Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 7 giugno 2012 - Ricorso n. 38433/09 Centro Europa 7 s.r.l. e Di Stefano c. Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalle dott.sse Martina Scantamburlo e Rita Pucci, funzionari linguistici.

 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
GRANDE CAMERA
CAUSA CENTRO EUROPA 7 S.R.L. E DI STEFANO c. ITALIA
(Ricorso n. 38433/09)
SENTENZA
STRASBURGO
7 giugno 2012 

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.


Nella causa Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, riunita in una Grande Camera composta da:

Françoise Tulkens, presidente,
Jean-Paul Costa,
Josep Casadevall,
Nina Vajić,
Dean Spielmann,
Corneliu Bîrsan,
Elisabeth Steiner,
Elisabet Fura,
Ljiljana Mijović,
David Thór Björgvinsson,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nona Tsotsoria,
Işıl Karakaş,
Kristina Pardalos,
Guido Raimondi,
Linos-Alexandre Sicilianos, giudici,
e da Vincent Berger, giureconsulto,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 12 ottobre 2011 e l'11 aprile 2012,
Rende la seguente sentenza, adottata in quest'ultima data:

 

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 38433/09) proposto contro la Repubblica italiana con cui una società italiana a responsabilità limitata, Centro Europa 7 S.r.l., e un cittadino italiano, il sig. Francescantonio Di Stefano, hanno adito la Corte il 16 luglio 2009 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione").

2. I ricorrenti sono stati rappresentati dagli avvocati A. Pace, R. Mastroianni, O. Grandinetti e F. Ferraro, del foro di Roma. Il governo italiano ("il Governo") è stato rappresentato dal suo agente, sig.ra E. Spatafora.

3. I ricorrenti sostenevano che la mancata assegnazione alla società ricorrente delle radiofrequenze necessarie per la diffusione di trasmissioni televisive aveva violato il loro diritto alla libertà di espressione e, in particolare, la loro libertà di comunicare informazioni o idee. Lamentavano anche la violazione degli articoli 14 e 6 § 1 della Convenzione e dell'articolo 1 del Protocollo n. 1.

4. Il ricorso è stato assegnato alla seconda sezione della Corte (articolo 52 § 1 del regolamento). Il 10 novembre 2009 la seconda sezione ha deciso di comunicarlo al Governo. Come previsto dal vecchio articolo 29 § 3 della Convenzione (attuale articolo 29 § 1) e dall'articolo 54 del regolamento, è stato inoltre deciso di esaminare contestualmente la ricevibilità e il merito della causa. Il 30 novembre 2010, una camera della succitata sezione, composta da Françoise Tulkens, Danute Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, Kristina Pardalos, Guido Raimondi, giudici, e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione, ha rimesso il caso alla Grande Camera non essendo intervenuta opposizione delle parti (articoli 30 della Convenzione e 72 del regolamento).

5. La composizione della Grande Camera è stata decisa conformemente agli articoli 26 §§ 4 e 5 della Convenzione e 24 del regolamento. Il 3 novembre 2011 è scaduto il mandato di presidente della Corte di Jean-Paul Costa, da tale data la presidenza della Grande Camera nel caso di specie è stata assunta da Françoise Tulkens (articolo 9 § 2 del regolamento). Jean-Paul Costa ha continuato a partecipare alle sedute dopo la scadenza del suo mandato in virtù degli articoli 23 § 3 della Convenzione e 24 del regolamento.

6. I ricorrenti e il Governo hanno depositato osservazioni scritte complementari (articolo 59 § 1 del regolamento). Alcune osservazioni sono state presentate anche dall'associazione Open Society Justice Iniziative autorizzata dal presidente ad intervenire nella procedura scritta (articolo 36 § 2 della Convenzione e 44 § 2 del regolamento).

7. Il 12 ottobre 2011 si è tenuta una pubblica udienza nel Palazzo dei diritti dell'Uomo a Strasburgo (articolo 59 § 3 del regolamento).

Sono comparsi:
per il Governo
M. Remus, consigliere,
P. Gentili, avvocato di Stato;

per i ricorrenti
R. Mastroianni,
O. Grandinetti,
F. Ferraro, avvocati.

La Corte ha ascoltato le dichiarazioni dei signori Remus e Gentili e degli avvocati Mastroianni e Grandinetti. e le loro risposte alle domande poste dai giudici.

 

IN FATTO


I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

8. La ricorrente, Centro Europa 7 S.r.l., è una società a responsabilità limitata che opera nel campo della diffusione televisiva ed ha la sua sede sociale a Roma. Il ricorrente, il sig. Francescantonio Di Stefano, è un cittadino italiano nato nel 1953, è residente a Roma ed è il legale rappresentante della società ricorrente.

9. Con decreto ministeriale del 28 luglio 1999, Centro Europa 7 S.r.l. ha ottenuto, conformemente alle disposizioni della legge no 249 del 1997 (paragrafi 56-61 infra), la concessione per la radiodiffusione televisiva su frequenze terrestri in ambito nazionale che autorizzava la ricorrente a installare ed esercitare una rete di impianti di radiodiffusione televisiva analogica. La concessione prevedeva che la ricorrente avesse diritto a tre frequenze coprendo l'80% del territorio nazionale. Per l'attribuzione delle radiofrequenze, la concessione rinviava al piano nazionale di assegnazione delle frequenze adottato il 30 ottobre 1998 nel quale era indicato che la messa in conformità degli impianti alle prescrizioni del piano di assegnazione doveva aver luogo entro ventiquattro mesi e doveva rispettare il programma di adeguamento stabilito dalla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – di seguito "la AGCOM", in collaborazione con il Ministero delle Comunicazioni – di seguito "il ministero". Risulta dalla sentenza del Consiglio di Stato no 2624 del 31 maggio 2008 (paragrafo 14 infra) che, ai sensi della concessione, l'assegnazione delle radiofrequenze era rinviata ad una fase ulteriore, che dipendeva dall'adozione da parte dell'amministrazione del suddetto programma di adeguamento in base al quale la ricorrente avrebbe dovuto eseguire interventi sui suoi impianti. A sua volta, il programma di adeguamento avrebbe dovuto basarsi sulle prescrizioni del piano nazionale di assegnazione delle frequenze. Questo piano non fu messo in atto. A livello nazionale furono successivamente applicati regimi transitori favorevoli ai canali esistenti di modo che, pur essendo titolare di una concessione, la ricorrente non poté trasmettere prima del mese di giugno 2009 perché non le erano state assegnate le radiofrequenze.

10. La ricorrente, tramite il suo legale rappresentante, introdusse parecchi ricorsi innanzi ai tribunali amministrativi.

A. Il primo procedimento amministrativo

11. Nel novembre 1999, la ricorrente ingiunse al ministero di assegnarle le radiofrequenze. Con una nota del 22 dicembre 1999, il ministero oppose un rifiuto.

1. Il procedimento di merito

12. Nel 2000 la società ricorrente depositò un ricorso innanzi al tribunale amministrativo regionale del Lazio (di seguito il "TAR") contro il ministero e la società RTI (una rete di canali televisivi italiani controllata da Mediaset) lamentando che le autorità non le avevano assegnato le frequenze di radiodiffusione. Questo ricorso era diretto anche contro la società RTI in quanto il canale Retequattro era stato autorizzato a trasmettere occupando le radiofrequenze che avrebbero dovuto essere trasferite alla ricorrente.

13. Il 16 settembre 2004 il TAR accolse il ricorso della ricorrente evidenziando che l'amministrazione doveva assegnare le radiofrequenze o revocare la concessione. Di conseguenza, annullò la nota del 22 dicembre 1999.

14. La società RTI interpose appello innanzi al Consiglio di Stato. Con la sentenza n. 2624 del 31 maggio 2008, il Consiglio di Stato rigettò l'appello e confermò la sentenza del TAR evidenziando che nella concessione non era stato fissato alcun termine all'amministrazione per adottare il programma di adeguamento stabilito dalla AGCOM in collaborazione con il ministero, ma che la ricorrente aveva un termine di ventiquattro mesi per intervenire sui suoi impianti. Di conseguenza, secondo la alta giurisdizione, questo programma di conformità avrebbe dovuto essere approvato entro breve tempo.
Il Consiglio di Stato aggiungeva che il ministero doveva pronunciarsi sulla richiesta di assegnazione delle radiofrequenze della ricorrente in applicazione di una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea 1 (di seguito, la "CJUE") nel frattempo intervenuta (vedere paragrafi 33-36 infra).

2. Il procedimento esecutivo

15. Non avendo ottenuto le radiofrequenze, il 23 ottobre 2008 la ricorrente citò il ministero innanzi al Consiglio di Stato per lamentare la mancata esecuzione della sentenza del 31 maggio 2008.

16. L'11 dicembre 2008 il ministero prorogò la durata della concessione rilasciata nel 1999 fino alla fine della diffusione analogica (switch off) e assegnò a Centro Europa 7 S.r.l. un canale unico a partire dal 30 giugno 2009.

17. Di conseguenza, il Consiglio di Stato, nella sentenza no 243/09 del 20 gennaio 2009, ritenne che il ministero avesse eseguito correttamente la sua precedente sentenza del 31 maggio 2008.

18. Il 18 febbraio 2009, la ricorrente introdusse un nuovo ricorso innanzi al TAR sostenendo che il decreto di assegnazione delle radiofrequenze dell'11 dicembre 2008 era insufficiente perché, contrariamente a quanto previsto della concessione, riguardava un canale unico che non copriva l'80% del territorio nazionale. Nel ricorso, la ricorrente domandava l'annullamento di questo decreto ed il versamento di una somma per i danni.

19. Il 9 febbraio 2010 la ricorrente firmò un accordo con il ministero dello Sviluppo economico (ex ministero delle Comunicazioni) con il quale quest'ultimo si impegnava ad assegnarle altre radiofrequenze conformemente ai termini della concessione.

20. L'11 febbraio 2010 in esecuzione di una delle clausole di questo accordo, la ricorrente domandò la cancellazione dal ruolo del procedimento pendente innanzi al TAR.

21. L'8 marzo 2011 chiese che il procedimento pendente innanzi al TAR fosse nuovamente iscritto a ruolo. Nella istanza reclamava l'annullamento del decreto di assegnazione delle radiofrequenze dell'11 dicembre 2008 ed il versamento di una somma per i danni. Sosteneva che l'amministrazione non aveva pienamente eseguito l'obbligo di assegnare le frequenze complementari né aveva rispettato l'accordo del 9 febbraio 2010 e la decisione dell'11 dicembre 2008.

22. In effetti l'articolo 6 dell'accordo in questione prevedeva:
« Centro Europa 7 S.r.l. si impegna a domandare entro l'11 febbraio 2010 la cancellazione dal ruolo del ricorso n. 1313/09 pendente innanzi al TAR del Lazio, a permettere che venga dichiarato estinto per mancata presentazione di una nuova domanda di fissazione di udienza entro i termini fissati dalla legge, a rinunciare entro lo stesso termine alle richieste di risarcimento danni depositate con tale ricorso a condizione che, alla data di scadenza e nell'intervallo, il presente accordo, la decisione di assegnazione delle frequenze complementari e la decisione dell'11 dicembre 2008 non abbiano perduto la loro validità.
Da parte sua, l'amministrazione si impegna a dare piena esecuzione all'obbligo di assegnare le frequenze complementari, al presente accordo e alla decisione dell'11 dicembre 2008. Ove così non fosse, Centro Europa 7 e le amministrazioni resistenti riacquisteranno pieno possesso delle rispettive prerogative procedurali. Nell'ipotesi in cui perda validità l'assegnazione delle frequenze complementari, si precisa che Centro Europa 7 S.r.l. potrà riattivare il ricorso no 1313/09 soltanto nel caso in cui ciò condurrà all'impossibilità per Europa Way S.r.l. di esercitare uno o più degli impianti citati nell'allegato tecnico A.»

23. La procedura è attualmente pendente innanzi al TAR.

B. Il secondo procedimento amministrativo

1. Il procedimento dinanzi al TAR

24. Nel frattempo, il 27 novembre 2003, mentre il primo ricorso era ancora pendente dinanzi al TAR, la ricorrente aveva presentato a questo tribunale amministrativo una domanda per farsi riconoscere il diritto ad ottenere l'assegnazione delle radiofrequenze e il risarcimento del danno subito.

25. Con sentenza del 16 settembre 2004, il TAR aveva rigettato tale domanda ritenendo, in particolare, che la ricorrente fosse titolare di un semplice interesse legittimo, ossia di una posizione individuale protetta indirettamente e subordinata al rispetto dell'interesse generale, e non del diritto soggettivo di ottenere l'assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva analogica terrestre.

2. L’appello innanzi al Consiglio di Stato

26. La ricorrente interpose appello innanzi al Consiglio di Stato, sostenendo che, dal momento che le autorità competenti le avevano rilasciato una concessione, essa era effettivamente titolare di un diritto soggettivo. In particolare contestava la conformità del decreto-legge no 352/2003 e della legge no 112/2004 con il diritto comunitario (paragrafi 65-67 infra).

27. Il 19 aprile 2005 il Consiglio di Stato decise di limitare il suo esame alla domanda di risarcimento danni della ricorrente e di non pronunciarsi al momento sulla domanda di concessione delle radiofrequenze.

28. Osservò tuttavia che la mancata assegnazione delle radiofrequenze a Centro Europa 7 era stata causata da fattori essenzialmente normativi.

29. Ricordò che l'articolo 3 § 2 della legge no 249 del 1997 (paragrafo 58 infra) consentiva agli "occupanti di fatto" di radiofrequenze, autorizzati ad operare in base alla precedente disciplina, di continuare a trasmettere fino al rilascio delle nuove concessioni o fino alla reiezione delle domande di nuove concessioni e, in ogni caso, entro e non oltre il 30 aprile 1998.

30. Notò anche che l'articolo 3 § 7 della legge n. 249 del 1997 (paragrafo 61 infra) consentiva la prosecuzione di tali trasmissioni, rimettendo alla AGCOM la fissazione di un termine ultimo alla sola condizione che le trasmissioni fossero diffuse contemporaneamente su radiofrequenze terrestri e via satellite o via cavo. Ricordò che, in mancanza di una data stabilita dalla AGCOM, la Corte costituzionale aveva fissato al 31 dicembre 2003 il termine entro il quale i programmi irradiati dalle reti eccedenti (ossia le reti televisive nazionali esistenti che oltrepassavano i limiti di concentrazione imposti dall'articolo 2 § 6 della legge n. 249 del 1997) avrebbero dovuto essere trasmessi solo via satellite o via cavo, liberando così le radiofrequenze da assegnare ai concessionari quali la ricorrente. Il Consiglio di Stato osservò che questo termine però non era stato rispettato a seguito dell'intervento del legislatore nazionale in quanto l'articolo 1 del decreto-legge n. 352 del 2003, convertito nella legge n. 43 del 24 febbraio 2004 (paragrafo 65 infra), aveva prorogato l'esercizio delle reti eccedenti fino allo svolgimento di una indagine della AGCOM sullo sviluppo delle reti televisive digitali. Aggiunse che l'articolo 23 § 5 della legge n. 112 del 2004 (paragrafo 67 infra) aveva poi prorogato, con un meccanismo di autorizzazione generale, la possibilità per le reti eccedenti di continuare a trasmettere su radiofrequenze terrestri fino all'attuazione del piano nazionale di assegnazione delle radiofrequenze per la televisione digitale, di modo che tali canali non fossero obbligati a liberare le radiofrequenze destinate ad essere assegnate ai soggetti che, come la ricorrente, erano titolari di concessioni.

31. Secondo il Consiglio di Stato, la legge n. 112 del 2004 aveva quindi avuto l'effetto di non liberare le radiofrequenze destinate ad essere assegnate ai soggetti titolari di concessioni in tecnica analogica e di impedire a nuovi operatori di partecipare alla sperimentazione della televisione digitale.

32. In queste condizioni, il Consiglio di Stato decise di sospendere la decisione e chiese alla Corte di Giustizia dell'Unione europea di pronunciarsi sull'interpretazione delle disposizioni del Trattato sulla libera prestazione di servizi e sulla concorrenza, della direttiva 2002/21/CE (direttiva "quadro"), della direttiva 2002/20/CE (direttiva "autorizzazioni"), della direttiva 2002/77/CE (direttiva "concorrenza"), e dell'articolo 10 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo, nella parte in cui l'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea vi faceva riferimento.

3. La sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea

33. Il 31 gennaio 2008 la Corte di Giustizia dell'Unione europea emise la sua sentenza. Dichiarò irricevibili due questioni, ritenendo di non disporre di sufficienti informazioni per poter decidere su questi punti.

34. Per quanto riguarda la questione di cui all'articolo 10 della Convenzione, la Corte di Giustizia dell'Unione europea dichiarò quanto segue:
«Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte di accertare se le disposizioni dell'articolo 10 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo, come richiamato dall'articolo 6 UE ostino, in materia di trasmissione televisiva, ad una normativa nazionale la cui applicazione conduce a che un operatore titolare di una concessione, quale Centro Europa 7, sia nell'impossibilità di trasmettere in mancanza di assegnazione di radiofrequenze di trasmissione.
(...)
Con tali questioni, il giudice del rinvio intende quindi verificare l'esistenza di violazioni del diritto comunitario al fine di pronunciarsi su una domanda di risarcimento dei danni che ne sono derivati.
Ora, (...), l’articolo 49 CE e, a decorrere dalla loro applicabilità, l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva "quadro", gli articoli 5 paragrafi 1 e 2, secondo comma, e 7, paragrafo 3, della direttiva "autorizzazioni" e l'articolo 4 della direttiva "concorrenza" devono essere interpretati nel senso che essi ostano, in materia di trasmissione televisiva, ad una normativa nazionale la cui applicazione conduce a che un operatore titolare di una concessione si trovi nell'impossibilità di trasmettere per mancanza di radiofrequenze di trasmissione assegnate sulla base di criteri oggettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati.
Pertanto, questa risposta permette, da sola, al giudice del rinvio di decidere sulla domanda introdotta da Centro Europa 7 di risarcimento dei danni subiti.
Di conseguenza, alla luce della soluzione fornita dalla Corte alla seconda, quarta e quinta questione, non occorre pronunciarsi sulla prima e sulla terza questione.»

35. Nel merito, la Corte di Giustizia dell'Unione europea osservò che le reti esistenti erano state autorizzate a proseguire l'esercizio della radiodiffusione in seguito a più interventi del legislatore nazionale, ai danni dei nuovi soggetti emittenti pertanto titolari di concessioni per la radiodiffusione televisiva per via terrestre. Essa notò che questi interventi del legislatore nazionale si erano prodotti tramite l'applicazione in successione di regimi transitori, istituiti a favore dei titolari delle reti esistenti, che questa situazione aveva avuto come effetto quello di ostacolare agli operatori sprovvisti di radiofrequenze di trasmissione, quali la ricorrente, l'accesso al mercato della radiodiffusione televisiva, anche se provvisti di concessione (assegnata, nel caso della ricorrente, nel 1999). La Corte di Giustizia dell'Unione europea si espresse come segue:
« (...) La legge n. 112/2004, non si limita ad attribuire agli operatori esistenti un diritto prioritario ad ottenere le radiofrequenze, ma riserva loro tale diritto in esclusiva, senza limite temporale alla situazione di privilegio attribuita a questi operatori e senza prevedere obbligo di restituzione delle radiofrequenze eccedenti dopo il passaggio alla trasmissione televisiva in tecnica digitale.»

36. La Corte di Giustizia dell'Unione europea aggiunse che l'applicazione di questi regimi transitori non era conforme al nuovo quadro regolamentare comune (NCRC) che attuava le disposizioni del trattato, soprattutto quelle relative alla libera prestazione di servizi nel campo delle reti e dei servizi di comunicazioni elettroniche. Osservò in proposito che molte disposizioni del NCRC precisavano che l'attribuzione e l'assegnazione delle radiofrequenze dovevano essere fondate su criteri oggettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati; secondo la Corte di Giustizia dell'Unione europea tali criteri non erano stati applicati in quanto lo status delle reti esistenti non era stato modificato nell'ambito del regime transitorio ed esse avevano proseguito l'esercizio della radiodiffusione ai danni di operatori quali la ricorrente che, in mancanza di assegnazione delle radiofrequenze di trasmissione, non erano in grado di esercitare i loro diritti e di godere della loro concessione.
La Corte di Giustizia dell'Unione europea giunse così alle seguenti conclusioni:
« (...) va precisato che, nel settore delle trasmissioni radiotelevisive, la libera prestazione di servizi, come sancita dall'articolo 49 CE e attuata in questo settore dal NCRC, esige non soltanto la concessione di autorizzazioni alla trasmissione, ma anche l'assegnazione di frequenze di trasmissione. In effetti, in mancanza di radiofrequenze di trasmissione, un operatore non può esercitare in modo effettivo i diritti conferitigli dal diritto comunitario circa l'accesso al mercato della radiodiffusione televisiva. (...)
L'articolo 49 CE e, a decorrere dalla loro applicabilità, l'articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazioni elettroniche (direttiva "quadro"), gli articoli 5, paragrafi 1 e 2, secondo comma, e 7, paragrafo 3 della direttiva 2002/20/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva "autorizzazioni"), nonché l'articolo 4 della direttiva 2002/77/CE della Commissione, del 16 settembre 2002, relativa alla concorrenza nei mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, devono essere interpretati nel senso che essi ostano, in materia di trasmissione televisiva, ad una normativa nazionale la cui applicazione conduce a che un operatore titolare di una concessione si trovi nell'impossibilità di trasmettere per mancanza delle frequenze di trasmissione assegnate sulla base di criteri oggettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati.»

4. La ripresa del procedimento innanzi al Consiglio di Stato

37. Con la sentenza no 2622/08 del 31 maggio 2008, il Consiglio di Stato concluse che non poteva sostituirsi al Governo per assegnare le radiofrequenze, e neanche poteva costringerlo a farlo. Ordinò al Governo di trattare la domanda delle radiofrequenze introdotta dalla ricorrente rispettando i criteri imposti dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea. In particolare formulò le seguenti considerazioni:
«L’adozione da parte dell’amministrazione di un determinato atto amministrativo attiene più ai profili di adempimento e di esecuzione che non a quelli risarcitori: in presenza di un illegittimo diniego e di accertata spettanza del provvedimento amministrativo richiesto, il rilascio del provvedimento non costituisce una misura risarcitoria, ma costituisce la doverosa esecuzione di un obbligo che grava sull’amministrazione, salvi gli eventuali danni causati al privato.»

