Sentenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo del 14 febbraio 2012 - Ricorso n.17972/07 - Arras e altri c. Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, eseguita da Maria Caterina Tecca, funzionario llinguistico

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA ARRAS E ALTRI C. ITALIA
(Ricorso n° 17972/07)
SENTENZA
STRASBURGO
14 febbraio 2012

La presente sentenza diventerà definitiva alle condizioni stabilite dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Arras e Altri c. Italia,
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Seconda Sezione), riunita in una camera composta da:
Françoise Tulkens, Presidente,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
Işıl Karakaş,
Guido Raimondi,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Stanley Naismith, Cancelliere di Sezione,
dopo aver deliberato in camera di consiglio in data 24 gennaio 2012,
rende la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

  1. All’origine della causa vi è un ricorso (n° 17972/07) proposto contro la Repubblica italiana con il quale quattro cittadini italiani, il Sig. Antonio Arras, la Sig.ra Celestina Dede, il Sig. Alessandro Dessi e il Sig. Bachisio Zizi (“i ricorrenti”), hanno adito la Corte il 20 aprile 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
  2. I ricorrenti sono rappresentati dagli Avv.ti G. Ferraro, R. Mastroianni e F. Ferraro, del Foro di Napoli. Il Governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo Agente, Sig.ra Ersiliagrazia Spatafora, e dal suo Co-agente, Sig.ra Paola Accardo.
  3. I ricorrenti sostengono di aver subito un’interferenza legislativa nelle more del loro procedimento, in violazione del diritto al giusto processo di cui all’articolo 6.
  4. Il 3 gennaio 2011 il ricorso è stato comunicato al Governo. Si è anche stabilito di  esaminare contestualmente la ricevibilità e il merito del ricorso (articolo 29 § 1).
  5. In date imprecisate, successive all’introduzione del ricorso, il Sig. Arras e il Sig. Dessi sono deceduti. Con nota del 21 ottobre 2010, la Corte è stata informata del fatto che i loro eredi (Roberto Arras, Mirella Arras e Regina Obbino in relazione al Sig. Arras, e Giorgio Dessi, Loredana Dessi, Susanna Dessi, Alessio Dessi, Silvia Dessi, Carmela Pilleri, e Rosalba Dessi in relazione al Sig. Dessi) desideravano proseguire il procedimento. Per motivi pratici, in questa sentenza il Sig. Arras e il Sig. Dessi continueranno a essere indicati come i ricorrenti.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

6. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1939, 1933, 1933 e 1925 e vivevano in Italia.

  1. Il contesto del caso di specie

    7. Tutti i ricorrenti sono pensionati (andati in pensione prima del 31 dicembre 1990) ed ex-dipendenti del Banco di Napoli (un gruppo bancario che era originariamente un ente pubblico ed è stato successivamente privatizzato).

    8. Prima della privatizzazione, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia erano sottoposti a sistemi previdenziali esclusivi a norma degli articoli 11 e 39 della Legge n. 486 del 1985. I loro dipendenti beneficiavano di un meccanismo perequativo più favorevole di quello disponibile per le persone iscritte all’assicurazione generale obbligatoria. In particolare, l’aumento pensionistico annuale dei loro pensionati era calcolato in base agli aumenti salariali dei dipendenti in servizio con gli stessi livelli (perequazione aziendale).

    9. Nel 1990 la riforma Amato ha previsto la privatizzazione delle banche pubbliche come il Banco di Napoli. Essa ha soppresso i loro regimi pensionistici esclusivi, sostituendoli con quelli unificati. Ha previsto l’iscrizione dei dipendenti del Banco di Napoli a un nuovo sistema di gestione previdenziale che faceva parte dell’assicurazione obbligatoria generale gestita dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (“INPS”), ente previdenziale italiano.

    10. Nel 1992 ha avuto luogo un’ulteriore parziale riforma pensionistica.

    11. Nel 1993 diversi ex-dipendenti che erano già andati in pensione, sono entrati in discussione con il Banco di Napoli per l’applicazione di alcune disposizioni. In particolare, interpretando estensivamente l’articolo 9 della Legge n. 503 del 1992 (di seguito Legge 503/92) e dell’articolo 3 della Legge n. 421 del 23 ottobre 1992 (di seguito Legge n. 421/92) (vedi il diritto nazionale pertinente) il Banco di Napoli ha tentato di eliminare il sistema di perequazione aziendale calcolato in base agli aumenti salariali dei dipendenti in servizio con gli stessi livelli, anche nei confronti delle persone che erano già andate in pensione, limitando la perequazione di queste ultime a quella automatica, vale a dire a un semplice aumento in base al costo della vita (perequazione legale), che comportava una pensione meno consistente.

    12. L’ultima decisione è stata presa nonostante il fatto che, secondo i ricorrenti, la Legge n. 218 del 30 luglio 1990 (riforma Amato), in particolare il suo articolo 3, commi 1 e 2, e l’articolo 3 della Legge n. 421 del 23 ottobre 1992 (vedi il diritto nazionale pertinente), limitavano la soppressione unicamente alle persone ancora in servizio e non alle persone che già percepivano la pensione. Infatti le persone ancora in servizio avevano avuto la facoltà di accettare altre prestazioni  concordate mediante contratti integrativi aziendali.

  2. I procedimenti nazionali generali in materia  

    13. In data imprecisata diversi pensionati che si trovavano nella situazione dei ricorrenti hanno agito in sede civile contestando le azioni del Banco di Napoli, dato che in conseguenza di esse essi ricevevano degli importi inferiori a quelli cui essi dichiaravano di avere diritto. Essi hanno sottolineato che le Leggi nn. 503/92 a 421/92 salvaguardavano il trattamento più favorevole applicabile alle persone andate in pensione prima del 31 dicembre 1990. Perciò, essi hanno chiesto che il tribunale dichiarasse il loro diritto a conservare il sistema di perequazione aziendale applicato prima della promulgazione di tali leggi, a ordinasse al Banco di Napoli di corrispondere le somme che esso non aveva corrisposto loro.

    14. Con sentenza del 31 ottobre 1994 relativa alla causa Acocella e Altri c. il Banco di Napoli, il tribunale nazionale ha confermato gli argomenti dei ricorrenti, ritenendo che essi avessero diritto a rimanere nel sistema della perequazione aziendale anche successivamente all’entrata in vigore della Legge n. 503/92. Lo stesso è stato confermato in diverse altre sentenze in varie giurisdizioni, compresa la Corte di Cassazione (per esempio, le sentenze nn. 1388/00 e 12912/00) e più precisamente la Corte di Cassazione nella sua massima composizione, a Sezioni Unite. Quest’ultima, nella sua sentenza (n. 9024/01) del 3 luglio 2001 ha confermato gli argomenti dei ricorrenti in base all’interpretazione della Legge n. 503/92 e delle Leggi nn. 497 e 449 rispettivamente del 1996 e del 1997, che facevano esplicito riferimento alla perequazione aziendale, confermando che essa non era stata abrogata dalle leggi del 1992. Le modifiche contestate si applicavano solo alle persone ancora in servizio e non alle persone che erano andate in pensione il, o prima del, 31 dicembre 1990. Conseguentemente, il diritto contestato era legittimamente dovuto agli ex-dipendenti del Banco di Napoli  andati in pensione entro il 31 dicembre 1990, per il periodo compreso tra il 1° gennaio 1994 (data in cui è cessata una sospensione generale degli adeguamenti  pensionistici) al 26 luglio 1996 (data in cui è iniziata una nuova sospensione di tali adeguamenti in relazione al Banco di Napoli).

