Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 22 maggio 2012 - Ricorso n.126/05- Scoppola c. Italia (N.3)

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, eseguita da Martina Scantamburlo, Rita Pucci, funzionari linguistici e Rita Carnevali, assistente linguistico

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
GRANDE CAMERA
CAUSA SCOPPOLA c. ITALIA (N. 3)
(Ricorso no 126/05)
SENTENZA
STRASBURGO
22 maggio 2012 


Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Scoppola c. Italia (n. 3),
La Corte europea dei diritti dell’uomo, riunita in una Grande Camera composta da:
Nicolas Bratza, presidente,
Jean-Paul Costa,
Josep Casadevall,
Nina Vajić,
Dean Spielmann,
Peer Lorenzen,
Karel Jungwiert,
Lech Garlicki,
David Thór Björgvinsson,
Ineta Ziemele,
Mark Villiger,
George Nicolaou,
Işıl Karakaş,
Mihai Poalelungi,
Guido Raimondi,
Vincent A. de Gaetano,
 Helen Keller, giudici,
e da Erik Fribergh, cancelliere,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 2 novembre 2011 e il 28 marzo 2012,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale ultima data:

PROCEDURA

1.All'origine della causa vi è un ricorso (no 126/05) proposto contro  la Repubblica italiana con cui un cittadino di questo Stato, il sig. Franco Scoppola ("il ricorrente"), ha adito la Corte il 16 dicembre 2004  in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione").

2.  Innanzi alla Corte, il ricorrente è stato rappresentato dagli avvocati N. Paoletti e C. Sartori, del foro di Roma. Il governo italiano ("il Governo") è stato rappresentato dal suo agente, sig.ra E. Spatafora, e dai suoi cogenti, sig.re P. Accardo e S. Coppari.

3. Nel suo ricorso il ricorrente sosteneva che l'interdizione dal diritto di voto impostagli a seguito della condanna penale violava l'articolo 3 del protocollo n° 1.

4. Il ricorso è stato assegnato alla seconda sezione della Corte (articolo 52 § 1 del regolamento). Il 24 marzo 2009 è stato dichiarato ricevibile da una camera di tale sezione composta dai giudici: Françoise Tulkens, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, András Sajó, Nona Tsotsoria, Işıl Karakaş, e da Sally Dollé, cancelliere di sezione.

5. Il 18 gennaio 2011, una camera della seconda sezione, composta dai giudici Françoise Tulkens, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione, ha emesso una sentenza nella quale dichiarava, all'unanimità, che vi era stata violazione dell'articolo 3 del Protocollo n° 1 alla Convenzione.

6. Il 15 aprile 2011, il Governo ha chiesto il rinvio della causa innanzi alla Grande Camera in virtù degli articoli 43 della Convenzione e 73 del regolamento. Il 20 giugno 2011, un collegio della Grande Camera ha accolto questa domanda.

7. La composizione della Grande Camera è stata decretata conformemente agli articoli 26 §§ 4 e 5 della Convenzione e 24 del regolamento. Il 3 novembre 2011 è scaduto il mandato di Jean-Paul Costa in qualità di presidente della Corte. A decorrere da questa data, il suo successore, Nicolas Bratza, in tale qualità ha assunto la presidenza della Grande Camera nel caso di specie (articolo 9 § 2 del regolamento). Jean-Paul Costa ha continuato a partecipare alle sedute anche dopo la scadenza del suo mandato in virtù degli articoli 23 § 3 della Convenzione e 24 § 4 del regolamento.

8. Il ricorrente ed il Governo hanno entrambi depositato memorie sul merito della causa.

9. Sono state ricevute osservazioni anche dal governo del Regno Unito che aveva esercitato il suo diritto di intervenire (articoli 36 § 2 della Convenzione e 44 § 1 b) del regolamento).

10. Una udienza pubblica si è svolta nel Palazzo dei diritti dell'uomo, a Strasburgo, il 2 novembre 2011 (articolo 59 § 3 del regolamento).

Sono comparsi:

per il governo convenuto
SIG.RA P. ACCARDO coagente;

per il ricorrente
AVV. N. PAOLETTI, legale;
AVV. C. SARTORI, legale;

per il governo del Regno Unito
SIG. D. WALTON agente;
SIG.RA  A. SORNARAJAH, agente;
SIG. D. GRIEVE, QC, Attorney General;
SIG. J. EADIE,  QC, legale;
SIG.RA  J. HALL, consigliere;
SIG.RA  P. BAKER, consigliere;

La Corte ha ascoltato le dichiarazioni degli avvocati N. Paoletti e C. Sartori, della sig.ra P. Accardo e del sig. D. Grieve.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

11. Il ricorrente è nato nel 1940. Attualmente è agli arresti presso l'ospedale di San Secondo – Fidenza (Parma).

A. La procedura penale a carico del ricorrente

12. Il 2 settembre 1999, dopo una violenta lite familiare, il ricorrente uccise sua moglie e ferì uno dei suoi figli. Fu arrestato il giorno successivo.

13. Al termine delle indagini, la procura di Roma chiese il rinvio a giudizio per omicidio, tentato omicidio, maltrattamenti in famiglia e detenzione abusiva di arma da fuoco.

14. Il 24 novembre 2000, al termine del giudizio abbreviato di cui il ricorrente aveva chiesto l'applicazione, il giudice dell'udienza preliminare di Roma (di seguito "il GUP") lo dichiarò colpevole di tutti i capi d'accusa a suo carico e constatò che doveva essere condannato all'ergastolo. Tuttavia, in ragione dell'adozione del giudizio abbreviato, fissò la pena in 30 anni di reclusione e pronunciò a carico dell'interessato l'interdizione perpetua dai pubblici uffici in applicazione dell'articolo 29 del codice penale ("il CP" - paragrafo 36 infra).

15. Il giudice rilevò che il ricorrente aveva dapprima tentato di strangolare sua moglie con il cavo del telefono che questa aveva utilizzato per chiamare la polizia poi, mentre lei fuggiva dall'appartamento con i suoi figli correndo per le scale dello stabile, aveva sparato più volte su sua moglie a breve distanza, nonché su uno dei suoi figli che era risalito per aiutare sua madre dopo averla preceduta.

16. Per fissare la pena il GUP ritenne le circostanze aggravanti, rilevando a questo titolo che il comportamento delittuoso del ricorrente aveva riguardato i membri della sua famiglia ed era stato innescato da futili motivi, ossia dalla convinzione dell'interessato che i suoi figli fossero responsabili del guasto del suo cellulare.

17. Il GUP non tenne conto del fatto che il casellario giudiziale dell'interessato fosse vergine, elemento invocato da quest'ultimo come circostanza attenuante. Rilevò che il comportamento del ricorrente, che negava parte dei fatti e tendeva ad attribuire la responsabilità ai familiari, ai quali rimproverava di essersi ribellati alla sua autorità, era di natura tale da escludere qualsiasi volontà di pentimento.

18. Infine constatò che, secondo le testimonianze raccolte, il ricorrente si era reso responsabile di altri episodi di violenza - ingiurie, percosse, minacce con arma - nei confronti di sua moglie e dei suoi figli nel corso dei venti anni precedenti.

19. Il procuratore generale e il ricorrente interposero appello avverso questa sentenza e la corte d'assise d'appello di Roma, con sentenza del 10 gennaio 2002, condannò l'interessato all'ergastolo confermando le conclusioni del GUP per quanto riguardava le circostanze aggravanti e attenuanti da tenere in conto nella causa.

20. Con sentenza depositata in cancelleria il 20 gennaio 2003, la Corte di cassazione rigettò il ricorso presentato dal ricorrente.

21. In applicazione dell'articolo 29 del CP, la condanna del ricorrente all'ergastolo importava la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, di conseguenza l'interessato fu privato definitivamente del suo diritto di voto, conformemente all'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n° 223 del 20 marzo 1967 ("il D.P.R. n° 223 del 20 marzo 1967" – paragrafo 33 infra).

22. Le sentenze con le quali il ricorrente veniva condannato non menzionarono che quest'ultimo era stato privato del suo diritto di voto.

B.  La procedura introdotta dal ricorrente per riacquistare il suo diritto di voto

23. Il 2 aprile 2003, la commissione elettorale competente cancellò il nome del ricorrente dalle liste elettorali, in applicazione dell'articolo 32 del D.P.R. no 223/1967 (paragrafo 35 infra).

24. Il 30 giugno 2004, l’interessato presentò ricorso alla commissione elettorale. Basandosi, tra altre, sulla sentenza Hirst c. Regno Unito (no 2) (no 74025/01, 30 marzo 2004), sosteneva che la privazione del suo diritto di voto era incompatibile con l'articolo 3 del Protocollo n° 1.

25. Il ricorso fu rigettato ed il 16 luglio 2004 il ricorrente si rivolse alla corte d'appello di Roma lamentando che la radiazione del suo nome dalle liste elettorali, eseguita d'ufficio a seguito della sua condanna all'ergastolo e dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, comportava la violazione del suo diritto di voto così come garantito dall'articolo 3 del Protocollo n° 1.