38. Per quanto riguarda la domanda di assegnazione delle radiofrequenze, il Consiglio di Stato sottolineò che:
«In presenza di interessi pretensivi, invece, non è possibile pensare ad una reintegrazione in forma specifica perché il silenzio, il ritardo o l’illegittimo diniego incidono sempre su una situazione che era e rimane insoddisfatta, per cui non vi è nulla che possa essere reintegrato; in relazione a tali interessi, la questione attiene al diverso istituto della esecuzione in forma specifica di una eventuale pronuncia di annullamento dell’atto negativo.
(...)
Applicando detti principi al caso di specie, si ricava l’inammissibilità della domanda con cui la ricorrente ha chiesto la condanna dell’amministrazione all’assegnazione della rete o delle frequenze.»

5. La decisione sulla richiesta di risarcimento della ricorrente

39. Il Consiglio di Stato rinviò al 16 dicembre 2008 la decisione definitiva sul risarcimento danni alla ricorrente, giudicando in effetti necessario, per poter determinare l'ammontare del versamento, attendere l'atto regolamentare del Governo riguardante la concessione delle radiofrequenze.

40. Il Consiglio di Stato domandò alle due parti di ottemperare prima del 16 dicembre 2008 alle seguenti richieste. Il ministero doveva, in primo luogo, precisare quali radiofrequenze fossero disponibili dopo le procedure di gara del 1999 e le ragioni per le quali non erano state assegnate alla ricorrente e, in secondo luogo, spiegare la sua affermazione ai sensi della quale la concessione della ricorrente era scaduta nel 2005.

41. Per quanto riguarda la ricorrente, l'alta giurisdizione richiese, da un lato, di presentare copia del bilancio della sua attività dal 1999 al 2008 e, dall'altro lato, di esporre le ragioni della mancata partecipazione alla gara nel 2007 per l'assegnazione delle radiofrequenze.

42. Il Consiglio di Stato invitò anche la AGCOM a produrre una relazione precisando le ragioni per le quali il piano nazionale di assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva terrestre non fosse mai stato messo in atto. Infine, rigettò la domanda presentata dalla ricorrente volta alla sospensione dell'autorizzazione provvisoria all'utilizzo delle radiofrequenze che era stata accordata ad una rete (Retequattro) del gruppo Mediaset.

43. Nella sua risposta, l’AGCOM ricordò al Consiglio di Stato che il piano nazionale di assegnazione delle radiofrequenze era stato messo in atto soltanto il 13 novembre 2008. Secondo la AGCOM, questo ritardo era dovuto a più ragioni. Innanzitutto la situazione giuridica era complicata perché era difficile identificare le frequenze di trasmissione disponibili a causa delle decisioni giudiziarie che avevano permesso alle reti eccedenti di continuare a trasmettere. Inoltre, la legislazione transitoria introdotta con la legge no 66 del 2001 (paragrafi 63-64 infra), che aveva autorizzato le reti eccedenti a proseguire le loro trasmissioni in tecnica analogica, impediva la messa in atto del piano, tenuto conto dell'incompatibilità degli interessi delle reti che potevano essere autorizzate a trasmettere secondo il piano con quelli delle reti legittimamente abilitate a proseguire l'esercizio della loro attività.

44. La ricorrente depositò una perizia tecnica, redatta dalla banca UNIPOL, secondo la quale il danno subito ammontava a 2.175.213.345,00 EURO. Questa valutazione del danno era formulata in base ai profitti realizzati da Retequattro, ossia la rete eccedente che avrebbe dovuto liberare le radiofrequenze assegnate alla ricorrente.

45. Con sentenza del 20 gennaio 2009, il Consiglio di Stato, in base all'articolo 2043 del codice civile, (paragrafo 69 infra) condannò il ministero a versare alla ricorrente, a titolo di risarcimento danni, la somma di 1.041.418 EURO. Il Consiglio di Stato sottolineò che, per dieci anni, la condotta del ministero era da qualificarsi come colposa per avere quest'ultimo dapprima rilasciato una concessione a Centro Europa 7 S.r.l senza poi assegnarle le radiofrequenze per la trasmissione.

46. Il Consiglio di Stato stabilì che esisteva un nesso di causalità tra il comportamento dell'amministrazione ed il pregiudizio dedotto e che il rilascio della concessione a Centro Europa 7 S.r.l. non le poteva conferire il diritto immediato ad esercitare la corrispondente attività economica; di conseguenza il risarcimento doveva essere calcolato in base ad una legittima aspettativa di attribuzione delle radiofrequenze da parte delle autorità competenti.

47. Secondo il Consiglio di Stato il fatto di aver attribuito le radiofrequenze soltanto l'11 dicembre 2008 era imputabile all'amministrazione. Ne era risultato un danno da fatto illecito da inquadrare nella responsabilità extracontrattuale dell'amministrazione, e tale conclusione valeva sia per il danno da lesione dell'affidamento che per quello da tardiva attribuzione delle frequenze. Il lancio da parte dell'amministrazione di un bando di gara per le frequenze nel 1999, mentre la situazione del sistema audiovisivo non era chiara e le questioni tecniche non erano ancora risolte, era stata "azzardata". Secondo il Consiglio di Stato, la questione del risarcimento dei danni subiti dalla ricorrente doveva tener conto di questo contesto. La condotta dell'amministrazione non era stata connotata da una notevole gravità e di conseguenza il fatto illecito derivava da una condotta "colposa", e non intenzionale, di quest'ultima.

48. Il Consiglio di Stato aggiunse che l'ammontare del danno doveva essere calcolato a partire dal 1 gennaio 2004 in quanto la Corte costituzionale aveva considerato che il "periodo transitorio" dopo il quale il legislatore era tenuto ad intervenire per permettere ai titolari di una concessione di cominciare a trasmettere era scaduto il 31 dicembre 2003 (paragrafo 62 infra). Quanto ai criteri di valutazione dei danni e degli interessi, il Consiglio di Stato sottolineò che, in merito alle perdite subite, la ricorrente all'epoca della gara d'appalto non poteva ignorare i caratteri specifici della situazione di fatto nella quale maturò il bando e le condizioni cui fu sottoposta la concessione. Inoltre, gli eventi successivi che hanno impedito l'assegnazione delle frequenze erano ampiamente prevedibili. Pertanto avrebbe dovuto sapere che era poco probabile ottenere le frequenze, quanto meno in tempi rapidi. Inoltre, avrebbe potuto acquisire le radiofrequenze conformemente all'articolo 1 della legge no 66 del 20 marzo 2001 (paragrafo 64 infra).
Alla luce di queste considerazioni, il Consiglio di Stato, senza disporre una perizia, decise di concedere alla società ricorrente 391.418 EURO a titolo di risarcimento per le perdite subite. Quanto al mancato guadagno, considerò che a partire dal 1 gennaio 2004, la ricorrente avrebbe potuto ottenere utili il cui mancato conseguimento era in rapporto di causalità con il ritardo nell'attribuzione delle frequenze e che potevano essere complessivamente quantificati in 650.000 EURO. Rifiutò di prendere in considerazione la perizia presentata dalla ricorrente e sottolineò che era poco credibile che quest'ultima avesse acquisito delle quote di mercato, anche nell'ipotesi di una liberazione delle frequenze da parte delle reti eccedenti. Per il Consiglio di Stato era azzardata la comparazione tra e i due principali operatori (Mediaset e RAI), e la mancata considerazione di un altro operatore ("la 7") che, anche se di superiore consistenza economica rispetto alla concorrente, chiudeva tuttavia i bilanci in costante perdita.


II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

A. La sentenza n. 225 del 1974 della Corte costituzionale

49. Nella sentenza no 225 del 1974, la Corte costituzionale, basandosi sull'articolo 43 della Costituzione, ha riaffermato il principio del monopolio della RAI, la società televisiva nazionale, in nome dell'interesse generale. Essa ha ritenuto che il numero tecnicamente limitato delle frequenze giustificasse questo monopolio ed ha enunciato l'esigenza di obiettività e di imparzialità per il servizio pubblico.

B. La legge n. 103 del 1975

50. La legge no 103 del 14 aprile 1975 (Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva) ha trasferito il controllo del servizio pubblico di radiodiffusione dall'esecutivo al corpo legislativo. E' stata istituita una commissione parlamentare bicamerale per assicurare la direzione generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. Il Parlamento ha quindi nominato il consiglio di amministrazione della RAI. Nel 1979 è stata lanciata la terza rete della RAI, in particolare per la diffusione dei programmi regionali.

C. La sentenza n. 202 del 1976 della Corte costituzionale

51. Nella sentenza no 202 del 15 luglio 1976, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionali le disposizioni della legge no 103 del 1975 che prevedevano un monopolio o un oligopolio sulla radiodiffusione locale. A seguito di questa decisione, gli operatori commerciali sono stati autorizzati a utilizzare i canali televisivi locali.

52. L'assegnazione e la ridistribuzione spontanea delle frequenze locali hanno quindi favorito lo sviluppo dei grandi operatori regionali addirittura nazionali, fra i quali il gruppo Mediaset. Il primo canale di questo gruppo è stato Canale 5, che ha cominciato a trasmettere a livello nazionale nel 1980, poi, dopo avere acquisito il controllo di altre due reti (Italia Uno e Retequattro), nel 1984 è arrivato a instaurare con la RAI un "duopolio" di operatori pubblico e privato.

D. La legge n. 223 del 1990

53. La legge n. 223 del 6 agosto 1990, intitolata "Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato" ha trasferito dalla commissione parlamentare ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato la designazione dei membri del consiglio di amministrazione della RAI.

E. La sentenza n. 420 del 1994 della Corte costituzionale

54. Nella sentenza no 420 del 5 dicembre 1994, la Corte costituzionale ha dichiarato la incostituzionalità delle disposizioni che permettono alle tre reti televisive controllate dal gruppo Mediaset (Canale 5, Italia Uno e Retequattro) di occupare una posizione dominante. Ha ritenuto che la disposizione che autorizzava uno stesso operatore a detenere più concessioni televisive a condizione di non oltrepassare il limite del 25% del numero complessivo delle reti nazionali, ossia tre reti in tutto, non fosse sufficiente ad impedire la concentrazione delle reti televisive e di conseguenza fosse in conflitto con l'articolo 21 della Costituzione non permettendo di garantire la pluralità delle fonti di informazione. La alta Corte ha considerato che l'esistenza di una normativa atta ad impedire l'instaurarsi di posizioni dominanti fosse una condizione fondamentale per giustificare l'abbandono da parte dello Stato del suo monopolio sulla radiodiffusione. In effetti, l'instaurarsi di tali posizioni dominanti in questo settore non soltanto avrebbe avuto come effetto quello di modificare le regole della concorrenza, ma avrebbe anche portato alla formazione di un oligopolio e sarebbe andato contro il principio fondamentale della pluralità delle fonti di informazione. Così, la Corte costituzionale ha ritenuto che il semplice fatto che coesistessero all'interno del sistema di radiodiffusione una impresa pubblica e delle imprese private (sistema misto) non fosse sufficiente ad assicurare il rispetto del diritto di ricevere informazioni provenienti da più fonti concorrenti. Come aveva precedentemente indicato nella sua decisione no 826 del 1988, in tale circostanza ha ribadito che una impresa pubblica non poteva da sola assicurare un equilibrio che garantisse l'assenza di posizione dominante nel settore privato.

55. Con il referendum dell'11 giugno 1995, gli elettori italiani hanno respinto a maggioranza (57%) la proposta volta ad emendare le leggi esistenti introducendo il divieto per un imprenditore privato di controllare più di una rete televisiva.

F. La legge n. 249 del 1997

56. La legge n. 249 del 31 luglio 1997, entrata in vigore il 1 agosto 1998, ha istituito l’AGCOM (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni). L’articolo 2 § 6 di questa legge ha imposto limiti di concentrazione nel settore della radiodiffusione televisiva, vietando ad uno stesso operatore di essere titolare di concessioni che gli permettessero di irradiare in ambito nazionale più del 20% delle reti televisive che trasmettevano su radiofrequenze terrestri.

57. Secondo l'articolo 3 § 1, gli operatori autorizzati a emettere in virtù del quadro giuridico precedente potevano continuare a trasmettere i loro programmi in ambito nazionale e locale fino al rilascio delle nuove concessioni o al rigetto delle domande di nuove concessioni ma, in ogni caso, entro e non oltre il 30 aprile 1998.

58. Ai sensi dell'articolo 3 § 2, l'AGCOM doveva adottare al massimo entro il 31 gennaio 1998 un piano nazionale di assegnazione delle radiofrequenze per la radiodiffusione televisiva, in base al quale sarebbero state rilasciate nuove concessioni entro il 30 aprile 1998.

59. L’AGCOM ha adottato il piano nazionale di attribuzione delle radiofrequenze con la deliberazione no 68 del 30 ottobre 1998, poi, con la deliberazione no 78 del 1 dicembre 1998, ha adottato il regolamento relativo alle condizioni e alle modalità di rilascio delle concessioni per la radiodiffusione televisiva su radiofrequenze terrestri analogiche.

60. L’articolo 3 § 6 della legge no 249 del 1997 ha instaurato per le reti televisive nazionali esistenti che oltrepassavano i limiti di concentrazione imposti dall'articolo 2 § 6 (le “reti eccedenti”) un regime transitorio che permetteva loro di continuare a trasmettere a titolo temporaneo su radiofrequenze terrestri dopo il 30 aprile 1998 nel rispetto degli obblighi stabiliti per le reti titolari di concessione a condizione che le trasmissioni fossero effettuate contemporaneamente via satellite o via cavo.

61. L’articolo 3 § 7 della stessa legge affidava alla AGCOM il compito di fissare il termine entro il quale le reti eccedenti, in relazione all'effettivo e congruo sviluppo dell'utenza dei programmi radiotelevisivi via cavo o via satellite, avrebbero dovuto trasmettere i loro programmi unicamente via satellite o via cavo, abbandonando le radiofrequenze terrestri.

G. La sentenza n. 466 del 2002 della Corte costituzionale

62. Il 20 novembre 2002, la Corte costituzionale ha emesso una sentenza riguardante l'articolo 3 § 7 della legge n. 249 del 1997. Essa ha ritenuto che il periodo transitorio previsto da questa disposizione fosse accettabile, dal momento che, all'epoca in cui la legge era stata adottata, non si poteva considerare che in Italia i sistemi alternativi di diffusione fossero competitivi rispetto alla diffusione analogica tradizionale, da qui la necessità di prevedere un periodo di transizione destinato a permettere lo sviluppo della diffusione digitale. Al contrario, la alta Corte ha dichiarato incostituzionale la omessa indicazione di una data certa e definita per la scadenza di questo periodo transitorio. Facendo riferimento alle conclusioni tecniche della decisione n. 346/2001 della AGCOM, risultanti da uno studio sul numero di utenti della televisione via cavo e via satellite in Italia, ha ritenuto che il 31 dicembre 2003 fosse una data ragionevole per la scadenza del periodo di transizione.
La Corte costituzionale si è in particolare espressa così:
« (...) la formazione dell'esistente sistema televisivo italiano privato in ambito nazionale ed in tecnica analogica trae origine da situazioni di mera occupazione di fatto delle frequenze (esercizio di impianti senza rilascio di concessioni e autorizzazioni), al di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo nella distribuzione delle frequenze e di pianificazione effettiva dell'etere (...). La descritta situazione di fatto non garantisce, pertanto, l'attuazione del principio del pluralismo informativo esterno, che rappresenta uno degli "imperativi" ineludibili emergenti dalla giurisprudenza costituzionale in materia (...). In questo quadro la protrazione della situazione (peraltro aggravata) già ritenuta illegittima dalla sentenza n. 420 del 1994 ed il mantenimento delle reti considerate ancora "eccedenti" dal legislatore del 1997 esigono, ai fini della compatibilità con i principi costituzionali, che sia previsto un termine finale assolutamente certo, definitivo e dunque non eludibile (...) »

H. La legge n. 66 del 2001

63. Il decreto-legge no 5 del 23 gennaio 2001, convertito con modificazioni nella legge n. 66 del 20 marzo 2001, ha autorizzato i soggetti legittimamente operanti a proseguire nell'esercizio della attività di radiodiffusione televisiva su radiofrequenze terrestri in tecnica analogica fino all'attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive in tecnica digitale.

64. L’articolo 1 prevede che gli operatori che non trasmettono e che hanno ottenuto una concessione possono acquisire impianti di diffusione e connessi collegamenti legittimamente eserciti alla data di entrata in vigore del decreto-legge.
L’articolo 2 bis dispone:
« Al fine di consentire l'avvio dei mercati di programmi televisivi digitali su frequenze terrestri, i soggetti che eserciscono legittimamente l'attività di radiodiffusione televisiva su frequenze terrestri, da satellite e via cavo sono abilitati, di norma nel bacino di utenza o parte di esso, alla sperimentazione di trasmissioni televisive e servizi della società dell'informazione in tecnica digitale. »

I. Le leggi n. 43 del 24 febbraio 2004 e n. 112 del 3 maggio 2004

65. L’articolo 1 del decreto-legge no 352 del 24 dicembre 2003, convertito con modificazioni nella legge no 43 del 24 febbraio 2004, ha autorizzato le reti eccedenti a proseguire le loro emissioni sulle reti di radiodiffusione televisiva in modalità analogica e digitale fino al termine di un esame della complessiva offerta dei programmi televisivi digitali terrestri.

66. La legge no 112 del 3 maggio 2004 (detta "legge Gasparri") ha precisato le varie fasi di avvio delle emissioni in modalità digitale sulle radiofrequenze terrestri.

67. L’articolo 23 di questa legge dispone:
« 1. Fino all’attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive in tecnica digitale, i soggetti esercenti a qualunque titolo attività di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale e locale in possesso dei requisiti previsti per ottenere l’autorizzazione per la sperimentazione delle trasmissioni in tecnica digitale terrestre, ai sensi dell’articolo 2-bis del decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 2001, n. 66, possono effettuare, anche attraverso la ripetizione simultanea dei programmi già diffusi in tecnica analogica, le predette sperimentazioni fino alla completa conversione delle reti, nonché richiedere, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge (…) le licenze e le autorizzazioni per avviare le trasmissioni in tecnica digitale terrestre.
2. La sperimentazione delle trasmissioni in tecnica digitale può essere effettuata sugli impianti legittimamente operanti in tecnica analogica alla data di entrata in vigore della presente legge.
3. Ai fini della realizzazione delle reti digitali sono consentiti i trasferimenti di impianti o di rami di azienda tra i soggetti che esercitano legittimamente l’attività televisiva in ambito nazionale o locale, a condizione che le acquisizioni operate siano destinate alla diffusione in tecnica digitale.
(...)
5. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, la licenza di operatore di rete televisiva è rilasciata, su domanda, ai soggetti che esercitano legittimamente l’attività di diffusione televisiva, in virtù di titolo concessorio ovvero per il generale assentimento di cui al comma 1, qualora dimostrino di avere raggiunto una copertura non inferiore al 50 per cento della popolazione o del bacino locale.
(...)
9. Al fine di agevolare la conversione del sistema dalla tecnica analogica alla tecnica digitale la diffusione dei programmi radiotelevisivi prosegue con l’esercizio degli impianti legittimamente in funzione alla data di entrata in vigore della presente legge.
(...) »

68. Il 29 gennaio 2003, la AGCOM ha approvato un piano detto "di primo livello" di assegnazione di radiofrequenze alle reti nazionali e regionali, poi, il 12 novembre 2003, il "piano integrato" che completa il piano di "primo livello" con un piano detto di "secondo livello" (assegnazione di frequenze alle reti locali).

J. L’articolo 2043 del codice civile

69. Questa disposizione recita:
« Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno.»


III. DOCUMENTI INTERNAZIONALI PERTINENTI

A. Documenti del Consiglio d'Europa

1. La Raccomandazione no R(99)1 del Comitato dei Ministri agli Stati membri volta a promuovere il pluralismo dei media

70. I passaggi pertinenti di questa raccomandazione, adottata dal Comitato dei Ministri il 19 gennaio 1999, nel corso della 656a riunione dei delegati dei Ministri, sono così formulati:
«Il Comitato dei Ministri, ai sensi dell'articolo 15.b dello Statuto del Consiglio d'Europa,
(...)
Sottolineando anche che i media e in particolare il settore delle emittenti di servizio pubblico, dovrebbero permettere ai diversi gruppi e interessi esistenti nella società – ivi comprese le minoranze linguistiche, sociali, economiche, culturali e politiche – di esprimersi;
Notando che l'esistenza di una molteplicità di media autonomi e indipendenti a livello nazionale, regionale e locale promuove generalmente il pluralismo e la democrazia;
Ricordando che la diversità politica e culturale dei tipi e dei contenuti dei media è essenziale per il pluralismo dei media;
Sottolineando che gli Stati dovrebbero promuovere il pluralismo politico e culturale sviluppando la loro politica nel campo dei media in conformità con l'articolo 10 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo, che garantisce la libertà di espressione e di informazione, rispettando debitamente il principio di indipendenza dei media;
(...)
Notando che esistono già alcuni colli di bottiglia nel settore dei nuovi servizi di comunicazione, quali il controllo sui sistemi di accesso condizionato ai servizi di televisione digitale;
Notando anche che la creazione di posizioni dominanti e lo sviluppo delle concentrazioni dei media potrebbero aumentare con la convergenza tecnica tra i settori della radiodiffusione, delle telecomunicazioni e dell'informatica;
(...)
Convinto che la trasparenza per quanto riguarda il controllo delle imprese nel settore dei media, ivi compresi i fornitori di contenuti e servizi dei nuovi servizi di comunicazione, possa contribuire all'esistenza di un paesaggio di pluralismo dei media;
(...)
Ricordando anche le disposizioni sul pluralismo dei media, contenute nel Protocollo di emendamento alla Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera;
Tenendo a mente i lavori condotti nel quadro dell'Unione europea e di altre organizzazioni internazionali nel campo delle concentrazioni dei media e del pluralismo,
Raccomanda che i governi degli Stati membri:
i. prendano in esame le misure contenute nell'allegato a questa raccomandazione e studino la loro inclusione nel diritto e nelle prassi interni, se necessario, per promuovere il pluralismo dei media;
ii. valutino con regolarità l'efficacia delle loro misure volte a promuovere il pluralismo e/o dei loro meccanismi anticoncentrazione esistenti, ed esaminino la eventuale necessità di rivederli alla luce degli sviluppi economici e tecnologici nel settore dei media.»