    15. Questa interpretazione ha continuato a essere seguita da tutti i giudici che si sono occupati di cause di questo tipo.

  3. La promulgazione della Legge n. 243/04  

    16. Successivamente, vi sono state varie modifiche legislative che hanno tentato di limitare l’applicazione del sistema della perequazione aziendale. Queste sono culminate nella promulgazione dell’articolo 1, comma 55, della Legge n. 243/04, che ha interpretato la pertinente legislazione nel senso che i dipendenti del Banco di Napoli in pensione non potevano più beneficiare del sistema della perequazione aziendale e l’ha resa efficace retroattivamente, con effetto dal 1992.

    17. Nel frattempo, l’articolo 59, comma 4, della Legge n. 449 del 27 dicembre 1997 (legge finanziaria del 1998) ha soppresso definitivamente tutti i sistemi di perequazione aziendale, a far data dal 1° gennaio 1998.

    18. Perciò, in generale il sistema di adeguamento pensionistico in base alla perequazione aziendale è stato riconosciuto ed è rimasto in vigore dal 1994 al dicembre 1997 (esattamente prima dell’entrata in vigore della legge finanziaria del 1998) per altri enti bancari pubblici che avevano precedentemente applicato un sistema di perequazione aziendale, a eccezione del Banco di Napoli. In realtà, la legge Salvabanco aveva già sospeso questa prestazione nei confronti dei dipendenti del Banco di Napoli (e del Banco di Sicilia) con  effetto dal 26 luglio 1996. Perciò, per i dipendenti di questi ultimi il sistema della perequazione aziendale sarebbe stato applicato solo dal 1° gennaio 1994 al 26 luglio 1996.

  4. I procedimenti nazionali dei ricorrenti  

    19. Nel 1996 i ricorrenti hanno istituito un procedimento simile a quelli summenzionati, essi sostenevano cioè che le Leggi nn. 503/92 e 421/92 salvaguardavano qualsiasi trattamento più favorevole applicabile alle persone andate in pensione prima del 31 dicembre 1990. Perciò, essi hanno chiesto al Tribunale di Napoli (sezione Lavoro) di dichiarare il loro diritto a conservare il sistema della perequazione aziendale come applicato prima della promulgazione di tali leggi e di ordinare al Banco di Napoli di corrispondere le somme che esso aveva omesso di corrispondere loro.

    20. I ricorrenti si aspettavano un esito favorevole in considerazione della giurisprudenza applicabile in quel momento. Invero, in conformità con quest’ultima, con sentenza del 26 febbraio 2001, il Tribunale di Napoli (Sezione Lavoro) si è pronunciato a favore dei ricorrenti. Esso ha ordinato al Banco di Napoli di pagare gli importi non pagati con gli aumenti dovuti all’inflazione e gli interessi legali a decorrere dal 1° gennaio 1994.

    21. In appello, con sentenza del 24 aprile 2004, la Corte d’Appello di Napoli ha confermato le sentenza di primo grado confermando il diritto dei ricorrenti a essere coperti dal sistema della perequazione aziendale, tuttavia solo per il periodo dal 1° gennaio 1994 (data in cui è cessata una sospensione generale degli adeguamenti pensionistici) al 26 luglio 1996 (data in cui è iniziata una nuova sospensione di tali adeguamenti nei confronti del Banco di Napoli).

    22. Il Banco di Napoli ha proposto appello.

    23. Con sentenza (n. 22701/06) del 19 settembre 2006 depositata nella relativa cancelleria il 23 ottobre 2006 la Corte di Cassazione ha ribaltato le sentenze dei tribunali inferiori e si è pronunciata contro i ricorrenti, ordinando che le spese dei tre gradi di giudizio fossero pagate dalle parti in modo uguale. La Corte di Cassazione ha sostenuto il motivo d’appello secondo il quale la Corte d’Appello di Napoli non aveva potuto tenere conto della Legge n. 243/04 – non ancora in vigore al momento della sua sentenza – una legge interpretativa applicabile retroattivamente, ideata per risolvere un conflitto interpretativo che era stato presente nella giurisprudenza nazionale e che era stato risolto  in definitiva dalla Corte di Cassazione (Sezioni Unite). Invero, la Legge n. 243/04 è stata promulgata per chiarire se gli articoli 9 e 11 della Legge n. 503/92 si applicavano solo ai dipendenti ancora in servizio o anche ai pensionati, e prevedeva che dal 1994 in poi dovesse essere applicata a “tutti” i pensionati una perequazione legale (aumento in base al costo della vita), a prescindere dalla loro data di pensionamento.

    24. La Corte di Cassazione ha rigettato un ricorso di incostituzionalità relativo agli effetti retroattivi di questa legge interpretativa che influivano sul principio della certezza giuridica e giudiziaria. A tale riguardo essa ha rinviato alle precedenti sentenze della Corte Costituzionale che avevano ritenuto che il legislatore potesse imporre norme che specificavano il significato di altre norme nella misura in cui il significato fosse una delle opzioni derivanti dal testo originario e fosse conforme al principio della razionalità.

  5. La sentenza della Corte Costituzionale n. 362 del 2008, in un procedimento analogo.  

    25. Nel 2007, in due diverse cause civili, la Corte di Cassazione ha deferito la questione alla Corte Costituzionale ritenendo che il comma 55 della Legge n. 243/04 sollevasse questioni di costituzionalità per diversi motivi: i) il ricorso a norme di interpretazione autentica sarebbe stato irragionevole in tali circostanze, essendo esso sproporzionato e controproducente rispetto allo scopo ricercato, vale a dire l’estinzione del contenzioso; ii) la legge contestata avrebbe fatto dipendere la determinazione dell’interesse delle parti da un fattore incostituzionale, vale a dire la durata del procedimento, e avrebbe costituito una disparità di trattamento tra persone i cui procedimenti erano conclusi e altre i cui procedimenti erano ancora pendenti; iii) la legge contestata avrebbe annullato irragionevolmente il ruolo della Corte di Cassazione.