26. Con sentenza depositata il 29 novembre 2004, la corte d'appello respinse l'appello dell'interessato. Essa sottolineò che nel diritto italiano la misura controversa si applicava soltanto ai delitti più gravi passibili delle sanzioni più severe, in particolare all'ergastolo, mentre la privazione del diritto di voto in questione nella causa Hirst no 2 (prima citata) si applicava ad ogni persona condannata alla pena della reclusione e non implicava alcuna valutazione degli interessi concorrenti e della proporzionalità dell'interdizione. Essa concluse che l'automaticità dell'applicazione del divieto di voto a qualsiasi pena della reclusione mancava nella causa riguardante il ricorrente.

27. Il ricorrente presentò ricorso per cassazione sostenendo, in particolare, che la privazione del diritto di voto era una conseguenza della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, che a sua volta derivava dalla pena principale inflitta. Secondo lui, la privazione controversa non aveva nulla a che fare con il delitto commesso e l'applicazione di questa misura sfuggiva totalmente al potere discrezionale dell'autorità giudiziaria.

28. Con sentenza depositata il 17 gennaio 2006, la Corte di cassazione respinse il ricorso del ricorrente. Innanzitutto ricordò che nella sentenza Hirst no 2 del 6 ottobre 2005 (Hirst c. Regno Unito (no 2) [GC], no 74025/01, § 77, CEDU 2005-IX), la Grande Camera aveva notato che la privazione del diritto di voto nel Regno Unito "riguardava (…) gran parte delle persone incarcerate e qualsiasi tipo di pena detentiva, che andasse da un giorno fino alla reclusione a vita, e di reati che andassero da atti relativamente minori agli atti più gravi". In riferimento all'articolo 29 del CP, rilevò poi che, nel diritto italiano, la privazione del diritto di voto era applicata soltanto in caso di condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni, che questa misura durava soltanto cinque anni quando la pena inflitta era inferiore a cinque anni di reclusione e poteva diventare perpetua soltanto in caso di condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni o di condanna all'ergastolo.

C. La riduzione della pena del ricorrente a seguito della sentenza Scoppola c. Italia (n. 2)

29. Il 24 marzo 2003 il ricorrente introdusse innanzi alla Corte un ricorso sostenendo, in particolare, che la sua condanna all'ergastolo violava gli articoli 6 e 7 della Convenzione.

30. Con sentenza del 17 settembre 2009, la Grande Camera della Corte concluse per la violazione di queste disposizioni (vedere Scoppola c. Italia (no 2) [GC], no 10249/03, 17 settembre 2009).

31. Nell'ambito dell'articolo 46 della Convenzione, la Grande Camera si espresse così: "tenuto conto delle particolari circostanze della causa e dell'urgente bisogno di porre fine alla violazione degli articoli 6 e 7 della Convenzione, la Corte ritiene quindi che spetti allo Stato convenuto assicurare che l'ergastolo inflitto al ricorrente sia sostituito da una pena conforme ai principi enunciati nella presente sentenza, ossia una pena che non sia superiore a trenta anni di reclusione" (Scoppola no 2 prima citata, § 154).

32. Nel dar seguito a tale decisione, con sentenza depositata in cancelleria il 28 aprile 2010, la Corte di cassazione ribaltò la sua sentenza del 20 gennaio 2003 (paragrafo 20 supra), annullò la sentenza emessa dalla corte d'assise d'appello di Roma il 10 gennaio 2002 (paragrafo 19 supra) per quanto riguardava la pena applicabile e fissò la pena del ricorrente in trenta anni di reclusione.

II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

A. L’interdizione dal diritto di voto

33. Nel diritto italiano, l'interdizione dai pubblici uffici (articolo 28 del CP), che importa la perdita del diritto di voto (D.P.R. no 223/1967), è una pena accessoria che accompagna le pene – qualunque ne sia la durata – inflitte per alcuni reati ben precisi quali il peculato, la malversazione, la concussione e l'aggiotaggio (delitti puniti rispettivamente dagli articoli 314, 316 bis, 317 e 501 del CP), per i delitti contro l'amministrazione della giustizia – quali il falso giuramento della parte, la falsa perizia, la falsa traduzione, l'intralcio alla giustizia e la consulenza infedele (delitti puniti rispettivamente dagli articoli 371, 373, 377 e 380 del CP), e per i reati legati ad un abuso o ad un uso improprio dei poteri inerenti una pubblica funzione (articolo 31 del CP).

34. Inoltre, ogni condanna inflitta per un reato punito con una pena privativa della libertà è accompagnato dall'interdizione dalle pubbliche funzioni. Quest'ultima è temporanea quando la pena inflitta è di durata non inferiore a tre anni, o perpetua quando la pena è di durata non inferiore a cinque anni oltre che in caso di condanna all'ergastolo. Le disposizioni pertinenti del diritto interno sono esposte qui di seguito.

35. I passaggi pertinenti del D.P.R. no 223/1967 (approvazione del testo unico delle leggi per la disciplina dell'elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali) recitano:

Articolo 2

« 1. Non sono elettori:

(...)

d) i condannati a pena che importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici;

e) coloro che sono sottoposti all'interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo della sua durata.

2. Le sentenze penali producono la perdita del diritto elettorale solo quando sono passate in giudicato (…). »

Articolo 32

« 1. Alle liste elettorali (…) non possono apportarsi (…) altre variazioni se non in conseguenza:

(...).

3) della perdita del diritto elettorale, che risulti da sentenza o da altro provvedimento dell'autorità giudiziaria (…);

(...).

7) Avverso le deliberazioni [di modificazione delle liste elettorali (n.d.t.)] di cui ai precedenti commi è ammesso ricorso alla commissione elettorale mandamentale nel termine di dieci giorni (…). La commissione mandamentale decide sui ricorsi nel termine di quindici giorni dalla loro ricezione (…). »

Articolo 42

« Contro le decisioni della commissione elettorale (…) qualsiasi cittadino può proporre impugnativa davanti alla corte d'appello (…).»

36. Le disposizioni pertinenti del CP sono così formulate:

Articolo 28
(Interdizione dai pubblici uffici)

« L'interdizione dai pubblici uffici è perpetua o temporanea

L'interdizione perpetua dai pubblici uffici, salvo che dalla legge sia altrimenti disposto, priva il condannato:

1)  del diritto di elettorato o di eleggibilità in qualsiasi comizio elettorale, e di ogni altro diritto politico.

 (...). »

 

Articolo 29
(Casi nei quali alla condanna consegue l'interdizione dai pubblici uffici)

«La condanna all'ergastolo e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni importano l'interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici; e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni importa l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque (...). »

B. Disposizioni riguardanti l'applicazione della pena

37.  Gli articoli 132 e 133 3 C P contengono alcune disposizioni volte a guidare il giudice di merito nell'esercizio del suo potere di applicazione della pena. Esse sono così formulate:

Articolo 132
(Potere discrezionale del giudice nell'applicazione della pena: limiti)

« Nei limiti fissati dalla legge, il giudice applica la pena discrezionalmente; esso deve indicare i motivi che giustificano l'uso di tale potere discrezionale.

Nell'aumento o nella diminuzione della pena non si possono oltrepassare i limiti stabiliti per ciascuna specie di pena, salvi i casi espressamente determinati dalla legge. »

Articolo 133
(Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena)

« Nell'esercizio del potere discrezionale indicato nell'articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:

  1. dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione;
  2. dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;
  3. dalla intensità del dolo e dal grado della colpa.

Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta

  1. dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;
  2. dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato;
  3. dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;
  4. dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo. »

C. La riabilitazione del condannato

38.  Gli articoli 178 e 179 del C. P. contengono disposizioni in materia di riabilitazione della persona condannata. I loro passaggi pertinenti sono formulati come segue:

Articolo 178
(Riabilitazione)

« La riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti. »

Articolo 179
(Condizioni per la riabilitazione)

« La riabilitazione è conceduta quanto siano decorsi almeno tre anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o siasi in altro modo estinta, e il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta. (...). »

D. La legge no 354 del 1975

39. La legge no 354 del 26 luglio 1975 prevede, tra l'altro, la possibilità di una liberazione anticipata dei condannati. Nelle sue parti pertinenti, il suo articolo 54 § 1 è formulato come segue:

« Al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata (...). »

III.  DOCUMENTI INTERNAZIONALI ED EUROPEI PERTINENTI

A. Il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (adottato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966)

40.  Le disposizioni pertinenti del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici sono così formulate:

Articolo 10

« 1. Qualsiasi individuo privato della propria libertà deve essere trattato con umanità e col rispetto della dignità inerente alla persona umana.

(...)