2. Raccomandazione Rec(2003)9 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle misure volte a promuovere il contributo democratico e sociale della radiodiffusione digitale

71. I passaggi pertinenti di questa raccomandazione, adottata dal Comitato dei Ministri il 28 maggio 2003, nel corso della 840a riunione dei Delegati dei Ministri, sono così formulati:
« (...)
Ricordando l'importanza che per le società democratiche assume l'esistenza di un'ampia gamma di mezzi di comunicazione indipendenti e autonomi, che permettano di riflettere la diversità delle idee e delle opinioni, come enunciato nella sua Dichiarazione sulla libertà di espressione e di informazione del 29 aprile 1982;
Tenendo presente la Risoluzione no 1 sul futuro del servizio pubblico della radiodiffusione adottata nel corso della 4a Conferenza ministeriale europea sulla politica delle comunicazioni di massa (Praga, 7-8 dicembre 1994), e ricordando la propria Raccomandazione no R(96)10 riguardante la garanzia dell'indipendenza del servizio pubblico della radiodiffusione;
Sottolineando il particolare ruolo dei media del settore della radiodiffusione, e segnatamente del servizio pubblico di radiodiffusione, nelle società democratiche moderne, che è quello di promuovere i valori alla base delle strutture politiche, giuridiche e sociali delle società democratiche, in particolare il rispetto dei diritti dell'uomo, delle culture e del pluralismo politico;
(...)
Notando che parallelamente alla moltiplicazione del numero delle reti in ambito digitale, la concentrazione dei media è in continua accelerazione, in particolare nel contesto della globalizzazione, e ricordando agli Stati membri i principi enunciati nella Raccomandazione n. R (99)1 sulle misure volte a promuovere il pluralismo dei media, segnatamente quelli sulle regole in materia di proprietà dei media, di accesso alle piattaforme e di diversità dei contenuti;
(...)
Raccomanda ai governi degli Stati membri, tenendo conto dei principi che figurano in allegato:
a. di preparare le condizioni giuridiche ed economiche adeguate per lo sviluppo della radiodiffusione digitale, che garantiscano il pluralismo dei servizi di radiodiffusione e l'accesso del pubblico ad un'ampia scelta di programmi diversi e di qualità, compreso il mantenimento e, se possibile, l'estensione dell'offerta di servizi transfrontalieri;
b. di proteggere e, se necessario, prendere misure positive per salvaguardare e promuovere il pluralismo dei media, al fine di riequilibrare la concentrazione crescente in questo settore;
(...) »

3. Raccomandazione CM/Rec(2007)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sul pluralismo dei media e la diversità del contenuto dei media

72. I passaggi pertinenti di questa raccomandazione, adottata dal Comitato dei Ministri il 31 gennaio 2007, nel corso della 985a riunione dei Delegati dei Ministri, dispongono:
« (...)
Ricordando l'articolo 10 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali (STE n. 5) che garantisce la libertà di espressione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera;
Ricordando la propria Dichiarazione sulla libertà di espressione e di informazione, adottata il 29 aprile 1982 che sottolinea che la libera circolazione e l'ampia diffusione di informazioni di qualsiasi natura attraverso le frontiere costituiscono un fattore importante per la comprensione internazionale, l'avvicinamento dei popoli e il reciproco arricchimento delle culture;
Ricordando la propria Raccomandazione Rec(2000)23 sulla indipendenza e sulle funzioni delle autorità di regolamentazione del settore della radiodiffusione e la sua Esposizione dei motivi, le cui disposizioni evidenziano l'importanza dell'indipendenza politica, finanziaria e operativa dei regolatori della radiodiffusione;
Ricordando le opportunità offerte dalle tecnologie digitali e i rischi potenziali ad esse connessi nella società moderna così come enunciati nella Raccomandazione Rec(2003)9 sulle misure volte a promuovere il contributo democratico e sociale della radiodiffusione digitale;
Ricordando la propria Raccomandazione n. R(99)1 sulle misure volte a promuovere il pluralismo dei media e la propria Raccomandazione n. R(94)13 sulle misure volte a promuovere la trasparenza dei media le cui disposizioni dovrebbero essere applicate a tutti i media;
Notando che successivamente all'adozione delle Raccomandazioni n. R(99)1 e R(94)13 si sono avuti importanti sviluppi tecnologici che rendono necessaria una revisione di questi testi per adattarli alla attuale situazione del settore dei media in Europa;
(...)
Riaffermando che il pluralismo dei media e la diversità del contenuto dei media sono essenziali per il funzionamento di una società democratica e sono i corollari del diritto fondamentale alla libertà di espressione e di informazione come garantito dall'articolo 10 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali;
Considerando che le esigenze che derivano dall'articolo 10 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali saranno pienamente soddisfatte se ogni individuo si vede offrire la possibilità di formare le proprie opinioni partendo da fonti di informazione diverse;
Riconoscendo il contributo essenziale svolto dai media per stimolare il dibattito pubblico, il pluralismo politico e la sensibilizzazione a opinioni diverse, soprattutto fornendo a gruppi della società diversi - ivi comprese le minoranze culturali, linguistiche, etniche, religiose o oltre – la possibilità di ricevere o di comunicare informazioni, di esprimersi e di scambiare idee;
(...)
Riaffermando che, al fine di proteggere e promuovere attivamente il pluralismo delle correnti di pensiero e di opinione nonché la diversità culturale, gli Stati membri dovrebbero adattare i quadri normativi, in particolare per quanto riguarda la proprietà dei media, e adottare le misure regolamentari e finanziarie necessarie per garantire la trasparenza ed il pluralismo strutturale dei media nonché la diversità dei contenuti diffusi da questi ultimi;
(...)
Tenendo a mente che la politica nazionale in materia di media può anche proporsi di preservare la competitività delle società di media nazionali di fronte alla globalizzazione dei mercati e che il fenomeno di concentrazione transnazionale dei media può avere un impatto negativo sulla diversità dei contenuti;
Raccomanda ai Governi degli Stati membri:
i. di prevedere di includere nel diritto e nelle prassi interni le misure qui di seguito elencate;
ii. di valutare con regolarità, a livello nazionale, l'efficacia delle misure esistenti volte a promuovere il pluralismo dei media e la diversità dei contenuti, e di esaminare la eventuale necessità di rivederle alla luce degli sviluppi economici, tecnologici e sociali che riguardano i media;
iii. di scambiare le informazioni sulla struttura dei media, sulla legislazione nazionale e sugli studi relativi alla concentrazione ed alla diversità dei media.

Misure raccomandate:

I. Misure che favoriscono il pluralismo strutturale dei media

1. Principio generale
1.1. Gli Stati membri dovrebbero vigilare affinché una gamma sufficiente di media proposti da una serie di proprietari diversi, pubblici o privati, sia messa a disposizione del pubblico, tenendo conto delle caratteristiche del mercato dei media, in particolare degli aspetti economici e relativi alla concorrenza esistente.
1.2. Quando l'applicazione delle regole sulla concorrenza comuni al settore dei media e della relativa regolamentazione all'accesso non è sufficiente per garantire il rispetto delle esigenze di diversità culturale e di pluralità delle correnti di pensiero e di opinione, gli Stati membri dovrebbero adottare misure specifiche.
(...)
1.4. Adattando il loro quadro normativo, gli Stati membri dovrebbero porre particolare attenzione al bisogno di separazione reale ed evidente tra l'esercizio del potere politico o l'influenza politica e il controllo dei media o l'adozione di decisione relativa al contenuto dei media,
(...)
4. Altri media che contribuiscono al pluralismo e alla diversità
Gli Stati membri dovrebbero incoraggiare lo sviluppo di altri media che possano contribuire al pluralismo e alla diversità, e fornire uno spazio di dialogo. Questi media potrebbero, per esempio, assumere la forma di media comunitari, locali, minoritari o sociali. (...)

II. Misure che favoriscono la diversità dei contenuti

(...)
3. Licenze di radiodiffusione, regole di obbligo di ripresa
3.1. Gli Stati membri dovrebbero prevedere l'adozione di misure che permettano di promuovere e seguire la produzione e la fornitura di contenuti diversificati da parte dei media. Trattandosi del settore della radiodiffusione, tali misure potrebbero includere nelle licenze concesse l'obbligo di produrre essi stessi o di ordinare un certo volume di programmi, riguardanti in particolare i bollettini di informazioni e le emissioni di attualità,
3.2. Gli Stati membri dovrebbero prevedere l'adozione di regole volte a preservare la diversità del paesaggio mediatico locale, assicurando in particolare che la sindacazione compresa come la fornitura centralizzata dei programmi e servizi correlati, non metta in pericolo il pluralismo

3.3. Gli Stati membri dovrebbero prevedere, se necessario, di adottare regole di obbligo di ripresa di programmi sulle piattaforme di distribuzione diverse dalle reti via cavo. Inoltre, alla luce del processo di digitalizzazione – più particolarmente della aumentata capacità delle reti e della proliferazione di diverse reti – gli Stati membri dovrebbero rivedere periodicamente le loro regole di obbligo di ripresa per assicurarsi che esse continuino a rispondere a obiettivi di interesse generale. Gli Stati membri dovrebbero esaminare l'interesse di introdurre parallelamente all'obbligo di ripresa, un obbligo per gli editori dei programmi interessati di non opporsi alla loro ripresa al fine di incoraggiare i media di servizio pubblico e le principali società commerciali mediatiche a mettere le loro reti a disposizione degli operatori di rete che desiderano diffonderli. Queste misure e le modalità della loro messa in atto dovrebbero rispettare le regole relative ai diritti di autore.»
4. Risoluzione 1387(2004) della Assemblea Parlamentare: "Monopolio dei media elettronici e possibilità di abuso di potere in Italia"

73. Questa risoluzione, adottata dalla Assemblea Parlamentare il 24 giugno 2004, è così formulata:

« 1. L'Italia è un membro fondatore del Consiglio d'Europa e sostiene fermamente gli ideali che esso difende. L'Assemblea parlamentare si preoccupa quindi per la concentrazione dei poteri politico, economico e mediatico nelle mani di una sola persona, il Primo Ministro Silvio Berlusconi.

2. L’Assemblea Parlamentare non può accettare che questa anomalia sia minimizzata perché porrebbe soltanto un problema potenziale. Una democrazia si giudica sul suo funzionamento quotidiano, ma anche in base ai principi che il paese difende di fronte ai propri cittadini e alla comunità internazionale. L'Assemblea ricorda che, in virtù dell'articolo 10 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, e della giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell'Uomo, gli Stati hanno l'obbligo di proteggere il pluralismo dei media e, se necessario, adottare misure concrete per preservarlo e promuoverlo.

3. L'Assemblea deplora il fatto che, dal 1994, molti governi italiani consecutivi non siano riusciti a risolvere il problema del conflitto di interessi e che l'attuale parlamento non abbia ancora adottato misure legislative adeguate. Essa non crede che il principio guida del progetto della legge Frattini attualmente esaminato – che prevede che soltanto i gestori e non i proprietari possono essere ritenuti responsabili – apporti una soluzione reale e completa al problema del conflitto di interessi riguardante il sig. Berlusconi.

4. Attraverso Mediaset, il primo gruppo privato di comunicazione e di radiodiffusione in Italia e uno dei più grandi gruppi del mondo, il sig. Berlusconi detiene approssimativamente la metà dell'attività di radiodiffusione del paese. In quanto capo del governo, egli è anche in grado di esercitare un'influenza indiretta sul servizio pubblico di radiodiffusione, la RAI, che è il principale concorrente di Mediaset. Dal momento che Mediaset e la RAI totalizzano circa il 90% dell'audience televisivo e più di tre quarti delle risorse di questo settore, il sig. Berlusconi esercita un controllo senza precedenti sul media più potente d'Italia.

5. Questa situazione di duopolio nel mercato televisivo costituisce di per sé una anomalia in una prospettiva antitrust. Lo statu quo è stato mantenuto nonostante il fatto che disposizioni giuridiche che attengono al pluralismo dei media per due volte siano state dichiarate anticostituzionali e che le autorità competenti abbiano stabilito che la RAI e le tre reti televisive private di Mediaset esercitano una posizione dominante. Questa situazione è illustrata da un recente decreto del Primo Ministro, approvato dal Parlamento, che ha permesso alla terza rete della RAI e a Retequattro di Mediaset di continuare a diffondere, in violazione delle restrizioni antitrust esistenti, fino all'adozione di nuove misure legislative. La distorsione della concorrenza nel settore dei media è ancor più aggravata dal fatto che la concessionaria pubblicitaria di Mediaset, Publitalia ‘80, esercita una posizione dominante sul mercato pubblicitario della televisione. L'Assemblea deplora la prosecuzione dell'esclusione di un potenziale radiodiffusore nazionale, Europa 7, vincitore di una gara d'appalto indetta dal governo nel 1999 per l'assegnazione delle frequenze utilizzate da Retequattro, rete del gruppo Mediaset.

6. L’Assemblea ritiene che la recente legge adottata sulla riforma del settore della radiodiffusione ("legge Gasparri") potrebbe non garantire effettivamente il rafforzamento del pluralismo con il semplice aumento del numero di reti televisive al momento del passaggio al digitale. Parallelamente, questa legge permette manifestamente a Mediaset di espandersi ancora di più perché lascia agli operatori del mercato la possibilità di esercitare una posizione di monopolio in un dato settore, senza alcun rischio di raggiungere il limite antitrust all'interno del sistema integrato delle comunicazioni (SIC). L'assemblea nota che questi problemi hanno indotto il Presidente della Repubblica a opporsi alla versione precedente della legge.

7. L’Assemblea si preoccupa in modo particolare della situazione della RAI, che è contraria ai principi di indipendenza enunciati nella Raccomandazione 1641(2004) sul servizio pubblico di radiodiffusione. La RAI è sempre stata lo specchio del sistema politico del paese e il suo pluralismo interno, che si esprimeva recentemente tramite una rappresentazione proporzionale delle ideologie politiche dominanti, ha lasciato il posto al principio del "vincitore prende tutto" proprio al nuovo sistema politico. L'Assemblea nota con inquietudine le dimissione della presidente della RAI e di una delle giornaliste più conosciute del paese in segno di protesta contro la mancanza di una equilibrata rappresentazione delle forze politiche in seno al consiglio di amministrazione e contro l'influenza politica esercitata sulla programmazione della RAI.

8. Se in Italia la carta stampata presenta tradizionalmente un pluralismo ed un equilibrio politico superiore a quello della radiodiffusione, la maggior parte degli italiani si informano attraverso la televisione. Il costo elevato della pubblicità sui giornali rispetto alla pubblicità televisiva ha un effetto distruttivo sulla carta stampata italiana. L'Assemblea desidera tuttavia segnalare la sua approvazione nei confronti delle misure governative volte ad aiutare i giornali di piccola e media importanza, e di altre misure destinate ad aumentare i lettori della stampa.

9. L’Assemblea è estremamente preoccupata per il fatto che l'immagine negativa proiettata all'estero dall'Italia, in ragione del conflitto di interesse riguardante il sig. Berlusconi, potrebbe ostacolare gli sforzi del Consiglio d'Europa volti a promuovere l'esistenza di media indipendenti e neutri nelle giovani democrazie. Essa considera che l'Italia, in quanto uno dei principali paesi che contribuiscono al funzionamento dell'Organizzazione, assume una particolare responsabilità a tale riguardo.

10. L’Assemblea rileva che più istanze internazionali, quali il rappresentante dell'OCSE per la libertà dei media e, più recentemente, il Parlamento europeo, hanno espresso delle preoccupazioni simili alle sue. Essa si felicita delle misure volte a salvaguardare il pluralismo dei media proposte dal Parlamento europeo nella sua Risoluzione del 22 aprile 2004 sui "rischi di violazione, nell'Unione europea e particolarmente in Italia, della libertà di espressione e di informazione (articolo 11(2) della Carta dei diritti fondamentali)", misure che prevedono che la protezione del pluralismo dei media dovrebbe diventare una priorità della legislazione dell'Unione europea in materia di concorrenza.

11. Di conseguenza, l’Assemblea invita il Parlamento italiano:

i. ad adottare d'urgenza una legge che regoli il conflitto di interessi tra la proprietà ed il controllo dell'impresa, e l'esercizio di funzioni pubbliche, prevedendo sanzioni nel caso in cui vi sia conflitto di interessi con l'esercizio di funzioni pubbliche a più alto livello;

ii. a fare in modo che leggi e altre misure regolamentari pongano fine all'ingerenza politica, praticata da vecchia data, nel lavoro dei media, tendo conto soprattutto della Dichiarazione del Comitato dei Ministri sulla libertà del discorso politico nei media, adottata il 12 febbraio 2004;

iii. a emendare la legge Gasparri conformemente ai principi enunciati nella Raccomandazione n. R (99)1 del Comitato dei Ministri sulle misure volte a promuovere il pluralismo dei media, soprattutto:

a. evitando le posizioni dominanti nei mercati pertinenti all'interno del SIC;
b. includendo misure specifiche volte a porre fine al duopolio esistente RAI-Mediaset;
c. includendo misure specifiche che assicurino che il passaggio al digitale garantirà il pluralismo dei contenuti.

12. L’Assemblea invita il Governo italiano:

i. a introdurre misure volte a conformare il funzionamento della RAI alla Raccomandazione 1641(2004) dell'Assemblea sul servizio pubblico di radiodiffusione, alla dichiarazione della 4a Conferenza ministeriale europea sulla politica delle comunicazioni di massa (Praga), e alle Raccomandazioni del Comitato dei Ministri no R(96)10 riguardante la garanzia dell'indipendenza del servizio pubblico della radiodiffusione e alla Rec(2003)9 sulle misure volte a promuovere il contributo democratico e sociale della radiodiffusione digitale;
ii. a dare un esempio positivo a livello internazionale proponendo e sostenendo, in seno al Consiglio d'Europa e dell'Unione europea, iniziative volte a promuovere il pluralismo dei media in Europa.

13. L’Assemblea chiede alla Commissione di Venezia di esprimere un parere sulla compatibilità della legge Gasparri e del progetto di legge Frattini con le norme del Consiglio d'Europa in materia di libertà di espressione e di pluralismo dei media, alla luce in particolare della giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell'Uomo.»

5. Parere della Commissione di Venezia sulla compatibilità delle leggi "Gasparri" e "Frattini" con gli standard del Consiglio d'Europa in materia di libertà di espressione e di pluralismo dei media

74. Nelle parti pertinenti alla presente causa, il parere della Commissione di Venezia, adottato nel corso della 63a sessione (10-11 giugno 2005), è così formulato:
«L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha chiesto alla Commissione di Venezia di esprimere un parere in merito alla conformità delle due leggi italiane, relative all’assetto del sistema radiotelevisivo (“Legge Gasparri”) e al conflitto di interessi (“Legge Frattini”), con gli standard del Consiglio d’Europa in materia di libertà di espressione e pluralismo dei media.
(...)
Per quanto la giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo non offra indicazioni specifiche al riguardo, essa permette nondimeno di evincere certi principi pertinenti: in primo luogo, che la libertà di espressione ha un ruolo essenziale in una società democratica, in particolar modo allorquando, attraverso la stampa, serve a comunicare informazioni e idee di interesse generale, di cui il pubblico ha per di più il diritto di disporre, e, in secondo luogo, che lo Stato è il garante supremo del pluralismo, segnatamente per quanto riguarda i mezzi di comunicazione di massa del settore audiovisivo, i cui programmi hanno spesso una diffusione molto ampia.
(...)
Viene rispettato il pluralismo dei media quando esiste una molteplicità di media autonomi ed indipendenti in ambito nazionale, regionale e locale, tale da garantire una varietà di contenuti che rispecchino diverse opinioni politiche e culturali. La Commissione è del parere che il pluralismo in ambito nazionale debba essere ottenuto contemporaneamente per ogni settore dei mezzi di comunicazione di massa: non sarebbe per esempio accettabile che venisse garantito il pluralismo nel settore dei media della stampa scritta, ma non in quello della televisione. Una pluralità dei media, secondo la Commissione, non implica unicamente l’esistenza di una pluralità di operatori e di canali di diffusione, ma significa anche che deve esistere un’ampia varietà di mezzi di comunicazione, ovverosia diversi tipi di media.
Gli strumenti del Consiglio d’Europa stabiliscono alcuni mezzi per promuovere il pluralismo dei media, tra cui in particolare:

  • un quadro legislativo, che definisca i limiti consentiti in materia di concentrazione dei media; a tal fine, devono essere fissati i massimali (da misurarsi sulla base di un parametro, o di una combinazione di più parametri, quali la quota di audience o il possesso azionario o i limiti a livello dei ricavi) che un’unica società di mass media è autorizzata a controllare in uno o più mercati rilevanti;
  • l'esistenza di autorità specifiche preposte alla regolamentazione dei media, dotate di poteri che consentano di agire contro le operazioni di concentrazione;
  • misure specifiche per evitare la concentrazione verticale (ossia il controllo di elementi chiave in materia di produzione, diffusione, distribuzione e attività connesse, esercitato da parte di un’unica azienda o di un unico gruppo);
  • indipendenza delle autorità preposte alla regolamentazione,
  • trasparenza dei media,
  • misure destinate a promuovere attivamente la produzione e l'emissione di contenuti differenti,
  • sostegno finanziario, diretto o indiretto, per accrescere il pluralismo, concesso sulla base di criteri obiettivi e non di parte, nell'ambito di procedure trasparenti e sottoposte a un controllo indipendente,
  • strumenti di autoregolazione, quali linee guida editoriali e leggi che stabiliscano l'indipendenza della stampa.