    26. Con sentenza depositata in cancelleria il 7 novembre 2008, la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità della Legge n. 243/04. Essa ha ritenuto che la legge contestata fosse una norma interpretativa delle disposizioni della Legge n. 503/92 che aboliva la perequazione aziendale per tutti i pensionati, a prescindere dalla loro data di pensionamento. Invero, la natura interpretativa della norma era ovvia dato che essa aveva confermato uno dei possibili significati del testo originale del 1992, che era stato confermato anche da parte della giurisprudenza. La legge contestata era stata ragionevole dato che essa mirava a ottenere il riconoscimento di un trattamento uguale e omogeneo di tutti i pensionati in base ai correnti regimi integrativi. Inoltre, la legge non aveva aumentato il contenzioso dato che aveva reso prevedibile il suo esito. Quanto agli altri inconvenienti menzionati dalla Corte di Cassazione, essa ha ritenuto che essi siano sorti da una serie di circostanze casuali ciò non era sufficiente a ritenere la norma incostituzionale. Essa ha inoltre ritenuto che il legislatore potesse promulgare delle leggi interpretative, purché esse fossero basate su uno dei possibili significati del testo originale anche se vi era stata una coerente giurisprudenza in materia, e ciò non incidesse sul ruolo della Corte di Cassazione.

    II. IL DIRITTO NAZIONALE PERTINENTE

    27. La Legge n. 218 del 30 luglio 1990, nella misura in cui è pertinente, recita come segue:

    Articolo 1

    “Ai dipendenti degli istituti creditizi di diritto pubblico continueranno ad applicarsi le disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, fino al rinnovo del contratto collettivo nazionale di categoria o fino alla stipula di un nuovo contratto integrativo aziendale.

    Articolo 2

    Per i medesimi dipendenti sono fatti salvi i diritti quesiti, gli effetti di leggi speciali e quelli rivenienti dalla originaria natura pubblica dell’ente di appartenenza.”

    28.  Gli articoli 3 e 4 della Legge n. 357 del 20 novembre 1990, nella misura in cui sono pertinenti, recitano come segue:

    Articolo 3

    “3. Le quote dei trattamenti pensionistici a carico della gestione speciale sono assoggettate alla disciplina per la perequazione automatica dell’assicurazione generale obbligatoria.

    4. Per i titolari di trattamenti pensionistici e di posizioni assicurative per prestazioni differibili di cui al comma 1, ((iscrizione dei dipendenti bancari all’INPS)) è fatto salvo il diritto al trattamento previdenziale complessivo di miglior favore previsto dalle forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti esclusive od esonerative di rispettiva iscrizione, secondo quanto disposto al successivo articolo 4.

    Articolo 4

    1. ... è fatto salvo il diritto al trattamento previdenziale complessivo di miglior favore previsto dalle forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti … che continuano ad operare.

    2. La differenza  tra il trattamento complessivo di cui al comma 1, tempo per tempo determinato e la pensione o la quota di pensione a carico della gestione speciale ai sensi rispettivamente dell’art. 2 e dell’art. 3, incrementate per effetto della perequazione automatica  è posta a carico dei datori di lavoro.”

    29.  L’articolo 3, comma 1, della Legge n. 421/92 ha delegato al Governo la promulgazione della pertinente legge in conformità con i seguenti principi, che nella misura in cui sono pertinenti recitano come segue:

    “p) i principi e i criteri summenzionati (...) si applichino al personale di cui all’articolo 2 del Decreto legislativo 357/90 (persone in servizio il 31 dicembre 1990)”

    30.  L’articolo 9, commi 2 e 3, della Legge n. 503/92, nella misura in cui è pertinente, recita come segue:

    “2. Gli articoli 2, 3, 8, 10, 11, 12, e 13 trovano applicazione nei confronti dei regimi aziendali integrativi ai quali è iscritto il personale di cui all’articolo 2 del decreto legislativo n. 357/90 (persone in servizio il 31 dicembre 1990).

    3. Le variazioni derivanti ai trattamenti pensionistici  per effetto di quanto disposto al comma 2 rispetto alla previgente disciplina incidono sul trattamento complessivo di cui all’art. 4 del decreto legislativo n. 357/90, salvo non sia diversamente disposto in sede di contrattazione collettiva.”

    31.  L’articolo 1, comma 55, della Legge n. 243/04 (relativa a norme in materia pensionistica nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria), nella misura in cui è pertinente, recita come segue:

    “Al fine di estinguere il contenzioso giudiziario relativo ai trattamenti corrisposti a talune categorie di pensionati già iscritti a regimi previdenziali sostitutivi, attraverso il pieno riconoscimento di un equo e omogeneo trattamento a tutti i pensionati iscritti ai vigenti regimi integrativi, l’articolo 3, comma 1, lettera p, della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e l’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, si applicano al complessivo trattamento percepito dai pensionati di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357. La relativa spesa è sopportata dall’assicurazione generale obbligatoria.”

    IN DIRITTO

    I.  QUESTIONE PRELIMINARE

    32.  La Corte osserva inizialmente che il primo e il terzo ricorrente sono morti in date imprecisate successivamente al deposito del loro ricorso, mentre la causa pendeva davanti alla Corte. I loro eredi hanno comunicato alla Corte di voler proseguire il ricorso che essi avevano presentato (vedi paragrafo 5 supra). Benché gli eredi di un ricorrente deceduto non possano rivendicare un diritto generale all’esame del ricorso presentato da quest’ultimo al fine del proseguimento da parte della Corte (vedi Scherer c. Switzerland, 25 marzo 1994, Serie A n. 287), la Corte ha accettato in diverse occasioni che i parenti stretti di un ricorrente deceduto avessero il diritto di prendere il suo posto (vedi Epiphaniou e Altri c. Turchia, n. 19900/92, § 18, 22 settembre  2009 e Taylan e Altri c. Turchia, nn. 9209/04, 40056/04 e 22412/05, 14 settembre 2010).

    33.  Ai fini del presente ricorso, la Corte è disposta ad accettare che gli eredi del primo e del terzo ricorrente possono proseguire il ricorso presentato inizialmente dal Sig. Arras e dal Sig. Dessi.
    II. SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE

    34.  I ricorrenti hanno lamentato che la Legge n. 243/04 come interpretata dalla Corte di Cassazione il 23 ottobre 2006, costituiva un’interferenza legislativa in un procedimento pendente, in violazione dei loro diritti a un giusto processo di cui all’articolo 6 della Convenzione, che recita come segue:

    “Ogni persona ha diritto a che la sua causa … sia esaminata imparzialmente … da un tribunale …che deciderà sia in ordine alle controversie sui suoi diritti ed obbligazioni di natura civile  ... .”

    35.  Il Governo ha contestato tale argomento.

    A.  Sulla ricevibilità

    36.  La Corte osserva che questa doglianza non è manifestamente infondata secondo quanto indicato dall’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione. Osserva inoltre che essa non è irricevibile per nessun altro motivo.  Essa deve pertanto essere dichiarata ricevibile.