3. Il regime penitenziario deve comportare un trattamento dei detenuti che abbia per fine essenziale il loro ravvedimento e la loro riabilitazione sociale. (...). »

Articolo 25

« Ogni cittadino ha il diritto, e deve avere la possibilità, senza alcuna delle discriminazioni menzionate all'articolo 2 [razza, colore, sesso, lingua, religione, opinione politica o qualsiasi altra opinione, origine nazionale o sociale, condizione economica, nascita o qualsiasi altra condizione] e senza restrizioni irragionevoli:

  1. di partecipare alla direzione degli affari pubblici, personalmente o attraverso rappresentanti liberamente scelti;
  2. di votare e di essere eletto, nel corso di elezioni periodiche, veritiere, effettuate a suffragio universale ed uguale, ed a voto segreto, che garantiscano la libera espressione della volontà degli elettori;
  3. di accedere, in condizioni generali di uguaglianza, ai pubblici impieghi del proprio Paese. »

B. Comitato dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite

41.  Nella sua osservazione generale no 25 (1996) sull'articolo 25 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, il comitato si è così espresso:

« 14. Nei loro rapporti, gli Stati parti dovrebbero precisare i motivi di privazione del diritto di voto e spiegarli. Questi motivi dovrebbero essere oggettivi e ragionevoli. Se il fatto di essere stato condannato per un reato è motivo di privazione del diritto di voto, il periodo durante il quale si applica l'interdizione dovrebbe essere rapportato al reato e alla sentenza. Le persone private della loro libertà che non sono state condannate non dovrebbero decadere dal diritto di voto. »

42. Nella causa Yedokimov e Rezanov c. Federazione di Russia (comunicazione no 1410/2005, del 21 marzo 2011), il comitato, facendo riferimento alla sentenza emessa dalla Corte nella causa Hirst (no2) [GC] (prima citata), ha dichiarato quanto segue:

« (...) lo Stato parte, la cui legislazione prevede che ogni persona condannata a pena detentiva sia automaticamente privata del diritto di voto, non ha avanzato alcun argomento per dimostrare che nella fattispecie le restrizioni fossero ragionevoli come richiesto dal Patto. Tenuto conto dei fatti della fattispecie, il Comitato conclude che vi è stata violazione dell'articolo 25 e del paragrafo 3 dell'articolo 2 del Patto (...) ».

C. Convenzione americana relativa ai diritti dell'uomo del 22 novembre 1969

43. L'articolo 23 della Convenzione americana, intitolato "diritti politici" recita:

  1. Tutti cittadini devono godere dei seguenti diritti e opportunità:
    1. di prendere parte alla conduzione degli affari pubblici, direttamente o tramite rappresentanti liberamente eletti;
    2. di eleggere e di essere eletti nell'ambito di consultazioni periodiche e autentiche, tenute a suffragio universale e uguale, e a scrutinio segreto per garantire la libertà di espressione della volontà degli elettori, e
    3. di avere accesso, a parità di condizioni generali, alle funzioni pubbliche nel proprio paese.
  2. La legge può regolamentare l'esercizio dei diritti e delle facoltà di cui al precedente paragrafo, esclusivamente per motivi di età, nazionalità, residenza, lingua, istruzione, capacità civile o mentale, o in caso di condanna penale inflitta da un giudice competente.

D. Codice di buona condotta in materia elettorale (Commissione di Venezia)

44. Questo documento, adottato dalla Commissione europea per la democrazia per il diritto ("la Commissione di Venezia") nel corso della sua 51a sessione plenaria (5-6 luglio 2002) e sottoposto all'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa il 6 novembre 2002, contiene le linee guida elaborate dalla Commissione sulle circostanze nelle quali può esservi privazione del diritto di voto o di eleggibilità. I suoi passaggi pertinenti sono così formulati:

  1. Possono essere previste forme di restrizione al diritto di elettorato attivo e passivo, ma esse sono sottoposte alle condizioni cumulative seguenti :
  2. devono essere previste dalla legge;
  3. devono rispettare il principio di proporzionalità; l'esclusione dalla eleggibilità può essere sottoposta a condizioni meno severe di quelle del diritto di voto;
  4. devono essere motivate da una interdizione per motivi legati alla infermità mentale o a condanne penali per delitti gravi;
  5. inoltre, le forme di restrizione dei diritti politici devono essere dichiarate da un tribunale in una decisione specifica. »

IV. ELEMENTI DI DIRITTO COMPARATO

A. Il quadro legislativo negli Stati contraenti

45. Sui quarantatre Stati contraenti oggetto di uno studio di diritto comparato, diciannove non applicano alcuna restrizione al diritto di voto dei detenuti (Albania, Azerbaijan, Cipro, Croazia, Danimarca, Spagna, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Moldavia, Montenegro, Repubblica ceca, Serbia, Slovenia, Svezia, Svizzera e Ucraina).

46. Sette Stati prevedono la soppressione automatica del diritto di voto per tutti i detenuti condannati che scontano una pena detentiva (Armenia, Bulgaria, Estonia, Georgia, Ungheria, Regno Unito e Russia).

47. I rimanenti sedici Stati (Germania, Austria, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Francia, Grecia, Lussemburgo, Malta, Monaco, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, San Marino, Slovacchia e Turchia) formano una categoria intermedia nella quale la privazione del diritto di voto è applicata in funzione del tipo di reato e/o a partire da una certa soglia di gravità della pena privativa della libertà (legata alla sua durata). La legislazione italiana in materia si avvicina ai sistemi di questo gruppo di paesi.

48.  In alcuni Stati appartenenti a questa ultima categoria (Germania, Austria, Belgio, Francia, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania e San Marino), l'applicazione dell'interdizione dal diritto di voto al condannato rientra nella discrezionalità del giudice penale. In Grecia e in Lussemburgo, la decadenza dal diritto di voto si applica d'ufficio per i reati particolarmente gravi.

B. Altri elementi giurisprudenziali pertinenti

1. Canada

49. Nel 1992, la Corte suprema del Canada aveva annullato all'unanimità una disposizione legislativa che vietava a tutti i detenuti di votare (Sauvé c. Canada (no 1), Raccolta della Corte suprema, 1992, vol. 2, p. 438). Alcuni emendamenti furono introdotti per limitare tale divieto ai detenuti che scontavano una pena di due o più anni. La Corte d'appello federale confermò questa disposizione. Tuttavia, il 31 ottobre 2002, nella causa Sauvé c. Il procuratore generale del Canada (no 2), la Corte suprema ha dichiarato con cinque voti conto quattro che il comma 51 e) della legge elettorale del Canada del 1985, che priva del diritto di voto tutte le persone che scontano pene di due o più anni in un istituto correzionale, era incostituzionale perché contrario agli articoli 1 e 3 della Carta canadese dei diritti e delle libertà, ai sensi dei quali:

« 1. La Carta canadese dei diritti e delle libertà garantisce i diritti e le libertà in essa enunciati. Essi possono essere ristretti soltanto da una norma di diritto, entro limiti ragionevoli e la cui giustificazione possa essere dimostrata in una società libera e democratica. »

« 3. Ogni cittadino canadese ha il diritto di voto ed è eleggibile alle elezioni legislative federali o provinciali. »

50. Secondo il giudice capo Beverley McLachlin, che si esprimeva a nome della maggioranza, il diritto di voto è un diritto fondamentale per la democrazia canadese e la preminenza del diritto, e non può essere eliminato con leggerezza. Le restrizioni di questo diritto richiedono non una deferenza giudiziaria, ma un esame approfondito. La maggioranza ha ritenuto che il governo non fosse riuscito a identificare i problemi specifici che richiedevano la privazione del diritto di voto e che questa misura non rispondesse al criterio della proporzionalità, in particolare perché il governo non era arrivato a stabilire un collegamento razionale tra la privazione del diritto di voto e gli obiettivi perseguiti dalla misura, ossia, accrescere il senso civico e il rispetto dello Stato di diritto e infliggere una sanzione appropriata.

51. Secondo l'opinione della minoranza, espressa dal giudice Gonthier, gli obiettivi della misura erano urgenti e reali e si basavano su una filosofia sociale o politica al tempo stesso ragionevole e razionale (per maggiori dettagli su queste opinioni, in particolare per quanto riguarda gli obiettivi perseguiti dalla misura controversa, vedere Hirst (no 2) [GC] prima citata, §§ 36-37).

2. Sudafrica

a) La causa August and Another v. Electoral Commission and Others (CCT8/99:1999 (3) SA 1)

52. Il 1° aprile 1999, la Corte costituzionale del Sudafrica ha esaminato la domanda che alcuni detenuti avevano presentato per ottenere una dichiarazione e un'ordinanza che costringessero la Commissione elettorale a prendere misure per permettere a loro, come pure ad altri detenuti, di iscriversi nelle liste elettorali e di votare durante la loro permanenza in carcere. Essa ha rilevato che nella Costituzione sudafricana il diritto di ogni cittadino adulto di partecipare alle elezioni legislative era enunciato in maniera assoluta ed ha sottolineato l'importanza di questo diritto: 

« L'universalità del diritto di voto è importante non soltanto per la nazione e la democrazia. Il fatto che tutti cittadini senza eccezione fruiscano del diritto di voto è un segno di riconoscimento della dignità e dell'importanza della persona. Nel senso letterale ciò significa che ognuno conta. . »

53. La Corte costituzionale ha ritenuto che, per sua stessa natura, il diritto di voto comporta obblighi positivi per i poteri legislativo ed esecutivo e che la legge elettorale doveva essere interpretata in modo da dare effetto alle dichiarazioni, garanzie e responsabilità costituzionali. Ha rilevato che molte società democratiche limitavano il diritto di voto di alcune categorie di detenuti. Benché la Costituzione non contenga alcuna disposizione di questo genere, essa ha riconosciuto che era possibile imporre limitazioni all'esercizio dei diritti fondamentali, a condizione che questi ultimi fossero soprattutto ragionevoli e giustificabili.

