Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 7 febbraio 2012 - Ricorso n. 2447/05 - Cara - Damiani c. Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, eseguita dall’assistente linguistico Rita Carnevali

SECONDA SEZIONE
CAUSA CARA-DAMIANI c. ITALIA
(Ricorso no 2447/05)
SENTENZA
STRASBURGO
7 febbraio 2012

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma
 
Nella causa Cara-Damiani c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
Isabelle Berro-Lefèvre,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Guido Raimondi, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 17 gennaio 2012,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (no 2447/05) proposto contro la Repubblica italiana con cui un cittadino di questo Stato, il sig. Nicola Cara-Damiani ("il ricorrente"), ha adito la Corte il 13 dicembre 2004 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione").

2. Il ricorrente, ammesso al beneficio dell'assistenza giudiziaria, è rappresentato dall'avvocato V. Valentini del foro di Bologna. Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dal suo agente, sig.ra E. Spatafora, e dal suo ex coagente aggiunto, sig. N. Lettieri.

3. Il ricorrente sostiene che, tenuto conto del suo stato di salute, la sua detenzione nel carcere di Parma costituisce una violazione dell'articolo 3 della Convenzione.

4. Il 27 giugno, il presidente della seconda sezione ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Come consentito dall'articolo 29 § 1 della Convenzione, ha inoltre deciso che la sezione si sarebbe pronunciata contestualmente su ricevibilità e merito della causa.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. Il ricorrente è nato nel 1946 e risiede a Fontanellato (Parma). Condannato alla pena della reclusione che dovrebbe terminare nel novembre 2016, il ricorrente è in carcere dal 1992.

6. La Corte si è già pronunciata sulla situazione del ricorrente, relativamente al periodo 1994-2000 (Cara-Damiani c. Italia (dec.), no 35995/97, 28 marzo 2000). Da questa decisione risulta che già nel 1997 il ricorrente poteva spostarsi unicamente con la sedia a rotelle, poteva restare in piedi soltanto se aiutato da altre persone ed era affetto da una discopatia degenerativa.

7. Poiché il presente ricorso è stato introdotto il 13 dicembre 2004, la Corte prenderà in esame la situazione del ricorrente a decorrere dal giugno 2004.

A. La detenzione del ricorrente fino a dicembre 2005

8. Nel luglio del 2003, il ricorrente proveniente da altro istituto penitenziario fu trasferito nella casa di reclusione di Parma in quanto questo carcere aveva un reparto sanitario di eccellenza e si era dotato di una sezione paraplegici. Il ricorrente fu tuttavia collocato in una sezione del carcere per detenuti comuni.

9. Dal fascicolo sanitario tenuto dai medici del carcere di Parma risulta che il ricorrente presentava i sintomi di una paraparesi flaccida a carico delle gambe, ossia di una leggera paralisi della metà inferiore del corpo, con deficit incompleto della forza muscolare degli arti inferiori.

10.Il personale medico del carcere segnalò più volte all'amministrazione penitenziaria che l'interessato era assegnato ad una sezione del carcere non adeguata al suo stato. In effetti non c'erano bagni assistiti e il ricorrente non poteva accedere ai bagni per la presenza di barriere architettoniche insormontabili; mancavano le attrezzature ed i locali per la terapia riabilitativa di cui il ricorrente aveva bisogno; non c'erano spazi dove l'interessato potesse circolare senza il deambulatore (girello); inoltre, il ricorrente non poteva recarsi frequentemente nel corridoio in quanto era sottoposto al regime di alta sorveglianza. Neanche il centro diagnostico del carcere era adatto. Il personale medico del carcere poteva assicurare soltanto un minimo di kinesiterapia e di terapia fisica. Quest'ultima era stata purtroppo soppressa nel corso del 2004. Nel giugno del 2004, il settore per la terapia fisica era stato chiuso e dopo era impossibile eseguire questo tipo di trattamento. Il medico aveva fatto richiesta di una sedia a rotelle.

11. Un neurologo esaminò il ricorrente il 18 novembre 2004 e, grazie ad una risonanza magnetica della regione lombare, constatò che quest'ultimo era stato operato negli anni '80 per un'ernia del disco e che questa ernia recidivava. Dopo aver preso nota della apparente paraparesi, il neurologo prescrisse un esame supplementare, ossia una risonanza magnetica della zona dorsale e cervicale, perché gli esami fin lì effettuati non gli consentivano di trovare la causa della paraparesi e di stabilire una diagnosi.
Un mese dopo, il neurologo rivide il ricorrente e confermò la necessità di eseguire una risonanza magnetica della zona dorsale e cervicale.
Questo esame, programmato per il 22 marzo 2005, non fu eseguito perché quel giorno il ricorrente veniva spostato in un altro istituto penitenziario.