    B.  Sul merito

    1.  Le deduzioni delle parti

    37.  I ricorrenti hanno dedotto che la promulgazione dell’articolo 1, comma 55, della Legge n. 243/04 (che essi consideravano un pasticcio giuridico nella formulazione e che era stata presentata in Parlamento in modo furtivo) sembrava interpretare una  norma del 1992, ma in realtà ne modificava il contenuto con effetto retroattivo dopo dodici anni di applicazione. Secondo i ricorrenti, il suo unico fine era  quello di contrastare l’orientamento interpretativo consolidato che era stato adottato dai tribunali nazionali (compreso il tribunale più elevato – la Corte di Cassazione nella sua massima composizione, le Sezioni Unite) vale a dire che le disposizioni pertinenti della legge del 1992 non si applicavano alle persone che erano andate in pensione entro il 31 dicembre 1990. A seguito della promulgazione della Legge n. 243/04 i tribunali nazionali sono stati obbligati a rigettare le richieste dei ricorrenti. Perciò lo Stato aveva influenzato il risultato dei procedimenti, definendo il loro merito e rendendo inutili ulteriori udienze, violando l’indipendenza della magistratura e interferendo nell’amministrazione della giustizia. Invero, l’introduzione della legge del 1997 aveva solo confermato che la legge del 1992 non aveva abolito l’armonizzazione relativa ai pensionati di lunga data. Altrimenti non vi sarebbe stata alcuna necessità di promulgare tale legge. Né vi sarebbe stata l’esigenza di intervenire nuovamente nel 2004. Lo Stato aveva sentito la necessità di introdurre la legge del 2004 solo perché i tribunali avevano adottato un orientamento unanime a favore dei ricorrenti e delle persone nella loro situazione. Alla luce di ciò, secondo i ricorrenti tale legge non poteva essere stata prevedibile.

    38.  I ricorrenti hanno sottolineato che non vi era alcun interesse generale che giustificasse l’adozione della Legge n. 243/04 che mirava a eliminare retroattivamente diritti già acquisiti. Essi hanno osservato che la spesa relativa ai loro casi non doveva essere sostenuta dall’INPS ma dal Fondo Supplementare Privato che derivava dai contributi pagati dai datori di lavoro. Perciò il pubblico generale non ne aveva beneficiato in alcun modo, ne avevano beneficiato solo le due banche private dato che esse hanno potuto recuperare o risparmiare le somme che i giudici nazionali avevano ritenuto dovute ai pensionati quali i ricorrenti. Inoltre, la legge incideva solo sui pensionati delle due banche citate ed era pertanto deliberatamente diretta  a incidere su queste specifiche controversie. Pertanto essa non aveva niente a che fare con una riforma pensionistica generale, vale a  dire l’armonizzazione successiva alla Legge  n. 449/97, e infatti i ricorrenti non contestavano gli effetti di tale legge.

    39.  Il Governo ha dedotto che non vi era stata violazione dell’articolo 6. Infatti la Corte d’Appello di Napoli si era pronunciata a favore dei ricorrenti, attribuendo loro il diritto alla perequazione aziendale per il periodo pertinente. Se era vero che la Corte di Cassazione aveva ribaltato questa decisione in un ricorso, ciò era stato fatto in considerazione del fatto che le leggi che avevano consentito la perequazione aziendale erano state modificate nel 1992 per mezzo di leggi che miravano a limitare la spesa pubblica e a eliminare una volta per tutte questo tipo di perequazione al fine di razionalizzare il nuovo sistema di previdenza sociale a seguito della privatizzazione degli enti bancari. Inoltre, era stato necessario allineare la giurisprudenza nazionale relativa alla questione che era oggetto di conflitto. In particolare, lo Stato si è sentito obbligato a soddisfare il fine di avere un sistema pensionistico omogeneo.

    40.  Il Governo ha dedotto che la maggior parte degli Stati occidentali avevano avuto la necessità di riformare i loro sistemi pensionistici che erano diventati insostenibili. La Legge n.243/04, insieme ad altre leggi, non mirava a influenzare la determinazione dei giudici sulle liti pendenti, ma era stata parte di una riforma generale di rilevanza nazionale. Pertanto, la Corte di Cassazione aveva cambiato opinione dopo le riforme legislative approvate dal Parlamento che, essendo un’espressione del popolo, aveva il diritto e il dovere di promuovere le riforme che esso riteneva necessarie.

    41.  Il Governo ha ritenuto che se tali riforme fossero state in contrasto con la Convenzione, gli Stati non avrebbero mai potuto fare delle riforme. Nel caso di specie, il fine della legge era l’abolizione di un sistema che aveva favorito alcuni rispetto ad altri. La Corte doveva pertanto determinare se le circostanze del caso avevano dato origine a una violazione, tenendo in mente il margine di apprezzamento dello Stato.

    2.  La valutazione della Corte

    42.  La Corte ha ripetutamente dichiarato che benché non sia impedito alla legislazione di regolamentare, mediante nuove disposizioni retroattive, diritti che derivano da leggi in vigore, il principio dello stato di diritto e la nozione di giusto processo custoditi nell’articolo 6 precludono, tranne che per impellenti ragioni di interesse pubblico, l’interferenza dell’assemblea legislativa nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia (vedi, tra molti altri precedenti, Stran Greek Refineries e Stratis Andreadis c. Grecia,  9 dicembre 1994, § 49, Serie A n. 301-B; National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. il Regno Unito, 23 ottobre 1997, § 112, Reports 1997-VII; e Zielinski e Pradal e Gonzalez e Altri c. Francia [GC], nn. 24846/94 e 34165/96 e 34173/96, § 57, ECHR 1999-VII). Benché le disposizioni di legge in materia pensionistica possano cambiare e non ci si possa basare su una decisione giudiziaria a garanzia contro tali cambiamenti nel futuro (vedi Sukhobokov c. Russia, n. 75470/01, § 26, 13 aprile 2006), anche se tali cambiamenti sono a svantaggio di alcuni beneficiari di prestazioni previdenziali, lo Stato non può interferire nella procedura giudiziaria in modo arbitrario (vedi, mutatis mutandis, Bulgakova c. Russia, n. 69524/01, § 42, 18 gennaio 2007).

    43.  Se è vero che nel caso di specie, a differenza di altri casi relativi all’interferenza legislativa davanti alla Corte (vedi, per esempio, Stran Greek Refineries, succitato) lo Stato non è parte nel procedimento, ciò non preclude una valutazione delle circostanze del caso (vedi, per esempio, Vezon c. France, n. 66018/01, 18 aprile 2006, e Ducret c. France, n. 40191/02, 12 giugno 2007).