In merito alle disposizioni della legge Gasparri volta a proteggere il pluralismo dei media, la Commissione ritiene in primo luogo che l'aumento del numero di canali che verrà attenuto grazie alla televisione digitale non sia di per sé sufficiente per garantire il pluralismo dei media. I nuovi canali possono avere una parte di audience molto limitata pur avendo delle quantità di emissioni simili. Infine, le società più importanti avranno un potere di acquisto superiore in un'ampia varietà di attività, quali le acquisizioni di programmi, e di conseguenza usufruiranno di vantaggi significativi nei confronti di altri fornitori di contenuti in ambito nazionale.
La Commissione ritiene pertanto che il limite del 20% del totale dei programmi delle reti non rappresenti un indicatore chiaro della quota di mercato. Dovrebbe essere abbinato, per esempio, a un indicatore relativo alla quota di audience
In merito al secondo limite fissato dalla Legge Gasparri, ossia il 20% dei ricavi complessivi del Sistema integrato delle comunicazioni (SIC), la Commissione è del parere che il SIC rispecchi certamente una tendenza moderna, ma che non dovrebbe, per lo meno in questa definizione molto ampia, essere utilizzato già a questo stadio in luogo e vece del parametro di “mercato rilevante”, dal momento che produce l’effetto di ridurre l’efficacia degli strumenti destinati a tutelare il pluralismo. Può in effetti consentire a una singola società di conseguire livelli estremamente elevati di ricavi in singoli mercati, pur restando al di sotto della soglia del 20% dei ricavi complessivi del settore.
La Commissione rileva anzi che l’effetto congiunto del nuovo quadro definito dalla Legge Gasparri ha in realtà attenuato le norme anticoncentrazione precedenti, i cui limiti massimi consentiti erano stati superati da Mediaset e dalla RAI. Retequattro ha di conseguenza avuto l’autorizzazione di continuare ad occupare frequenze analogiche.
La Commissione ritiene pertanto che il parametro del Sistema integrato delle Comunicazioni (SIC) debba essere sostituito dal criterio del “mercato rilevante” quale precedentemente utilizzato, come avviene negli altri paesi europei.
(...)
Per quanto riguarda le disposizioni relative alla conversione, per le emittenti radiofoniche e televisive, con il passaggio dalle frequenze analogiche a quelle in tecnica digitale, la Commissione ha l’impressione che la Legge Gasparri abbia adottato la posizione tendente a ritardare e rimandare al futuro la ricerca di una reale soluzione del problema della concentrazione dei media nel mercato televisivo, e che conti molto sul momento in cui sarà pienamente attuato il piano di assegnazione delle frequenze radiofoniche e televisive in tecnica digitale. La Commissione è del parere che tale approccio non sia soddisfacente, in considerazione del fatto che, se dovesse essere mantenuto lo statu quo, è probabile che Mediaset e RAI restino i protagonisti dominanti nel settore televisivo italiano. Al riguardo, la Commissione ricorda che, mentre le misure generali antitrust sono destinate a evitare l’abuso di posizioni dominanti, nel settore dei media le posizioni dominanti sono vietate in quanto tali.
(...)
Per quanto concerne la privatizzazione della RAI, che dovrebbe portare a una riduzione del livello di politicizzazione dell’emittente pubblica, la Commissione nota che il cambiamento a livello della RAI consentirà un controllo governativo sull’emittente pubblica ancora per una durata di tempo imprevedibile. Fintantoché il presente governo resterà in carica, tale fatto significherà che, oltre a controllare i tre canali televisivi nazionali di cui è proprietario, il Premier disporrà di un certo controllo sui tre canali televisivi nazionali pubblici. La Commissione si dichiara preoccupata per il rischio che tale situazione atipica possa perfino rafforzare la minaccia di monopolizzazione, il che potrebbe costituire, ai sensi della giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, un’ingiustificata interferenza con la libertà di espressione.
(...) »

6. Documento di discussione sul «Pluralismo dei media e diritti dell'Uomo» del Commissario per i diritti umani

 

75. Nelle parti pertinenti alla presente causa, il documento di riflessione del Commissario per i diritti umani, del 6 dicembre 2011, è così formulato:

« 3.2 Il caso dell'Italia
La storia di ciò che viene chiamata "l'anomalia italiana" spiega bene il serio rischio che può rappresentare un fenomeno di monopolizzazione in materia di radiodiffusione (attraverso operazioni di consolidamento eccessive e di grandi fusioni) anche nelle vecchie democrazie.
La libertà di espressione e la libertà di stampa in Italia vanno bene. Tuttavia, viene regolarmente evocata questa "anomalia italiana" quando si parla del mercato della radiodiffusione televisiva.
Negli ultimi due decenni, nessuna terza forza è stata capace di intaccare questo duopolio, ossia il controllo del mercato dei canali televisivi nazionali da parte di un operatore privato, Mediaset, e dell'operatore pubblico, la Radiotelevisione Italiana (RAI). Il duopolio era accompagnato praticamente dal monopolio di Mediaset nel settore della televisione commerciale e sul mercato della pubblicità. Prima dell'era del digitale, la parte di audience del duopolio arrivava intorno al 90 % (ciascuno dei due operatori possedeva tre canali). La situazione di duopolio traspariva anche nei ricavi congiunti e nel mercato della pubblicità.
L'Italia si caratterizza anche per una tradizione di controllo dei canali della televisione pubblica da parte dei partiti politici e dei governi. Il fatto che il suo Primo Ministro, Silvio Berlusconi, sia comproprietario di Mediaset aggiunge alle preoccupazioni abituali di un controllo governativo della RAI anche il timore di un controllo governativo generalizzato della fonte di informazione più importante a livello nazionale, la televisione.
Le leggi Gasparri e Frattini del 2004 avrebbero dovuto rispettivamente garantire in futuro il pluralismo dei media ed evitare situazioni di "potere a due teste". Tuttavia né una completa digitalizzazione né regole di concorrenza uguali possono da sole assicurare la diversità culturale ed il pluralismo politico nei media, soprattutto se la concentrazione già esistente nel settore mediatico viene in pratica mantenuta, addirittura rafforzata dalla legge. Le disposizioni della legge Gasparri che regolano il passaggio dall'analogico al digitale, nonostante la sua forza innovatrice, ha permesso al duopolio di utilizzare la sua solida base economica per espandersi sui nuovi mercati del digitale.
Le norme europee vietano che emittenti private siano indebitamente possedute o controllate da forze politiche o di parte, al fine di evitare qualsiasi ingerenza governativa o politica. La Germania ed il Regno Unito impongono limitazioni alla proprietà o al controllo diretto dei mezzi radiotelevisivi da parte di attori del mondo politico; gli Stati membri dell'Unione europea esigono anche che le emittenti mantenganoe la propria indipendenza nei confronti dei partiti e dei politici. L'Italia, nonostante la legge Frattini, non prevede nulla di ciò.»

B. Il Parlamento europeo

76. Nelle parti pertinenti alla presente causa, la risoluzione del Parlamento Europeo sui rischi di violazione, nella Unione europea e in particolare in Italia, della libertà di espressione e di informazione (articolo 11 § 2 della Carta dei diritti fondamentali (2003/2237(INI)), è così formulata:
« Situazione in Italia
(...) rileva che il tasso di concentrazione del mercato televisivo in Italia è oggi il più elevato d'Europa e che, nonostante l'offerta televisiva italiana consti di dodici canali nazionali e da dieci a quindici canali regionali e locali, il mercato è caratterizzato dal duopolio tra RAI e Mediaset, che complessivamente detengono quasi il 90% della quota totale di telespettatori e raccolgono il 96,8% delle risorse pubblicitarie, contro l'88% della Germania, l'82% della Gran Bretagna, il 77% della Francia e il 58% della Spagna;
rileva che il gruppo Mediaset è il più importante gruppo privato italiano nel settore delle comunicazioni e dei media televisivi e uno dei maggiori a livello mondiale, controllando tra l'altro reti televisive (RTI S.p.A.) e concessionarie di pubblicità (Publitalia '80), entrambe riconosciute formalmente in posizione dominante e in violazione della normativa nazionale (legge 249/97) dall'Autorità per la garanzia delle comunicazioni (delibera 226/03);
rileva che uno dei settori nel quale più evidente è il conflitto di interessi è quello della pubblicità, tanto che il gruppo Mediaset nel 2001 ha ottenuto i 2/3 delle risorse pubblicitarie televisive, pari ad un ammontare di 2500 milioni di euro, e che le principali società italiane hanno trasferito gran parte degli investimenti pubblicitari dalla carta stampata alle reti Mediaset e dalla Rai a Mediaset;
rileva che il Presidente del Consiglio non ha risolto il suo conflitto di interessi, come si era esplicitamente impegnato, bensì ha incrementato la sua quota di controllo societario della società Mediaset (dal 48,639% al 51,023%): questa ha così ridotto drasticamente il proprio indebitamento netto, attraverso un sensibile incremento degli introiti pubblicitari a scapito delle entrate (e degli indici di ascolto) della concorrenza e, soprattutto, del finanziamento pubblicitario della carta stampata;
lamenta le ripetute e documentate ingerenze, pressioni e censure governative nell'organigramma e nella programmazione del servizio televisivo pubblico Rai (perfino nei programmi di satira), a partire dall'allontanamento di tre noti professionisti su clamorosa richiesta pubblica del Presidente del Consiglio nell'aprile 2002 – in un quadro in cui la maggioranza assoluta del consiglio di amministrazione della Rai e dell'apposito organo parlamentare di controllo è composta da membri dei partiti di governo; tali pressioni sono state poi estese anche su altri media non di sua proprietà, che hanno condotto fra l'altro, nel maggio 2003, alle dimissioni del direttore del Corriere della Sera;
rileva pertanto che il sistema italiano presenta un'anomalia dovuta a una combinazione unica di poteri economico, politico e mediatico nelle mani di un solo uomo, l'attuale Presidente del Consiglio dei Ministri italiano e al fatto che il governo italiano sia, direttamente o indirettamente, in controllo di tutti i canali televisivi nazionali;
prende atto del fatto che in Italia da decenni il sistema radiotelevisivo opera in una situazione di assenza di legalità, accertata ripetutamente dalla Corte costituzionale e di fronte alla quale il concorso del legislatore ordinario e delle istituzioni preposte è risultato non ha permesso il ritorno ad un regime legale; Rai e Mediaset continuano a controllare ciascuna tre emittenti televisive analogiche terrestri, malgrado la Corte costituzionale, con la sentenza n. 420 del 1994, avesse statuito che non è consentito ad uno stesso soggetto di irradiare più del 20% dei programmi televisivi su frequenze terrestri in ambito nazionale (vale a dire più di due programmi), ed avesse definito il regime normativo della legge n. 223/90 contrario alla Costituzione italiana, pur essendo un "regime transitorio"; nemmeno la legge 249/97 (Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo) aveva accolto le prescrizioni della Corte costituzionale che, con la sentenza 466/02, ne dichiarò l'illegittimità costituzionale limitatamente all'articolo 3, comma 7, “nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine finale certo, e non prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003, entro il quale i programmi, irradiati dalle emittenti eccedenti i limiti di cui al comma 6 dello stesso articolo 3, devono essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo”;
prende atto del fatto che la Corte costituzionale italiana, nel novembre 2002 (causa 466/2002), ha dichiarato che "...la formazione dell'esistente sistema televisivo italiano privato in ambito nazionale ed in tecnica analogica trae origine da situazioni di mera occupazione di fatto delle frequenze (esercizio di impianti senza rilascio di concessioni e autorizzazioni), al di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo nella distribuzione delle frequenze e di pianificazione effettiva dell'etere ... La descritta situazione di fatto non garantisce, pertanto, l'attuazione del principio del pluralismo informativo esterno, che rappresenta uno degli "imperativi" ineludibili emergenti dalla giurisprudenza costituzionale in materia ... In questo quadro la protrazione della situazione (peraltro aggravata) già ritenuta illegittima dalla sentenza n. 420 del 1994 ed il mantenimento delle reti considerate ancora "eccedenti" dal legislatore del 1997 esigono, ai fini della compatibilità con i principi costituzionali, che sia previsto un termine finale assolutamente certo, definitivo e dunque non eludibile", e del fatto che ciononostante il termine per la riforma del settore audiovisivo non è stato rispettato e che il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere la legge per la riforma del settore audiovisivo per un nuovo esame in quanto non conforme ai principi dichiarati dalla Corte costituzionale;
(...)
auspica che la definizione legislativa, contenuta nel progetto di legge per la riforma del settore audiovisivo (Legge Gasparri, articolo 2, lettera G), del "sistema integrato delle comunicazioni" quale unico mercato rilevante non sia in contrasto con le regole comunitarie in materia di concorrenza, ai sensi dell'articolo 82 del trattato CE e di numerose sentenze della Corte di giustizia, e non renda impossibile una definizione chiara e certa del mercato di riferimento;
auspica altresì che il "sistema di assegnazione delle frequenze", previsto dal progetto di legge Gasparri, non costituisca una mera legittimazione della situazione di fatto e che non si ponga in contrasto in particolare con la direttiva 2002/21/CE, con l'articolo 7 della direttiva 2002/20/CE3 e con la direttiva 2002/77/CE4, le quali prevedono, fra l'altro, che l'attribuzione delle frequenze radio per i servizi di comunicazione elettronica si debba fondare su criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati;
sottolinea la sua profonda preoccupazione circa la non applicazione della legge e la non esecuzione delle sentenze della Corte costituzionale, in violazione del principio di legalità e dello Stato di diritto, nonché circa l'incapacità di riformare il settore audiovisivo, in conseguenza delle quali da decenni risulta considerevolmente indebolito il diritto dei cittadini a un'informazione pluralistica, diritto riconosciuto anche nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
esprime preoccupazione per il fatto che la situazione vigente in Italia possa insorgere in altri Stati membri e nei paesi in via di adesione qualora un magnate dei media decidesse di entrare in politica;
si rammarica che il Parlamento italiano non abbia ancora approvato una normativa per risolvere il conflitto di interessi del Presidente del Consiglio, così come era stato promesso che sarebbe avvenuto entro i primi cento giorni del governo;
ritiene che l'adozione di una riforma generale del settore audiovisivo possa essere facilitata qualora contenga salvaguardie specifiche e adeguate volte a prevenire attuali o futuri conflitti di interessi nelle attività dei responsabili locali, regionali o nazionali che detengono interessi sostanziali nel settore audiovisivo privato;
auspica inoltre che il disegno di legge Frattini sul conflitto di interessi non si limiti ad un riconoscimento di fatto del conflitto di interessi del Premier, ma preveda dispositivi adeguati per evitare il perdurare di questa situazione;
si rammarica del fatto che, se gli obblighi degli Stati membri di assicurare il pluralismo dei media fossero stati definiti dopo il Libro verde sul pluralismo del 1992, probabilmente si sarebbe potuta evitare l'attuale situazione in Italia;
(....)
invita il Parlamento italiano a:

  • accelerare i suoi lavori in materia di riforma del settore audiovisivo conformemente alle raccomandazioni della Corte costituzionale italiana e del Presidente della Repubblica, tenendo conto delle incompatibilità da questi riscontrate nel progetto di legge Gasparri con il diritto comunitario,
  • trovare una soluzione reale e appropriata al problema del conflitto di interessi del Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, il quale altresì controlla direttamente il principale operatore radiotelevisivo privato e indirettamente quello pubblico, la principale concessionaria pubblicitaria, nonché numerose altre attività connesse al settore audiovisivo e mediatico,
  • e ad adottare misure atte ad assicurare l'indipendenza del servizio radiotelevisivo pubblico.».

 

IN DIRITTO


I. OSSERVAZIONE PRELIMINARE

77. All’udienza del 12 ottobre 2011, la parte ricorrente ha fornito delle precisazioni riguardanti la portata temporale della causa sottoposta alla Corte. Essa ha precisato, in particolare, che le sue doglianze riguardano solo il periodo che va dal 28 luglio 1999, data del decreto ministeriale con cui veniva accordata a Centro Europa 7 S.r.l. una concessione per la radiodiffusione televisiva a livello nazionale (paragrafo 9 supra) a decorrere dal 30 giugno 2009, data in cui fu autorizzata ad utilizzare un canale unico e riuscì ad avviare la propria attività di diffusione (paragrafo 16 supra). Di conseguenza, la Corte si limiterà ad esaminare se i diritti fondamentali della parte ricorrente siano stati violati durante il periodo sopra menzionato, e non analizzerà eventuali violazioni simili che si siano verificate prima del 28 luglio 2009 o dopo il 30 giugno 2009.


II. SULLE ECCEZIONI PRELIMINARI DEL GOVERNO

A. Qualità di vittima della ricorrente

78. Il Governo osserva che la ricorrente ha ottenuto le radiofrequenze in applicazione di un decreto ministeriale dell’11 dicembre 2008 (paragrafo 16 supra) e sostiene che tutte le dispute al riguardo sono state regolate dall’accordo del 9 febbraio 2010 (paragrafo 19 supra). Inoltre, sottolinea che il 20 gennaio 2009 il Consiglio di Stato ha accordato alla ricorrente un risarcimento di 1.041.418 euro (paragrafo 45 supra). Secondo il Governo, alla luce di tali misure, considerate nella loro globalità, Centro Europa 7 S.r.l. non può dirsi vittima dei fatti che denuncia (si veda, mutatis mutandis, Scordino c. Italia (n. 1) [GC], n. 36813/97, § 179, CEDU 2006‑V).

79. La ricorrente considera che, anche se vi è stata attribuzione delle radiofrequenze quasi dieci anni dopo che era stata ottenuta la concessione, essa può ancora dirsi vittima delle violazioni dedotte in quanto il risarcimento accordato dal Consiglio di Stato è insufficiente rispetto al danno subito e non riflette la portata reale di quest’ultimo. L’accordo del 9 febbraio 2010 riguarda l’assegnazione di frequenze complementari a quelle accordate dal decreto di dicembre 2008 e non è dunque oggetto del presente ricorso.

80. La Corte ricorda che sono in primo luogo le autorità nazionali a dover riparare ad una violazione dedotta della Convenzione. Al riguardo, la questione di stabilire se un ricorrente possa affermare di essere vittima dell’inosservanza dedotta si pone in tutte le fasi del procedimenti rispetto alla Convenzione (Bourdov c. Russia, n. 59498/00, § 30, CEDU 2002-III).

81. La Corte riafferma inoltre che una decisione o una misura favorevole al ricorrente bastano, in linea di principio, per revocargli la qualità di «vittima» solo se le autorità nazionali hanno riconosciuto, esplicitamente o in sostanza, e poi riparato, la violazione della Convenzione (Eckle c. Germania, 15 luglio 1982, §§ 69 e segg., serie A n. 51, Amuur c. Francia, 25 giugno 1996, § 36, Recueil des arrêts et décisions 1996-III, Dalban c. Romania [GC], n. 28114/95, § 44, CEDU 1999-VI, e Jensen c. Danimarca (dec.), n. 48470/99, CEDU 2001-X).

82. La questione di stabilire se una persona possa ancora affermare di essere vittima di una violazione dedotta della Convenzione implica essenzialmente che la Corte proceda ad un esame ex post facto della situazione della persona interessata (Scordino (n. 1), sopra citata,§ 181).

83. Nella fattispecie, la ricorrente ha ottenuto le frequenze di radiodiffusione nel dicembre 2008 ed era in grado di trasmettere a partire dal 30 giugno 2009 (paragrafo 16 supra). Il rilascio delle radiofrequenze ha posto fine alla situazione lamentata dalla ricorrente nel suo ricorso. Tuttavia, agli occhi della Corte, tale rilascio non ha costituito né un riconoscimento implicito dell’esistenza di una violazione della Convenzione, né un risarcimento per il periodo durante il quale a Centro Europa 7 S.r.l. è stato impedito di trasmettere.

84. Peraltro, la Corte ritiene che non vi sia stato riconoscimento, esplicitamente o in sostanza, della violazione dell’articolo 10 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 nell’ambito dei procedimenti interni. Osserva a tale riguardo che, nel 2005, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere la decisione sulla domanda della ricorrente e ha chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi sull’interpretazione del Trattato sulla libera prestazione di servizi e la concorrenza, della direttiva 2002/21/CE (direttiva «quadro»), della direttiva 2002/20/CE (direttiva «autorizzazioni»), della direttiva 2002/77/CE (direttiva «concorrenza»), nonché dell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nella misura in cui l’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea vi faceva riferimento (paragrafo 32 supra). La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha ritenuto che non fosse opportuno pronunciarsi sulla questione dell’articolo 10 della Convenzione dato che la sua risposta sull’articolo 49 CE e, a decorrere dalla loro applicabilità, sull’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva «quadro», sugli articoli 5, paragrafi 1 e 2, secondo comma, e 7, paragrafo 3, della direttiva «autorizzazioni» nonché sull’articolo 4 della direttiva «concorrenza», permetteva al giudice del rinvio di deliberare sulla domanda presentata dalla ricorrente (paragrafo 34 supra).

85. Nelle sue decisioni del 31 maggio 2008 e del 20 gennaio 2009 il Consiglio di Stato ha concluso che la mancata attribuzione di radiofrequenze alla ricorrente derivava da fattori essenzialmente normativi ed ha rilevato che vi era stata una condotta colposa da parte dell’amministrazione. Di conseguenza, ha accordato un risarcimento all’interessata in applicazione dell’articolo 2043 del codice civile (paragrafi 37-38 e 45-48 supra).

86. Secondo la Corte, il Consiglio di Stato, con le sue decisioni, si è limitato a constatare la responsabilità extracontrattuale dell’amministrazione in applicazione della disposizione generale del codice civile (paragrafo 69 supra) secondo la quale qualunque fatto doloso o colposo che abbia cagionato ad altri un danno ingiusto obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno. Nulla nelle decisioni in questione indica che, oltre ad avere provocato un danno, la condotta dell’amministrazione sarebbe stata contraria ai principi elaborati dalla Corte in materia di libertà di espressione o di diritto al rispetto dei beni o di entrambi. A tale riguardo, si deve notare che il Consiglio di Stato non ha fatto alcun riferimento a tali principi.

87. Infine, dinanzi alla Corte, il Governo non ha ammesso l’esistenza di una violazione della Convenzione. In queste condizioni, e in assenza di un tale riconoscimento, la Corte ritiene che la ricorrente possa ancora sostenere di essere vittima delle violazioni dedotte.

88. Anche a voler supporre che il risarcimento accordato dal Consiglio di Stato fosse stato sufficiente e adeguato, la Corte ritiene che esso non sia sufficiente per compensare il mancato riconoscimento delle violazioni dedotte.

89. Di conseguenza, la Corte rigetta l’eccezione del Governo.

B. Qualità di vittima del ricorrente

90. Secondo il Governo il ricorrente, non si può considerare che il sig. Francescantonio Di Stefano abbia la qualità per agire dinanzi alla Corte. In effetti, egli non avrebbe né dimostrato quale era il suo ruolo nella società Centro Europa 7 S.r.l., né giustificato la propria qualità di vittima. Il Governo osserva che, inoltre, l’interessato non è l’azionista unico della società in questione e che tutte le decisioni amministrative sono state pronunciate nei confronti di quest’ultima.

91. I ricorrenti sostengono che, conformemente alla giurisprudenza della Corte (Glas Nadejda EOOD e Anatoli Elenkov c. Bulgaria, n. 14134/02, § 41, 11 ottobre 2007, e Groppera Radio AG e altri c. Svizzera, 28 marzo 1990, § 49, serie A n. 173), anche l’azionista unico e rappresentante legale di una società può risultare essere vittima di un divieto di trasmettere.

