Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 24 gennaio 2012 - Ricorso n.11838/07 e n.12302/07 - Laura Torri e altri e Bucciarelli c. Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, eseguita da Daniela Riga, funzionario linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
DECISIONE
SULLA RICEVIBILITÀ
del ricorso n. 11838/07 e n. 12302/07
presentato da Laura TORRI e altri e BUCCIARELLI contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 24 gennaio 2012 in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Dragoljub Popović,
Isabelle Berro-Lefèvre,
András Sajó,
Guido Raimondi,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Visti i ricorsi sopra menzionati, presentati rispettivamente il 12 marzo 2007 ed il 15 marzo 2007,
Viste le osservazioni sottoposte dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dai ricorrenti,
Dopo aver deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

1.I ricorrenti, sigg. Laura Torri, Patrizia Tomage, Carlo Caino Rosa, Piera Albanese, Roberto Iodice, Andrea Camera, Loredana Pappada, Antonino Casciolo e Carmine Bucchiarelli, sono cittadini italiani che vivono a Roma (si veda allegato per le date di nascita). Sono stati rappresentati dinanzi alla Corte dall’avv. M. de Stefano, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo coagente, Paola Accardo.

A. Le circostanze del caso di specie

2. I fatti della causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

1. Contesto della causa

3. I ricorrenti, in qualità di lavoratori della AGENSUD (Agenzia per la promozione dello sviluppo nel Mezzogiorno) avevano, alla data del 12 ottobre 1993, maturato un certo periodo di servizio ed avevano versato contributi finalizzati alle loro pensioni di anzianità all’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale), il principale ente previdenziale italiano. Pertanto, secondo la normativa vigente all’epoca dei fatti, alla data del 12 ottobre 1993, anche nell’ipotesi che in futuro avessero perso il lavoro, tutti i ricorrenti avevano già maturato gli anni di contributi necessari per ottenere la pensione di anzianità al raggiungimento dell’età pensionabile (sessanta anni per gli uomini e cinquantacinque per le donne) (si veda tabella allegata).

4. La AGENSUD, che in precedenza era denominata Cassa per il Mezzogiorno (Cassa), era un ente pubblico avente personalità giuridica propria. Dunque, secondo quanto da loro allegato, alla data del 12 ottobre 1993, i ricorrenti erano dipendenti pubblici e tutte le tutele di cui godeva questa categoria erano loro applicabili, compreso l’Articolo 29 della Legge n. 646 del 10 agosto 1950 (Legge n. 646/50) (la legge che aveva istituito la Cassa), che prevedeva che, alla data di cessazione della Cassa o della sua soppressione, tutti i diritti ed i doveri di quest’ultima sarebbero stati trasferiti allo Stato.

5. Con la Legge n. 488 del 19 Dicembre 1992 (Legge n. 488/92) la AGENSUD venne soppressa. Tuttavia il rapporto di lavoro tra datore di lavoro e lavoratore con i relativi diritti e doveri non venne trasferito allo Stato come previsto. Al contrario, tale rapporto di lavoro, cessò di avere effetto ed i lavoratori acquisirono il diritto al “trattamento di fine rapporto” (TFR). Venne loro data inoltre l’opzione di transitare nei ruoli di altre amministrazioni pubbliche. Il nuovo lavoro, tuttavia, prevedeva stipendi inferiori rispetto a quelli percepiti in precedenza, in contrasto, secondo i ricorrenti, con principi consolidati in materia di pubblico impiego (Decreto Presidenziale n. 3 del 10 gennaio 1997 – si veda normativa interna pertinente). Il Governo rilevò che tali stipendi corrispondevano a quelli spettanti ai lavoratori della Pubblica Amministrazione con qualifiche di pari grado.

6. Nel 1995, i ricorrenti vennero infine inseriti nei ruoli del Ministero delle Foreste e delle Politiche Agricole (il Ministero) con effetto retroattivo a far data dal 13 Ottobre 1993. Avevano, quindi, scelto di rimanere in servizio con retribuzioni inferiori, accettando le implicazioni inerenti alle loro pensioni e alla copertura previdenziale, rispetto ai contributi da versare nel corso di questo nuovo rapporto di lavoro.

7. All’epoca dei fatti, la normativa (articolo 14 bis della Legge n. 96/1993) prevedeva due opzioni, una delle quali (di seguito chiamata ricongiungimento) prevedeva che i contributi precedentemente versati dai ricorrenti, vale a dire dalla AGENSUD all’INPS, fossero ricongiunti con quelli che sarebbero stati versati successivamente dal Ministero ad un diverso ente previdenziale, vale a dire l’INPDAP (Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica).

8. Secondo i ricorrenti, in virtù dell’articolo 14 bis comma 1 (b) della Legge n. 96/1993, ogni beneficio acquisito sarebbe dovuto rimanere inviolato e la modifica del sistema sarebbe dovuta avvenire senza alcun esborso o perdita da parte loro. I ricorrenti accettarono quindi la nuova offerta di lavoro ed il ricongiungimento dei loro contributi, credendo che, ai sensi della giurisprudenza vigente all’epoca dei fatti (si veda titolo C infra), tutti i versamenti eccedenti che non confluissero nel computo delle loro pensioni sarebbero stati restituiti loro.