    44.  Il problema sollevato nel caso di specie è fondamentalmente quello del giusto processo, e secondo la Corte, ciò coinvolge la responsabilità dello Stato sia nella sua funzione legislativa, se vizia il processo o influenza l’esito giudiziario della controversia, sia nella sua funzione di autorità giudiziaria se è violato il diritto a un giusto processo, compreso in questioni private tra soggetti privati (vedi Vezon, succitato § 30, e Ducret, succitato, § 34).

    45.  La Corte ribadisce che per quanto riguarda le controversie relative a diritti e obbligazioni di natura civile, la Corte ha fissato nella sua giurisprudenza il requisito dell’uguaglianza delle armi nel senso di un giusto equilibrio tra le parti. Nelle liti che coinvolgono opposti interessi privati, tale uguaglianza comporta che deve essere concessa a ciascuna parte una ragionevole opportunità di presentare il suo caso in condizioni che non la collochino in sostanziale svantaggio rispetto all’avversario (vedi, Stran Greek Refineries, succitato, § 44 e Forrer-Niedenthal c. Germany, n. 47316/99, § 65, 20 febbraio 2003).

    46.  Nel caso di specie, la Corte osserva che la Legge n. 243/04 non riguardava decisioni diventate definitive e fissava una volta per tutte retroattivamente i termini delle controversie pendenti davanti ai tribunali ordinari. Perciò, la sua promulgazione in realtà determinava la sostanza delle controversie e la sua applicazione da parte dei vari tribunali ha reso inutile per un intero gruppo di persone che si trovavano nella situazione dei ricorrenti proseguire la lite.

    47..  Date le circostanze la Corte ritiene che non si possa sostenere che vi sia stata uguaglianza delle armi tra le due parti private dato che lo Stato si è pronunciato a favore di una delle parti quando ha promulgato la legge contestata.

    48.  La Corte ribadisce inoltre che solo impellenti ragioni di interesse generale potrebbero giustificare l’interferenza da parte dell’assemblea legislativa. Il rispetto per lo stato di diritto e la nozione di giusto processo impongono che le ragioni addotte per giustificare tali misure siano trattate con il massimo grado di circospezione possibile (vedi Stran Greek Refineries, succitato, § 49).

    49.  La Corte osserva che i tribunali nazionali avevano applicato coerentemente la giurisprudenza favorevole ai ricorrenti, ed essa era stata confermata dalla Corte di Cassazione nella sua massima composizione, pertanto non si poteva affermare che vi era stata una giurisprudenza divergente come affermato dal Governo. Quanto al suo argomento che la legge era stata necessaria per pervenire a un sistema pensionistico omogeneo, in particolare abolendo un sistema che favoriva alcuni rispetto ad altri, se la Corte accetta che questa sia una ragione di un qualche interesse generale, essa non è convinta del fatto che questa fosse sufficientemente impellente per superare i pericoli inerenti all’utilizzo della legislazione retroattiva, che ha l’effetto di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia pendente. Il Governo non ha presentato alcuna altra argomentazione in grado di giustificare tale intervento a favore del Banco di Napoli. 

    50.  In conclusione, tenendo in mente quanto sopra, non vi era alcuna impellente ragione di interesse generale in grado di giustificare l’interferenza legislativa che è stata applicata  retroattivamente e ha determinato l’esito dei procedimenti pendenti tra soggetti privati.

    51.  Vi è stata pertanto violazione dell’articolo 6 § 1.

    III.  SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE

    52. I ricorrenti hanno lamentato che le modifiche legislative erano discriminatorie in diversi modi. Essi si sono basati sull’articolo 14 della Convenzione, che nella misura in cui è pertinente, recita come segue:

    “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere garantito, senza alcuna distinzione, fondata soprattutto sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o altre opinioni, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, sui beni di fortuna, nascita o ogni altra condizione.”

    53.  La Corte osserva che l’articolo 6 è applicabile al caso di specie e ciò è sufficiente a ritenere che anche l’articolo 14 sia applicabile.

    54.  La Corte ribadisce che una differenza di trattamento è discriminatoria se essa non ha giustificazioni oggettive e ragionevoli, in altre parole, se non persegue un fine legittimo o se non vi è un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e il fine che si è tentato di realizzare. Lo Stato Contraente gode di un margine di apprezzamento nel valutare se e in quale misura le differenze in situazioni altrimenti simili giustifichino un trattamento diverso.  La portata di questo margine varierà a seconda delle circostanze, dell’oggetto e del contesto (vedi Stec e Altri, [GC], nn. 65731/01 e 65900/01, § 51, CEDU 2006-VI).

    A.  Rispetto alle persone ancora in servizio

    55.  I ricorrenti hanno dedotto che le modifiche hanno trattato con le stesse modalità delle persone che si trovavano in situazioni diverse. Invero, i ricorrenti avevano già raggiunto l’età pensionabile e a differenza delle persone ancora in servizio, non potevano ricevere alcuna prestazione che secondo la riforma poteva essere acquisita durante la vita lavorativa, come incentivi in termini di contributi e di tassazione per  stipulare una pensione supplementare e predisporre dei programmi pensionistici individuali, oltre al rafforzamento della loro posizione pensionistica mediante accordi collettivi. Le modifiche legislative contestate che riguardavano persone che avevano allora l’età di 85 anni intendevano unicamente incidere su dei soggetti specifici a vantaggio delle due banche summenzionate poco prima che esse fossero assorbite da un potente gruppo bancario che aveva un’influenza eccezionale.

    56. Il Governo ha dedotto che il mantenimento della perequazione aziendale a vantaggio dei ricorrenti, nel contesto di una riforma pensionistica generale, sarebbe stato in contraddizione con il principio dell’uguaglianza di trattamento di tutti i pensionati. Perciò, la riforma aveva solo voluto eliminare una prestazione aggiuntiva che era stata applicabile solo ai ricorrenti e non agli altri pensionati.

    57.  La Corte osserva che la discriminazione può sorgere se gli Stati senza una giustificazione oggettiva e ragionevole omettono di trattare in modo diverso persone che si trovano in situazioni significativamente diverse (vedi Thlimmenos c. Grecia [GC], n. 34369/97, § 44, CEDU 2000-IV). Tuttavia lo Stato Contraente gode di un margine di apprezzamento nel valutare se e in quale misura delle differenze in situazioni altrimenti simili giustifichino un trattamento diverso (vedi Van Raalte c. i Paesi Bassi, 21 febbraio 1997, § 39, Reports of Judgments and Decisions 1997-I). La portata di questo margine varierà a seconda delle circostanze, dell’oggetto e del contesto (vedi Petrovic c. Austria, 27 marzo 1998, § 38, Reports 1998-II).