92. La Corte ricorda che l’articolo 34 della Convenzione definisce la «vittima» come la persona direttamente interessata dall’atto o dall’omissione in contestazione (si veda, tra le altre, Vatan c. Russia, n. 47978/99, § 48, 7 ottobre 2004). Essa ribadisce inoltre che una persona non può lamentare la violazione dei suoi diritti nell’ambito di un procedimento a cui non era parte, nonostante la sua qualità di azionista e/o di dirigente di una società che era parte alla procedura (si vedano, tra le altre, F. Santos, Lda. e Fachadas c. Portogallo (dec.), n. 49020/99, CEDU 2000‑X, e Nosov c. Russia (dec.), n. 30877/02, 20 ottobre 2005). Inoltre, se in alcune circostanze il proprietario unico di una società può sostenere di essere «vittima» ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per quanto riguarda le misure contestate adottate nei confronti della sua società (si vedano, tra le altre, Ankarcrona c. Svezia (dec.), n. 35178/97, CEDU 2000-VI, e Glas Nadejda EOOD e Anatoli Elenkov, sopra citata, § 40), quando non è così non considerare la personalità giuridica di una società si giustifica solo in circostanze eccezionali, in particolare quando è chiaramente stabilito che la società si trova nell’impossibilità giuridica di adire gli organi della Convenzione per il tramite dei suoi organi statutari o – in caso di liquidazione – dai suoi liquidatori (Meltex Ltd e Movsessian c. Armenia, n. 32283/04, § 66, 17 giugno 2008; si vedano anche Agrotexim e altri c. Grecia, 24 ottobre 1995, § 66, serie A n. 330‑A, CDI Holding Aktiengesellschaft e altri c. Slovacchia (dec.), n. 37398/97, 18 ottobre 2001, e SARL Amat-G e Mébaghichvili c. Georgia, n. 2507/03, § 33, CEDU 2005‑VIII).

93. La Corte osserva anzitutto che, nel caso di specie, non è stata accertata alcuna circostanza eccezionale di questo tipo (si veda, a contrario, G.J. c. Lussemburgo, n. 21156/93, § 24, 26 ottobre 2000). Essa rileva inoltre che il ricorrente non ha prodotto alcun elemento che dimostri che egli sarebbe in realtà l’azionista unico di Centro Europa 7 S.r.l. Tutti gli elementi di cui dispone la Corte indicano che solo la società ricorrente, in quanto persona giuridica, ha partecipato all’appalto e ha ottenuto l’attribuzione di una concessione per la radiodiffusione televisiva; inoltre, tutte le decisioni dei giudici italiani rese nel corso del procedimento interno riguardavano solo la società ricorrente (Meltex Ltd e Movsessian, sopra citata, § 67). La Corte ne deduce che il rifiuto di concedere le radiofrequenze e i procedimenti giudiziari conseguenti a tale rifiuto hanno leso soltanto gli interessi della ricorrente. Pertanto, essa non può considerare il ricorrente come una «vittima», ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, dei fatti dallo stesso denunciati.

94. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte conclude che il ricorso presentato dal ricorrente è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 a), e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 § 4.

95. La Corte si limiterà dunque a esaminare i motivi di ricorso presentati a nome della società ricorrente.

C. Abuso del diritto di ricorso individuale

96. Il Governo sostiene che la ricorrente ha abusato del suo diritto di ricorso individuale. Sottolinea che non ha informato la Corte del procedimento di esecuzione, relativo alla concessione delle radiofrequenze, che ha dato luogo ad una cancellazione dal ruolo a causa dell’accordo intervenuto tra Centro Europa 7 S.r.l. e il Governo (paragrafi 19-20 supra). La ricorrente avrebbe in tal modo omesso di indicare alla Corte degli elementi di cui era in possesso fondamentali per l’esame della causa (Keretchachvili c. Georgia (dec.), n. 5667/02, CEDU 2006‑V).

97. La Corte ricorda che un ricorso può essere dichiarato abusivo se si basa deliberatamente su fatti inventati al fine di ingannare la Corte (Varbanov c. Bulgaria, n. 31365/96, § 36, CEDU 2000‑X). Lo stesso accade quando nuovi e importanti sviluppi sopraggiungono nel corso del procedimento dinanzi alla Corte e se – malgrado l’obbligo esplicito che incombe su di lui ai sensi dell’articolo 47 § 6 del regolamento – il ricorrente non glielo comunica, impedendogli in tal modo di pronunciarsi sul caso con piena cognizione di causa (Hadrabová e altri c. Repubblica ceca (dec.), nn. 42165/02 e 466/03, 25 settembre 2007, e Predescu c. Romania, n. 21447/03, §§ 25-27, 2 dicembre 2008). Tuttavia, anche in casi simili l’intenzione dell’interessato di indurre la Corte in errore deve essere sempre stabilita con un grado sufficiente di certezza (si vedano, mutatis mutandis, Melnik c. Ucraina, n. 72286/01, §§ 58-60, 28 marzo 2006, e Nold c. Germania, n. 27250/02, § 87, 29 giugno 2006).

98. Nel caso di specie la Corte osserva che i motivi di ricorso della ricorrente riguardano l’impossibilità di trasmettere nel periodo che va dal 28 luglio 1999 al 30 giugno 2009 (paragrafo 77 supra) e che, nel modulo di ricorso, l’interessata ha indicato di avere ottenuto le radiofrequenze nel 2008 e di essere stata autorizzata a trasmettere a partire da giugno 2009.

99. In queste condizioni, non si può concludere che la ricorrente abbia sin dall’inizio del procedimento omesso di informare la Corte su uno o più elementi fondamentali per l’esame della causa. È opportuno notare anche che l’accordo con il ministero e la domanda di re-iscrizione della causa al ruolo del TAR sono fatti sopraggiunti rispettivamente il 9 febbraio 2010 e l’8 marzo 2011 (paragrafi 19-22 supra), ossia molto tempo dopo la fine del periodo indicato nel ricorso dell’interessata. Pertanto, nulla permette di considerare che la ricorrente abbia abusato del suo diritto di ricorso individuale nel caso di specie.

100. L’eccezione del Governo non può pertanto essere accolta.

D. Tardività del ricorso

101. All’udienza del 12 ottobre 2011, il Governo ha eccepito l’inosservanza del termine di sei mesi previsto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione, in quanto la decisione interna definitiva sarebbe costituita dalla sentenza n. 2622 del Consiglio di Stato, depositata in cancelleria il 31 maggio 2008. Ritiene che con questa decisione il Consiglio di Stato, confermando la decisione del TAR, abbia definitivamente dichiarato inammissibile la richiesta di assegnazione delle radiofrequenze. Il ricorso, presentato il 20 luglio 2009, sarebbe dunque tardivo.

102. La Corte ricorda che la regola dei sei mesi non può essere interpretata nel senso di esigere che un ricorrente sottoponga alla Corte il proprio motivo di ricorso prima che la situazione all’origine dello stesso sia stata oggetto di una decisione definitiva a livello interno (Varnava e altri c. Turchia [GC], nn. 16064/90, 16065/90, 16066/90, 16068/90, 16069/90, 16070/90, 16071/90, 16072/90 e 16073/90, § 157, CEDU 2009). Quando un ricorrente lamenta una situazione continua, tale termine decorre dalla data in cui quest’ultima è cessata (si vedano, tra molte altre, Ortolani c. Italia (dec.), n. 46283/99, 31 maggio 2001, e Pianese c. Italia e Paesi Bassi (dec.), n. 14929/08, § 59, 27 settembre 2011).

103. Nel caso di specie, con la sua decisione del 31 maggio 2008, il Consiglio di Stato ha rigettato la domanda di attribuzione di radiofrequenze presentata dalla ricorrente in quanto il giudice non aveva il potere di sostituirsi all’amministrazione per adottare la misura richiesta. Il Consiglio di Stato ha ritenuto che il ministero dovesse pronunciarsi sulla domanda di assegnazione di radiofrequenze presentata dalla ricorrente facendo applicazione della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, pronunciata nel frattempo, e ha rinviato a una data posteriore la decisione relativa al risarcimento da accordare all’interessata (paragrafi 37-39 supra).

104. Ne consegue che, anche dopo la decisione del Consiglio di Stato n. 2622 del 31 maggio 2008, la ricorrente restava in attesa di ricevere una risposta dall’amministrazione con riguardo alla sua domanda di attribuzione di radiofrequenze. In effetti, non essendo definitiva, tale decisione non si è pronunciata su tutte le richieste della ricorrente. In particolare, le questioni di stabilire se avesse subito un danno, se quest’ultimo fosse imputabile all’amministrazione e se l’interessata avesse diritto a un risarcimento rimanevano aperte. Il Consiglio di Stato si è pronunciato in merito alle stesse solo con la sentenza del 20 gennaio 2009, con la quale ha condannato il ministero a versare alla ricorrente, a titolo di risarcimento, la somma di 1.041.418 euro. Solo in quest’ultima decisione il Consiglio di Stato ha ammesso che nell’azione del ministero era ravvisabile una colpa in quanto, da una parte, quest’ultimo aveva accordato a Centro Europa 7 S.r.l. una concessione senza assegnarle le frequenze di radiodiffusione e, dall’altra, sussisteva un nesso di causalità tra il comportamento dell’amministrazione e il danno presumibilmente subito (paragrafi 45-48).
Inoltre, la Corte osserva che la situazione lamentata dalla ricorrente dinanzi ad essa, ossia l’impossibilità di trasmettere programmi televisivi, si è conclusa solo il 30 giugno 2009 (paragrafo 16 supra), ossia solo venti giorni prima della data di presentazione del ricorso.

105. In queste condizioni, l’eccezione di tardività del ricorso sollevata dal Governo non può essere accolta.

E. Mancato esaurimento delle vie di ricorso interne

106. Secondo il Governo, la ricorrente non ha esaurito le vie di ricorso interne in quanto non avrebbe proposto, «almeno in sostanza», il suo motivo di ricorso relativo all’articolo 10 della Convenzione nel ricorso presentato al TAR il 18 febbraio 2009 relativamente al decreto di assegnazione delle radiofrequenze dell’11 dicembre 2008 (paragrafo 18 supra).

107. La ricorrente contesta la tesi del Governo e afferma che tale ricorso presentato al TAR riguarda un periodo che non è oggetto del suo ricorso dinanzi alla Corte.

108. I principi generali in materia di esaurimento delle vie di ricorso interne sono esposti nella sentenza Sejdovic c. Italia ([GC], n. 56581/00,§§ 43-46, CEDU 2006‑II). La Corte osserva che il procedimento a cui si riferisce il Governo, che è ancora pendente dinanzi ai giudici interni (paragrafo 23 supra)è stato intentato contro il decreto di attribuzione delle radiofrequenze dell’11 dicembre 2008. Tale decreto ha posto fine alla situazione denunciata dalla ricorrente dinanzi alla Corte, poiché costituisce la base legale che le ha permesso di trasmettere a partire dal 30 giugno2009 (paragrafo 16 supra). Di conseguenza, nell’ambito del presente ricorso, la ricorrente non può essere tenuta ad attendere l’esito di tale procedimento prima che i suoi motivi di ricorso vengano esaminati nel merito dalla Corte.

109. Di conseguenza, l’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sollevata dal Governo deve essere rigettata.

 

III. SULLA VIOLAZIONE DEDOTTA DELL’ARTICOLO 10 DELLA CONVENZIONE

110. La ricorrente denuncia una violazione del suo diritto alla libertà di espressione e, in particolare, della sua libertà di comunicare informazioni o idee. Essa lamenta segnatamente il fatto che il Governo, per quasi dieci anni, non le abbia attribuito delle frequenze di radiodiffusione televisiva per via terrestre in modalità analogica. Essa sostiene che la mancata applicazione della legge n. 249 del 1997 (paragrafo 56 supra), la mancata esecuzione delle sentenze della Corte Costituzionale n. 420 del 1994 e n. 466 del 2002 (paragrafi 54 e 62 supra) e la situazione di duopolio sul mercato televisivo italiano sono contrarie all’articolo 10 della Convenzione, che recita:
«1. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive.
2. L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario.»

111. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

112. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione. Rileva inoltre che esso non incorre in nessun altro motivo di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

1. Tesi delle parti e del terzo interveniente

a) La ricorrente

113. La ricorrente sostiene di non aver potuto trasmettere programmi televisivi malgrado le fosse stata accordata una concessione a tal fine all’esito di una gara di appalto. Tale violazione dei suoi diritti riguarda varie misure legislative, amministrative e giudiziarie dello Stato italiano, che ha agito per il tramite di diversi organi e strumenti. Le ingerenze nel suo diritto alla libertà di espressione non erano né giustificate né necessarie in una società democratica.

114. Secondo la ricorrente, le leggi transitorie adottate dal legislatore hanno confermato la pratica provvisoria che favorisce gli operatori esistenti, il che le ha impedito di far valere effettivamente i suoi diritti. Richiama la giurisprudenza Meltex Ltd e Movsessian sopra citata e osserva che, a differenza di questa causa, la violazione nel suo caso non riguarda un diniego di diritto risultante unicamente da una decisione adottata in un momento determinato, ma il rifiuto di dare effetto per più di dieci anni ad una concessione accordata a seguito di una gara di appalto.

115. La ricorrente ritiene che il rifiuto di accordarle delle radiofrequenze costituisca un’ingerenza nell’esercizio dei suoi diritti sanciti dall’articolo 10 § 1 della Convenzione (Meltex Ltd e Movsessian, sopra citata, eGlas Nadejda EOOD e Anatoli Elenkov, sopra citata). Tale ingerenza non era prevista dalla legge, come esige la Convenzione, in assenza di prevedibilità delle leggi transitorie adottate dal legislatore nazionale. Per di più, la ricorrente ricorda che i giudici italiani hanno applicato tali leggi e hanno ritenuto che il risarcimento dovesse essere calcolato a partire dal 1° dicembre 2004, contrariamente a quanto aveva concluso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sua sentenza.

b) Il Governo

116. Il Governo ricorda che, nel 1999, la ricorrente ha ottenuto una concessione che non comprendeva ipso facto il diritto di ottenere l’attribuzione di radiofrequenze. Conformemente al decreto legge n. 5 del 23 gennaio 2001, modificato dalla legge n. 66 del 20 marzo 2001 (paragrafi 63-64 supra), la ricorrente avrebbe potuto acquisire le radiofrequenze necessarie alla trasmissione di programmi. Tuttavia, essa non si sarebbe avvalsa di questa facoltà e non avrebbe partecipato alla nuova gara d’appalto bandita nel 2007.

117. Il mancato ottenimento delle radiofrequenze da parte della ricorrente si spiegherebbe con una riorganizzazione generale delle radiofrequenze analogiche nazionali e locali in un contesto di carenza di queste ultime, e con il fatto che varie società, che avevano partecipato alla gara di appalto del 1999 senza ottenere concessioni, avevano presentato dei ricorsi dinanzi ai giudici nazionali e ottenuto l’autorizzazione a proseguire le loro trasmissioni in assenza di concessioni, sulla base delle vecchie regole.

118. Il Governo indica che la gara d’appalto del 1999 era volta a selezionare gli operatori da includere nel piano dell’AGCOM. Di conseguenza non si trattava, secondo lo stesso, di attribuire direttamente delle radiofrequenze poiché mancava il programma di adeguamento degli impianti. A questo riguardo, esso sottolinea che, nel 1999, il ministero non ha accordato altre concessioni alle stesse condizioni.

119. Il Governo spiega che, dopo il fallimento della televisione via cavo in Italia, la legge n. 66 del 2001 aveva previsto la transizione verso la televisione digitale terrestre al più tardi nel 2006. Aggiunge che il decreto-legge n. 352 del 2003 e la legge n. 112 del 2004 (paragrafi 65-67 supra) avevano in seguito stabilito che le disposizioni transitorie sarebbero state valide finché la diffusione del digitale avesse raggiunto più del 50% degli utenti, il che avvenne il 27 maggio 2004.

120. Il Governo osserva anche che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha ritenuto che non fosse necessario esaminare un’eventuale violazione dell’articolo 10 della Convenzione. Inoltre, nelle sentenze nn. 242 e 243 del 2009, il Consiglio di Stato avrebbe giudicato che la televisione nazionale non era un servizio transfrontaliero e che la ricorrente, in quanto titolare di una concessione, aveva il diritto di partecipare a procedure concorrenziali e non discriminatorie per l’attribuzione di frequenze a partire dal 1 gennaio 2008. Tale risultato fu raggiunto con il decreto ministeriale dell’11 dicembre 2008 (paragrafo 16 supra), che ha attribuito alla ricorrente il canale 8 della banda VHF III, divenuto disponibile grazie alla transizione verso il digitale.

121. Il Governo ricorda che l’Italia ha dovuto armonizzare progressivamente i canali nazionali e locali, e che era indispensabile conciliare i diritti acquisiti dei vecchi operatori con gli interessi dei nuovi operatori e soprattutto evitare qualsiasi rischio di scivolare verso un monopolio o, dal lato opposto, nel caos. La transizione avrebbe permesso in particolare ai vecchi operatori di continuare a trasmettere e ai nuovi titolari di concessioni di realizzare una rete grazie all’acquisizione delle frequenze.

122. Il Governo, invece, sostiene che, secondo la giurisprudenza della Corte, una regolamentazione delle attività delle imprese è conforme all’articolo 10 della Convenzione. In effetti, tale disposizione non impedirebbe agli Stati di valutare gli aspetti tecnici, i diritti e le necessità di un determinato pubblico, la natura e gli obiettivi dei canali, le loro possibilità di inserimento a livello nazionale e locale, nonché gli obblighi derivanti degli impegni internazionali (Informationsverein Lentia e altri c. Autria, 24 novembre 1993, serie A n. 276).

123. Il Governo precisa che la concessione accordata alla ricorrente permetteva a quest’ultima di trovarsi in una posizione giuridicamente protetta, di poter acquisire delle frequenze, di utilizzare la capacità di trasmissione digitale di altri operatori e di utilizzare «la co-localizzazione dei due operatori RAI e [Mediaset]».

124. Il Governo osserva che, a tutt’oggi, la ricorrente offre alla propria clientela una serie di canali che diffondono programmi vari, ivi compresi film horror e film per adulti. In pratica, essa utilizzerebbe un sistema limitato, dato che le sue trasmissioni potrebbero essere visionate soltanto per mezzo di un decoder che essa offre alla sua clientela. Questo rivelerebbe la misura e il modo in cui l’interessata si avvale della libertà di comunicare informazioni e idee in una società democratica.

125. Infine, il Governo ritiene che le circostanze del caso di specie non siano affatto paragonabili a quelle della causa, sopra citata, Meltex Ltd e Movsessian.

c) Il terzo interveniente

126. L’organizzazione Open Society Justice Initiative inizia con un quadro dei «Principi direttivi in materia di pluralismo dei media ». Fa poi riferimento alle leggi e alle prassi dei tre Paesi europei di dimensioni simili a quelle dell’Italia (la Francia, la Germania e il Regno Unito), per evocare poi le norme europee secondo le quali l’obbligo di garantire il pluralismo necessita di imporre delle restrizioni in materia di proprietà dei media, in particolare per quanto riguarda la radiodiffusione.

127. Essa prende in esame anche il controllo delle società di radiodiffusione da parte degli attori del mondo politico, e ricorda che molti Paesi europei hanno adottato dei sistemi giuridici che vietano specificamente e/o limitano la possibilità per i politici e i partiti politici importanti di controllare gli organi di radiodiffusione e la loro programmazione.

128. Secondo l’associazione interveniente, le circostanze della presente causa si inseriscono nel contesto del più grande e annoso disagio che regna nel settore della radiodiffusione e dell’informazione in Italia. Open Society Justice Initiative ritiene che, qualora constatasse una violazione dell’articolo 10, la Corte dovrebbe considerare la possibilità di ordinare allo Stato italiano l’attuazione di misure di natura generale e sistemica per garantire il pluralismo del suo sistema di radiodiffusione.

2. Valutazione della Corte

a) Principi generali relativi al pluralismo nei media audiovisivi

129. La Corte ritiene opportuno ricordare anzitutto i principi generali derivanti dalla sua giurisprudenza in materia di pluralismo nei media audiovisivi. Come ha già sottolineato frequentemente, non vi è democrazia senza pluralismo. La democrazia si nutre della libertà di espressione. È nella sua essenza permettere la proposta e la discussione di progetti politici diversi, anche quelli che rimettono in discussione la modalità organizzativa attuale di uno Stato, purché gli stessi non siano volti a compromettere la democrazia stessa (Manole e altri c. Moldova, n. 13936/02, § 95, CEDU 2009 (estratti), e Partito socialista e altri c. Turchia, 25 maggio 1998, §§ 41, 45 e 47, Recueil 1998-III).

130. Al riguardo, la Corte osserva che, in una società democratica, non basta, per garantire un vero e proprio pluralismo nel settore audiovisivo, prevedere l’esistenza di più canali o la possibilità teorica per i potenziali operatori di accedere al mercato audiovisivo. Bisogna anche permettere un accesso effettivo a tale mercato, in modo da assicurare nel contenuto dei programmi globalmente considerati una diversità che rispecchia per quanto possibile la varietà delle correnti di pensiero che attraversano la società alla quale tali programmi sono rivolti.

131. La libertà di espressione, sancita dal paragrafo 1 dell’articolo 10, costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica, una delle condizioni principali del suo progresso (Lingens c. Austria, 8 luglio 1986, § 41, serie A n. 103). La libertà della stampa e degli altri mezzi di informazione fornisce all’opinione pubblica uno dei migliori mezzi per conoscere e giudicare le idee e le attitudini dei dirigenti. Spetta alla stampa il compito di comunicare informazioni e idee sulle questioni discusse nell’arena politica, così come su quelle riguardanti altri settori di interesse pubblico. Alla sua funzione, che consiste nel diffonderne, si aggiunge il diritto, per il pubblico, di riceverne (si vedano, per esempio, Handyside c. Regno Unito, 7 dicembre 1976, § 49, serie A n. 24, e Lingens, sopra citata, §§ 41-42).

132. I media audiovisivi, come la radio e la televisione, hanno un ruolo particolarmente importante da svolgere a tale riguardo. A causa del loro potere di fare passare dei messaggi attraverso il suono e l’immagine, hanno effetti più immediati e potenti della stampa scritta (Jersild c. Danimarca, 23 settembre 1994, § 31, serie A n. 298, e Pedersen e Baadsgaard c. Danimarca [GC], n. 49017/99, § 79, CEDU 2004-XI). La funzione della televisione e della radio, fonti comuni di evasione nell’intimità famigliare del telespettatore o dell’ascoltatore, ne aumenta ancora l’impatto (Murphy c. Irlanda, n. 44179/98, § 74, CEDU 2003-IX).

133. Una situazione in cui una parte economica o politica della società può ottenere una posizione dominante rispetto ai media audiovisivi ed esercitare in tal modo una pressione sulle emittenti per limitare alla fine la libertà editoriale di queste ultime, pregiudica il ruolo fondamentale della libertà di espressione, in una società democratica, sancita dall’articolo 10 della Convenzione, in particolare quando essa serve a comunicare informazioni e idee di interesse generale alle quali, del resto, il pubblico può ambire (VgT Verein gegen Tierfabriken c. Svizzera, n. 24699/94, §§ 73 e 75, CEDU 2001-VI; si veda anche De Geillustreerde c. Paesi Bassi, n. 5178/71, decisione della Commissione del 6 luglio 1976, § 86, Décisions et rapports (DR) 8, p. 13). Lo stesso vale quando la posizione dominante viene detenuta da una emittente di Stato o da una emittente pubblica. Così, la Corte ha già giudicato che, a causa della sua natura restrittiva, un regime di licenza che concede all’emittente pubblica un monopolio sulle frequenze disponibili si può giustificare solo se è possibile dimostrare l’esistenza di una necessità impellente in tal senso (Informationsverein Lentia e altri, sopra citata, § 39).