9. Invero, all’epoca dei fatti, il sistema del ricongiungimento prevedeva che solo parte dei precedenti contributi (versati all’INPS) venisse usata per il computo delle pensioni. Tuttavia, alla fine risultò che ogni contributo eccedente sarebbe andato a beneficio dell’INPDAP e non sarebbe stato restituito né all’INPS né ai ricorrenti. Ne conseguì che anche la futura pensione non avrebbe beneficiato della totalità dei contributi versati. Quindi, con questo passaggio i ricorrenti avevano subito due danni: in primo luogo, le loro future pensioni sarebbero state inferiori e, in secondo luogo, una buona parte dei contributi già versati sarebbero andati persi.

10.Di conseguenza, il legislatore previde una deroga (articolo 14 bis comma 4) applicabile ad un limitato numero di lavoratori della AGENSUD, vale a dire al personale che aveva lasciato la pubblica amministrazione dopo il 13 ottobre 1993 e prima dell’entrata in vigore dell’articolo 14 bis comma 1 (b) della Legge n.. 96/1993. La deroga prevedeva la restituzione dei contributi versati che non fossero stati computati al fine del ricongiungimento dei periodi di previdenza sociale. I ricorrenti non rientrarono in tale categoria.

11. Al principio, la pubblica amministrazione pagò tutti i lavoratori della AGENSUD, indistintamente, sia spontaneamente sia a seguito di un certo numero di cause risoltesi favorevolmente nei tribunali di primo grado. Tuttavia, alla fine, la pubblica amministrazione limitò tali pagamenti alle persone che avevano lasciato la pubblica amministrazione dopo il 13 ottobre 1993 e prima dell’entrata in vigore dell’articolo 14 bis comma 1 (b) della Legge n. 96/1993, escludendo in questo modo i ricorrenti, che avevano accettato di transitare nei nuovi ruoli e consentito al ricongiungimento dei loro contributi in un solo ente.

12. Nel 1995 il sistema previdenziale italiano introdusse un nuovo computo della pensione, vale a dire il Sistema Contributivo (computo della pensione con riferimento ai contributi versati nell’arco della vita lavorativa e fattori di rivalutazione) al posto del Sistema Retributivo (basato sugli stipendi percepiti dai lavoratori nei loro ultimi anni di servizio). La modifica del sistema è stata graduale e mentre per i giovani lavoratori il sistema è obbligatorio, per i più anziani è solamente opzionale.

2. I procedimenti interni dei ricorrenti

13.Nel 2000 i ricorrenti intentarono una causa per l’accertamento del loro diritto alla restituzione dei contributi versati all’INPS e non utili a pensione. Sostenevano che se l’articolo 14 bis veniva interpretato nel senso di non prevedere il diritto ad ottenere la restituzione dei loro contributi, tale interpretazione sarebbe stata discriminatoria, nei confronti sia a) degli altri lavoratori della AGENSUD e/o b) di tutti gli altri lavoratori che erano stati trasferiti in precedenza e che avevano avuto il rimborso dei contributi eccedenti. I ricorrenti richiesero il rimborso dei relativi importi.

14.Con sentenza del 21 agosto 2001, il Tribunale Amministrativo del Lazio (TAR) dichiarò il ricorso inammissibile per motivi formali e procedurali.

15.In appello, con sentenza pronunciata il 15 settembre 2006 in Adunanza Plenaria, il Consiglio di Stato respinse le richieste nel merito. Ritenne che i contributi che erano stati versati all’INPS ma non utili a pensione potessero essere fondatamente assegnati all’INPDAP. Infatti, nel contesto di un sistema previdenziale basato sul principio di solidarietà, il fatto che i benefici sociali non rispecchiassero i versamenti effettuati non equivaleva ad un ingiusto arricchimento dell’ente che aveva ricevuto i contributi. Inoltre, la restituzione dei contributi era una misura eccezionale, non regolamentata da norme uniformi ed applicabile solamente ad una determinate categoria di persone. Di conseguenza, in assenza di norme specifiche a tale fine, i ricorrenti non avevano il diritto al rimborso dei contributi versati in eccedenza. Per di più, i ricorrenti avevano volontariamente accettato di transitare nei ruoli di un’altra amministrazione pubblica e avevano richiesto il ricongiungimento dei loro periodi contributivi.

3. Altri procedimenti interni rilevanti

16.Nel 1992 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato aveva ritenuto che fosse possibile rimborsare l’eccedenza dei contributi ai dipendenti pubblici. La stessa decisione venne nuovamente ribadita nel 1997 in casi analoghi relativi alla soppressione degli enti mutualistici, i cui dipendenti erano stati trasferiti nei ruoli di altre pubbliche amministrazioni.

17. Successivamente, numerosi ex lavoratori della AGENSUD intentarono cause in tribunale allegando retribuzioni e tutele sociali inferiori. Con la sentenza del 19 giugno 1998 la Corte Costituzionale ritenne che le persone che si trovavano nella posizione dei ricorrenti avessero acquisito una nuova posizione uguale a quella dei loro colleghi. Pertanto, visto che era stata data loro l’opzione di andare in pensione e mantenere il vecchio regime previdenziale, o di rimanere in servizio e ricongiungere i contributi in un unico ente (a spese dello Stato e per alcune persone con il recupero di tali contributi), il sistema era conforme ai principi costituzionali.