    58.  Se è vero che i ricorrenti appartenevano a un gruppo di persone che erano già andate in pensione e che pertanto non potevano compensare la riduzione delle loro pensioni (in conseguenza della Legge n. 243/04) mediante altre prestazioni che le persone ancora in servizio potevano ottenere durante tutta la loro vita lavorativa, la Corte osserva che il fine della Legge n. 243/04 era quello di conseguire l’uguaglianza di trattamento di tutti i pensionati, presenti e futuri. Inoltre, la Corte osserva che agli Stati è generalmente concesso un ampio margine in base alla Convenzione quando si tratta di misure generali di strategia economica o sociale (vedi, per esempio, James e Altri c. il Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 46, Serie A n. 98). Ne segue che, anche se fosse applicato alla situazione dei ricorrenti il principio tratto dal caso Thlimmenos, vi è, secondo la Corte, una giustificazione oggettiva e ragionevole per non distinguere giuridicamente le persone che avevano già iniziato a percepire la pensione e le altre che ancora lavoravano.

    59.  Pertanto questa parte del ricorso deve essere rigettata in quanto manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

    B.  Rispetto agli altri pensionati che avevano lavorato presso altri ex-istituti bancari pubblici

    60.  I ricorrenti hanno affermato di essere stati discriminati rispetto ad altri pensionati che avevano lavorato presso altri ex-istituti bancari pubblici, dato che erano state adottate delle vantaggiose disposizioni di legge che escludevano gli ex-dipendenti del Banco di Napoli (la legge Salvabanco).

    61.  La Corte ribadisce che perché sorga una questione di cui all’articolo 14 vi deve essere una differenza nel trattamento di persone in situazioni analoghe o notevolmente simili (vedi D.H. e Altri c. la Repubblica Ceca [GC], n. 57325/00, § 175, CEDU 2007, e Burden c. il Regno Unito [GC], n. 13378/05, § 60, CEDU 2008).

    62.  La Corte osserva che in base a questa doglianza, la differenza lamentata sembra essere collegata al fatto che mentre i dipendenti del Banco di Napoli avevano originariamente diritto (ma è stata loro alla fine negata) alla perequazione aziendale dal 1° gennaio 1994 al 26 luglio 1996 in conseguenza della Legge Salvabanco, altri ex-dipendenti di altri istituti bancari pubblici avevano originariamente, e hanno mantenuto, il diritto a questa prestazione dal 1° gennaio 1994 al dicembre 1997.

    63.  Sia nella misura in cui la doglianza è collegata al fatto che l’interferenza legislativa ha fatto sì che i ricorrenti – in quanto dipendenti del Banco di Napoli – ricevessero in generale un trattamento diverso da quello di altri dipendenti di enti bancari pubblici, cui non si applicavano le leggi pertinenti, sia nella misura in cui ciò riguarda la durata di questo diritto, la Corte osserva che a causa della loro storia nel sistema italiano i dipendenti del Banco di Napoli (e del Banco di Sicilia) non possono essere considerati in una situazione analoga a quella dei dipendenti di altri enti bancari pubblici.

    64.  Ne segue che questa parte della doglianza deve essere rigettata in quanto manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

    C.  Rispetto ad altri pensionati i cui procedimenti nazionali erano terminati

    65.  I ricorrenti hanno sostenuto che era sorta un’ulteriore discriminazione, tra i pensionati del Banco di Napoli i cui procedimenti nazionali erano terminati prima della modifica giurisprudenziale, e quelli che stavano ancora portando avanti il procedimento.

    66.  Si veda il paragrafo 54 supra riguardo alle deduzioni del Governo. Inoltre, il Governo ha fatto riferimento alle conclusioni della Corte nella causa Maggio e Altri c. Italia (nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, 31 maggio 2011) che riguardava circostanze simili.

    67.  La Corte ha precedentemente ritenuto che si deve ritenere che la scelta di una data di scadenza in cui trasformare i regimi di previdenza sociale ricada nell’ampio margine di apprezzamento concesso a uno Stato quando esso riforma la sua politica di strategia sociale (vedi Twizell c. il Regno Unito, n. 25379/02, § 24, 20 maggio 2008). Tuttavia, quello che deve essere considerato è se nel presente caso la data di scadenza contestata derivante dall’applicazione della Legge n. 243/04 possa essere ritenuta ragionevolmente e oggettivamente giustificata.

    68.  Mentre nel caso di specie, la giustificazione non è tanto forte quanto quella del caso Maggio invocato dal Governo, la Corte è disposta ad accettare che la Legge n. 243/04 si prefiggeva di ridurre ogni trattamento vantaggioso derivante dalla precedente applicazione delle disposizioni in vigore, che avevano garantito a persone che si trovavano nella posizione dei ricorrenti un adeguamento maggiore, vale a dire una perequazione aziendale invece di quella legale. La Corte ribadisce che quando si crea un programma di prestazioni è a volte necessario utilizzare delle date di scadenza che si applicano a ingenti gruppi di persone e che possono in qualche misura sembrare arbitrarie (vedi Twizell, succitato, § 24). Se è vero che nel caso di specie la legislazione contestata ha influito su un numero minore di persone, principalmente ottuagenari che erano stati precedentemente dipendenti del Banco di Napoli e i cui procedimenti erano ancora pendenti, la Corte ritiene che, tenendo in mente in particolare l’ampio margine di apprezzamento concesso agli Stati in questa sfera, la data di scadenza contestata può essere ritenuta ragionevolmente e oggettivamente giustificata.

    69.  Il fatto che la data di scadenza contestata derivi da una legge promulgata nelle more dei procedimenti dei ricorrenti non modifica la conclusione di cui sopra ai fini dell’analisi di cui all’articolo 14.

    70.   Ne segue che, questa parte della doglianza deve essere rigettata in quanto manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

    III. SULL’ALLEGATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CONVENZIONE

    71.  I ricorrenti hanno inoltre lamentato che tale misura costituiva un’interferenza arbitraria nei loro beni. Essi si sono basati sull’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, che nella misura in cui è pertinente recita come segue:

    “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni.

    Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e alle condizioni previste dalla legge e dai principi generali di diritto internazionale.

    Le disposizioni precedenti non ledono il diritto degli Stati di applicare quelle leggi che giudicano necessarie per disciplinare l’uso dei beni in relazione all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri tributi o ammende.”

    72.  Il Governo ha contestato questa argomentazione.

    A.  Le deduzioni delle parti

    73.  I ricorrenti hanno dedotto che la legislazione retroattiva costituiva un’espropriazione retroattiva dei loro beni, vale a dire dei diritti acquisiti che avevano maturato tredici anni prima. La situazione era paragonabile al caso Agrati e Altri c. Italia, nn. 43549/08, 6107/09 e 5087/09, 7 giugno 2011), tranne per il fatto che nel caso di specie non vi era alcun interesse pubblico.