134. La Corte sottolinea che, in un settore delicato come quello dei media audiovisivi, al dovere negativo di non ingerenza si aggiunge, per lo Stato, l’obbligo positivo di realizzare un quadro legislativo e amministrativo adeguato per garantire un pluralismo effettivo (paragrafo 130 supra). Ciò è tanto più auspicabile quando, come nel caso di specie, il sistema audiovisivo nazionale si caratterizza per una situazione di duopolio.
In questa ottica, è opportuno ricordare che, nella Raccomandazione CM/Rec(2007)2 sul pluralismo dei media e la diversità del contenuto dei media (paragrafo 72 supra), il Comitato dei Ministri ha riaffermato che, «al fine di proteggere e di promuovere attivamente il pluralismo delle correnti di pensiero e di opinione nonché la diversità culturale, gli Stati membri dovrebbero adattare i quadri di regolamentazione esistenti, in particolare per quanto riguarda la proprietà dei media, e adottare le misure regolamentari e finanziarie necessarie al fine di garantire la trasparenza e il pluralismo strutturale dei media, nonché la diversità dei contenuti diffusi da questi ultimi».

135. Nel caso di specie, si pone la questione di stabilire se vi sia stata ingerenza delle pubbliche autorità nel diritto della ricorrente di «comunicare informazioni o idee» e, in caso affermativo, se tale ingerenza fosse «prevista dalla legge», perseguisse uno o più scopi legittimi e fosse «necessaria in una società democratica» per raggiungerli (RTBF c. Belgio, n. 50084/06, § 117, CEDU 2011 (estratti)).

b) Sull’esistenza di una ingerenza

136. La Corte ha già ritenuto che il rifiuto di accordare una licenza di radiodiffusione costituisce un’ingerenza nell’esercizio dei diritti sanciti dall’articolo 10 § 1 della Convenzione (si vedano, tra le altre, Informationsverein Lentia e altri, sopra citata, § 27, Radio ABC c. Austria, 20 ottobre 1997, § 27, Recueil 1997-VI, Leveque c. Francia (dec.), n. 35591/97, 23 novembre 1999, United Christian Broadcasters Ltd c. Regno Unito (dec.), n. 44802/98, 7 novembre 2000, Demuth c. Svizzera, n. 38743/97, § 30, CEDU 2002-IX, e Glas Nadejda EOOD e Anatoli Elenkov sopra citata, § 42). Poco importa, al riguardo, che la licenza non sia stata accordata a seguito di una richiesta individuale o di una partecipazione a una gara di appalto (Meltex Ltd e Movsessian, sopra citata, § 74).

137. La Corte osserva che la presente causa si distingue dalle cause citate al paragrafo precedente in quanto non riguarda il rifiuto di accordare una licenza. Al contrario, la ricorrente ha ottenuto il 28 luglio 1999, all’esito di una gara di appalto, una concessione per la radiodiffusione televisiva su frequenze terrestri in modalità analogica (paragrafo 9 supra). Tuttavia, in assenza di attribuzione di frequenze di radiodiffusione, essa ha potuto trasmettere programmi televisivi solo a partire dal 30 giugno 2009.

138. La Corte ricorda che lo scopo della Convenzione consiste nel tutelare dei diritti non teorici o illusori, ma concreti ed effettivi (Artico c. Italia, 13 maggio 1980, § 33, serie A n. 37). La mancata attribuzione di radiofrequenze alla ricorrente ha privato la concessione di qualsiasi effetto utile poiché l’attività che essa autorizzava non ha de facto potuto essere esercitata per quasi dieci anni. Questa mancata attribuzione ha pertanto costituito un ostacolo sostanziale, e dunque una ingerenza, nell’esercizio da parte della ricorrente del suo diritto di comunicare informazioni o idee.

c) Sulla questione di stabilire se l’ingerenza fosse «prevista dalla legge»

i) Principi generali

139. In virtù della terza frase dell’articolo 10 § 1, gli Stati possono regolare, con un regime di autorizzazioni, l’organizzazione della radiodiffusione sul loro territorio, in particolare i suoi aspetti tecnici. La concessione di una licenza può essere anche condizionata da considerazioni relative alla natura e agli obiettivi di un futuro canale, alle sue possibilità di inserimento a livello nazionale, regionale o locale, ai diritti e alle necessità di un determinato pubblico, nonché agli obblighi derivanti da strumenti giuridici internazionali (United Christian Broadcasters Ltd, decisione sopra citata, e Demuth, sopra citata, §§ 33-35). Tale regolamentazione deve essere basata su una «legge».

140. Le parole «prevista dalla legge» contenute nel secondo paragrafo dell’articolo 10 non solo impongono che la misura in questione abbia una base legale nel diritto interno, ma riguardano anche la qualità della legge in causa: perciò, questa deve essere accessibile ai soggetti di diritto e prevedibile nei suoi effetti (si vedano, tra molte altre, VgT Verein gegen Tierfabriken, sopra citata, § 52, Rotaru c. Romania [GC], n. 28341/95, § 52, CEDH 2000-V, Gawęda c. Polonia, n. 26229/95, § 39, CEDU 2002-II, e Maestri c. Italia [GC], n. 39748/98, § 30, CEDU 2004-I). Tuttavia, sono le autorità nazionali, in particolare i tribunali, a dover interpretare e applicare il diritto interno (Kruslin c. Francia, 24 aprile 1990, § 29, serie A n. 176-A e Kopp c. Svizzera, 25 marzo 1998, § 59, Recueil 1998-II).

141. Una delle esigenze che derivano dall’espressione «prevista dalla legge» è la prevedibilità. Si può dunque considerare «legge» solo una norma enunciata con un grado sufficiente di precisione tale da permettere al cittadino di regolare la sua condotta; facendosi affiancare, se necessario, da consulenti competenti, quest’ultimo deve essere in grado di prevedere, a un livello ragionevole tenuto conto delle circostanze della causa, le conseguenze che possono derivare da un determinato atto. Non è necessario che tali conseguenze siano prevedibili con una certezza assoluta: l’esperienza rivela che una tale certezza è fuori portata. Inoltre la certezza, benché altamente auspicabile, si accompagna a volte ad una rigidità eccessiva; il diritto deve invece sapersi adattare ai cambiamenti di situazione. Pertanto, molte leggi si servono, per forza di cose, di formule più o meno vaghe, la cui interpretazione e applicazione dipendono dalla pratica (Sunday Times c. Regno Unito (n. 1), 26 aprile 1979, § 49, serie A n. 30, Kokkinakis c. Grecia, 25 maggio 1993, § 40, serie A n. 260-A, e Rekvényi c. Ungheria [GC], n. 25390/94, § 34, CEDU 1999‑III).

142. Il livello di precisione della legislazione interna – che non può in nessun caso prevedere tutte le ipotesi – dipende in larga misura dal contenuto della legge in questione, dal settore al quale si presume essa si estenda e dal numero e dallo status di coloro ai quali essa è rivolta (RTBF c. Belgio, sopra citata, § 104, Rekvényi sopra citata, § 34, e Vogt c. Germania, 26 settembre 1995, § 48, serie A n. 323).

143. In particolare, una norma è «prevedibile» quando offre una certa garanzia contro gli attacchi arbitrari dei pubblici poteri (Tourancheau e July c. Francia, n. 53886/00, § 54, 24 novembre 2005) e contro un’applicazione estensiva di una restrizione fatta a scapito dei soggetti di diritto (si veda, mutatis mutandis, Başkaya e Okçuoğlu c. Turchia [GC], n. 23536/94 e 24408/94, § 36, CEDU 1999-IV).

ii) Applicazione di questi principi al caso di specie

144. Nella presente causa, la Corte deve dunque verificare se la legislazione italiana indicasse con un grado sufficiente di precisione le condizioni e le modalità con le quali la ricorrente avrebbe potuto ottenere l’attribuzione di frequenze di radiodiffusione conformemente alla concessione di cui è titolare. Ciò è tanto più importante in una causa come quella presente, in cui la legislazione in questione riguardava le condizioni di accesso al mercato audiovisivo.

145. La Corte ricorda che il 28 luglio 1999 le autorità competenti hanno accordato alla ricorrente, conformemente alle disposizioni della legge n. 249 del 1997, una concessione per la radiodiffusione televisiva terrestre a livello nazionale che la autorizzava a installare e esercitare una rete di impianti di radiodiffusione televisiva analogica. Per quanto riguarda il rilascio di radiofrequenze, la concessione rimandava al piano nazionale di assegnazione delle radiofrequenze adottato il 30 ottobre 1998 e fissava alla ricorrente un termine di ventiquattro mesi per mettere in conformità i propri impianti (paragrafo 9 supra). Tuttavia, come risulta dalle decisioni dei giudici interni (paragrafo 14 supra), l’interessato non poteva adempiere a tale obbligo finché l’amministrazione non avesse adottato il programma di conformità e proceduto alla realizzazione del piano di assegnazione delle radiofrequenze. Secondo la Corte, in tali condizioni la ricorrente poteva ragionevolmente aspettarsi che, al massimo entro i ventiquattro mesi successivi al 28 luglio 1999, l’amministrazione adottasse i testi necessari ad inquadrare la sua attività di radiodiffusione televisiva terrestre. A condizione di mettere in conformità i propri impianti, così come aveva l’obbligo di fare, la ricorrente avrebbe poi dovuto avere il diritto di trasmettere programmi televisivi.

146. Tuttavia, il piano di assegnazione delle radiofrequenze è stato realizzato solo nel dicembre 2008 e la ricorrente ha ottenuto un canale per le proprie trasmissioni solo a partire dal 30 giugno 2009 (paragrafo 16 supra). Nell’intervallo, vari canali avevano, in via transitoria, continuato a utilizzare diverse radiofrequenze che dovevano essere assegnate nell’ambito del piano. Secondo il Consiglio di Stato (paragrafo 28 supra), questa situazione era dovuta a fattori essenzialmente normativi. La Corte li esaminerà brevemente.

147. Essa osserva anzitutto che l’articolo 3 § 1 della legge n. 249 del 1997 prevedeva la possibilità, per i canali detti «eccedenti» (paragrafo 60 supra), di continuare a trasmettere i loro programmi a livello sia nazionale che locale fino al rilascio di nuove concessioni o fino a reiezione delle domande di nuove concessioni ma, in ogni caso, non oltre il 30 aprile 1998 (paragrafo 57 supra). Tuttavia, l’articolo 3 § 6 della stessa legge fissava per i canali eccedenti un regime transitorio che permetteva loro di continuare a trasmettere in via transitoria dopo il 30 aprile 1998 sulle frequenze terrestri, nel rispetto degli obblighi stabiliti per i canali destinati a concessione e a condizione che le trasmissioni fossero effettuate contemporaneamente via satellite o via cavo (paragrafo 60 supra).

148. La ricorrente poteva dedurre da questo quadro normativo in vigore al momento del rilascio della concessione che, a decorrere dal 30 aprile 1998, la possibilità per i canali eccedenti di continuare a trasmettere non avrebbe pregiudicato i diritti dei nuovi concessionari. Tuttavia, tale quadro è stato modificato dalla legge n. 66 del 20 marzo 2001, che regolava il passaggio dalla televisione analogica a quella digitale e che ha nuovamente autorizzato i canali eccedenti a continuare a trasmettere su frequenze terrestri fino all’attuazione di un piano nazionale di ripartizione delle frequenze di trasmissione digitale (paragrafo 63 supra).

149. Il 20 novembre 2002, quando tale piano non era stato ancora messo in opera, la Corte costituzionale ha giudicato che il passaggio dalle onde terrestri al cavo o al satellite per i canali eccedenti doveva essere portato a termine entro il 31 dicembre 2003, indipendentemente dalla fase di sviluppo della televisione digitale (paragrafo 62 supra). Alla luce di tale sentenza, la ricorrente poteva aspettarsi che le radiofrequenze che avrebbero dovuto esserle attribuite fossero liberate all’inizio del 2004. Invece il legislatore nazionale stabilì una nuova proroga.

150. In effetti, l’articolo 1 del decreto-legge n. 352 del 2003 ha prorogato l’attività dei canali eccedenti fino al termine di un esame dell’AGCOM sullo sviluppo dei canali televisivi digitali. In seguito, la legge n. 112 del 2004 (articolo 23 § 5) ha prolungato con un meccanismo di autorizzazione generale la possibilità per i canali eccedenti di continuare a trasmettere sulle radiofrequenze terrestri fino alla realizzazione del piano nazionale di attribuzione delle radiofrequenze per la televisione digitale (paragrafi 65-67 supra), in modo che tali canali non erano più tenuti a liberare le radiofrequenze che dovevano essere trasferite agli operatori che, come la ricorrente, erano titolari di concessioni.

151. La Corte constata che l’applicazione successiva di queste leggi ha prodotto l’effetto di non liberare le radiofrequenze e di impedire agli operatori diversi dai canali eccedenti di partecipare agli esordi della televisione digitale. In particolare, ai sensi di tali leggi il regime transitorio si sarebbe concluso dopo il completamento di un esame dell’AGCOM sullo sviluppo dei canali di televisione digitale e la realizzazione del piano nazionale delle radiofrequenze, quindi prendeva come riferimento eventi di cui era impossibile prevedere la data. A questo proposito, la Corte sottoscrive all’opinione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea secondo la quale:
«(...) la legge n. 112/2004 non si limita ad attribuire agli operatori esistenti un diritto prioritario a ottenere le radiofrequenze, ma riserva loro tale diritto in esclusiva, e senza limite temporale alla situazione di privilegio attribuita a questi operatori e senza prevedere l’obbligo di restituzione delle radiofrequenze eccedenti dopo il passaggio alla trasmissione televisiva in tecnica digitale.»

152. La Corte ritiene pertanto che le leggi in questione fossero formulate in termini vaghi, che non definivano con sufficiente chiarezza e precisione la portata e la durata del regime transitorio.

153. Peraltro, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, adita dal Consiglio di Stato, ha rilevato che questi interventi del legislatore nazionale si erano tradotti nell’applicazione di regimi transitori successivi regolati in favore dei titolari delle reti esistenti, e che tale situazione aveva prodotto l’effetto di impedire agli operatori senza radiofrequenze di emissione, come Centro Europa 7 S.r.l., di accedere al mercato della radiodiffusione televisiva anche quando beneficiavano di una concessione (accordata, nel caso della società ricorrente, nel 1999 – paragrafo 35 supra).

154. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che il quadro normativo interno mancasse di chiarezza e di precisione e non abbia permesso alla ricorrente di prevedere con un sufficiente grado di certezza in quale momento avrebbe potuto ottenere le radiofrequenze e iniziare ad esercitare l’attività per la quale aveva ottenuto una concessione, e ciò malgrado gli interventi della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Di conseguenza tali leggi non soddisfacevano alle condizioni di prevedibilità elaborate dalla Corte nella sua giurisprudenza.

155. La Corte osserva inoltre che l’amministrazione non ha rispettato i termini fissati nella concessione, conformemente alla legge n. 249 del 1997 e alle sentenze della Corte costituzionale, deludendo in tal modo le aspettative della ricorrente. Il Governo non ha dimostrato che quest’ultima avrebbe avuto a disposizione dei mezzi effettivi per costringere l’amministrazione a conformarsi alla legge e alle sentenze della Corte costituzionale. Pertanto, non le sono state offerte garanzie sufficienti contro l’arbitrio.

d) Conclusione

156. In conclusione, la Corte considera che il quadro legislativo, così come applicato alla ricorrente, che non è stata in grado di inserirsi nel settore della radiodiffusione televisiva per più di dieci anni pur avendo ottenuto una concessione a seguito di una gara di appalto, non soddisfa alla condizione di prevedibilità voluta dalla Convenzione e ha privato l’interessata del livello di protezione contro l’arbitrio richiesto dalla preminenza del diritto in una società democratica. Questa mancanza ha prodotto in particolare l’effetto di ridurre la concorrenza nel settore audiovisivo. Essa si traduce pertanto in un inadempimento dello Stato al proprio obbligo positivo di predisporre un quadro legislativo e amministrativo appropriato per garantire un pluralismo effettivo nei media (paragrafo 134 supra).

157. Tali constatazioni sono sufficienti per concludere che vi è stata, nella fattispecie, violazione dell’articolo 10 della Convenzione.

158. Tale conclusione dispensa la Corte dall’esaminare il rispetto delle altre esigenze del paragrafo 2 dell’articolo 10 nel caso di specie, ossia, in questa circostanza, la questione di stabilire se le leggi di proroga del regime transitorio perseguissero uno scopo legittimo e fossero necessarie in una società democratica per raggiungerlo.

 

IV. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 14 COMBINATO CON L’ARTICOLO 10 DELLA CONVENZIONE

159. La ricorrente ritiene di avere subito una discriminazione rispetto alla società Mediaset nel godimento del proprio diritto alla libertà di espressione.
Invoca l’articolo 14 della Convenzione, che recita:
«Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella (…) Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.»

160. Secondo la ricorrente, il sistema italiano ha riservato un trattamento preferenziale alla società Mediaset, che ha beneficiato di misure legislative e amministrative discriminatorie adottate in una situazione di conflitto di interessi. Inoltre, essa ritiene che vi sia stata discriminazione nei confronti di altri operatori, il che le avrebbe impedito di entrare nel mercato.

161. Il Governo considera che si dovrebbe evitare un approccio politico della causa. Ricorda i motivi, esposti nelle sue osservazioni relative all’articolo 10 della Convenzione, per i quali la ricorrente non ha potuto ottenere le radiofrequenze, nega l’esistenza di un qualsiasi legame tra la situazione di Centro Europa 7 S.r.l. e quella di Mediaset e considera che, nella fattispecie, non si trattasse di favorire un canale o l’altro a scapito della ricorrente.

162. La Corte osserva che questo motivo di ricorso sia strettamente legato a quello relativo all’articolo 10 della Convenzione e debba essere anch’esso dichiarato ricevibile. Considerate le conclusioni alle quali è giunta dal punto di vista dell’articolo 10 (paragrafo 156 supra), essa ritiene inutile esaminare separatamente il motivo di ricorso relativo all’articolo 14 della Convenzione.

 

V. SULLA VIOLAZIONE DEDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1

163. La ricorrente lamenta una violazione del suo diritto al rispetto dei suoi beni, sancito dall’articolo 1 del Protocollo n.1.
Tale disposizione recita:
«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

164. La ricorrente sottolinea che, per quasi dieci anni, non ha potuto esercitare i diritti che le derivano dalla concessione per la radiodiffusione televisiva a livello nazionale che le è stata attribuita e sostiene che il risarcimento che le è stato accordato dai giudici interni non corrisponde al pieno valore del «bene» di cui era titolare.

165. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

166. La Corte deve determinare, anzitutto, se la ricorrente fosse titolare di un «bene» ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 e se, di conseguenza, tale disposizione trovi applicazione nel caso di specie.

1. Tesi delle parti

a) Il Governo

167. Il Governo contesta, in via principale, l’esistenza di un «bene» e ricorda che la concessione accordata nel 1999 alla ricorrente non attribuiva ipso facto un diritto alla concessione di radiofrequenze da parte del ministero; pertanto, l’interessata non aveva una aspettativa legittima di ottenerne. Peraltro, i giudici interni hanno dichiarato irricevibile la richiesta della ricorrente ai fini dell’attribuzione delle radiofrequenze.

168. Il Governo ricorda poi che la Convenzione non tutela diritti inesistenti, privi di base giuridica. Secondo la giurisprudenza della Corte una «contestazione reale» o una «pretesa difendibile» non soddisfano i requisiti richiesti per poter essere considerate un «bene» ai sensi della Convenzione. Non esiste alcuna «aspettativa legittima» tutelata dalla Convenzione quando vi è stata una controversia sul modo in cui il diritto interno deve essere interpretato ed applicato e gli argomenti svolti dai ricorrenti sono stati rigettati dai giudici nazionali (Kopecký c. Slovacchia [GC], n. 44912/98, § 50, CEDU 2004‑IX).

169. Inoltre, la ricorrente avrebbe potuto acquistare le radiofrequenze sul mercato conformemente all’articolo 1 della legge n. 66 del 20 marzo 2001 (paragrafo 63 supra). Secondo il Governo, l’oggetto del ricorso non è l’assegnazione delle radiofrequenze ma l’importo, che l’interessata ritiene insufficiente, del risarcimento ottenuto a livello nazionale. Infine, il Governo ricorda che la concessione non è mai stata ritirata o annullata.

b) La ricorrente

170. La ricorrente contesta le argomentazioni del Governo e ritiene che il diritto di accesso e di utilizzo delle radiofrequenze, che permette l’esercizio della libertà di espressione e il proseguimento di un’attività economica, costituisca un attivo e rientri dunque nella nozione di «bene» ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

2. Valutazione della Corte

a) Principi generali

171. La Corte ricorda che la nozione di «bene» evocata al primo comma dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 ha una portata autonoma, che non si limita alla proprietà dei beni materiali e che è indipendente rispetto alle qualifiche formali del diritto interno: alcuni altri diritti e interessi che costituiscono degli attivi possono anche passare per «diritti patrimoniali» e dunque per «beni» ai fini di tale disposizione. In ciascuna causa, è importante esaminare se le circostanze, globalmente considerate, abbiano reso il ricorrente titolare di un interesse sostanziale tutelato dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 (Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 54, CEDU 1999‑II, Beyeler c. Italia [GC], n. 33202/96, § 100, CEDU 2000-I, e Broniowski c. Polonia [GC], n. 31443/96, § 129, CEDU 2004-V).

172. L’articolo 1 del Protocollo n. 1 vale solo per i beni attuali. Un reddito futuro può dunque essere considerato un «bene» solo se è già stato guadagnato o se è oggetto di un credito certo. Inoltre, nemmeno la speranza di vedersi riconoscere un diritto di proprietà che ci si trova nell’impossibilità di esercitare effettivamente può essere considerata un «bene», e lo stesso vale per un credito condizionato che si estingue a causa della mancata realizzazione della condizione (Gratzinger e Gratzingerova c. Repubblica ceca (dec.) [GC], n. 39794/98, § 69, CEDU 2002-VII).