54. La questione di sapere se la legislazione che prevede l'applicazione dell'interdizione ai detenuti fosse giustificata rispetto alla Costituzione non è stata sollevata nella procedura e la Corte costituzionale ha sottolineato che la sua sentenza non doveva essere interpretata come un impedimento per il Parlamento di privare alcune categorie di detenuti del diritto di voto. In assenza di tale legislazione, i detenuti disponevano del diritto costituzionale di votare e né la commissione elettorale né la Corte costituzionale avevano il potere di privarli. Essa ha concluso che la Commissione era tenuta a prendere misure ragionevoli per permettere ai detenuti di votare.

b)  La causa Minister of Home Affairs v. National Institute for Crime Prevention and the Reintegration of Offenders (NICRO) (no 3/04 del 3 marzo 2004)

55. La Corte costituzionale del Sudafrica ha esaminato se l'emendamento del 2003 alla legge elettorale che privava del diritto di voto i detenuti che scontavano una pena detentiva priva del beneficio della sospensione condizionale senza possibilità di pagare una multa come contropartita della loro liberazione fosse compatibile con la Costituzione.

56. Con nove voti contro due, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale la misura in questione ed ha ordinato alla commissione elettorale di prendere le misure necessarie per permettere ai detenuti di votare alle elezioni.

57. Uno dei giudici maggioritari, il giudice Chaskalson, ha ritenuto che nelle cause di questo tipo, ove era in causa un divieto di voto il cui obiettivo non era evidente ed era imposto dal governo a un gruppo di cittadini, era necessario fornire alla Corte costituzionale informazioni sufficienti affinché potesse comprendere quale fosse lo scopo di tale divieto. Ha aggiunto che, quando il governo invocava considerazioni di ordine politico (policy considerations), la Corte doveva essere sufficientemente informata per potere esaminare e valutare la politica in questione (punti nn. 65 e 67 della sentenza). Ha anche rilevato che si trattava di un divieto assoluto (blanket exclusion) che colpiva ogni persona che scontava una pena detentiva priva del beneficio della sospensione condizionale, e che alla Corte non era stata data alcuna informazione sulla gravità del reato, sulle persone che potevano essere oggetto di tale misura e sul numero di coloro che potevano essere esclusi dal proprio diritto di voto per reati minori.

58. Uno dei giudici minoritari, il giudice Madala, ha considerato che la temporanea decadenza dal diritto di voto e il riacquisto di quest'ultimo dopo la liberazione rispondessero all'obiettivo del governo di mantenere un giusto equilibrio tra il godimento dei diritti individuali e il rispetto dei valori fondamentali della società, soprattutto in un paese con un tasso di criminalità molto elevato quale il Sudafrica (punti nn. 116 e 117 della sentenza).

3. Australia

59. La High Court dell'Australia ha annullato con quattro voti contro due l'interdizione generale dal diritto di voto che aveva sostituito l'interdizione prevista dalla legislazione precedente, la quale si applicava soltanto alle condanne di durata pari o superiore a tre anni (vedere Roach v. Electoral Commissioner [2007] HCA 43 (26 settembre 2007)).

60. Per pronunciarsi in tal modo, la High Court ha rilevato in particolare che la vecchia legislazione teneva conto della gravità del reato commesso in quanto indizio della colpevolezza e della incapacità temporanea della persona condannata a partecipare al processo elettorale, al di là del semplice fatto che fosse rinchiusa in carcere (punto no 98 della sentenza).

IN DIRITTO

SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DEL PROTOCOLLO N. 1

61. Il ricorrente lamenta di essere decaduto dal diritto di elettorato in conseguenza della condanna penale pronunciata nei suoi confronti.Egli invoca l’articolo 3 del Protocollo n. 1, così redatto:

«Le Alte Parti contraenti si impegnano ad organizzare, ad intervalli ragionevoli, libere elezioni a scrutinio segreto, in condizioni tali da assicurare la libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo.»

A. La sentenza della camera

62. A giudizio della camera, l’interdizione dal diritto di elettorato disposta nei confronti del ricorrente presentava i caratteri di automaticità, generalità e applicazione indifferenziata rilevati nella sentenza Hirst n. 2 ([GC], sopra citata), ragion per cui la camera ha concluso per la violazione dell’articolo 3 del Protocollo n. 1. Essa si è espressa in questi termini:

«48.  Nel caso specifico, l’interdizione perpetua dal diritto di elettorato applicata nei confronti del ricorrente era una conseguenza dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Quest’ultima derivava automaticamente dall’irrogazione della pena principale consistente nella condanna del ricorrente all’ergastolo. E’ quindi giocoforza constatare che l’applicazione della misura controversa era di natura automatica. Al riguardo, va osservato, sulla scia del ricorrente, che le sentenze di condanna pronunciate nei confronti del ricorrente non fanno alcuna menzione di tale misura.

49. Quanto ai caratteri di generalità e di applicazione indifferenziata, la Corte osserva che, nel caso di specie, il criterio stabilito dalla legge è solo di natura temporale. Il ricorrente è stato, infatti, privato del suo diritto di elettorato a causa della durata della pena privativa della libertà inflittagli, indipendentemente dal delitto commesso e al di là di qualsiasi esame del giudice del merito sulla natura e gravità di tale delitto (Frodl c. Austria, sopra citata, §§ 34 e 35). A giudizio della Corte, in questo contesto, la valutazione effettuata dal giudice del merito al momento della determinazione della pena e la possibilità per la persona condannata di ottenere un giorno la riabilitazione, come menzionate dal Governo (si veda il precedente § 30), non tolgono niente a questa constatazione.»

B. Argomentazioni delle parti

1. Il Governo

63. Il Governo rinvia fondamentalmente alle osservazioni da esso presentate alla camera (Scoppola c. Italia (n. 3), n. 126/05, §§ 29-33, 18 gennaio 2011, qui di seguito «la sentenza di camera»).

64. Esso ricorda che, in materia di diritto di elettorato, gli Stati contraenti godono di un ampio margine di apprezzamento (Hirst (n. 2) [GC], sopra citata, §§ 61-62). Inoltre, a suo dire, come ammesso implicitamente dalla camera nel paragrafo 45 della sentenza, l’interdizione dal diritto di elettorato imposta al ricorrente mirava ad uno scopo legittimo: la prevenzione dei reati e il rispetto dello Stato di diritto.

65. Secondo il Governo, la misura rispondeva anche all’esigenza di proporzionalità. D’altra parte, la Corte si sarebbe già espressa in questo senso nella causa M.D.U. c. Italia ((dec.), n. 58540/00, 28 gennaio 2003), in cui in discussione era l’interdizione dal diritto di elettorato prevista, come nella fattispecie, dall’articolo 29 del CP.

66. Inoltre, contrariamente alle disposizioni dell’ordinamento britannico censurate nella sentenza Hirst n. 2, la decadenza dal diritto di elettorato prevista dal diritto italiano non scaturirebbe da una condizione soggettiva quale la detenzione, bensì dal passaggio in giudicato delle sentenze emesse in sede penale.

67. Per giunta, l’applicazione dell’interdizione dai pubblici uffici alla quale consegue la decadenza dal diritto di elettorato sarebbe soggetta all’apprezzamento del giudice del merito il quale, sulla base della pena edittale, fisserebbe la pena applicabile al caso di specie conformemente agli articoli 132 e 133 del CP (paragrafo 37 supra), tenendo conto delle circostanze tanto aggravanti quanto attenuanti.

68. Ciò premesso, non si può affermare che l’interdizione dal diritto di elettorato sia applicata in maniera automatica.

69. D’altra parte, sarebbe opportuno rilevare che, ai sensi degli articoli 178 e 179 del CP (paragrafo 38 supra), una volta trascorsi tre anni dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita può essere presentata domanda di riabilitazione e che, in caso di accoglimento della domanda, cessano di applicarsi le pene accessorie. Inoltre, le persone condannate che beneficiano della liberazione anticipata (in virtù dell’articolo 54 della legge n. 354 del 1975 – paragrafo 39 supra) potrebbero vedersi ridurre la pena di quarantacinque giorni per semestre di pena scontata.

70. Infine, l’ordinamento giuridico italiano mirerebbe ad evitare le discriminazioni suscettibili di risultare da decisioni adottate dal giudice caso per caso, in un campo sensibile quale quello dei diritti politici.

2.  Il ricorrente

71. Anche il ricorrente rinvia alle osservazioni da lui depositate dinanzi alla camera (si vedano i paragrafi 34-36 della sentenza di camera).

72. Egli sostiene inoltre che, quale pena accessoria, l’interdizione dal diritto di elettorato dovrebbe tendere alla rieducazione del condannato. Ora, nel caso di specie, essa non sarebbe altro che l’espressione di un giudizio di indegnità morale e di riprovazione sociale in contrasto con il principio, generalmente riconosciuto, del rispetto della dignità umana.

73. Applicata in maniera automatica e generalizzata ad ogni persona condannata alla pena della reclusione non inferiore a cinque anni, la decadenza dal diritto di elettorato incriminata non sarebbe in collegamento diretto con il tipo di reato commesso dal ricorrente e con le particolari circostanze del caso. Essa sarebbe quindi priva di qualsiasi finalità preventiva e dissuasiva. Inoltre, sottraendosi al potere di apprezzamento del giudice, essa non risponderebbe al criterio di proporzionalità.

74. Infine, la situazione dell’interessato non può essere assimilata a quella in discussione nella causa M.D.U. (decisione sopra citata). In quest’ultimo caso, l’interdizione dal diritto di elettorato sarebbe scaturita dall’applicazione dell’articolo 6 della legge n. 516 del 1982, disposizione recante interdizione delle persone condannate per alcuni reati fiscali dai pubblici uffici per un periodo non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni. Pertanto, la durata dell’interdizione sarebbe stata fissata dal giudice alla luce delle circostanze del caso.