    74.  Il Governo ha dedotto che applicare un sistema di perequazione legale invece di uno di perequazione aziendale non poteva costituire un’ingerenza illegittima nei beni di cui all’articolo 1 del Protocollo n. 1 dato che la disposizione consentiva agli Stati di eseguire le leggi che essi ritenevano necessarie per controllare l’uso dei beni in relazione all’interesse generale. Invero, secondo la giurisprudenza della Corte, anche assumendo che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 garantisca delle prestazioni alle persone che hanno contribuito a un sistema di assicurazione sociale, esso non può essere interpretato come conferente a tale persona il diritto a una pensione di un particolare importo (Kjartan Ásmundsson c. Islanda, n. 60669/00, § 39, CEDU 2004-IX). Inoltre, il Governo ha osservato che i salari dei ricorrenti erano tuttora soggetti all’adeguamento al costo della vita, che salvaguardava pertanto il loro potere di acquisto. Esso ha inoltre dedotto che il fine della legge era l’armonizzazione del sistema pensionistico, trattando tutti i pensionati allo stesso modo, e abolendo una distinzione tra quelli che erano andati in pensione prima del 31 dicembre 1990 e quelli che erano andati in pensione successivamente. Inoltre, l’onere imposto ai ricorrenti era stato limitato e proporzionato. Il Governo ha fatto riferimento alla giurisprudenza della Corte in materia, in particolare al caso di Maggio e Altri c. Italia (nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, 31 maggio 2011).

    B.  La valutazione della Corte

    1.  Principi generali

    75.  La Corte ribadisce che, in base alla sua giurisprudenza, un ricorrente può allegare la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 solo nella misura in cui le decisioni contestate riguardano i suoi “beni” secondo quanto indicato da questa disposizione. I “beni” possono essere dei “beni esistenti” o delle attività, comprese, in alcune situazioni ben definite, delle pretese. Perché una pretesa possa essere considerata “un’attività” compresa nella sfera dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, è necessario che l’attore dimostri di avere una base sufficiente nel diritto nazionale, per esempio quando vi è una giurisprudenza radicata dei tribunali che la confermano. Se ciò è stato fatto, può entrare in gioco il concetto di “aspettativa legittima” (vedi Maurice c. Francia [GC], n. 11810/03, § 63, CEDU 2005 IX).

    76.  L’articolo 1 del Protocollo n. 1 non garantisce, di per sé, alcun diritto a diventare  proprietario di un bene (vedi Van der Mussele c. Belgio, 23 novembre 1983, § 48, Serie A n. 70; Slivenko c. Lettonia (dec.) [GC], n. 48321/99, § 121, CEDU 2002-II; e Kopecký c. Slovacchia [GC], n. 44912/98, § 35 (b), CEDU 2004-IX). Né esso garantisce, di per sé, alcun diritto a una pensione di un particolare importo (vedi, per esempio, Kjartan Ásmundsson c. Islanda, n. 60669/00, § 39, CEDU 2004-IX; Domalewski c. Polonia (dec.), n. 34610/97, CEDU 1999-V; e Janković c. Croazia (dec.), n. 43440/98, CEDU 2000-X). Tuttavia, una “pretesa” relativa a una pensione può costituire un “bene” secondo quanto indicato all’articolo 1 del Protocollo n. 1 se essa ha una base sufficiente nel diritto nazionale, per esempio se è confermata da una sentenza di un tribunale definitiva (vedi Pravednaya c. Russia, n. 69529/01, §§ 37-39, 18 novembre 2004; e Bulgakova, succitato, § 31).

    77.  La Corte ribadisce che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 comprende tre distinti precetti: “il primo precetto, esposto nella prima frase del primo comma, è di natura generale ed enuncia il principio del rispetto dei beni; il secondo precetto, contenuto nella seconda frase del primo comma, comprende la privazione dei beni  e la sottopone a certe condizioni; il terzo precetto, indicato nel secondo comma, riconosce che gli Stati Contraenti hanno diritto, tra l’altro, a controllare l’uso dei beni in relazione all’interesse generale. I tre precetti non sono, tuttavia, “distinti” nel senso che non sono sconnessi. Il secondo e il terzo precetto riguardano particolari esempi di ingerenza nel diritto al rispetto dei beni e devono pertanto essere interpretati alla luce del principio generale enunciato nel primo precetto” (vedi, tra altri precedenti, James e Altri c. il Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 37, Serie A n. 98; Iatridis c.  Grecia [GC], n. 31107/96, § 55, CEDU 1999-II; e Beyeler c. Italia  [GC], n. 33202/96, § 98, CEDU 2000 I).

    78.  Una condizione essenziale di ingerenza da ritenere compatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 è che essa debba essere legittima. Inoltre, qualsiasi ingerenza da parte di un’autorità pubblica nel rispetto dei beni può essere giustificata solo serve un legittimo interesse pubblico (o generale). A causa della loro conoscenza diretta della loro società e delle sue esigenze, le autorità nazionali sono in linea di massima in una posizione migliore di un giudice internazionale per decidere quello che è “nell’interesse pubblico”. In base al sistema di protezione istituito dalla Convenzione, spetta pertanto alle autorità nazionali compiere la valutazione iniziale sull’esistenza di un problema di interesse pubblico che assicuri misure che interferiscono nel rispetto dei beni (vedi Terazzi S.r.l. c. Italia, n. 27265/95, § 85, 17 ottobre 2002, e Wieczorek c. Polonia, n. 18176/05, § 59, 8 dicembre 2009). L’articolo 1 del Protocollo n. 1 prescrive anche che qualsiasi ingerenza sia ragionevolmente proporzionata al fine che si è tentato di realizzare (vedi Jahn e Altri c. Germania [GC], nn. 46720/99, 72203/01 e 72552/01, §§ 81-94, CEDU 2005-VI). Il richiesto giusto equilibrio non sarà colpito se la persona interessata sopporta un onere individuale ed eccessivo (vedi Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, §§ 69-74, Serie A n. 52).

    79.  La riduzione o l’interruzione dell’importo di una prestazione, può costituire un’ingerenza nei beni che deve essere giustificata (vedi Kjartan Ásmundsson, succitato, § 40, e Rasmussen c. Polonia, n. 38886/05, § 71, 28 aprile 2009).

    2.  L’applicazione al caso di specie

    80.  La Corte osserva per prima cosa che il caso di specie tratta gli adeguamenti pensionistici e non quelli salariali derivanti da un rapporto contrattuale come il caso di Agrati e Altri citato dai ricorrenti. Tuttavia, la Corte non ritiene necessario decidere se i ricorrenti possedevano un bene secondo quanto indicato all’articolo 1 del Protocollo n. 1, dato che in ogni caso, essa ritiene che non vi sia stata alcuna violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione per i motivi che seguono.

    81.  La Corte ha precedentemente riconosciuto che delle leggi con effetto retroattivo che sono state dichiarate un’interferenza legislativa erano comunque conformi al requisito di legittimità di cui all’articolo 1 del Protocollo n. 1(vedi, per esempio, Maggio e Altri c. Italia, nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, § 60, 31 maggio 2011). Essa non trova alcuna ragione per pensarla diversamente nel caso di specie. Ribadendo che, a causa della loro conoscenza diretta della loro società e delle sue esigenze, le autorità nazionali si trovano in linea di massima in una posizione migliore di un giudice internazionale per decidere che cosa sia “nell’interesse pubblico”, la Corte accetta che la promulgazione della Legge n. 243/04 ha perseguito l’interesse pubblico (l’armonizzazione del sistema pensionistico trattando tutti i pensionati allo stesso modo).