173. Tuttavia, in alcune circostanze, anche l’«aspettativa legittima» di ottenere un valore patrimoniale può beneficiare della tutela dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. Così, quando l’interesse patrimoniale è dell’ordine del credito, si può considerare che l’interessato disponga di una aspettativa legittima se un tale interesse presenta una base sufficiente nel diritto interno, ad esempio quando è confermato da una giurisprudenza ben consolidata dei tribunali. Tuttavia, non si può concludere per l’esistenza di una «aspettativa legittima» quando vi è una controversia sul modo in cui il diritto interno debba essere interpretato e applicato e le argomentazioni svolte dal ricorrente al riguardo vengono in definitiva rigettate dai giudici nazionali (Kopecký, sopra citata, § 50).

b) Applicazione di questi principi al caso di specie

174. La Corte osserva che la ricorrente era titolare, dal 28 luglio 1999, di una concessione per la radiodiffusione televisiva a livello nazionale per via terrestre. Tale concessione la autorizzava a installare ed esercitare una rete di radiodiffusione televisiva in modalità analogica (paragrafo 9 supra). I giudici amministrativi italiani hanno ritenuto che ciò non conferisse alla ricorrente un diritto soggettivo a ottenere l’attribuzione di frequenze di radiodiffusione, ma un semplice interesse legittimo, ossia una posizione individuale tutelata in maniera indiretta e subordinata al rispetto dell’interesse generale. La ricorrente aveva dunque unicamente il diritto di ottenere che il Governo trattasse la sua richiesta di radiofrequenze nel rispetto dei criteri imposti dalla legislazione interna e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (si vedano anche la sentenza del TAR del 16 settembre 2004, paragrafo 25 supra e la decisione n. 2622/08 del 31 maggio 2008 del Consiglio di Stato, paragrafo 37 supra).

175. Come la Corte ha osservato sotto il profilo dell’articolo 10 della Convenzione, considerato il contenuto della concessione e il quadro normativo in vigore all’epoca, la ricorrente poteva ragionevolmente aspettarsi che, entro i ventiquattro mesi successivi al 28 luglio 1999, l’amministrazione avrebbe eseguito gli atti giuridici necessari all’inquadramento della sua attività di radiodiffusione televisiva terrestre. A condizione di procedere alla messa in conformità dei propri impianti, come era obbligata a fare, la ricorrente avrebbe poi dovuto avere il diritto di trasmettere dei programmi televisivi (paragrafo 145 supra). Pertanto, essa aveva una «aspettativa legittima» al riguardo. È vero che, come osserva il Governo, i giudici amministrativi hanno rigettato le domande della ricorrente volte a ottenere l’assegnazione di radiofrequenze. Tuttavia, tale decisione non costituiva un rigetto sul merito della domanda della ricorrente, ma derivava dalla regola generale secondo la quale nel diritto italiano il giudice amministrativo non può sostituirsi all’amministrazione per adottare, al suo posto, alcune misure (paragrafo 37 supra).

176. Inoltre, nella sua sentenza del 31 gennaio 2008, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è così espressa:
«(...) Su questo punto, va precisato che, nel settore delle trasmissioni radiotelevisive, la libera prestazione di servizi, come sancita dall'articolo 49 CE e attuata in questo settore dal NCRC, esige non soltanto la concessione di autorizzazioni alla trasmissione, ma anche l'assegnazione di frequenze di trasmissione. In effetti, in mancanza di radiofrequenze di trasmissione, un operatore non può esercitare in modo effettivo i diritti conferitigli dal diritto comunitario circa l'accesso al mercato della radiodiffusione televisiva.»

177. La Corte sottoscrive a questa analisi. Essa ricorda per di più che, secondo la sua giurisprudenza, la revoca di una licenza di esercizio di un’attività commerciale si traduce in una violazione del diritto al rispetto dei beni sancito dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione (Tre Traktörer AB c. Svezia, 7 luglio 1989, § 53, serie A n. 159, Capital Bank AD c. Bulgaria, n. 49429/99, § 130, CEDU 2005‑XII, Rosenzweig e Bonded Warehouses Ltd c. Polonia, n. 51728/99, § 49, 28 luglio 2005, e Bimer S.A. c. Moldova, n. 15084/03, § 49, 10 luglio 2007). Se è vero che, nel caso di specie, la concessione non è stata revocata, la Corte ritiene che, senza la concessione di frequenze di radiodiffusione, essa è stata privata del suo contenuto.

178. La Corte considera pertanto che gli interessi legati all’esercizio della concessione costituissero degli interessi patrimoniali che richiedono la tutela dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (si veda, mutatis mutandis, Tre Traktörer AB, sopra citata, § 53).

179. Essa ritiene dunque che l’aspettativa legittima della ricorrente, che si ricollegava ad interessi patrimoniali come l’esercizio di una rete di impianti di radiodiffusione televisiva analogica in virtù della concessione, fosse sufficientemente fondata per costituire un interesse sostanziale, e dunque un «bene» ai sensi della norma espressa nella prima frase dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, la quale, di conseguenza, è applicabile al caso di specie (si vedano, mutatis mutandis, Stretch c. Regno Unito, n. 44277/98, §§ 32-35, 24giugno 2003, e Bozcaada Kimisis Teodoku Rum Ortodoks Kilisesi Vakfı c. Turchia (n. 2), nn. 7646/03, 37665/03, 37992/03, 37993/03, 37996/03, 37998/03, 37999/03 e 38000/03, § 50, 6 ottobre 2009).

180. La Corte constata che il motivo di ricorso relativo all’articolo 1 del Protocollo n. 1 non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione. Rileva peraltro che esso non incorre in nessun altro motivo di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

1. Tesi delle parti

a) La ricorrente

181. La ricorrente ritiene che il comportamento del Governo si traduca in una espropriazione di beni ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, dato che non solo esso si è astenuto, senza giustificazione, dall’attribuire le radiofrequenze, ma si è anche rifiutato di dare effetto alla concessione accordata all’esito di una regolare gara di appalto.

182. La ricorrente considera che tale espropriazione non avesse alcun legame con l’interesse generale, e che abbia invece servito gli interessi privati di Mediaset utilizzando delle radiofrequenze che avrebbero dovuto essere liberate a suo profitto in quanto concessionaria legittima. Inoltre, tale espropriazione non è avvenuta «per le vie legali». In effetti, secondo la legge n. 249 del 1997, le radiofrequenze in questione avrebbero dovuto essere liberate in favore della società che, nell’ambito della gara di appalto, aveva formulato la proposta migliore, ossia nel caso presente Centro Europa 7 S.r.l. Tuttavia, varie misure legislative transitorie hanno impedito a quest’ultima di avere accesso a tali frequenze.

183. Peraltro, la ricorrente è del parere che il risarcimento ottenuto a livello nazionale non corrisponda al valore del bene espropriato. Per determinare il mancato guadagno per perdita di chance, la Corte dovrebbe considerare non solo il ritardo nell’assegnazione delle frequenze, ma anche l’impossibilità di entrare in concorrenza con le altre società nel 1999, ossia in un momento in cui il mercato era più ristretto rispetto a oggi. La ricorrente sottolinea anche che il Consiglio di Stato, basandosi sul fatto che la Corte costituzionale aveva considerato il 31 dicembre 2003 come una data ragionevole per lo scadere del periodo di transizione, ha tenuto conto solo del danno subito dopo il 2004, escludendo in tal modo cinque anni di violazione. Infine, la ricorrente ricorda che, secondo il Consiglio di Stato, la concessione ottenuta non le aveva conferito il diritto immediato di esercitare l’attività economica corrispondente e il risarcimento avrebbe dunque dovuto essere calcolato sulla base di una aspettativa legittima di assegnazione di radiofrequenze da parte delle autorità competenti.

b) Il Governo

184. Il Governo si oppone agli argomenti della ricorrente e denuncia la natura «finanziaria» del ricorso.

2. Valutazione della Corte

185. L’articolo 1 del Protocollo n. 1, che sancisce il diritto alla tutela della proprietà, contiene tre norme distinte: «la prima, che si esprime nella prima frase del primo comma e riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, riportata nella seconda frase dello stesso comma, riguarda la privazione della proprietà e la sottopone ad alcune condizioni; quanto alla terza, annotata nel secondo comma, essa riconosce agli Stati il potere, tra l’altro, di disciplinare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale (...) Non si tratta comunque di norme prive di rapporto tra loro. La seconda e la terza riguardano degli esempi particolari di violazioni del diritto di proprietà; pertanto, esse devono essere interpretate alla luce del principio sancito dalla prima » (si vedano, tra le altre, James e altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 37, serie A n. 98, e Beyeler, sopra citata, § 98).

186. La ricorrente ritiene che, nella fattispecie, vi sia stata «privazione dei beni». Tuttavia, la Corte non può sottoscrivere a tale analisi. In effetti, l’interesse sostanziale dell’interessata a sfruttare una rete televisiva analogica non è stato oggetto di un’espropriazione, come dimostra il fatto che la ricorrente è oggi in grado di trasmettere programmi televisivi. La possibilità di esercitare l’attività corrispondente alla concessione è stata invece oggetto di varie misure volte in sostanza a ritardarne la data di partenza, il che, agli occhi della Corte, costituisce una misura di regolamentazione dell’uso dei beni da esaminare sul piano del secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

187. Tale disposizione esige, prima di tutto e soprattutto, che una ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni sia legale (Iatridis, sopra citata, § 58 e Beyeler, sopra citata, § 108). In particolare, il secondo comma riconosce agli Stati il diritto di disciplinare l’uso dei beni a condizione che essi lo esercitino mettendo in vigore delle «leggi». Il principio di legalità presuppone anche che le disposizioni pertinenti del diritto interno siano sufficientemente accessibili, precise e prevedibili nella loro applicazione (si veda, mutatis mutandis, Broniowski sopra citata, § 147).

188. La Corte ha appena constatato sul terreno dell’articolo 10 della Convenzione che l’ingerenza nei diritti della ricorrente non aveva una base legale sufficientemente prevedibile ai sensi della sua giurisprudenza (paragrafo 156 supra). Essa non può che giungere alla stessa constatazione sotto il profilo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, il che è sufficiente per concludere che vi è stata violazione di tale disposizione.

189. Questa conclusione dispensa la Corte dal controllare in questo caso se siano state rispettate le altre esigenze dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, e in particolare dall’esaminare la questione di stabilire se la regolamentazione dell’uso del «bene» della ricorrente sia stata fatta «conformemente all’interesse generale».

 

VI. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

190. La ricorrente lamenta una violazione del suo diritto a un processo equo. Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, recita:
«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale indipendente e imparziale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...) »

A. Tesi delle parti

1. Il Governo

191. Il Governo sostiene che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato, in quanto la Corte non ha il compito di conoscere degli errori di fatto o di diritto presumibilmente commessi da un giudice interno, dato che l’interpretazione della legislazione interna spetta in primo luogo alle autorità nazionali, e specialmente alle corti e ai tribunali.

192. In particolare, le leggi nn. 43 e 112 del 2004 non sarebbero state prese in considerazione dal TAR, ma il Consiglio di Stato si sarebbe basato su queste leggi per concludere che la ricorrente aveva diritto al risarcimento. La sentenza del Consiglio di Stato che accorda una riparazione pecuniaria all’interessata dimostrerebbe per di più l’indipendenza dello Stato e la presa in esame della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Inoltre, il Governo ricorda che in un procedimento giudiziario è possibile che delle parti che hanno interessi comuni presentino al giudice osservazioni redatte in maniera parzialmente simile, e che il fatto che un giurista produca delle osservazioni di carattere tecnico non significa che esse vengano approvate dal Governo.

193. Infine, il Governo ricorda che il Consiglio di Stato ha rigettato la domanda di perizia presentata dalla ricorrente argomentando che l’onere della prova era a carico di quest’ultima e che una perizia d’ufficio non poteva sostituire una mancanza di prove.

2. La ricorrente

194. La ricorrente sostiene che le modifiche legislative in corso di procedura hanno pregiudicato il suo diritto ad un processo equo; aggiunge che la legge non è stata correttamente applicata e che le sentenze della Corte costituzionale non sono state eseguite. Inoltre, dinanzi al Consiglio di Stato il Governo avrebbe favorito il gruppo Mediaset, il che dimostrerebbe la mancanza di indipendenza dello Stato. La ricorrente sostiene che ciò è dimostrato dal fatto che la memoria del gruppo Mediaset ricalcava quella del Governo.

195. La ricorrente ritiene che lo Stato italiano non sia riuscito a realizzare un sistema normativo chiaro e completo, contravvenendo in tal modo ai principi di legalità, trasparenza, non discriminazione, libera concorrenza ed imparzialità, nonché allo stato di diritto. Infine, il Consiglio di Stato avrebbe omesso di accordarle un risarcimento per il danno effettivamente subito e di ordinare una perizia per quantificare l’importo che le era dovuto.

B. Valutazione della Corte

196. La Corte ritiene che una parte dei motivi di ricorso della ricorrente (e, in particolare, quelli relativi all’assenza di un quadro normativo chiaro, ai cambiamenti legislativi e alla non esecuzione delle sentenze della Corte costituzionale) si confonda ampiamente con il motivo di ricorso relativo all’articolo 10 della Convenzione. Non è dunque opportuno esaminarli separatamente sotto il profilo dell’articolo 6.

197. Per quanto concerne i motivi di ricorso riguardanti specificamente la procedimento dinanzi al Consiglio di Stato, la Corte ricorda che ha il dovere di assicurare il rispetto degli impegni derivanti dalla Convenzione per le Parti contraenti. In particolare, è d’accordo con il Governo nell’affermare che non ha il compito di conoscere degli errori di fatto o di diritto presumibilmente commessi da un giudice interno, salvo che e nella misura in cui essi potrebbero aver pregiudicato i diritti e le libertà garantiti dalla Convenzione (si veda, tra molte altre, García Ruiz c. Spagna [GC], n. 30544/96, § 28, CEDU 1999-I). In particolare, la Corte non può valutare gli elementi di fatto che hanno condotto un giudice nazionale ad adottare una determinata decisione piuttosto che un’altra, altrimenti si erigerebbe a giudice di quarto grado e disconoscerebbe i limiti della sua missione (si veda, mutatis mutandis, Kemmache c. Francia (n. 3), 24 novembre 1994, § 44, serie A n. 296-C). La Corte ha unicamente la funzione, rispetto all’articolo 6 della Convenzione, di esaminare i ricorsi in cui si afferma che i giudici nazionali hanno ignorato delle garanzie processuali specifiche enunciate da tale disposizione o che il corso del procedimento nel suo insieme non ha garantito un processo equo al ricorrente (si veda, tra molte altre, Donadzé c. Georgia, n. 74644/01, §§ 30-31, 7 marzo 2006).

198. Nella presente causa, la Corte non scorge alcun elemento che porti a pensare che il procedimento dinanzi al Consiglio di Stato non si sia svolto conformemente alle esigenze del processo equo. Essa ricorda inoltre che le esigenze di indipendenza e imparzialità menzionate all’articolo 6 della Convenzione riguardano il tribunale incaricato di pronunciarsi sul merito della causa, e non le parti al procedimento (Forcellini c. San Marino (dec.), n. 34657/97, 28 maggio 2002, e Previti c. Italia (dec.), n. 45291/06, § 255, 8 dicembre 2009), e che sono i giudici nazionali a dover valutare l’utilità di una prova offerta (si vedano, mutatis mutandis e rispetto a dei procedimenti penali, Previti, decisione sopra citata, § 221, e Bracci c. Italia, n. 36822/02, § 65, 13 ottobre 2005).

199. Ne consegue che questo motivo di ricorso deve essere rigettato in quanto manifestamente infondato, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

 

VII. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

200. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»


A. Tesi delle parti

1. Danno materiale

a) La ricorrente

201. La ricorrente ritiene che i risarcimenti che le sono stati accordati siano insufficienti. Sottolinea che il Consiglio di Stato ha considerato indennizzabile una parte molto limitata dell’enorme danno subito, ha ignorato la perizia da lei presentata ed ha omesso di nominare dei periti indipendenti. In tal modo, l’alta giurisdizione italiana ha quasi totalmente rigettato la domanda di risarcimento, dichiarando che né le spese di procedura né quelle di avvio dell’attività commerciale potevano essere rimborsate.

202. Quanto a queste ultime, l’interessata osserva che, a seguito del rilascio della concessione di radiodiffusione, essa ha rapidamente realizzato una struttura efficace ed effettiva per acquisire un posto importante sul mercato della radiodiffusione commerciale. In particolare, avrebbe preso in locazione degli studi televisivi per oltre 20.000 m2, dotati di impianti con tecnologia avanzata acquistati in anticipo per poter lanciare rapidamente l’attività di radiodiffusione. Avrebbe anche sostenuto i costi di creazione di una biblioteca audiovisiva, producendo le proprie trasmissioni, come richiesto dal regolamento sulle concessioni.

203. Per quanto riguarda il mancato guadagno, l’insufficienza del risarcimento accordato dal Consiglio di Stato risulterebbe con ogni evidenza dal confronto tra questo importo e i profitti realizzati da Retequattro, ossia il canale eccedente che avrebbe dovuto liberare le radiofrequenze assegnate alla ricorrente. Quest’ultima ritiene che, nella valutazione del mancato guadagno, la Corte dovrebbe anche tenere conto del fatto che Centro Europa 7 S.r.l. è entrata nel mercato commerciale della radiodiffusione solo di recente, ossia in un momento in cui la radiodiffusione analogica stava per essere completamente sostituita dalla tecnica digitale e da altre tecniche di radiodiffusione. Bisognerebbe dunque prendere in considerazione i cambiamenti intervenuti sul mercato dal 1999. La ricorrente ritiene di essere stata illegalmente esclusa dal mercato della radiodiffusione commerciale per un periodo considerevole, il che avrebbe anche pregiudicato le sue possibilità di promuovere il proprio marchio e la propria immagine e di acquisire una perizia, dei programmi audiovisivi e altri benefici legati all’attività di radiodiffusione analogica.

204. Alla luce di quanto precede, presentando i relativi documenti giustificativi, la ricorrente chiede la somma di 2.174.130.492,55 euro (129.957.485,60 euro per le perdite subite e 2.045.214.475,00 euro per il mancato guadagno), somma che aveva richiesto nell’ambito del procedimento nazionale, e dalla quale si dovevano detrarre l’importo accordato dal Consiglio di Stato o un altro importo determinato in equità. Il risarcimento dovrebbe essere maggiorato di interessi legali.

b) Il Governo

205. Il Governo si oppone alle richieste della ricorrente, che considera eccessive. Ricorda che il Consiglio di Stato ha accordato un risarcimento all’interessata. Per di più, le richieste in contestazione derivano da speculazione e non hanno alcun nesso di causalità con le violazioni dedotte della Convenzione (Informationsverein Lentia e altri sopra citata, § 46,Radio ABC, sopra citata, § 41, eMeltex Ltd e Movsessian, sopra citata, § 102).

206. Inoltre, il Governo sottolinea che la ricorrente non ha predisposto alcun impianto di teletrasmissione in modalità digitale nel periodo compreso tra dicembre 2008 e gennaio 2009. Tali impianti sarebbero stati acquistati solo dopo il 2009.

2. Danno morale

a) La ricorrente

207. La ricorrente chiede la somma di 10.000.000 euro per il danno morale.

208. Secondo lei, la Corte dovrebbe, in particolare, esaminare i seguenti elementi:
a) il notevole intervallo di tempo trascorso;
b) il fatto che la ricorrente poteva ragionevolmente aspettarsi un’esecuzione entro i termini della concessione di radiodiffusione televisiva da parte del governo italiano;
c) la frustrazione e l’angoscia derivanti dal fatto di essere una testimone impotente dello sviluppo del mercato della radiodiffusione televisiva senza poter essere parte attiva e della perdita di un certo numero di occasioni vantaggiose;
d) l’importante posta in gioco a livello economico;
e) il danno per l’immagine della società ricorrente, considerata la posizione delle persone implicate;
f) la grande preoccupazione della ricorrente di fronte alla impossibilità di stare al passo con la concorrenza, che avrebbe consolidato la posizione sul mercato della radiodiffusione analogica e sui mercati vicini;
g) le condizioni di incertezza nelle quali la ricorrente dice di avere dovuto prendere le decisioni strategiche;
h) gli ostacoli e le prove che l’amministratore della società avrebbe dovuto superare; e
i) la frustrazione derivante dall’indifferenza ripetuta e flagrante del Governo rispetto alle sentenze rese dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nonché delle domande provenienti dalle istituzioni europee.

b) Il Governo

209. Il Governo si oppone alle pretese della ricorrente, che considera esorbitanti.

3. Spese

a) La ricorrente

210. Presentando i relativi documenti giustificativi, la ricorrente chiede il rimborso delle spese processuali sostenute sia a livello nazionale che a livello europeo per ottenere che fosse resa operativa la concessione e per esercitare effettivamente l’attività economica sul mercato della radiodiffusione televisiva.

211. Essa sottolinea che ha dovuto far fronte non solo all’operatore commerciale dominante in Italia, ma anche allo stesso governo italiano per più di dieci anni poiché, durante tale periodo, il proprietario di Mediaset – il gruppo di trasmissione che comprende il canale eccedente Retequattro – ha anche svolto vari mandati di presidente del Consiglio dei ministri.

212. Pertanto, la ricorrente chiede la somma di 1.023.706,35 euro per le spese sostenute a livello nazionale e 200.000 euro per quelle sostenute dinanzi alla Corte.

b) Il Governo

213. Il Governo si oppone alle pretese della ricorrente.


B. Valutazione della Corte

1. Danno

214. La Corte ricorda che ha constatato, nel caso di specie, una duplice violazione. In primo luogo, l’ingerenza nell’esercizio da parte della ricorrente del suo diritto di comunicare informazioni o idee ai sensi dell’articolo 10 della Convenzione è stata operata attraverso misure legislative che non rispondevano all’esigenza di prevedibilità e all’obbligo dello Stato di garantire un pluralismo effettivo (paragrafo 156 supra). In secondo luogo, la ricorrente poteva legittimamente aspettarsi che l’amministrazione eseguisse entro i ventiquattro mesi successivi al 28 luglio 1999 gli atti giuridici necessari all’inquadramento della sua attività di radiodiffusione televisiva, il che le avrebbe permesso di trasmettere programmi televisivi (paragrafo 175 supra). Ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, tale aspettativa costituiva un «bene» (paragrafo 178 supra) il cui uso è stato regolamentato dalle stesse leggi giudicate non sufficientemente prevedibili sotto il profilo dell’articolo 10 (paragrafo 188 supra). In compenso, la Corte non ha esaminato la questione di stabilire se la normativa in contestazione fosse «conforme all’interesse generale» (paragrafo 189 supra) e se l’ingerenza nel diritto della ricorrente di comunicare informazioni e idee perseguisse uno scopo legittimo e fosse necessaria in una società democratica per raggiungerlo (paragrafo 158 supra).

