Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 10 luglio 2012 - Ricorso n.42382/08- Mohemmed Amin MOSTAFA c. Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata da Ombretta Palumbo, funzionario linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
SECONDA SEZIONE
DECISIONE
Ricorso n° 42382/08
Mohemmed Amin MOSTAFA
contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 10 luglio 2012 in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidentessa,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
Işıl Karakaş,
Guido Raimondi,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, vicecancelliera di sezione,
Visto il ricorso sopra citato presentato il 5 settembre 2008,
Vista la misura provvisoria indicata al governo convenuto ai sensi dell’articolo 39 del regolamento della Corte,
Viste le osservazioni presentate dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dal ricorrente,
Viste le informazioni complementari presentate dalle parti,
Dopo aver deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

1. Il ricorrente, Mohemmed Amin Mostafa, è un cittadino iraniano di origine curda della regione di Kirkuk, residente in Italia dal 2001, nato nel 1975 e residente a Milano. E’ stato rappresentato dinanzi alla Corte dagli Avv. D. Figini e S. Clementi, del foro di Milano. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dalla sua agente, E. Spatafora, nonché dalla sua coagente, P. Accardo.

A.Le circostanze del caso di specie

2. I fatti della causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

Il procedimento penale

3. Il 30 marzo 2003, il ricorrente fu arrestato in Italia e posto in custodia cautelare nel carcere di Benevento in quanto sospettato di appartenere ad un’associazione a delinquere legata a gruppi islamisti integralisti, chiamata «Ansar al Islam».

4. Con sentenza del 21 settembre 2006, la corte d’assise di Milano condannò il ricorrente per appartenenza ad un’associazione legata al terrorismo internazionale (articolo 270 bis del codice penale), per fatti commessi in Italia tra il 2001 e il 2003. La Corte lo condannò ad una pena detentiva di sette anni con l’espulsione dal territorio italiano al termine della pena (articolo 235 del codice penale). Con sentenza del 17 luglio 2007, la corte d’assise d’appello confermò la condanna del ricorrente e l’espulsione ma ridusse la pena a sei anni di detenzione. Il 4 luglio 2008, la Corte di cassazione respinse il ricorso del ricorrente.

5. Il 4 settembre 2008, in seguito ad una riduzione di pena di otto mesi concessa dal magistrato di sorveglianza, il ricorrente fu scarcerato. Lo stesso giorno, il questore di Benevento notificò al ricorrente un decreto di espulsione per motivi di sicurezza nazionale.

6. Il 5 settembre 2008, il ricorrente presentò una prima richiesta di applicazione dell’articolo 39 del regolamento della Corte. Affermava di essere fuggito dall’Iraq di Saddam Hussein dopo aver subito torture a causa della sua non collaborazione contro i suoi concittadini curdi di Kirkuk. Sosteneva che l’espulsione verso l’Iraq l’avrebbe esposto al rischio di perdere la vita e di subire trattamenti contrari all’articolo 3, visto il contesto di guerra civile del suo paese. Inoltre, a causa della condanna per terrorismo internazionale, rischiava di essere arrestato e di essere considerato pericoloso per la sicurezza nazionale. Sosteneva che sussistesse la pratica di detenzione arbitraria senza processo e dell’uso della tortura da parte delle forze di sicurezza irachene.

7. La richiesta del ricorrente fu respinta il 9 settembre 2008.

8. Il 10 settembre 2008, il fascicolo del ricorrente fu trasmesso dal procuratore della Repubblica al magistrato di sorveglianza di Avellino. Quest’ultimo effettuò una valutazione della pericolosità sociale del ricorrente ai sensi dell’articolo 679 del codice di procedura penale e dell’articolo 203 del codice penale.

9. Il 15 settembre 2008, il magistrato di sorveglianza di Avellino ordinò l’esecuzione dell’espulsione decisa con la condanna, in quanto il ricorrente costituiva un pericolo per la società, viste le informazioni raccolte dalla polizia.

10. In data imprecisata, il ricorrente presentò una richiesta al fine di ottenere lo status di rifugiato. A sostegno della sua domanda, il ricorrente presentò un mandato d’arresto del mese di aprile 2002, allo scopo di provare che le autorità dell’epoca di Saddam Hussein lo ricercavano per fatti legati ad attentati. La richiesta fu respinta il 31 ottobre 2008 dalla commissione competente in materia di rifugiati. Il ricorrente presentò ricorso dinanzi al tribunale di Milano.

11. Con sentenza del 23 dicembre 2008, notificata il 9 gennaio 2009, il tribunale di Milano respinse il ricorso del ricorrente, ritenendo che la situazione dell’interessato rientrava nella clausola di esclusione che gli impediva di ottenere lo status di rifugiato, in considerazione della sua condanna per terrorismo internazionale e della sua pericolosità per la sicurezza pubblica. Inoltre, il ricorrente non aveva fornito prove relativamente al presunto rischio di essere ancora ricercato dalle autorità irachene, tenendo conto del cambiamento di regime nel paese e del fatto che il mandato di arresto risaliva all’epoca di Saddam Hussein. Il tribunale dubitava tra l’altro che il mandato d’arresto presentato dal ricorrente fosse autentico. Il ricorrente interpose! appello contro questa sentenza.