18. Di nuovo, in relazione ai lavoratori della AGENSUD, il Consiglio di Stato, con un parere del 30 giugno 1999 pronunciato nell’ambito delle sue competenze consultive, si era espresso a favore del rimborso a tutti i lavoratori della AGENSUD, compresi coloro che si trovavano nella situazione dei ricorrenti. Sulla stessa linea, vennero pronunciate un certo numero di decisioni di primo grado, alcune delle quali erano diventate irrevocabili (per esempio, Antognoni Alberto c. il Ministero dei trasporti e delle infrastrutture, INPS and INPDAP, sentenza del Tribunale Amministrativo del Lazio del 9 ottobre 2002 e D’Agostino Caterina c. Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’Economia e delle Finanze, INPS and INPDAP sentenza del Tribunale Amministrativo del Lazio del 6 aprile 2004). Fu solo il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria che nella causa interna dei ricorrenti ribaltò nel 2006 tale giurisprudenza.

B.  Il diritto e la prassi interni pertinenti

1. La normative in vigore fino al 31 dicembre 1992

19. Ai sensi della normativa in vigore fino al 31 dicembre 1992, il diritto di ricevere una pensione di anzianità al raggiungimento dell’età pensionabile, vale a dire a sessanta anni per gli uomini e a cinquantacinque per le donne, si maturava dopo quindici anni di versamenti di contributi previdenziali. Tra il 1 gennaio 1993 e il  31 dicembre 1993, erano necessari sedici anni di contributi previdenziali per ottenere il citato beneficio. Questo sistema era applicabile anche nel caso in cui il lavoratore fosse rimasto senza lavoro fino alla data del raggiungimento dell’età pensionabile. Tra il 1 gennaio 1994 ed il 31 dicembre 1994, erano necessari sedici anni di contributi previdenziali per ottenere il citato beneficio; tuttavia, l’età pensionabile venne aumentata a sessantuno anni per gli uomini e a cinquantasei per le donne. Tra il 1 gennaio 1995 e il  31 dicembre 1995, erano necessari diciassette anni di contributi previdenziali per ottenere il citato beneficio al momento del raggiungimento dell’età pensionabile, che rimaneva di sessantuno anni per gli uomini e di cinquantasei per le donne.

2. Altri articoli pertinenti

20.L’articolo 29 della Legge n. 646/50, nelle sue parti pertinenti, recita quanto segue:

“Alla data di cessazione della Cassa o in caso di scioglimento, i diritti e le obbligazioni della medesima sono trasferiti allo Stato.”

21.L’articolo 202 del D.P.R. n. 3 del 10 gennaio 1997, prevede quanto segue:

“Nel caso di passaggi di carriera presso la stessa o diversa amministrazione, agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza tra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche se semplicemente economica.”

22.L’articolo 14 bis comma 1 (b) della Legge n. 96/1993 prevedeva che l’articolo 6 della Legge n. 29 del 1979 fosse applicabile ai lavoratori che si trovavano nella posizione dei ricorrenti ai fini della copertura previdenziale. Quest’ultimo recita quanto segue:

“La ricongiunzione dei periodi assicurativi connessi al servizio prestato presso enti pubblici, dei quali la legge abbia disposto o disponga la soppressione ed il trasferimento del personale ad altri enti pubblici, avviene d'ufficio presso la gestione previdenziale dell'ente di destinazione e senza oneri a carico dei lavoratori interessati.


MOTIVI DI RICORSO

23. I ricorrenti lamentavano di aver subito la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione in quanto erano stati costretti ad accettare una retribuzione inferiore ed in quanto, a seguito di una interferenza legislativa (in contrasto con l’articolo 6) con i benefici contributivi che avevano già acquisito in virtù della normativa precedente, avevano perso importi considerevoli dei contributi che avevano versato. Invocavano inoltre l’articolo 14 in combinato con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione affermando di aver subito un trattamento discriminatorio nei confronti i) dei lavoratori della AGENSUD a cui l’INPDAP aveva restituito spontaneamente i contributi che avevano versato sulla base della giurisprudenza vigente all’epoca dei fatti; ii) dei lavoratori della AGENSUD che avevano mantenuto la loro precedente posizione previdenziale; iii) di tutti gli altri lavoratori che potevano optare per sistemi di ricongiungimento secondo un computo a loro scelta oppure potevano richiedere la totalizzazione dei loro contributi o ricevere un pagamento pro rata delle loro pensioni da diverse gestioni previdenziali; iv) di tutti gli altri lavoratori, che, a seguito della modifica del sistema previdenziale italiano avevano beneficiato del sistema contributivo.

IN DIRITTO

24. Ai sensi dell’articolo 42 § 1 del regolamento della Corte, la Corte decide di riunire i ricorsi, visto il comune contesto fattuale e legale.

