata del procedimento principale. Invocano l’articolo 6 della Convenzione che, nella parte pertinente, recita:
«1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) da un tribunale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti (...)»
24. Il Governo si oppone a questa tesi.
25. La Corte rileva che, alla data delle ultime informazioni, il procedimento «Pinto» era ancora pendente dinanzi alla corte d’appello di Roma che agiva in qualità di giudice di rinvio (si veda paragrafo 19 supra).
26. Di conseguenza questo motivo di ricorso deve essere dichiarato irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne (si veda Di Sante c. Italia (dec.), n. 56079/00, 24 giugno 2004).

II.SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE A CAUSA DELLA ECCESSIVA DURATA DEL PROCEDIMENTO «PINTO»

27. I ricorrenti affermano che la durata del procedimento «Pinto» ha comportato una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, ai sensi del quale:
«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (...)entro un termine ragionevole, da un tribunale (...),il quale sia chiamato a pronunciarsi (...) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)».
28. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

1. Mancato esaurimento delle vie di ricorso interne
29. Il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in quanto i ricorrenti non hanno intentato un secondo procedimento «Pinto» per lamentare la durata presumibilmente irragionevole del primo.
30. La Corte ha già considerato varie volte (si veda, in particolare, Simaldone c. Italia, n. 22644/03, § 44, 31 marzo 2009) che esigere da parte del ricorrente un nuovo ricorso «Pinto» per lamentare la eccessiva durata dell’esecuzione della decisione «Pinto», come suggerisce il Governo, equivarrebbe a introdurre il ricorrente in un circolo vizioso in cui il cattivo funzionamento di un rimedio lo obbligherebbe ad intentarne un altro. Una tale conclusione sarebbe irragionevole e costituirebbe un ostacolo sproporzionato all’esercizio effettivo da parte del ricorrente del suo diritto di ricorso individuale, così come definito dall’articolo 34 della Convenzione. Lo stesso può dirsi nella presente causa.
31. Pertanto, l’eccezione sollevata dal Governo deve essere rigettata.
2.Conclusione
32. La Corte constata che questo motivo di ricorso non incorre in nessun altro dei motivi di irricevibilità di cui all’articolo 35 § 3 della Convenzione. Lo dichiara pertanto ricevibile.

B. Sul merito

1. I principi applicabili

33. Quanto al termine che può essere considerato ragionevole ai sensi dell’articolo 6 § 1, la Corte considera che i criteri applicabili non possono essere quelli adottati per valutare la durata dei procedimenti ordinari, considerata la natura della via di ricorso «Pinto» e il fatto queste cause non presentano di solito alcuna complessità. Nell’ambito di un ricorso risarcitorio volto a riparare le conseguenze della durata eccessiva dei procedimenti, è necessaria una diligenza particolare da parte degli Stati affinché la violazione venga accertata e vi sia posto rimedio nel più breve tempo possibile.
34. Nella causa Simaldone (sopra citata, § 29), la Corte ha ritenuto che la fase giudiziaria del rimedio «Pinto», che è durata undici mesi per un grado di giudizio, fosse eccessivamente lunga. Nella causa Belperio e Ciarmoli (Belperio e Ciarmoli c. Italia, n. 7932/04, § 48, 21 dicembre 2010), la Corte ha considerato irragionevole un procedimento «Pinto», durato due anni e otto mesi per un grado di giudizio, ivi compresa la fase dell’esecuzione.
35. Infine, nella causa Gagliano Giorgi c. Italia (n. 23563/07, § 76, 6 marzo 2012), la Corte ha ritenuto che, per soddisfare alle esigenze del «termine ragionevole» ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, la durata di un procedimento «Pinto» dinanzi alla corte d’appello competente e alla Corte di cassazione, ivi compresa la fase di esecuzione della decisione, non dovrebbe, in linea di principio e salvo circostanze eccezionali, essere superiore a due anni e sei mesi.