12. Nella sua relazione del 13 ottobre 2005, il medico del carcere di Parma notò che il ricorrente era stato trasferito più volte in un altro carcere a causa dei suoi studi universitari. Questi numerosi spostamenti ostacolavano il regolare svolgimento del programma di esami e visite mediche. Infatti, dal suo arrivo a Parma il 22 luglio 2003, il ricorrente era stato trasferito per i seguenti periodi: dal 5 settembre 2003 al 10 marzo 2004, dal 27 marzo al 3 aprile 2004, dal 2 al 29 luglio 2004, dal 15 al 25 settembre 2004, poi dal 15 al 26 marzo 2005; dal 13 aprile all'inizio di maggio 2005; dal 26 giugno al 18 luglio 2005; dal 2 al 9 settembre 2005. Infine, il 7 ottobre 2005 era stato ancora trasferito.
Trattandosi di una risonanza magnetica prescritta dal neurologo, la serie di continue assenze aveva reso impossibile questo esame. Ad ogni modo, il 21 settembre 2005 il medico del carcere di Parma aveva reiterato la richiesta dell'esame dal momento che non era ancora stato fissato un nuovo appuntamento.

13. Peraltro, il 27 gennaio 2005, il medico del carcere di Parma aveva domandato il trasferimento del ricorrente in ospedale, nel reparto di medicina riabilitativa. Il fisiatra dell'ospedale aveva chiesto di visitare l'interessato prima del suo ricovero in ospedale per poter valutare il momento e la durata del ricovero ed il tipo di terapia da somministrare. Di conseguenza, il 31 marzo 2005 la richiesta di ricovero in ospedale era stata trasformata in richiesta di visita specialistica.
Tuttavia, a causa delle assenze del ricorrente, al 13 ottobre 2005 questa visita non era stata ancora eseguita. Il medico l'aveva comunque sollecitata il 21 settembre 2005 manifestando la speranza di trovare il ricorrente a Parma per quando sarebbe stato dato l'appuntamento.

14. Nell'attesa che il ricorrente fosse trasferito in un luogo adeguato, i medici che lo seguivano in carcere potevano praticargli dei massaggi e della kinesiterapia, ma ciò non era sufficiente, e fornirgli un deambulatore.

15. Parallelamente, il fascicolo sanitario del ricorrente era stato inviato al carcere di Messina e al carcere di Poggioreale (Napoli), per sapere se, in questi istituti, avrebbe potuto ricevere un adeguato trattamento medico. Il carcere di Messina non aveva fornito alcuna risposta. Il carcere di Napoli aveva precisato nel febbraio 2005 che le cure di cui il ricorrente aveva bisogno lì non potevano essere dispensate.

16. Nell'aprile 2005, il carcere di Parma inaugurò la sezione paraplegici. Tuttavia, per mancanza di posti, in un primo tempo il ricorrente non vi fu assegnato. I medici annotarono nel fascicolo del ricorrente che, nonostante l'apertura di questa unità, per l'interessato non era cambiato nulla: restava in una sezione comune, dove era impossibile dispensargli il trattamento di riabilitazione neuromotoria necessario. Questa riabilitazione era possibile soltanto nei centri specializzati presso i quali bisognava assolutamente trasferire il ricorrente per non aggravare le sue condizioni di mobilità, cosa da evitare assolutamente. I medici ritenevano che le condizioni di salute del ricorrente non fossero compatibili con la sua detenzione a Parma e, probabilmente, con la detenzione stessa, a meno che il ministero competente non trovasse un istituto penitenziario dotato di un centro clinico adeguato. In conclusione, i medici del carcere di Parma raccomandavano di sottoporre il ricorrente ad un trattamento riabilitativo di alto livello, che poteva essere dispensato unicamente in un centro specialistico dove il ricorrente doveva essere trasferito. In mancanza di ciò, la motricità del ricorrente avrebbe subito un deterioramento.

17. Dal fascicolo risulta che il carcere di Parma attendeva che le autorità competenti stanziassero dei fondi per poter reclutare del personale sanitario. In particolare occorreva concludere un accordo con un medico specialista in fisiatria e reclutare due fisioterapeuti di cui uno per l'idroterapia, vista l'imminente apertura della piscina per l'idrochinesiterapia. Inoltre, occorreva acquistare degli strumenti ortopedici e per la riabilitazione.