A. Sulla dedotta violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione

25.  I ricorrenti lamentavano di aver subito una violazione del loro diritto di proprietà sia in quanto erano stati costretti ad accettare retribuzioni inferiori sia in quanto, a seguito all’interferenza legislative (in contrasto con l’articolo 6) con i benefici contributivi che avevano già acquisito in virtù della normativa precedente, avevano perso importi considerevoli dei contributi che avevano già versato. Invocavano l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, che recita quanto segue:

“«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

1. Le osservazioni delle parti

a) Le osservazioni dei ricorrenti

26. I ricorrenti lamentavano che il loro passaggio al nuovo datore di lavoro aveva comportato stipendi inferiori a quelli che percepivano alla AGENSUD, e da questo conseguiva che in futuro le loro pensioni sarebbero state inferiori. I ricorrenti affermavano che sebbene nel 1993 non avevano ancora raggiunto l’età pensionabile, per quella data avevano comunque maturato i 16 anni di servizio richiesti per beneficiare della pensione di anzianità (si veda allegato), e che altri tipi di pensione richiedevano persino un numero inferiore di anni di versamenti. Analogamente, nel caso in cui i ricorrenti si fossero trasferiti in un altro paese, le loro pensioni sarebbero state computate sulla base dell’ammontare dei contributi versati all’INPS. Pertanto, all’epoca dei fatti, i ricorrenti avevano già acquisito il diritto alla pensione, alla sola condizione del raggiungimento dell’età pensionabile o ad ogni altra condizione stabilita dal relativo regime pensionistico. Questo costituiva un’aspettativa legittima che si poteva intendere come un bene ai fini dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.

27. I ricorrenti ritenevano che le pensioni fossero dovute loro in base al calcolo del numero dei mesi e dell’ammontare dei contributi versati, di conseguenza non potevano immaginare che avrebbero perso i vantaggi connessi ai contributi che avevano già versato. Quindi, lamentavano che la successiva perdita dei contributi che avevano versato, per gli importi di cui all'allegato, non era prevedibile per i seguenti motivi: i) Legge n. 646/50 (si veda paragrafo 20 supra) ed articolo 14 bis comma 1 (b) della Legge n. 96/1993 (si veda paragrafo 22 supra); quest’ultimo, più in particolare le parole “senza oneri a carico dei lavoratori interessati”, a giudizio dei ricorrenti, significava che i lavoratori non dovevano subire nessuna perdita, neppure la perdita dei contributi che erano stati trattenuti dall’INPDAP, vale a dire fondi pubblici; ii) la restituzione di tali contributi da parte dell’INPDAP a lavoratori nella posizione dei ricorrenti era stata confermata da consolidata giurisprudenza fino al 2006; tale modifica nella giurisprudenza non poteva essere prevedibile all’epoca dei fatti.

28. Secondo i ricorrenti, il fine di ogni modifica ai regime previdenziali dovrebbe essere quello di aumentare i relative benefici e non il contrario.

b) Le osservazioni del Governo

29. Il Governo riteneva che pur ammettendo che vi fosse un bene, non era stata violata  alcuna norma visto che il precedente contratto di lavoro dei ricorrenti si era concluso e che i ricorrenti avevano accettato un nuovo contratto di lavoro. Il rapporto di lavoro che i ricorrenti avevano con la AGENSUD era cessato quando quest’ultima era stata soppressa. Ai ricorrenti era allora stata data l’opportunità di accettare un nuovo impiego a fronte della perdita di lavoro che si era prodotta. Anche se era vero che i nuovi stipendi erano inferiori, tale riduzione era giustificata. Infatti, mantenere i precedenti stipendi avrebbe significato conferire ai ricorrenti una posizione privilegiata, visto che avrebbero guadagnato più dei loro nuovi colleghi del Ministero che percepivano il regolare stipendio della pubblica amministrazione. Inoltre, i ricorrenti avevano avuto la possibilità di scegliere liberamente se transitare nei ruoli del Ministero. In alternativa avrebbero potuto smettere di lavorare e tutelare sia il TFR che i contributi che avevano versato ai fini pensionistici.

30. Il governo riteneva che, in primo luogo e cosa più importante, i ricorrenti stessi avevano scelto di accettare il regime del ricongiungimento, cosa che, effettivamente, determinava la perdita di una certa parte dei contributi che avevano versato. In secondo luogo, osservava che le prestazioni previdenziali non erano regolamentate dalla legislazione privata (contrattuale). Il versamento dei contributi era effettuato in virtù del principio di solidarietà, e non era obbligatorio ricevere sotto forma di pensione o di altri benefici previdenziali tutto ciò che era stato versato da un lavoratore o da un datore di lavoro.

31. Il governo rilevava che l’INPS e l’INPDAP avevano diversi sistemi contributivi che spiegavano il motivo per cui certi contributi non potevano essere trasferiti da una gestione all’altra. Nel caso in esame riteneva che rientrasse nel margine di discrezionalità di uno Stato la decisione sulla restituzione o meno ai ricorrenti dei contributi inutilizzati. Invero, tenendo presente il fine legittimo sopra menzionato, il fatto che i contributi inutilizzati rimanessero presso l’ente previdenziale che poteva usarli per fornire altri servizi previdenziali, non poteva costituire una violazione della disposizione invocata. Il Governo ribadiva che lo Stato aveva un ampio margine di discrezionalità nella regolamentazione dei regimi pensionistici e faceva riferimento alla causa Maggio e altri c. Italia (nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, 31 maggio 2011).