2. L’applicazione al caso di specie

36. La Corte osserva che il procedimento «Pinto» è iniziato il 10 agosto 2001, quando i ricorrenti hanno adito la corte d’appello di Roma, ed è rimasto pendente dinanzi a questa stessa corte in qualità di giudice di rinvio fino alla data delle ultime informazioni ricevute, ossia il 29 febbraio 2012. In tale data il procedimento era dunque durato 10 anni e sei mesi (di cui circa nove anni imputabili alle autorità interne) per due gradi di giudizio.
37. Anche a voler supporre che il procedimento in questione presentasse una complessità particolare, considerata anche l’esistenza di due fasi supplementari di rinvio, la Corte sottolinea che la sua durata ha ampiamente superato il termine sopra indicato di due anni e sei mesi.
38. Pertanto, la Corte ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 6 § 1.

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

39. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

40. I ricorrenti chiedono la somma di 10.000 euro ciascuno per il danno morale.
41. Il Governo afferma che le pretese dei ricorrenti sono infondate.
42. La Corte ricorda che è una giurisdizione internazionale che ha come compito principale quello di assicurare il rispetto dei diritti dell’uomo sanciti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli, piuttosto che compensare, minuziosamente e in maniera esauriente, i danni subiti dai ricorrenti. Contrariamente ai giudici nazionali, la Corte ha il ruolo privilegiato di adottare delle sentenze pubbliche che stabiliscono le norme in materia di diritti dell’uomo applicabili in tutta l’Europa (si vedano, mutatis mutandis, Goncharova e altri 68 «pensionati privilegiati» c. Russia, n. 23113/08 e altri ricorsi, §§ 22-24, 15 ottobre 2009).
43. Essa osserva che, nel caso di specie, i ricorrenti sono stati vittime dell’incapacità delle autorità italiane di garantire lo svolgimento del procedimento «Pinto» entro un termine compatibile con gli obblighi derivanti dall’adesione dello Stato convenuto alla Convenzione. Essa ritiene che, in situazioni che coinvolgono un numero importante di vittime poste in una situazione simile, si impone un approccio globale (Gagliano Giorgi c. Italia, sopra citata, §§ 87-89)
44. Alla luce di quanto sopra esposto e deliberando equamente, la Corte ritiene opportuno accordare una somma forfettaria di 500 euro a ciascuno dei ricorrenti per il danno morale subito a causa della durata eccessiva del procedimento «Pinto» che essa ha appena constatato.

B. Spese

45. Producendo le relative parcelle, i ricorrenti chiedono anche la somma complessiva di 5.750 euro a titolo di rimborso per le spese sostenute dinanzi ai giudici nazionali e dinanzi alla Corte.
46. Il Governo definisce tale somma eccessiva e ingiustificata.
47. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, il rimborso delle spese sostenute ai sensi dell’articolo 41 presuppone che ne siano accertate la realtà e la necessità, e che il loro importo sia ragionevole (Can e altri c. Turchia, n. 29189/02, del 24 gennaio 2008, § 22). Inoltre, le spese giudiziarie possono essere recuperate solo se si riferiscono alla violazione constatata (si veda, ad esempio, Beyeler c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 33202/96, § 27, 28 maggio 2002; Sahin c. Germania [GC], n. 30943/96, § 105, CEDU 2003 VIII).
48. Nel caso di specie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri sopra menzionati, la Corte ritiene ragionevole accordare complessivamente agli interessati la somma di 2.000 euro per le spese.

C. Interessi moratori

49. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda il motivo relativo alla durata eccessiva del procedimento «Pinto» e irricevibile per il resto;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a causa della durata eccessiva del procedimento «Pinto»;
  3. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare, entro tre mesi, 500 euro (cinquecento euro) a ciascun ricorrente per il danno morale e 2.000 euro (duemila euro) complessivamente per le spese, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta;
    2. che a decorrere dallo scadere di detto termine e fino al versamento tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile in tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese e poi comunicata per iscritto il 25 settembre 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Françoise Elens-Passos
Cancelliere aggiunto

Isabelle Berro-Lefèvre
Presidente