3. Il governo del Regno Unito, terzo interveniente (qui di seguito, «il terzo interveniente»)

75. Facendo riferimento alla sentenza Hirst n. 2 ([GC], sopra citata, § 61), all’opinione dissenziente comune ai giudici Wildhaber, Costa, Lorenzen, Kovler e Jebens allegata alla sentenza in questione nonché alla sentenza Greens e M.T. c. Regno Unito (nn. 60041/08 e 60054/08, § 113-114, 23 novembre 2010), il terzo interveniente fa notare innanzitutto che gli Stati contraenti godono di un ampio margine di apprezzamento in materia di diritto di elettorato. Ogni Stato dovrebbe quindi potere adottare l’ordinamento giuridico che gli è peculiare secondo la propria politica sociale (social policy) e scegliere liberamente il potere – legislativo, esecutivo o giudiziario – che ritenga competente a pronunciarsi sul diritto di elettorato dei detenuti.

76. Infatti, un ordinamento che preveda l’interdizione dal diritto di elettorato dei detenuti condannati per il periodo di esecuzione della pena non può essere considerato uno strumento senza sfumature (Hirst (n. 2) [GC] sopra citata, § 82). In primo luogo, l’interdizione controversa perseguirebbe uno scopo legittimo nella misura in cui sarebbe volta a rafforzare il senso civico nonché il rispetto dello Stato di diritto e tenderebbe ad incitare ad un comportamento cittadino (ibidem, § 74). In secondo luogo, esisterebbe un legame tra il reato commesso e lo scopo perseguito dall’interdizione in quanto questa colpirebbe solo gli autori di reati di gravità tale da comportare l’irrogazione della pena della reclusione.

77. Pertanto, vietando l’esercizio del diritto di elettorato ad un gruppo di persone, i detenuti condannati, l’ordinamento britannico risponderebbe al margine di apprezzamento concesso agli Stati membri in materia. L’interdizione in questione non può quindi essere ritenuta manifestamente arbitraria.

78. Di conseguenza, le conclusioni tratte dalla Corte nella sentenza Hirst (n. 2) ([GC], sopra citata) sarebbero erronee ed essa dovrebbe tornare su tale giurisprudenza.

79. Al riguardo, è opportuno segnalare che la questione della compatibilità della legislazione del Regno Unito con le linee guida stabilite in questa causa è stata oggetto di discussione, il 10 febbraio 2011, nella camera bassa del Parlamento (House of Commons). Con 234 voti contro 22, questa si sarebbe opposta ad un restringimento della portata dell’articolo 3 della legge del 1983 (Representation of the People Act 1983).

80. Infine, l’articolo 3 del Protocollo n. 1 non esigerebbe che l’interdizione dal diritto di elettorato fosse imposta caso per caso da una decisione giudiziaria. Nella sentenza Frodl c. Austria (n. 20201/04, 8 aprile 2010), la Corte non avrebbe mai affermato di volere estendere il senso o la portata della sentenza Hirst (n. 2), come emergerebbe soprattutto dal paragrafo 28, stando al quale la misura dell’interdizione dovrebbe essere applicata «preferibilmente» non sulla base della sola legge, ma in seguito ad una decisione giudiziaria nell’ambito di un procedimento giudiziario. Ciò sarebbe confermato anche dalla sentenza Greens e M.T. (sopra citata, § 113).

C. Valutazione della Corte

1.  Principi generali

81. La Corte rammenta che l’articolo 3 del Protocollo n. 1 sancisce alcuni diritti soggettivi, tra i quali il diritto di elettorato attivo e passivo (Mathieu-Mohin e Clerfayt c. Belgio, 2 marzo 1987, §§ 46-51, serie A n. 113).

82. Essa osserva anche che i diritti tutelati da tale articolo sono cruciali per gettare e consolidare le fondamenta di una vera e propria democrazia retta dallo Stato di diritto (Hirst (n. 2) [GC] sopra citata, § 58). Inoltre, il diritto di elettorato non costituisce un privilegio. Nel XXI secolo, in uno Stato democratico, la presunzione deve giocare a favore della concessione di tale diritto al maggior numero di individui e il suffragio universale è ormai il principio di riferimento (Mathieu-Mohin e Clerfayt, sopra citata, § 51 e Hirst (n. 2) [GC] sopra citata, § 59). Essa osserva che i diritti in discussione sono menzionati anche nell’articolo 25 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (paragrafo 40 supra).

83. Tuttavia, i diritti sanciti dall’articolo 3 del Protocollo n. 1 non sono assoluti: vi è spazio per implicite limitazioni e gli Stati contraenti devono vedersi riconoscere un margine di apprezzamento in materia. La Corte ha affermato in più occasioni che il margine di apprezzamento in questo campo è ampio (Mathieu-Mohin e Clerfayt, sopra citata, § 52; Matthews c. Regno Unito [GC], n. 24833/94, § 63, CEDU 1999-I; Labita c. Italia [GC], n. 26772/95, § 201, CEDU 2000-IV; e Podkolzina c. Lettonia, n. 46726/99, § 33, CEDU 2002-II). Esistono numerosi modi di organizzare e fare funzionare i sistemi elettorali e parecchie differenze in seno all’Europa soprattutto nell’evoluzione storica, nella diversità culturale e nel pensiero politico, che spetta ad ogni Stato contraente inglobare nella propria visione della democrazia (Hirst (n. 2) [GC] sopra citata, § 61).

84. Tuttavia, spetta alla Corte deliberare in ultima istanza sull’osservanza delle esigenze dell’articolo 3 del Protocollo n. 1; essa è tenuta ad accertarsi che le limitazioni non riducano i diritti in questione al punto di intaccarli nella loro stessa sostanza e di privarli della loro effettività, che esse perseguano uno scopo legittimo e che i mezzi impiegati non si rivelino sproporzionati (Mathieu-Mohin e Clerfayt sopra citata, § 52). In particolare, nessuna delle condizioni imposte nel caso specifico deve ostacolare la libera espressione del popolo sulla scelta del corpo legislativo – in altre parole, esse devono riflettere, o quantomeno non contrastare, la preoccupazione di mantenere l’integrità e l’effettività di una procedura elettorale volta a determinare la volontà del popolo attraverso il suffragio universale. Inoltre, ogni deroga al principio del suffragio universale rischia di scalzare la validità democratica del corpo legislativo così eletto e delle leggi da esso emanate. L’esclusione di gruppi o categorie qualsiasi della popolazione deve quindi conciliarsi con i principi che sottendono l’articolo 3 del Protocollo n. 1 (Hirst (n. 2) [GC] sopra citata, § 62).

85. La Corte ha esaminato la questione delle restrizioni al diritto di elettorato dei detenuti condannati nella causa Hirst (n. 2). A suo parere, in un campo in cui gli Stati contraenti avevano affrontato la questione con un certo numero di metodi diversi, essa doveva limitarsi «a stabilire se la restrizione applicabile a tutti i detenuti condannati in esecuzione di pena super[asse] un margine di apprezzamento accettabile e lasciare al legislatore la scelta dei mezzi per garantire i diritti enunciati nell’articolo 3 del Protocollo n. 1» (Hirst (n. 2) [GC] sopra citata, § 84; si vedano anche Greens e M.T. sopra citata, §§ 113 e 114).

86. Dopo avere esaminato le circostanze particolari della causa Hirst (n. 2), la Corte ha ritenuto che la legislazione del Regno Unito, privando ogni detenuto condannato del diritto di elettorato per il periodo della detenzione (articolo 3 della legge del 1983), fosse «uno strumento senza sfumature, che spogli[ava] del diritto di elettorato, sancito dalla Convenzione, un gran numero di individui, e lo faceva in maniera indifferenziata». Ad avviso della Corte, quella disposizione «impon[eva] una restrizione globale a tutti i detenuti condannati in esecuzione di pena e si applic[ava] loro automaticamente, indipendentemente dalla durata della pena, dalla natura o gravità del reato commesso e dalla loro situazione personale». Essa ha concluso che «una simile restrizione generale, automatica ed indifferenziata di un diritto sancito dalla Convenzione e di importanza fondamentale super[ava] un margine di apprezzamento accettabile, per quanto ampio, ed [era] incompatibile con l’articolo 3 del Protocollo n. 1» (Hirst (n. 2) [GC], sopra citata, § 82). Essa ha anche osservato che «[l’interdizione dal diritto di elettorato] riguard[ava] (...) una gran parte delle persone incarcerate e ogni tipo di pena detentiva, da quella di un giorno a quella dell’ergastolo, e di reato, dagli atti relativamente meno gravi a quelli più gravi» (Hirst (n. 2) [GC], sopra citata, § 77).

87.  La Corte rammenta infine di essere stata in seguito chiamata, nella causa Frodl, a giudicare la compatibilità con l’articolo 3 del Protocollo n. 1 dell’interdizione dal diritto di elettorato di un detenuto condannato in Austria. In quell’occasione, essa ha ritenuto che l’adozione da parte di un giudice della decisione, debitamente motivata, di interdizione dal diritto di elettorato costituisse un «elemento essenziale» per la valutazione della proporzionalità di una tale misura (Frodl, sopra citata, §§ 34-35).