2. La valutazione della Corte

32. La Corte ribadisce che, ai sensi della propria giurisprudenza, un ricorrente può sostenere che vi è stata una violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 solo nel caso in cui le decisioni impugnate riguardano i suoi “beni” così come inteso da tale disposizione. I “beni” possono essere “beni esistenti” o beni patrimoniali, ivi compresi, in determinate situazioni ben definite, le pretese patrimoniali. Perché una pretesa patrimoniale possa essere considerato un “bene patrimoniale” che rientra nell’ambito dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, la persona che avanza la pretesa deve dimostrare che la sua richiesta ha un fondamento sufficiente nella normativa interna, per esempio, l’esistenza di giurisprudenza consolidata dei tribunali nazionali che lo conferma. Dove ciò è stato dimostrato, può entrare in gioco il concetto di “aspettativa legittima” (si veda Maurice c. Francia [GC], n. 11810/03, § 63, CEDU 2005-IX). Una “pretesa patrimoniale” relativa ad una pensione può costituire un “bene”, così come inteso dall’articolo 1 del Protocollo n. 1, dove esiste un fondamento sufficiente nella legislazione interna, per esempio nel caso in cui è confermata da una sentenza irrevocabile (vd Pravednaya c. Russia, n. 69529/01, §§ 37-39, 18 novembre 2004; e Bulgakova, sopra citato, § 31).

33. Tuttavia, l’articolo 1 del Protocollo n. 1 non garantisce in quanto tale alcun diritto a diventare il proprietario di un bene (si veda Van der Mussele c. Belgio, 23 novembre 1983, § 48, Serie A n. 70; Slivenko v. Latvia (dec.) [GC], n. 48321/99, § 121, CEDU 2002-II; e Kopecký c. Slovacchia [GC], n. 44912/98, § 35 (b), CEDU 2004-IX). Né garantisce, in quanto tale, alcun diritto ad una pensione di un determinato importo (si veda, ad esempio, Kjartan Ásmundsson c. Islanda, n. 60669/00, § 39, CEDU 2004-IX; Domalewski c. Polonia (dec.), n. 34610/97, CEDU 1999-V; e Janković c. Croazia (dec.), n. 43440/98, CEDU 2000-X). Nonostante ciò, è stato riconosciuto che il versamento di contributi ad un fondo pensionistico, può, in talune circostanze, creare un diritto di proprietà e che tale diritto può essere pregiudicato dal modo in cui il fondo è amministrato (si veda Skorkiewicz c. Polonia (dec.), n. 39860/98, 1 giugno 1999). Nella valutazione relativa a questa disposizione, è necessario considerare se il diritto del ricorrente a beneficiare del regime di previdenza sociale in questione è stato violato tanto da aver pregiudicato la sostanzialità del diritto alla pensione (si veda Domalewski c. Polonia (dec.), n. 34610/97, CEDU 1999-V e Kjartan Ásmundsson, sopra citata, § 39). Pertanto, il nuovo computo della pensione di un lavoratore e la sua eventuale riduzione possono o meno violare l’articolo 1 del Protocollo n. 1 (si veda Skorkiewicz, (dec.), succitato). Nel caso in cui l’importo del beneficio è ridotto o sospeso, ciò può costituire un’ingerenza nei beni che richiede di essere giustificata (si veda Kjartan Ásmundsson, sopra citata, § 40, e Rasmussen c. Polonia, no. 38886/05, §71, 28 aprile 2009).

34. La Corte ribadisce che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 comprende tre diverse norme: “la prima norma, enunciata nella prima frase del primo comma, è di natura generale ed enuncia il principio del diritto al rispetto dei propri beni; la seconda norma, contenuta nella seconda frase del primo comma, riguarda la privazione della proprietà e la sottopone a determinate condizioni; la terza norma, enunciata nel secondo comma, riconosce agli Stati Contraenti il diritto, tra le altre cose, di disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale. Le tre norme, non sono, tuttavia, “distinte” nel senso di essere svincolate. La seconda e la terza norma si occupano di casi particolari di ingerenza nel diritto al rispetto dei beni, e dovrebbero pertanto essere interpretate alla luce del principio generale enunciato nella prima norma” (si veda, tra le altre, James e altri c. il Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 37, Serie A n. 98; Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 55, CEDU 1999-II; e Beyeler c. Italia [GC], n. 33202/96, § 98, CEDU 2000-I).

35. Una condizione essenziale perché l’ingerenza sia ritenuta compatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 è che deve essere legittima. Ogni ingerenza da parte di un’autorità pubblica nel diritto al rispetto dei beni può essere giustificata solamente se è al servizio di un interesse legittimo pubblico (o generale). A causa della loro diretta conoscenza della società e dei suoi bisogni, le autorità nazionali sono, in linea di principio, in una posizione migliore del giudice internazionale per decidere cosa sia “nell’interesse pubblico”. In virtù di questo sistema di garanzie stabilito dalla Convenzione, spetta pertanto alle autorità nazionali compiere la valutazione iniziale sull’esistenza di un problema di interesse pubblico che porta all’emissione di misure che ingeriscono nel diritto al rispetto dei beni (si veda Terazzi S.r.l. c. Italia, n. 27265/95, § 85, 17 ottobre 2002, e Wieczorek c. Polonia, n. 18176/05, § 59, 8 dicembre 2009). L’articolo 1 del Protocollo n. 1 richiede inoltre che ogni ingerenza sia ragionevolmente proporzionata allo scopo perseguito (si veda Jahn e altri c. Germania [GC], nn. 46720/99, 72203/01 e 72552/01, §§ 81-94, CEDU 2005-VI). Il requisito del giusto equilibrio non sarà soddisfatto laddove sulla persona interessata viene posto un onere individuale ed eccessivo (si veda Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, §§ 69-74, Serie A n. 52).

a) Da stipendi inferiori conseguono pensioni inferiori

36. Il primo motivo di ricorso dei ricorrenti in virtù di questa disposizione, è il fatto che essi sono stati obbligati ad accettare nuovi impieghi che prevedevano retribuzioni inferiori e che pertanto in futuro avrebbero comportato pensioni inferiori.