12. Il 12 gennaio 2009, il ricorrente presentò un’altra richiesta di applicazione dell’articolo 39, sostenendo in particolare che la condanna pronunciata dalle giurisdizioni italiane l’avrebbe esposto al rischio della «pena di morte in vigore e utilizzata contro i combattenti e i terroristi ». Lo stesso giorno, la presidentessa della seconda sezione decise di indicare al governo italiano, ai sensi dell’articolo 39 del regolamento, che era auspicabile, nell’interesse delle parti e del buon svolgimento del procedimento dinanzi alla Corte, non espellere il ricorrente in Iraq fino a nuovo ordine. La presidentessa richiamò l’attenzione del Governo sul fatto che il fatto che uno Stato contraente non si uniformi ad una misura indicata ai sensi dell’articolo 39 del regolamento può costituire una violazione dell’articolo 34 della Convenzione (vedi Mamatkoulov e Askarov c. Turquie [GC], no 46827/99 e 46951/99, §§ 128-129 e punto 5 del dispositivo, CEDU 2005-I).

13. In seguito all’applicazione della misura provvisoria, il ricorrente, che nel frattempo era stato sistemato nel centro di permanenza temporaneo di Milano, fu liberato il 13 gennaio 2009.

14. Il 13 gennaio 2009, il questore di Milano propose di applicare al ricorrente la misura della sorveglianza speciale di polizia ai sensi degli articoli 18 e 19 della legge n° 152 del 1975, insieme all’obbligo di residenza a Milano. Il 14 gennaio 2009, il presidente della sezione delle misure temporanee del tribunale di Milano decise di applicare al ricorrente la sorveglianza speciale per un periodo di tre anni, allo scopo di evitare, vista la pericolosità del ricorrente, che questi riannodasse i contatti nell’ambiente criminale. La decisione fu confermata dalla corte d’appello di Milano l’11 maggio 2009. Il 22 aprile 2010, la sorveglianza di polizia fu prolungata fino al 6 novembre 2010, vista la pericolosità del ricorrente.

15. Dopo vari rinvii di udienza chiesti dal ricorrente, il 9 marzo 2012, la corte d’appello di Milano si pronunciò sulla richiesta di asilo: la corte ritenne che, vista la pericolosità e la gravità dei reati commessi dal ricorrente, quest’ultimo non poteva pretendere né lo status di rifugiato, né la protezione sussidiaria. Tuttavia, la Corte osservò che il tribunale non aveva esaminato il problema di sapere se il ricorrente potesse esigere la protezione umanitaria ai sensi dell’articolo 5 § 6 del decreto legislativo no 286 del 1998. Ora, tenuto conto della sua situazione personale e dei rapporti di Amnesty International presentati dal ricorrente, quest’ultimo rischiava di essere sottoposti a trattamenti disumani in caso fosse stato espulso in Iraq, e di conseguenza il ricorrente aveva il diritto di ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari. La decisione fu depositata in cancelleria il 26 aprile 2012 e notificata all’avvocato del ricorrente il 4 maggio 2012.

MOTIVI DI RICORSO

16. Il ricorrente lamentava i fatto che l’esecuzione dell’espulsione l’avrebbe esposto a un rischio di trattamenti contrari agli articoli 2 e 3 della Convenzione, in particolare tenendo conto della condanna per terrorismo internazionale pronunciata dalle autorità italiane. Il ricorrente si riferiva in particolare ad un documento di Amnesty international del mese di gennaio 2009 in cui si affermava che in Iraq «molte persone in mano alle autorità irachene sono detenute senza accusa né processo, e nella maggior parte dei casi in condizioni carcerarie durissime e senza poter contattare un avvocato. Sono state emesse condanne a morte alla fine di processi non conformi alle norme internazionali sull’equità. Nelle carceri e nei centri detentivi sotto il controllo delle autorità irachene, le persone sospettate di costituire un pericolo dal punto di vista politico o della sicurezza sono quotidianamente torturate o sottoposte ad altre forme di maltrattamenti». Inoltre, secondo un documento del marzo 2009, la pena di morte è spesso inflitta «in base a confessioni estorte con la tortura dalle forze di sicurezza irachene nel corso della custodia cautelare. Le rarissime indagini condotte dal tribunale penale centrale iracheno sulle accuse di tortura sono insufficienti».

17. Invocando l’articolo 13 della Convenzione, il ricorrente sosteneva altresì di non disporre di una via di ricorso interna che gli avrebbe permesso di impedire la propria espulsione.

IN DIRITTO

18. La Corte osserva che non occorre esaminare oltre il ricorso presentato dal ricorrente per i seguenti motivi.

19. Con lettera del 22 maggio 2012, l’avvocato del ricorrente ha informato la cancelleria che la corte d’appello di Milano aveva accolto il ricorso del ricorrente: il 9 marzo 2012, questa giurisdizione ha ritenuto che l’interessato aveva il diritto di ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
La Corte osserva che la decisione della corte d’appello di Milano, notificata all’avvocato del ricorrente il 4 maggio 2012, è esecutiva. Un eventuale ricorso in cassazione, possibile entro 60 giorni, non avrebbe avuto effetti sospensivi ai sensi delle norme applicabili.

20. Alla luce di quanto sopra, la Corte conclude che la controversia è stata risolta, ai sensi dell’articolo 37 § 1 b) della Convenzione.

Tra l’altro, conformemente all’articolo 37 § 1 in fine, la Corte ritiene che nessuna circostanza particolare relativa al rispetto dei diritti tutelati dalla Convenzione o dai suoi Protocolli richieda la continuazione dell’esame del ricorso.

Occorre quindi cancellare la causa dal ruolo.

Di conseguenza, occorre mettere fine all’applicazione dell’articolo 39 del regolamento.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Decide di cancellare il ricorso dal ruolo.

Françoise Tulkens
Presidentessa

Françoise Elens-Passo
Vicecancelliera