2. Applicazione di questi principi al caso di specie

88. Nel caso di specie, la Corte deve accertare se l’interdizione dal diritto di elettorato imposta al sig. Scoppola sia compatibile con l’articolo 3 del Protocollo n. 1. A tal fine, essa deve innanzitutto stabilire se vi sia stata ingerenza nei diritti garantiti al ricorrente da tale disposizione. Se sì, essa dovrà poi appurare se tale ingerenza perseguisse uno o più scopi legittimi e se i mezzi impiegati per raggiungerli fossero proporzionati.

a) Sull’esistenza di un’ingerenza

89. La Corte osserva che, in conseguenza della pena accessoria irrogatagli, il ricorrente è stato privato della possibilità di votare alle elezioni legislative. Le parti convengono che da ciò è derivata un’ingerenza nel diritto di elettorato dell’interessato quale sancito dall’articolo 3 del Protocollo n. 1. Rimane da stabilire se tale ingerenza perseguisse uno scopo legittimo e fosse proporzionata ai sensi della giurisprudenza della Corte.

b) Sulla legittimità dello scopo perseguito

90. La Corte rammenta di avere riconosciuto che l’interdizione dal diritto di elettorato imposta ad una persona condannata alla pena della reclusione potesse ritenersi finalizzata al raggiungimento di scopi legittimi quali la prevenzione dei reati e il rafforzamento del senso civico e del rispetto dello Stato di diritto (Hirst (n. 2) [GC], sopra citata, §§ 74 e 75, e Frodl sopra citata, § 30).

91. Essa ha inoltre constatato che, nel diritto italiano, la decadenza dal diritto di elettorato imposta ad una persona condannata alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici perseguiva lo scopo legittimo del buon funzionamento e del mantenimento della democrazia (M.D.U., decisione sopra citata).

92. Nel caso di specie, la Corte non vede motivi per discostarsi da queste conclusioni, e ammette quindi che l’interdizione dal diritto di elettorato applicata al ricorrente perseguiva obiettivi legittimi quali il rafforzamento del senso civico e del rispetto dello Stato di diritto nonché il buon funzionamento e il mantenimento della democrazia.

c) Sulla proporzionalità dell’ingerenza

i. Sul punto se sia opportuno confermare i principi affermati nella sentenza Hirst

93. Nelle sue osservazioni, il terzo interveniente sostiene che le conclusioni della Grande Camera nella causa Hirst (n. 2) sono erronee e chiede alla Corte di tornare su tale giurisprudenza. In particolare, esso afferma che l’interdizione dal diritto di elettorato applicabile ad un gruppo di persone, quali i detenuti condannati, è compatibile con il margine di apprezzamento concesso agli Stati membri in materia. Applicandosi soltanto agli autori di reati di gravità tale da comportare l’irrogazione della pena detentiva, l’interdizione controversa non può essere definita manifestamente arbitraria. Al riguardo, sarebbe opportuno segnalare che la questione della compatibilità della legislazione del Regno Unito con le linee guida stabilite dalla Corte sarebbe stata oggetto di un recente dibattito in seno al Parlamento (paragrafi 75-80 supra).

94. La Corte rammenta che, sebbene non sia formalmente tenuta a seguire le sue sentenze precedenti, «essa non si discosta senza un valido motivo dai suoi precedenti nell’interesse della sicurezza giuridica, della prevedibilità e dell’uguaglianza davanti alla legge. Tuttavia, dal momento che la Convenzione è innanzitutto un meccanismo di tutela dei diritti dell’uomo, la Corte deve tenere conto dell’evoluzione della situazione nello Stato convenuto e negli Stati contraenti in generale e reagire, ad esempio, al consenso suscettibile di manifestarsi quanto alle norme da colpire» (si vedano, tra molte altre, Christine Goodwin c. Regno Unito [GC], n. 28957/95, § 74, CEDU 2002 VI; e Bayatyan c. Armenia [GC], n. 23459/03, § 98, CEDU 2011-..., nonché la giurisprudenza in esse citata).

95.  Ora, non pare che, dopo la sentenza emessa nella causa Hirst (n. 2), si sia verificato, a livello europeo e nel sistema della Convenzione, un qualsiasi evento o cambiamento tale da accreditare la tesi secondo la quale i principi affermati in quella causa dovrebbero essere riesaminati. Al contrario, l’esame degli strumenti internazionali ed europei pertinenti (paragrafi 40-44 supra) e degli elementi di diritto comparato (paragrafi 45-60 supra) dimostra, tutt’al più, un’evoluzione in senso opposto, vale a dire verso una diminuzione delle limitazioni al diritto di elettorato dei detenuti condannati.

96. Tenuto conto di quanto precede, la Corte ribadisce i principi individuati dalla Grande Camera nella sentenza Hirst (paragrafi 85-86 supra), in particolare la mancata compatibilità con l’articolo 3 del Protocollo n. 1 delle interdizioni generali dal diritto di elettorato che colpiscano automaticamente un gruppo indifferenziato di persone, sulla sola base della detenzione di queste e indipendentemente dalla durata della pena loro irrogata, dalla natura o gravità del reato commesso e dalla situazione personale delle stesse (ibid., § 82).

ii. Sul punto se l’interdizione dal diritto di elettorato imposta alle persone condannate debba essere pronunciata da un giudice

97. La Corte osserva che, nella sentenza emessa nella presente causa, la camera ha constatato una violazione dell’articolo 3 del Protocollo n. 1 sottolineando l’assenza di «un qualsiasi esame da parte del giudice del merito sulla natura e gravità [del delitto commesso]» (paragrafo 62 supra). Al riguardo, essa si è basata in particolare sulle conclusioni tratte dalla Corte nella sentenza Frodl, sopra citata.

98. In quest’ultima sentenza, la Corte, definendo i criteri da prendere in considerazione per valutare la proporzionalità di una misura di interdizione ai fini dell’articolo 3 del Protocollo n. 1, ha detto che occorreva tenere conto dell’automaticità e della generalità di una tale misura, e che era essenziale accertare se «la decisione riguardante l’interdizione [...] [fosse stata] presa da un giudice». Inoltre, a giudizio della Corte, una tale decisione doveva essere debitamente motivata nel senso che questa «[doveva] spiegare i motivi per cui, tenuto conto delle particolari circostanze di ogni causa, si rend[eva] necessaria l’interdizione controversa» (Frodl, sopra citata, §§ 34-35).

99. Questo ragionamento rispecchia una concezione ampia dei principi stabiliti nella sentenza Hirst, che la Grande Camera non condivide del tutto. Infatti, la sentenza Hirst non menziona esplicitamente l’intervento del giudice tra gli elementi essenziali per la determinazione della proporzionalità di una misura di interdizione dal diritto di elettorato. Tali elementi si limitano alla generalità, all’automaticità e all’applicazione indifferenziata della misura controversa, nel senso indicato dalla Corte (paragrafi 85, 86 e 96, supra). E’ chiaro che, in linea di principio, l’intervento del giudice è garanzia di proporzionalità della restrizione del diritto di elettorato imposta ad un detenuto. Tuttavia, una tale restrizione non è necessariamente automatica, generale ed indifferenziata per il solo fatto di non essere stata ordinata da un giudice. Le circostanze all’origine dell’applicazione dell’interdizione dal diritto di elettorato possono infatti essere indicate nella legge, che può modulare l’applicazione della misura in funzione di elementi quali la natura o la gravità del reato commesso.

100. Certo, rispondendo ad alcune argomentazioni del governo britannico, la Corte ha rilevato che «pronunciando una condanna, i giudici penali dell’Inghilterra e del Galles non menzionano affatto la privazione del diritto di elettorato» e che «non sembra esistere un legame diretto tra gli atti commessi da un individuo e la privazione del diritto di elettorato disposta nei confronti di questi, se si esclude il fatto che un organo giudiziario ha ritenuto di irrogargli una pena privativa della libertà» (Hirst (n. 2) [GC] sopra citata § 77 in fine). Queste considerazioni, di ordine generale, non riguardavano tuttavia la situazione particolare del ricorrente e, contrariamente alle argomentazioni relative alla generalità, automaticità e applicazione indifferenziata dell’interdizione dal diritto di elettorato, non sono riprese nel paragrafo 82 della sentenza Hirst in cui sono enunciati i criteri che consentono di valutare la proporzionalità della misura controversa.

101. Del resto, dagli elementi di diritto comparato a disposizione della Corte (paragrafi 45-48 supra) emerge che, in materia di limitazioni del diritto di elettorato delle persone condannate, i sistemi giuridici nazionali sono molto eterogenei, soprattutto per quanto riguarda la possibilità che tali limitazioni formino oggetto di una decisione giudiziaria. Solo diciannove degli Stati oggetto dello studio di diritto comparato succitato (ossia meno della metà di essi) non applicano alcuna restrizione al diritto di elettorato dei detenuti condannati. Undici dei ventiquattro Stati in cui tale diritto conosce restrizioni più o meno severe richiedono una decisione del giudice penale adottata caso per caso (con, inoltre, eccezioni per quanto riguarda le pene più gravi, come in Grecia e nel Lussemburgo).