37. La Corte ribadisce che la Convenzione non garantisce il diritto al lavoro (si veda Sobczyk c. Polonia, nn. 25693/94 e 27387/95, (dec.), 10 febbraio 2000; e Dragan Cakalic c Croazia, (dec.), 15 settembre 2003). Né garantisce, in quanto tale, alcun diritto ad una pensione di un particolare importo (si veda ad esempio, Kjartan Ásmundsson, sopra citata § 39). Inoltre, la Corte osserva che i ricorrenti non sono stati obbligati ad accettare un nuovo impiego, ma hanno volontariamente scelto di accettare l’offerta fatta dallo Stato, che era volta a ridurre il tasso di disoccupazione successivo alla soppressione della AGENSUD. Pertanto, i ricorrenti, nel caso in esame, hanno liberamente aderito ad un nuovo accordo contrattuale. La Corte, inoltre, osserva che i ricorrenti non si erano lamentati per le modifiche del regime degli stipendi all’interno del Ministero, successive alla loro presa di servizio. Pertanto, all’epoca dei fatti, i ricorrenti erano pienamente consapevoli del significato legale del contratto di lavoro che stavano firmando ed in particolare delle ripercussioni che questo avrebbe avuto sulle loro pensioni. In questa ottica i ricorrenti non potevano far valere tale circostanza nei confronti delle autorità (si veda, mutatis mutandis, Allan Jacobsson c. Svezia (n. 1), 25 ottobre 1989, § 60-62, Serie A n. 163; Fredin c. Svezia (n. 1), 18 febbraio 1991, § 54, Serie A n. 192, e Lacz c Polonia, (dec.), n. 22665/02, 23 giugno 2009).

38. Ne consegue che, pur ammettendo che la norma sia applicabile, in virtù delle disposizioni della Convenzione, il motivo di ricorso è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 e deve essere respinto ai sensi dell’articolo 35 § 4.

b) La perdita dei contribute versati

39. I ricorrenti lamentano inoltre, la perdita di importi considerevoli di contributi che avevano versato come conseguenza della interferenza legislativa (in contrasto con l’articolo 6) con i benefici contributivi già da loro acquisiti in virtù della precedente normativa.

40. La Corte inizia osservando che non vi è stata alcuna ingerenza legislativa nella forma della promulgazione di leggi nel periodo 2000-2006 durante il quale si stavano svolgendo i procedimenti dei ricorrenti. Pertanto, il motivo di ricorso da loro dedotto su tale argomento è formulato in modo errato.

41. Per quanto riguarda il motivo di ricorso relativo all’interpretazione della legislazione o della prassi da parte del tribunale nazionale nella causa dei ricorrenti (vale a dire, relativo all’articolo 14 bis), la Corte osserva che al contrario di quanto accade in Beian c. Romania ((n. 1), n. 30658/05, CEDU 2007-XIII (estratti)) la presente causa non tratta di approcci divergenti da parte della Corte Suprema che potrebbero creare incertezza giurisprudenziale privando i ricorrenti dei benefici derivanti dalla legge. E’ vero che, nel caso in esame, la giurisprudenza agli effetti della restituzione agli ex lavoratori della AGENSUD dei contributi pagati in eccedenza all’INPS che non fossero trasferiti all’INPDAP appariva consolidata. Tuttavia, il più alto tribunale amministrativo, vale a dire il Consiglio di Stato, si pronunciò diversamente nella causa dei ricorrenti e quindi in contrasto con la giurisprudenza consolidata in cause simili ed identiche, determinando un mutamento di giurisprudenza.

42. La Corte ribadisce che spetta principalmente ai tribunali nazionali l’interpretazione e l’applicazione della legislazione nazionale (Worm c. Austria, 29 agosto1997, § 38, Reports of Judgments and Decisions 1997-V). In primo luogo, la Corte osserva che non vi sono indicazioni di alcuna arbitrarietà nell’applicazione della normativa nazionale alla causa dei ricorrenti da parte dei tribunali interni tale da sollevare un problema di osservanza della Convenzione La legge aveva stabilito chiaramente che il rimborso dei contributi fosse applicabile solamente a determinate categorie di persone, che non comprendevano i ricorrenti (si veda paragrafo 10 supra). Inoltre, la Corte ribadisce che, come sostenuto in S.S. Balıklıçeşme Beldesi Tarım Kalkınma Kooperatifi e altri c. Turchia (nn. 3573/05, 3617/05, 9667/05, 9884/05, 9891/05, 10167/05, 10228/05, 17258/05, 17260/05, 17262/05, 17275/05, 17290/05 e 17293/05, § 28, 30 novembre 2010), un mutamento della giurisprudenza rientra nei poteri discrezionali dei tribunali nazionali, soprattutto in paesi aventi un sistema di leggi scritte (come l’Italia) e che non sono vincolati dai precedenti. In tali circostanze la Corte ritiene che non sussista alcuna questione relativamente all’articolo 6 nel presente procedimento.