215. Nella presente causa, la Corte si trova nell’impossibilità di stabilire con esattezza in quale misura le violazioni constatate hanno leso i diritti patrimoniali della ricorrente tenuto conto, in particolare, della specificità del mercato audiovisivo italiano e dell’assenza, in tale mercato, di una situazione commerciale comparabile.

216. La Corte osserva per di più che la ricorrente ha subito un danno derivante dall’incertezza prolungata, dovuta alla mancanza di precisione del quadro legislativo interno, per quanto riguarda la data in cui avrebbe potuto ottenere l’assegnazione delle radiofrequenze e, di conseguenza, iniziare ad operare nel mercato commerciale della radiodiffusione televisiva. La ricorrente ha comunque affrontato degli investimenti in virtù della concessione. La Corte ritiene che il risarcimento accordato dal Consiglio di Stato, che copre esclusivamente il periodo dal 2004 al 2009, non può essere considerato sufficiente, tanto più che non è stata disposta alcuna perizia dai giudici interni per valutare le perdite subite e il mancato guadagno.

217. La Corte rileva che il Governo si limita a contestare le pretese della ricorrente definendole eccessive.

218. Per quanto riguarda le perdite subite, la Corte osserva che la ricorrente non ha dimostrato che tutti gli investimenti effettuati fossero necessari per dare attuazione alla concessione che aveva ottenuto. Quanto al dedotto mancato guadagno, la Corte considera che la ricorrente ha effettivamente subito un danno a tale titolo a causa dell’impossibilità, per molti anni, di trarre un qualsiasi profitto dalla concessione. Ritiene tuttavia che le circostanze della causa non si prestino ad una valutazione precisa del danno materiale, poiché il tipo di danno in questione presenta molte incognite e rende impossibile un calcolo preciso delle somme che potrebbero costituire una equa riparazione.

219. Senza fare speculazioni sui benefici che la ricorrente avrebbe realizzato se le violazioni della Convenzione non avessero avuto luogo e essa avesse potuto trasmettere a partire dal 2001, la Corte constata che l’interessata ha subito una perdita di opportunità reale (si veda, mutatis mutandis, Gaweda, già citata, § 54). Conviene anche osservare che la stessa intendeva lanciarsi in una impresa commerciale assolutamente nuova, il cui eventuale successo dipendeva da una serie di fattori vari la cui valutazione non rientra nella competenza della Corte. Osserva al riguardo che se si tratta di un mancato guadagno (lucrum cessans), la sua esistenza deve essere stabilita con certezza e non deve basarsi soltanto su congetture o probabilità.

220. In queste condizioni, la Corte ritiene appropriato fissare una somma forfettaria in riparazione delle perdite subite nonché del mancato guadagno legato alla impossibilità di sfruttare la concessione. Deve anche tenere conto del fatto che la ricorrente ha ottenuto un risarcimento a livello interno per una parte del periodo interessato (paragrafo 48 supra).

221. Inoltre, la Corte ritiene che, nel caso di specie, le violazioni accertate degli articoli 10 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1 abbiano inevitabilmente causato alla ricorrente una incertezza prolungata nella gestione degli affari e un senso di impotenza e frustrazione (si veda, mutatis mutandis, Rock Ruby Hotels Ltd c. Turchia (equa soddisfazione), n. 46159/99, § 36, 26 ottobre 2010). A tale riguardo, essa ricorda che può accordare una riparazione pecuniaria per danno morale a una società commerciale. Questo tipo di danno può in effetti comportare, per una tale società, degli elementi più o meno «oggettivi» e «soggettivi». Possono essere presi in considerazione in particolare l’immagine dell’impresa, ma anche l’incertezza nella pianificazione delle decisioni da prendere, i problemi causati alla gestione dell’impresa stessa, le cui conseguenze non si prestano ad un calcolo esatto e, infine, anche se in misura minore, l’angoscia e i disagi provati dai membri degli organi di direzione della società (Comingersoll S.A. c. Portogallo [GC], n. 35382/97, § 35, CEDU 2000-IV).

222. Tenuto conto di tutti questi elementi, deliberando equamente, la Corte ritiene ragionevole accordare alla ricorrente una somma complessiva di 10.000.000 euro, senza distinzione tra i danni subiti, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma.

2. Spese

223. La Corte ricorda che, a titolo dell’articolo 41 della Convenzione, rimborsa le spese di cui è stabilito che sono state realmente sostenute e che corrispondono ad una necessità, e il cui importo è ragionevole (Nikolova c. Bulgaria [GC], n. 31195/96, § 79, CEDU 1999-II).

224. Per quanto riguarda le spese del procedimento interno, la Corte osserva che la ricorrente, prima di rivolgersi agli organi della Convenzione, ha esaurito le vie di ricorso che le erano aperte nel diritto italiano, poiché ha avviato due procedimenti dinanzi ai giudici amministrativi di cui è opportuno sottolineare la complessità e la durata. La Corte ammette pertanto che l’interessata ha sostenuto delle spese per far correggere le violazioni della Convenzione nell’ordinamento giuridico interno (si veda, mutatis mutandis, Rojas Morales c. Italia, n. 39676/98§ 42, 16 novembre 2000).

225. Quanto alle spese afferenti al procedimento dinanzi ad essa, la Corte osserva che la presente causa riveste un carattere di complessità, poiché sono stati necessari un esame in Grande Camera, varie serie di osservazioni e una udienza. Inoltre, essa solleva delle questioni giuridiche importanti.

226. Tenuto conto degli elementi in suo possesso e della sua prassi in materia, la Corte ritiene ragionevole accordare alla ricorrente per tutte le spese la somma complessiva di 100.000 euro.

3. Interessi moratori

227. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

 

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,

  1. Accoglie, all’unanimità, l’eccezione preliminare del Governo relativa alla incompatibilità ratione personae del ricorso presentato dal sig. Di Stefano e, di conseguenza, dichiara questa parte del ricorso irricevibile;
  2. Rigetta, a maggioranza, l’eccezione preliminare del Governo relativa alla tardività del ricorso;
  3. Rigetta, a maggioranza, le altre eccezioni preliminari del Governo;
  4. Dichiara, a maggiornaza, il ricorso presentato dalla ricorrente ricevibile per quanto riguarda i motivi di ricorso relativi agli articoli 10 e 14 della Convenzione;
  5. Dichiara, a maggioranza, il ricorso presentato dalla ricorrente ricevibile per quanto riguarda il motivo di ricorso relativo all’articolo 1 del Protocollo n.1;
  6. Dichiara, all’unanimità, il ricorso presentato dalla ricorrente irricevibile per il resto;
  7. Dichiara, con sedici voti contro uno, che vi è stata violazione dell’articolo 10 della Convenzione;
  8. Dichiara, all’unanimità, che non è opportuno esaminare separatamente il motivo di ricorso relativo all’articolo 14 della Convenzione combinato con l’articolo 10 della Convenzione;
  9. Dichiara, con quattordici voti contro tre, che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1;
  10. Dichiara, con nove voti contro otto, che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi, 10.000.000 euro (dieci milioni di euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per i danni materiale e morale;
  11. Dichiara, all’unanimità, che lo Stato convenuto deve versare entro tre mesi alla ricorrente, 100.000 euro (centomila euro), più l’importo eventualmente dovuto dalla ricorrente a titolo di imposta, per le spese;
  12. Dichiara,all’unanimità, che a decorrere dallo scadere di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  13. Rigetta, al’unanimità, la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese e in inglese, e poi pronunciata in pubblica udienza al Palazzo dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, il 7 giugno 2012.

Vincent Berger
Giureconsulto

Françoise Tulkens
Presidente

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione delle opinioni separate seguenti:

  1. opinione concordante del giudice Vajić;
  2. opinione parzialmente dissenziente comune ai giudici Sajó, Karakaş e Tsotsoria, condivisa in parte dal giudice Steiner;
  3. opinione parzialmente dissenziente comune ai giudici Popović e Mijović;
  4. opinione dissenziente del giudice Steiner.

F.T.
V.B.

Note:

1 All'epoca dei fatti, la Corte di Giustizia delle Comunità europee.

 

 

OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE VAJIĆ
(Traduzione)

Ho votato con la maggioranza a favore di una constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione. Tuttavia, non condivido l’interpretazione dell’espressione «speranza legittima» data nella sentenza, in particolare nel paragrafo 173 di questa. Con tutto il rispetto dovuto ai miei colleghi, a mio parere, il seguente passaggio di quel paragrafo dà luogo a confusione (Kopecký c. Slovacchia [GC], n. 44912/98, CEDU 2004‑IX):
«Tuttavia, in alcune circostanze, anche l’«aspettativa legittima» di ottenere un valore patrimoniale può beneficiare della tutela dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. Così, quando l’interesse patrimoniale è dell’ordine del credito, si può considerare che l’interessato disponga di un’aspettativa legittima se un tale interesse presenta una base sufficiente nel diritto interno, ad esempio quando è confermato da una giurisprudenza ben consolidata dei tribunali.»
Stando alla giurisprudenza consolidata della Corte, qualsiasi titolare di un interesse patrimoniale costituito da un credito e con base sufficiente nel diritto interno dispone di un «valore patrimoniale» suscettibile di comportare la tutela dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (Kopecký, sopra citata, § 42). E’ quindi inutile introdurre il concetto di aspettativa legittima che, secondo le sentenze nelle cause Pine Valley Developments Ltd ed altri c. Irlanda (29 novembre 1991, serie A n. 222) e Stretch c. Regno Unito (n. 44277/98, 24 giugno 2003), si applica in circostanze assai più limitate.
Per giunta, la sentenza enuncia al paragrafo 178:
«La Corte considera pertanto che gli interessi legati all’esercizio della concessione costituissero interessi patrimoniali che richiedono la tutela dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (si veda, mutatis mutandis, Tre Traktörer AB, sopra citata, § 53).»
Non vedo quindi la necessità di menzionare in aggiunta una aspettativa legittima.

 

 

OPINIONE PARZIALMENTE DISSENZIENTE COMUNE AI GIUDICI SAJÓ, KARAKAŞ E TSOTSORIA, ALLA QUALE ADERISCE PARZIALMENTE IL GIUDICE STEINER
(Traduzione)

Condividiamo pienamente la presente sentenza tranne per quanto riguarda la concessione dell’equa soddisfazione. Il nostro disaccordo non dipende dal carattere eccessivo o insufficiente dell’importo concesso, ma piuttosto dal fatto che, a nostro avviso, la questione dell’applicazione dell’articolo 41 non era istruita.
Pur ritenendo che esistesse un nesso di causalità tra la condotta delle autorità amministrative e il danno denunciato dalla società ricorrente, il Consiglio di Stato ha giudicato che l’indennizzo dovesse essere calcolato in funzione della speranza legittima della società ricorrente di ottenere dalle autorità competenti l’assegnazione delle frequenze di radiodiffusione. Per tale motivo, esso ha ritenuto, nell’ambito della sua valutazione delle perdite subite, che la società ricorrente avrebbe dovuto sapere di non potere ottenere le frequenze in questione, e non ha disposto alcuna perizia. Il ragionamento è stato respinto dalla Corte (paragrafo 175 della sentenza). La Corte ha ritenuto che la concessione assegnata alla ricorrente fosse stata svuotata di ogni effetto utile ed ha inoltre dichiarato che il rifiuto dei giudici interni di ordinare una perizia era inaccettabile (paragrafo 216 in fine).
La società ricorrente ha comunicato di avere sostenuto spese, in particolare la locazione di studi e dell’attrezzatura necessaria per proseguire l’attività economica in questione, ed ha presentato una perizia relativa al mancato profitto che sosteneva di avere subito, perizia fondata sulla base dei profitti realizzati da Retequattro, il canale eccedente che avrebbe dovuto liberare le radiofrequenze assegnate alla ricorrente.
In assenza di una perizia che avrebbe fornito almeno precisazioni quanto alla necessità e alla pertinenza delle spese dedotte e al prevedibile mancato profitto della società ricorrente, riteniamo impossibile determinare il danno da questa subito. Una simile perizia, che le parti avrebbero potuto contestare, ci avrebbe perlomeno consentito di calcolare gli importi approssimativi suscettibili di riparare il danno. Essa avrebbe inoltre gettato le basi per una composizione amichevole che avrebbe risposto alle esigenze di un’equa riparazione.

 

 

OPINIONE PARZIALMENTE DISSENZIENTE COMUNE AI GIUDICI POPOVIĆ E MIJOVIĆ
(Traduzione)

Con tutto il rispetto dovuto alla maggioranza, siamo in disaccordo con essa su due punti. In primo luogo, a nostro avviso, la prima ricorrente nel caso di specie, ossia la società a responsabilità limitata Centro Europa S.r.l., non aveva la qualità di vittima. In secondo luogo, per noi la società ricorrente non aveva alcun diritto di adire la Corte al solo scopo di far rettificare l’importo dell’indennizzo concessole a livello nazionale. I motivi della nostra posizione sono i seguenti.
Nel paragrafo 45 della sentenza si precisa che, con sentenza del 20 gennaio 2009, il Consiglio di Stato ha concesso alla società ricorrente la somma di 1.041.418 EUR a titolo di risarcimento. Ciò dimostra chiaramente che la ricorrente è stata indennizzata per la perdita subita. Di conseguenza, l’interessata non aveva alcun motivo di adire la Corte come ha fatto il 16 luglio 2009. Il risarcimento a livello nazionale aveva infatti comportato per la ricorrente la perdita della qualità di vittima. Il ricorso alla Corte era volto a far rettificare l’importo del risarcimento concesso dal giudice nazionale.
La Corte ha enunciato la regola relativa all’importo dell’indennizzo sin dal 1986, nella sentenza pronunciata nella causa Lithgow ed altri c. Regno Unito, 8 luglio 1986, § 102, serie A n. 102). Stando a tale regola, la questione rientra nel margine di apprezzamento dello Stato convenuto, a patto che l’importo in questione non sia «manifestamente insufficiente».
Nella giurisprudenza successiva, la Corte ha precisato la regola, dichiarando che anche una somma manifestamente insufficiente (e persino, in casi estremi, uguale a zero!) poteva essere accettabile in circostanze eccezionali (Jahn ed altri c. Germania [GC], nn. 46720/99, 72203/01 e 72552/01, § 94, CEDU 2005‑VI).
Nel caso di specie, l’intenzione della società ricorrente era quella di impugnare il principio generale enucleato nella sentenza Lithgow ed altri facendo riferimento alla regola enunciata nelle sentenze Scordino c. Italia (n. 1) ([GC], n. 36813/97, § 103, CEDU 2006‑V), Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, CEDU 2006‑V) e Musci c. Italia [GC], n. 64699/01, CEDU 2006‑V). Quest’ultima regola rientra tuttavia perfettamente nel campo della regola principale enucleata in Lithgow ed altri, in quanto la Corte ha dichiarato nella sentenza Scordino (sopra citata, § 103) che il risarcimento concesso era «insufficiente». E’ quindi chiaro che la regola applicata nella causa Scordino (n. 1) non ha fatto altro che seguire la giurisprudenza precedente, vale a dire la regola sancita nella sentenza Lithgow ed altri, regola che, a nostro avviso, trova applicazione nel caso di specie.
La valutazione dei fatti nella causa Scordino (n. 1) differiva da quella effettuata nella causa Lithgow ed altri, ma la regola non è cambiata. In altre parole, il termine «insufficiente» utilizzato nella sentenza Scordino (n. 1) (sopra citata, § 103) può comprendersi solo alla luce della regola Lithgow, esso si riferisce cioè ad un indennizzo giudicato «manifestamente insufficiente» nell’ambito dell’esame della proporzionalità. Fondamentalmente, la Corte ha adottato la stessa posizione nel paragrafo 98 della sentenza Scordino (n. 1), in cui rinvia in particolare alla sentenza Lithgow ed altri quando invoca la regola generale sulla proporzionalità dell’indennizzo.
D’altra parte, non vi è motivo di ritenere che nel caso di specie l’indennizzo fosse insufficiente. A nostro avviso, il caso di specie, relativo alla licenza che consente di trasmettere programmi televisivi, va distinto dalla causa Scordino (n. 1), la quale riguardava l’espropriazione di terreni. Le fluttuazioni dei prezzi di mercato per i due beni menzionati possono essere paragonabili, ma non sono identiche, e le autorità giudiziarie nazionali sono in grado più del giudice internazionale di valutare l’importo dovuto a titolo di indennizzo. I ricorrenti nella causa Scordino (n. 1) (sopra citata, § 85) si basavano sul fatto che gli appartamenti costruiti sul terreno espropriato potevano poi essere venduti e quindi generare profitto per alcuni privati. Tuttavia, nel caso di specie, non vi sono motivi sufficienti per affermare che la somma concessa a titolo di indennizzo alla società ricorrente a livello interno era insufficiente.
Desideriamo anche sottolineare che l’importo concesso a titolo di risarcimento alla società ricorrente era di fatto considerevole e non può in alcun caso essere definito «manifestamente insufficiente». La Corte non può abbandonarsi a speculazioni riguardanti il potenziale successo commerciale della società ricorrente, da cui, secondo l’interessata, sarebbe potuto dipendere l’importo concesso a titolo di risarcimento. La situazione della società ricorrente è stata valutata correttamente dal giudice nazionale, il quale ha del resto deliberato a favore di detta società. Per giunta, la maggioranza non ha fondato il suo ragionamento sulla valutazione fatta da un perito della perdita eventualmente subita dalla società ricorrente, ma le ha concesso semplicemente una somma forfettaria. Pertanto, anche ammesso di poter ritenere che la società ricorrente avesse conservato la qualità di vittima – punto di vista che non possiamo condividere -, a nostro avviso, la Corte avrebbe dovuto rispettare il margine di apprezzamento dello Stato convenuto.

 

 

OPINIONE DISSENZIENTE DEL GIUDICE STEINER

Non posso condividere l’opinione della maggioranza sui due aspetti essenziali della causa: quello relativo alla presunta violazione dell’articolo 10 e quello riguardante la denunciata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.
Le situazioni fattuali alla base delle doglianze della ricorrente sono, a mio avviso, chiaramente distinte.
Quanto alla prima di tali situazioni, relativa alla presunta impossibilità di trasmettere sulla base della decisione di principio del 1999, essa sfugge alla competenza della Corte in quanto non rispetta la regola del termine di sei mesi.
Infatti, secondo il Governo, con la decisione del 31 maggio 2008, il Consiglio di Stato ha risolto in modo definitivo la questione sorta dalla mancata assegnazione delle frequenze sulla base della decisione del 1999.
Una lettura attenta della motivazione e soprattutto del dispositivo della decisione del Consiglio di Stato sembra confortare questa tesi. Del resto, la decisione del gennaio 2009 conferma questo modo di considerare la questione; essa si limita, infatti, a pronunciarsi sull’aspetto residuale della domanda formulata dalla parte ricorrente sulla base dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.
Sul punto, la sentenza della Grande Camera (§§ 100-104) non mi sembra corrispondere alla realtà della situazione giuridica.
Innanzitutto, a mio avviso, non ci troviamo di fronte ad una situazione continua in quanto, come ho detto poco fa, la situazione controversa era stata chiarita dalla decisione del 31 maggio 2008. A partire da quella data era divenuto evidente, infatti, che la ricorrente non poteva più contestare, in diritto, la fondatezza della decisione relativa alla mancata assegnazione delle frequenze previste dalla misura adottata nel 1999.
Le incombeva, quindi, di presentare il ricorso sul punto entro il termine di sei mesi.
Rammento che esiste, al riguardo, una giurisprudenza costante e consolidata da molto tempo.
Così, non solo la regola dei sei mesi deriva da una clausola speciale e costituisce un fattore di sicurezza giuridica, ma inoltre essa riveste carattere di ordine pubblico: gli Stati non possono ignorarla di loro iniziativa.
La regola del termine di sei mesi è, secondo la nostra giurisprudenza, una questione dipendente dal rispetto dell’ordine pubblico europeo e sollevabile d’ufficio in ogni fase del procedimento.
Il principio di sussidiarietà, evocato costantemente come il principio ispiratore del sistema di controllo, impone il riconoscimento del primato del giudice interno nell’interpretazione del diritto interno.
Al riguardo, faccio notare che la nostra Corte dispone solo «di una competenza limitata nel verificare se il diritto nazionale sia stato interpretato ed applicato correttamente» e che «non le spetta di sostituirsi ai giudici nazionali, bensì di assicurarsi che le decisioni di questi ultimi non siano arbitrarie o manifestamente irrazionali» (Anheuser-Busch Inc. c. Portogallo [GC], n. 73049/01, § 83, CEDU 2007‑I).
Quanto vale per la valutazione della legalità interna vale anche quando si tratti di individuare la decisione definitiva interna emessa rispetto ad una data doglianza, a meno di ritenere che, nella fattispecie, la decisione del Consiglio di Stato fosse arbitraria o manifestamente irrazionale.
Mi sembra poi che la sentenza cada nell’errore quando mescola due aspetti distinti.
La determinazione dell’importo della somma da concedere a titolo di risarcimento del danno subito dalla ricorrente riguardava la quantificazione dei danni subiti e non la questione relativa all’assegnazione delle frequenze, questione che era res judicata dal 31 maggio 2008.
Quanto alla seconda situazione fattuale, riguardante il rispetto del diritto di proprietà, la questione mi sembra chiara. I motivi forniti dalla decisione del Consiglio di Stato del 20 gennaio 2009 sono convincenti e ragionevoli.
Il Consiglio di Stato ha riconosciuto la responsabilità dello Stato a causa del lungo lasso di tempo che ha presieduto all’assegnazione delle frequenze. Esso ha concesso a tale titolo una somma per le «perdite subite». Ha tenuto a sottolineare il comportamento della ricorrente, la quale avrebbe dovuto tenere conto del contesto e dare prova di prudenza negli investimenti in attesa dell’assegnazione delle frequenze.
Quanto al danno corrispondente al «mancato profitto», il Consiglio di Stato ha osservato che le supposizioni e le ipotesi imbastite dalla ricorrente non erano suffragate dal benché minimo elemento di prova. Tuttavia, a tale titolo, le è stata concessa una somma determinata in modo equo.
Penso che, più che in qualsiasi altra circostanza, vada riconosciuto allo Stato un ampio margine di apprezzamento in materia di determinazione dei danni per un «fatto illecito» secondo i principi della responsabilità extracontrattuale.
Per quanto riguarda la questione dell’applicazione dell’articolo 41, condivido l’opinione parzialmente dissenziente dei giudici Sajó, Karakaş e Tsotsoria.