102. Tali elementi confortano il principio secondo il quale ogni Stato rimane libero di adottare la propria legislazione in materia secondo «l’evoluzione storica, la diversità culturale e il pensiero politico che [gli] spetta di incorporare nella propria visione della democrazia» (Hirst (n. 2) [GC] sopra citata, § 61). In particolare, al fine di garantire i diritti enunciati dall’articolo 3 del Protocollo n. 1 (Hirst (n. 2) [GC] sopra citata, § 84, e Greens e M.T. sopra citata, § 113), gli Stati contraenti possono decidere di affidare al giudice la cura di valutare la proporzionalità di una misura restrittiva del diritto di elettorato dei detenuti condannati o di introdurre nella legislazione disposizioni che definiscano le circostanze in cui trova applicazione una tale misura. In questa seconda ipotesi, è il legislatore stesso a esaminare il pro e il contro degli interessi concorrenti al fine di evitare qualsiasi interdizione generale, automatica e di applicazione indifferenziata. Spetterà poi alla Corte di valutare se, in un dato caso, il risultato sia stato raggiunto e se la formulazione della legge o la decisione del giudice abbia rispettato l’articolo 3 del Protocollo n. 1.

iii. Sul rispetto, nel caso di specie, del diritto sancito dall’articolo 3 del Protocollo n. 1

103. Nella fattispecie, la Corte osserva innanzitutto che l’interdizione definitiva dal diritto di elettorato imposta al ricorrente non è stata sottoposta alla valutazione del giudice del merito. Infatti, l’interdizione controversa non è stata menzionata nelle sentenze di condanna emesse nei confronti dell’interessato (paragrafo 22 supra). D’altra parte, essa risultava dall’interdizione dai pubblici uffici, pena accessoria prevista dall’articolo 29 del CP ed applicabile ad ogni persona condannata all’ergastolo – come il ricorrente – o alla reclusione non inferiore a cinque anni (paragrafi 21 e 36 supra).

104.  Tuttavia, come la Corte ha appena evidenziato (paragrafi 97-102 supra), l’applicazione dell’interdizione dal diritto di elettorato in assenza di una decisione giudiziaria ad hoc non è sufficiente da sola a comportare una violazione dell’articolo 3 del Protocollo n. 1. E’ necessario anche che, per le modalità della sua applicazione e per l’ambito giuridico in cui si inserisce, la misura controversa si riveli sproporzionata rispetto agli scopi legittimi perseguiti, vale a dire il rafforzamento del senso civico e del rispetto dello Stato di diritto nonché il buon funzionamento e il mantenimento della democrazia (paragrafo 92 supra).

105. Quanto all’ambito giuridico in cui si inserisce la misura incriminata, è opportuno osservare che, nel sistema italiano, questa si applica alle persone condannate per alcuni reati ben precisi (ad esempio, i reati che colpiscono gli interessi della pubblica amministrazione – si veda il paragrafo 33 supra) – indipendentemente dalla durata della pena applicata – o alla pena privativa della libertà di durata superiore ad una soglia stabilita dalla legge. In quest’ultima ipotesi, l’interdizione è di carattere temporaneo e si applica per la durata di cinque anni se la pena irrogata dal giudice del merito non è inferiore a tre anni di reclusione, è invece definitiva se la pena non è inferiore a cinque anni e nel caso dell’ergastolo (paragrafi 34 e 36 supra).

106. Ad avviso della Corte, le disposizioni della legge italiana che definiscono le condizioni per l’applicazione dell’interdizione dal diritto di elettorato dimostrano che il legislatore si è premurato di modulare l’impiego di tale misura in funzione delle particolarità di ogni causa, tenendo conto in particolare della gravità del reato commesso e della condotta del condannato. Infatti, la misura in questione si applica solo ad alcuni reati contro la pubblica amministrazione e l’amministrazione della giustizia e a reati che il giudice del merito ha ritenuto di dovere sanzionare con una pena molto severa dopo avere tenuto conto dei criteri precisati negli articoli 132 e 133 del CP (paragrafo 37 supra) – tra i quali figura la situazione personale del condannato – nonché delle circostanze tanto attenuanti quanto aggravanti. Ne consegue che l’interdizione non si applica ad ogni persona condannata ad una pena privativa della libertà, ma solo a quelle condannate ad una pena di durata non inferiore a tre anni. Il legislatore italiano ha inoltre modulato la durata della misura d’interdizione in funzione della pena irrogata e quindi, indirettamente, della gravità del reato. Infatti, l’interdizione si applica per un periodo di cinque anni per le pene comprese tra tre anni e meno di cinque anni ed è definitiva in caso di pena di durata uguale o superiore a cinque anni.
107. Nel caso di specie, il ricorrente è stato condannato per omicidio, tentato omicidio, maltrattamenti in famiglia e detenzione abusiva di arma da fuoco (paragrafi 13-14 supra). Si trattava in quel caso di delitti gravi, che hanno indotto la corte d’appello di Roma a pronunciare una condanna all’ergastolo (paragrafo 19 supra), pena in seguito sostituita con la reclusione di anni trenta (paragrafo 32 supra).

108. Pertanto, la Corte non può concludere che l’interdizione dal diritto di elettorato quale prevista dal diritto italiano presenti i caratteri di generalità, automaticità e applicazione indifferenziata che, nella causa Hirst (n. 2), l’hanno portata ad una constatazione di violazione dell’articolo 3 del Protocollo n. 1. Infatti, in Italia, l’interdizione dal diritto di elettorato non si applica né ai delitti meno gravi né ai reati di una certa gravità ma che non meritano, per le modalità concrete della loro commissione e della situazione personale del colpevole, l’irrogazione della pena della reclusione di durata di almeno tre anni. La Corte di cassazione lo ha sottolineato a giusto titolo (paragrafo 28 supra). Di conseguenza, sono molti i detenuti condannati che hanno conservato la possibilità di votare alle elezioni legislative.

109. Inoltre, la Corte non può minimizzare la possibilità offerta dal sistema giuridico italiano al condannato colpito da un’interdizione definitiva dal diritto di elettorato di ottenere il ripristino di tale diritto. Tre anni dopo avere terminato di scontare la pena, l’interessato può infatti ottenere la riabilitazione a condizione di avere dato prove effettive e costanti di buona condotta, il che estingue le pene accessorie pronunciate nei suoi confronti (articoli 178 e 179 del CP – paragrafo 38 supra). Inoltre, la durata effettiva della pena della reclusione può essere ridotta per effetto della liberazione anticipata prevista all’articolo 54 § 1 della legge n. 354 del 1975, ai sensi del quale ai detenuti che partecipano ad un programma di rieducazione è concessa una riduzione di pena di quarantacinque giorni per ogni semestre di pena scontata (paragrafo 39 supra). La disposizione consente al condannato di presentare una domanda di riabilitazione entro termini più brevi e, eventualmente, di recuperare più rapidamente il diritto di elettorato. Tenuto conto di questa disposizione, la Corte ritiene che il sistema italiano non soffra di eccessiva rigidità.

3.  Conclusioni

110. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che, nelle circostanze del caso di specie, le restrizioni imposte al diritto di elettorato del ricorrente si concilino con la cura di non ostacolare «la libera espressione del popolo sulla scelta del corpo legislativo» e di mantenere «l’integrità e l’effettività di una procedura elettorale volta a determinare la volontà del popolo attraverso il suffragio universale» (Hirst (n. 2) [GC], sopra citata, § 62). Il margine di apprezzamento riconosciuto al governo convenuto in questo campo non è quindi stato oltrepassato.
Pertanto, non vi è stata violazione dell’articolo 3 del Protocollo n. 1.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

Dichiara, con sedici voti contro uno, che non vi è stata violazione dell’articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.

Fatta in francese e in inglese, poi pronunciata in pubblica udienza al Palazzo dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, il 22 maggio 2012.

Nicolas Bratza
Presidente

Erik Fribergh;
Cancelliere

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione separata del giudice Björgvinsson.

N.B.
E.F.

OPINIONE DISSENZIENTE DEL GIUDICE DAVID THOR BJÖRGVINSSON

(Traduzione)

Approvo la constatazione di violazione da parte della camera nella sentenza del 18 gennaio 2011, che secondo me costituisce un seguito prudente e logico della sentenza resa dalla Grande Camera nella causa Hirst. Pertanto ho votato contro la constatazione di violazione nella presente causa.

Ci tengo a fare le seguenti osservazioni a sostegno della mia opinione.

Nel contesto della presente causa, l’articolo 3 del Protocollo n. 1 contiene due elementi importanti. Il primo riguarda l’organizzazione del sistema elettorale in un determinato Paese, ossia il modo di scrutinio, la ripartizione delle circoscrizioni elettorali, il numero di rappresentanti per ciascuna circoscrizione, ecc. Il secondo riguarda il diritto di ciascuno di partecipare alle elezioni legislative. Per quanto riguarda il primo, gli Stati contraenti godono, giustamente, di un potere discrezionale – o di un margine di valutazione – ampio nella scelta del modo di scrutinio e nell’organizzazione del sistema elettorale in generale. Tuttavia, per quanto riguarda il secondo elemento, che interessa direttamente il diritto per ciascun individuo di partecipare al processo elettorale, il margine dello Stato è ben più ristretto. Pertanto, la necessità di una restrizione al diritto dei cittadini di una società democratica di votare per eleggere il legislatore deve essere sottoposta a un controllo rigoroso da parte della Corte.

Al paragrafo 90 della sentenza sopra esposta, viene indicato che l’interdizione dal diritto di voto imposta a una persona condannata che sconta una pena detentiva può essere considerata una misura che persegue gli scopi legittimi della prevenzione del crimine e del rafforzamento del senso civico e del rispetto dello Stato di diritto. Inoltre, al paragrafo successivo si precisa che tale interdizione persegue lo scopo legittimo del buon funzionamento e del mantenimento della democrazia.