43. Per quanto riguarda il motivo di ricorso secondo il quale i ricorrenti affermano che la modifica della giurisprudenza ha costituito una ingerenza sproporzionata nel rispetto dei loro beni, la Corte ritiene che i contributi che i ricorrenti avevano versato non possono più, in sé, essere considerati come beni di loro proprietà. Sono i diritti derivanti dal versamento di tali contributi ai sistemi previdenziali ad essere, tuttavia, diritti pecuniari ai fini dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione (Gaygusuz c. Austria, 16 Settembre 1996, Reports of Judgments and Decisions 1997, p. 1142, §§ 39-41). Invero, come affermato in precedenza, è stato riconosciuto che il versamento dei contributi ad un fondo pensionistico può, in talune circostanze creare un diritto di proprietà e che tale diritto può essere pregiudicato dal modo in cui il fondo è amministrato (si veda Skorkiewicz c. Poland (dec.), n. 39860/98, 1 giugno 1999).

44. Pur ammettendo che i ricorrenti abbiano un diritto di proprietà nel caso in esame, l’ingerenza era in se stessa legittima, visto che la Corte ha già stabilito che la decisione nel caso dei ricorrenti non era arbitraria (si veda paragrafo 42 supra).

45. Inoltre, la Corte osserva che il diritto dei ricorrenti di trarre benefici dal regime di previdenza sociale, non è stato violato in modo da pregiudicare sostanzialmente tale diritto alla pensione (si veda Domalewski (dec.), sopra citato, e Kjartan Ásmundsson, sopra citato, § 39). Al contrario di quanto accade nella causa di Kjartan Ásmundsson, i ricorrenti non hanno subito la privazione totale dei loro diritti e riceveranno ancora la pensione al raggiungimento dell’età pensionabile. I ricorrenti non hanno affermato di aver perso considerevoli importi della loro pensione, ed in ogni caso, non hanno presentato calcoli adeguati e dettagliati che mostrino fino a che punto essa sia stata ridotta. In considerazione di ciò, tenendo presente l’ampio margine di discrezionalità dello Stato nella regolamentazione del sistema pensionistico (si veda Maggio e altri c. Italia, nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, § 63, 31 maggio 2011) ed il fine legittimo invocato dal governo, vale a dire il principio di solidarietà (si veda paragrafo 30), la Corte ritiene che i ricorrenti non siano stati gravati da un onere individuale ed eccessivo.

46. Ne consegue che, pur ammettendo che la norma sia applicabile, in virtù delle disposizioni della Convenzione, il motivo di ricorso è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 e deve essere respinto ai sensi dell’articolo 35 § 4.

B.  Sulla dedotta violazione dell’articolo 14 della Convenzione

47. I ricorrenti invocano, inoltre, l’articolo 14 in combinato con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, affermando di aver subito un trattamento discriminatorio nei confronti i) dei lavoratori della AGENSUD a cui l’INPDAP aveva restituito spontaneamente i contributi da loro versati sulla base della giurisprudenza vigente all’epoca dei fatti; ii) dei lavoratori della AGENSUD che avevano mantenuto la loro precedente posizione previdenziale; iii) di tutti gli altri lavoratori che potevano optare per sistemi di ricongiungimento secondo un computo a loro scelta oppure potevano  richiedere la totalizzazione dei loro contributi o ricevere un pagamento pro rata delle loro pensioni da diverse gestioni previdenziali; iv) di tutti gli altri lavoratori, che, a seguito della modifica del sistema previdenziale italiano, avevano beneficiato del sistema contributivo. L’articolo 14 recita quanto segue:

“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.”

48.  La Corte rammenta che l’articolo 14 è complementare alle altre disposizioni sostanziali della Convenzione e dei Protocolli. Non ha esistenza indipendente visto che ha effetti solamente in relazione al “godimento dei diritti e delle libertà” garantite da tali disposizioni. L’applicazione dell’articolo 14 non presuppone necessariamente la violazione di uno dei diritti sostanziali garantiti dalla Convenzione. Il divieto di discriminazione previsto dall’articolo 14 pertanto si estende oltre il godimento dei diritti e delle libertà che la Convenzione ed i Protocolli richiedono di garantire ad ogni Stato. Si applica anche a quegli ulteriori diritti, che rientrano nell’ambito generale di ogni articolo della Convenzione, e che lo Stato ha volontariamente deciso di prevedere. E’ necessario ma anche sufficiente per i fatti di causa rientrare “nell’ambito” di uno o più articoli della Convenzione (si veda Stec e altri c. il Regno Unito (dec.) [GC], nn. 65731/01 e 65900/01, § 39, CEDU 2005-X; Andrejeva, sopra citato, § 74).

49. L’articolo 1 del Protocollo n. 1 non include il diritto ad acquisire ricchezza. Non pone alcun limite alla libertà dello Stato di decidere se mettere in campo una forma di regime assistenziale o di scegliere il tipo o l’importo dei benefici da fornire in virtù di tale regime. Se, tuttavia uno Stato decide di creare un beneficio o un regime pensionistico, deve farlo in modo tale da essere compatibile con l’articolo 14 della Convenzione (si veda Stec e altri c. il Regno Unito (dec.) sopra citato, § 54). Tale legislazione deve essere considerata generatrice di un interesse di colui che possiede il bene che rientra nell’ambito dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 per le persone che soddisfano i requisiti in esso previsti (Carson e altri c. Il Regno Unito [GC], no. 42184/05, § 53, 16 marzo 2010).