    82. Nel valutare se l’interferenza abbia imposto un onere individuale eccessivo ai ricorrenti, la Corte considera il particolare contesto in cui sorge la questione del caso di specie, vale a dire quello di un programma di previdenza sociale. Tali programmi sono l’espressione della solidarietà di una società nei confronti dei suoi membri vulnerabili (vedi, mutatis mutandis, Goudswaard-Van der Lans c. i Paesi Bassi, (dec.), n. 75255/01, CEDU 2005-XI). La Corte osserva, tuttavia, che la Legge n. 243/04 non ha colpito la pensione di base dei ricorrenti, e in base alle leggi in vigore la loro pensione doveva essere ulteriormente aumentata negli anni secondo una perequazione legale. Conseguentemente, i ricorrenti hanno perso unicamente l’aumento più vantaggioso in base a una perequazione aziendale. La Corte ritiene, pertanto, che i ricorrenti fossero obbligati a sopportare una riduzione ragionevole e commisurata, invece della privazione totale dei loro diritti (vedi, al contrario, Kjartan Ásmundsson, succitato § 45).

    83.  Conseguentemente, la misura in questione non ha intaccato l’essenza dei diritti pensionistici dei ricorrenti. Inoltre, tale riduzione aveva solo l’effetto di perequare uno stato di cose ed evitare vantaggi ingiustificati (derivanti dal fatto che i dipendenti del Banco di Napoli avevano avuto precedentemente un trattamento più vantaggioso) per i ricorrenti e per altre persone che si trovavano nella loro situazione. Sullo sfondo di questo contesto, rammentando l’ampio margine di apprezzamento dello Stato nel regolamentare il sistema pensionistico e il fatto che i ricorrenti hanno sopportato delle riduzioni commisurate, la Corte ritiene che i ricorrenti non abbiano sopportato un onere individuale ed eccessivo.

    84.  Segue che, anche assumendo che la disposizione sia applicabile, la doglianza è manifestamente infondata e deve essere rigettata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

    IV.  L’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

    85.  L’articolo 41 della Convenzione prevede:

    “Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte Contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte offesa.”

    A.  Danno

    86.  I ricorrenti hanno chiesto il pagamento differenziale che avrebbero percepito se non fossero stati soggetti alla Legge n. 243/04, fino al 2010, oltre a un conteggio ipotetico per gli anni a venire in base alle statistiche ufficiali in materia di aspettativa di vita e rammentando che le pensioni sono trasferite al coniuge superstite, dopo il decesso, nella percentuale del 60% dell’importo originario. Essi hanno pertanto richiesto le seguenti somme: il Sig. Arras (EUR) euro 31.395,14, la Sig.ra Dede EUR 3.443,16, il Sig. Dessi EUR 8.599.25 e il Sig. Zizi EUR 174.822.19 in relazione al danno patrimoniale. I ricorrenti hanno anche chiesto il danno morale per un importo che deve essere precisato dalla Corte.

    87.  Il Governo non ha presentato osservazioni in proposito.

    88.  La Corte osserva che nel caso di specie il riconoscimento di un’equa soddisfazione può essere basato solo sul fatto che i ricorrenti non hanno beneficiato delle garanzie di cui all’articolo 6 relative all’equità del procedimento. Sebbene la Corte non possa fare ipotesi su quello che sarebbe stato il risultato del processo se la situazione fosse stata diversa, essa non ritiene irragionevole ritenere che i ricorrenti abbiano subito la perdita di reali opportunità (vedi Zielinski, succitato, § 79 e  SCM Scanner de l’Ouest Lyonnais e Altri c. Francia, n. 12106/03, § 38, 21 giugno 2007). A ciò si deve aggiungere il danno morale, che la dichiarazione di una violazione in questa sentenza non è sufficiente a riparare. Valutando su base equitativa come previsto dall’articolo 41, la Corte accorda EUR 9.000 al Sig. Arras, EUR 5.500 alla Sig.ra Dede, EUR 6.000 al Sig. Dessi ed EUR 30.000 al Sig. Zizi per tutte le voci relative ai danni messe insieme.

    B.  Spese

    89.  I ricorrenti hanno anche chiesto EUR 41.043.51 oltre a ogni imposta in base a questa voce, vale a dire EUR 24.376.96 per le spese sostenute davanti ai tribunali nazionali ed EUR  16.666.55 per quelle sostenute davanti alla Corte, oltre a tutti gli importi dovuti a titolo di imposta.

    90.  Il Governo non ha presentato osservazioni a questo proposito.

    91.  In base alla giurisprudenza della Corte, un ricorrente ha diritto al rimborso delle spese solo nella misura in cui è dimostrato che queste sono state sostenute effettivamente e necessariamente e che sono ragionevoli nel quantum. Nel caso di specie, visti i documenti di cui è in possesso  e i criteri di cui sopra, insieme al fatto che i tribunali nazionali hanno attribuito ai ricorrenti solo la metà delle spese e che la Corte ha riscontrato una violazione dell’articolo 6, essa ritiene ragionevole accordare la somma di EUR 19.000 che copre tutte le voci relative alle spese.

    C.  Interessi moratori

    92.  La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di rifinanziamento marginale della Banca Centrale Europea, maggiorato di tre punti percentuali.

    PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE ALL’UNANIMITÀ 

    1. Dichiara ricevibile la doglianza di cui all’articolo 6 § 1 e irricevibile il resto del ricorso.
    2. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
    3. Ritiene
      1. che lo Stato convenuto debba versare ai ricorrenti, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui questa sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, i seguenti importi:
        1. EUR 9.000 (novemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, agli eredi del Sig. Arras, congiuntamente, in relazione al danno patrimoniale e morale;
        2. EUR 5.500 (cinquemila e cinquecento euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta , alla Sig.ra Dede, in relazione al danno patrimoniale e morale;
        3. EUR 6.000 (seimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta agli eredi del Sig. Dessi, congiuntamente, in relazione al danno patrimoniale e morale;
        4. EUR 30.000 (trentamila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, al Sig. Zizi, in relazione al danno patrimoniale e morale;
        5. EUR 19.000 (diciannovemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, ai ricorrenti, congiuntamente, a titolo di spese;
      2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso pari a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
    4. Rigetta il resto della richiesta di equa soddisfazione dei ricorrenti.

    Fatto in inglese, e notificato per iscritto il 14 febbraio 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.


    Françoise Tulkens
    Presidente

    Stanley Naismith
    Cancelliere