Per quanto riguarda il primo di tali scopi, l’interdizione dal diritto di voto per un condannato può essere giustificata in un certo senso in quanto misura penale concomitante ad alcuni reati ben precisi e, in linea di massima, così come ogni altra pena, può avere una finalità di prevenzione. Si può vedere in ciò uno scopo legittimo. Tuttavia, se l’interdizione deve essere intesa come una forma di pena, devono essere rispettate alcune condizioni relative alla solidità e alla chiarezza della base giuridica sulla quale si basa la misura, e il giudice deve deliberare in ogni singola fattispecie, come quando applica tutte le altre sanzioni penali. Sotto questo profilo penale, bisogna evitare qualsiasi tipo di interdizione automatica dal diritto di voto a seguito di una condanna penale senza avere per nulla esaminato il caso individuale.

Il secondo scopo evocato, ossia che le restrizioni possono contribuire al buon funzionamento e al mantenimento della democrazia, è secondo me ben più problematico. Certamente, un tale scopo è di per sé legittimo. Ma non penso che privare del diritto di voto una intera parte della popolazione – come consegue manifestamente dalla legislazione italiana in questione – contribuisca al buon funzionamento e al mantenimento della democrazia. Secondo me, è altrettanto probabile che tale legislazione produca esattamente l’effetto inverso. Pur ammettendo che il buon funzionamento e il mantenimento della democrazia è con ogni evidenza uno scopo legittimo, non vedo come tale legislazione possa contribuirvi. Invece facendo votare dei detenuti e, ancora meglio, facendo accettare il loro diritto di voto, vi sono maggiori probabilità di raggiungere questo scopo importante.

Il motivo principale per cui mi discosto dalla maggioranza è semplicemente che, secondo me, la posizione adottata da quest’ultima nella sentenza è incompatibile con le conclusioni della Corte nella sentenza Hirst.

Sottolineerei anzitutto che la situazione concreta dei ricorrenti nella causa Hirst e nella presente causa è esattamente la stessa: i due scontano pene della reclusione molto lunghe, uno per omicidio e l’altro per omicidio premeditato. Anche se i testi di legge sulla base dei quali sono stati privati del diritto di voto sono diversi sotto alcuni punti di vista, gli effetti per ciascuno di essi sono gli stessi, in quanto la loro condanna all’ergastolo ha fatto perdere loro automaticamente tale diritto. Per questo motivo, devono essere presentate argomentazioni particolarmente solide per spiegare il motivo per cui uno è stato considerato vittima di una violazione dell’articolo 3 del Protocollo n. 1 a causa di tale privazione e l’altro no.

Ecco i principali elementi sui quali si basa la constatazione di violazione nella sentenza Hirst:

  • Quando hanno condannato il ricorrente, i giudici penali dell’Inghilterra e del Galles non hanno menzionato in alcun modo la privazione del diritto di voto, e non sembra, al di là del fatto che un tribunale aveva ritenuto appropriato infliggere una pena privativa della libertà, che esistesse un legame diretto tra gli atti commessi da un individuo e la revoca del diritto di voto di quest’ultimo (Hirst, § 77).
  • Si è ritenuto che la legislazione britannica pertinente fosse uno strumento inflessibile, che privava del diritto di voto, sancito dalla Convenzione, molti individui e in modo indifferenziato, che tale legislazione infliggesse una restrizione globale a tutti i detenuti condannati che scontano la loro pena e che la stessa si applicasse automaticamente ad essi, indipendentemente dalla durata della loro pena e dalla natura o dalla gravità del reato che avevano commesso, nonché dalla loro situazione personale (Hirst, § 82).
  • Nulla indicava che il Parlamento britannico avesse mai cercato di pesare i diversi interessi coesistenti o di valutare la proporzionalità di una interdizione totale di voto a carico dei detenuti condannati (Hirst, § 79). Il giudice non aveva nemmeno tentato di valutare la proporzionalità della misura stessa (Hirst, § 80).

Tutti questi elementi, con alcune piccole riserve di seguito esposte, sono altrettanto validi nella presente causa e dovrebbero portare alla stessa constatazione di violazione.

Per quanto riguarda il primo elemento, il paragrafo 100 della presente sentenza lo scarta vedendovi una considerazione di ordine generale che non riguarda la situazione la situazione particolare del ricorrente e precisa, per avvalorare tale conclusione, che questo elemento non è stato ripreso al paragrafo 82 della sentenza Hirst, in cui sono sintetizzati i criteri principali.

Si tratta di un ragionamento davvero poco convincente e soddisfacente poiché nemmeno gli altri elementi determinanti di seguito elencati sui quali si basa la constatazione di violazione nella sentenza Hirst si riferiscono alla situazione del ricorrente, ma riguardano la generalità della legislazione stessa e il suo effetto automatico globale su moltissime persone, tra cui il ricorrente di tale causa, piuttosto che al suo effetto concreto su quest’ultimo. Il fatto che, nella sintesi degli argomenti al paragrafo 82 della sentenza Hirst, la Corte non riprenda tale elemento non toglie affatto, a mio parere, la sua pertinenza e la sua importanza con riguardo ad una constatazione di violazione. Si deve notare a questo riguardo che, nel condannare il ricorrente della presente causa, i giudici italiani non hanno mai menzionato espressamente l’interdizione dal diritto di voto di quest’ultimo e non risulta, al di là del fatto che un tribunale ha ritenuto appropriato infliggere una pena della reclusione, che esistesse un legame diretto tra i fatti della presente causa e l’aver privato il loro autore del diritto di voto.

Per quanto riguarda il secondo elemento, la legislazione italiana, come quella del Regno Unito, è uno strumento inflessibile, che priva del diritto di voto, sancito dalla Convenzione, un gran numero di individui, in maniera indifferenziata e, in larga misura, indipendentemente dalla natura del reato che hanno commesso, dalla durata della pena loro inflitta e dalla loro situazione personale. A tale riguardo, conviene riassumere le differenze esistenti tra la legislazione dei due Stati. L’articolo 3 della legge britannica del 1983 sulla rappresentanza del popolo dispone che ogni persona condannata è, durante il periodo in cui è detenuta in un istituto penitenziario, legalmente incapace di votare a una qualsiasi elezione parlamentare o locale. Non possono essere private del diritto di voto le persone detenute per oltraggio all’autorità della giustizia (articolo 3 § 2 a)) né quelle incarcerate soltanto perché, ad esempio, non avevano pagato una multa (articolo 3 § 2 c)) (Hirst, §§ 21 e 23). Inoltre, in applicazione di tale testo, la privazione del diritto in questione cessa non appena il detenuto viene liberato (Hirst, § 51). In Italia, l’articolo 2 del decreto n. 223 del 1967 priva del diritto di voto ogni persona condannata ad una pena che comporti l’interdizione dai pubblici uffici. Di conseguenza, le persone condannate ad una pena della reclusione di durata inferiore a tre anni continuano a godere di tale diritto, quelle condannate a pene di durata compresa tra tre e cinque anni di reclusione lo perdono per cinque anni e, infine, quelle condannate a una pena di durata più lunga lo perdono definitivamente. Così, nell’ordinamento italiano, la perdita del diritto di voto coincide con l’interdizione dai pubblici uffici.

La differenza principale tra le due legislazioni è che quella dell’Italia priva del diritto di voto solo le persone condannate ad almeno tre anni di reclusione, mentre quella del Regno Unito priva di tale diritto tutte le persone condannate ad una pena detentiva per tutta la durata della permanenza in carcere. Se, per tale motivo la legislazione italiana può sembrare più clemente della legislazione britannica, essa è invece più severa in quanto priva i detenuti del loro diritto di voto anche oltre la durata della loro pena detentiva e, per un grande numero di detenuti, definitivamente. Ecco perché ritengo, contrariamente alla maggioranza, che queste differenze non siano sufficienti per giustificare una conclusione diversa. In realtà, la legislazione italiana è altrettanto poco flessibile che quella britannica, anche se per motivi un po’ diversi. La possibilità per un ex detenuto, offerta dagli articoli 178 e 179 del codice penale italiano, di chiedere la riabilitazione quando siano decorsi tre anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita, non cambia nulla. Inoltre, è indifferente secondo me che, nel diritto italiano, la privazione del diritto di voto sia conseguente ad una interdizione dall’esercizio di una funzione pubblica. Il risultato rimane lo stesso: la perdita automatica del diritto di voto a causa di una condanna ad una pena detentiva. Peraltro, non vi è necessariamente un legame tra il diritto per una persona di esercitare una funzione pubblica e il suo diritto di votare alle elezioni legislative.

Quanto al terzo elemento, esso è altrettanto valido nella fattispecie. Né il legislatore né il giudice hanno proceduto in questo caso ad una valutazione sufficiente, dal punto di vista della proporzionalità, della giustificazione della privazione del diritto di voto per tutti i detenuti in Italia oltre la durata della loro pena detentiva, in via definitiva per molti di essi, a seguito di una interdizione dai pubblici uffici.

In definitiva, ritengo che la distinzione operata nella presente sentenza tra queste due cause per giustificare delle conclusioni diverse non sia soddisfacente. La sentenza applica una interpretazione molto restrittiva della sentenza Hirst e, in realtà, si discosta dal ragionamento principale di quest’ultima. Purtroppo essa ha ormai privato completamente la sentenza Hirst della sua portata in quanto giurisprudenza di principio a tutela del diritto di voto dei detenuti in Europa.