50. La Corte ribadisce che discriminare significa trattare in modo diverso, senza un obiettivo od una giustificazione ragionevole, persone in situazioni omogenee, (si veda Willis c. il Regno Unito, n. 36042/97, § 48, CEDU 2002-IV). Tuttavia, non tutte le differenze di trattamento implicano una violazione dell’articolo 14. E’ necessario stabilire che diverse persone in situazioni analoghe o omogenee godono di un trattamento preferenziale e che tale distinzione è discriminatoria. (si veda Unal Tekeli c. Turchia, n. 29865/96, § 49, 16 novembre 2004).

51. Inoltre, l’articolo 14 non vieta ad uno Stato membro di trattare dei gruppi in modo diverso al fine di correggere “disuguaglianze fattuali” tra loro: invero, in determinate circostanze il mancato tentativo di correggere la disuguaglianza attraverso un trattamento diverso può in sé dare adito ad una violazione dell’articolo. Lo Stato contraente gode di un margine di discrezionalità per decidere se esistono o meno, e, se del caso, fino a che punto, differenze in situazioni altrimenti diverse che giustificano un trattamento diverso. L’ampiezza di questo margine varierà secondo le circostanze, la materia ed il contesto interessati. Normalmente, in virtù della Convenzione, allo Stato è consentito un ampio margine quando si tratta di misure generali di strategia economica o sociale (si veda Stec e altri c. il Regno Unito [GC], n. 65731/01, §§ 51-52, CEDU 2006-VI).

52. La Corte osserva che non è necessario determinare se l’Articolo 14 in combinato con l’Articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione è applicabile nel caso in esame, visto che i vari motivi di ricorso sono in ogni caso irricevibili per i seguenti motivi.

1. Lavoratori della AGENSUD a cui l’INPDAP aveva restituito spontaneamente i contributi da loro versati sulla base della giurisprudenza vigente all’epoca dei fatti

53. La Corte ritiene che, se è vero che vi è stata una differenza di trattamento, la causa in esame presenta un caso in cui gli “altri” sono stati trattati in modo più favorevole. Tale trattamento più favorevole dipese dall’azione spontanea o da decisioni giudiziarie basate su una interpretazione che non venne applicata alla causa dei ricorrenti. La Corte ha già sostenuto che la modifica nella giurisprudenza è stata legittima (si veda paragrafo 42 supra). Di conseguenza, i suoi effetti e le evidenti differenze nel trattamento, che rientravano nell’ampio margine di discrezionalità dello Stato in materie come quella assistenziale (si veda Maggio e altri c. Italia, nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, § 63, 31 maggio 2011) possono essere considerate oggettivamente giustificate.
54. Ne consegue che il motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere respinto ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

2. Lavoratori della AGENSUD che avevano mantenuto la loro precedente posizione previdenziale.

55. La Corte rileva che tale opzione era disponibile per gli ex lavoratori della AGENSUD che sono andati in pensione e non per coloro che scelsero di accettare un nuovo impiego. Di conseguenza, i ricorrenti che avevano liberamente scelto quest’ultima opzione non possono essere considerati in una situazione analoga a quella degli ex lavoratori della AGENSUD che scelsero di andare in pensione all’epoca dei fatti.

56. Ne consegue che il motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere respinto ai sensi dell’articolo35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

3. Tutti gli altri lavoratori che potevano optare per sistemi di ricongiungimento secondo un computo a loro scelta oppure potevano richiedere la totalizzazione dei loro contributi o ricevere un pagamento pro rata delle loro pensioni da diverse gestioni previdenziali.

57. La Corte osserva che i ricorrenti non hanno fornito alcun dettaglio circa gli altri sistemi e categorie di persone nei confronti delle quali hanno dedotto un diverso trattamento. Il motivo di ricorso, non è, pertanto, comprovato.

58. Ne consegue che il motivo di ricorso deve essere respinto in quanto manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

4. Tutti gli altri lavoratori che, a seguito della modifica del sistema previdenziale italiano avevano beneficiato del sistema contributivo.

59. La Corte osserva nuovamente che i ricorrenti non sono riusciti a spiegare a quali altre categorie specifiche di persone si stiano riferendo e a fornire dettagli sui diversi sistemi applicabili o in quale modo tale dedotta discriminazione sia sorta. Il motivo di ricorso non è, pertanto, comprovato.

60. Ne consegue che il motivo di ricorso deve essere respinto in quanto manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Decide di riunire i ricorsi

Dichiara i ricorsi irricevibili.

Françoise Tulkens
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere

 

ALLEGATO
Ricorso Nome Nato nel Anni di Servizio
presso AGENSUD
Anni di contributi
versati all'INPS
Contributi non utili a pensione
(un terzo dei quali è stato versato dai ricorrenti)
n. 11838/07 Torri Laura 1948 19 21 EUR 138,834.21
Tomage Patrizia 1952 19 19 EUR 122,566.40
Rosa Carlo Caino 1953 13 18 EUR 134,933.82
Albanese Piera 1952 19 19 EUR 144,150.60
Iodice Roberto 1955 13,5 19 EUR 143,025.33
Camera Andrea 1952 12 16 EUR 127,755,56
Pappada Loredana 1957 16 16 EUR 108,759.71
Casciolo Antonino 1954 18 13 EUR 135,167.54
n. 12302/07 Bucciarelli Carmine 1948 18 23 EUR 142,650.36