18. Peraltro, in una data non precisata, il ricorrente domandò il differimento della pena. Con decisione dell'8 febbraio 2005, il tribunale di sorveglianza di Bologna rigettò la domanda, in quanto il ricorrente non era totalmente impedito a camminare e le cure dispensate nel carcere di Parma erano adeguate. Per quanto riguarda le barriere architettoniche, il tribunale ritenne che queste ultime non rendessero la situazione del ricorrente incompatibile con la detenzione; inoltre, il carcere di Parma si era dotato di una sezione paraplegici, che non era stata aperta rapidamente soltanto per mancanza di risorse finanziarie.

19. Il 24 agosto 2005, il ricorrente fu ricoverato d'urgenza in ospedale per un infarto e fu sottoposto ad un intervento di angioplastica coronarica con l'installazione di uno stent.

20. Il 26 agosto 2005, fece ritorno nel carcere di Parma, nella sua sezione di origine.

21. La relazione sanitaria del 13 ottobre 2005 terminava con la conclusione che la sezione del carcere di Parma in cui il ricorrente era stato assegnato fin dal suo ingresso non era idonea al suo handicap a causa delle insormontabili barriere architettoniche. Inoltre vi era l'impossibilità di garantire i servizi e le infrastrutture necessari alla sua patologia e l'impossibilità di effettuare la terapia adatta. Il ricorrente doveva assolutamente essere collocato in un centro medico specializzato in terapia fisica e fisiokinesiterapia per evitare un deterioramento delle sue condizioni.

B. La detenzione del ricorrente tra dicembre 2005 e marzo 2008

22.Nel dicembre 2005 il ricorrente fu trasferito alla sezione paraplegici.

23.Il 9 gennaio 2006, domandò al magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia il differimento dell'esecuzione della pena visto il suo stato di salute e la mancanza di cure adeguate.

24.In una data non precisata, il ricorrente domandò al tribunale di sorveglianza di Bologna la sospensione della pena per potersi sottoporre alle terapie adeguate; sussidiariamente domandò di poter beneficiare della detenzione domiciliare in ospedale o in un istituto che poteva garantirgli un'assistenza sanitaria adatta. A sostegno della sua domanda, il ricorrente adduceva che il suo stato di salute, già da molto tempo incompatibile con la detenzione, si era aggravato.

25.Il 26 gennaio 2006, il magistrato di sorveglianza prese atto della domanda che il ricorrente aveva depositato innanzi al tribunale di sorveglianza. Ritenendo che non vi fosse alcuna urgenza e che non vi fossero ragioni per credere che il mantenimento in carcere fino alla decisione definitiva del tribunale avrebbe provocato un danno alla salute del ricorrente, il giudice respinse la domanda di remissione in libertà e trasmise il fascicolo al tribunale di sorveglianza di Bologna.

26.Nell'aprile 2006, il tribunale di sorveglianza di Bologna dispose una perizia. Il perito fu incaricato di valutare lo stato di salute del ricorrente e di stabilire se costui riceveva cure appropriate in carcere, se doveva essere collocato altrove e se vi era incompatibilità con la detenzione.

27.Dopo aver visitato il ricorrente il 5 luglio 2006, il perito depositò una relazione il 18 agosto 2006 dalla quale risultano i seguenti elementi. Il ricorrente si spostava con la sedia a rotelle. Presentava un deterioramento del suo apparato circolatorio a livello delle gambe e delle discromie ai piedi dovute alla stasi. I neurologi avevano consigliato una riabilitazione alla deambulazione con l'ausilio del girello. Egli doveva essere operato al retto per un grosso polipo. Le sue condizioni di salute erano cattive per le diverse patologie che erano gravi, ben documentate e tendevano a peggiorare. Il ricorrente necessitava di un controllo medico regolare che includeva ecografie, esami di laboratorio ed altri esami strumentali frequenti, di modo che l'ambiente ideale per lui era una casa di cura o comunque un centro idoneo. Il pericolo più grave per la sua salute veniva dal grosso polipo al retto che non era stato ancora operato e che bisognava togliere il più rapidamente possibile. In occasione del suo ricovero in ospedale per questo intervento, il perito raccomandava di eseguire la risonanza magnetica cervicale e dorsale o la tomografia delle stesse zone che era stata raccomandata dagli specialisti, perché i sintomi alle gambe (paraparesi) restavano inspiegabili. In conclusione, vi era incompatibilità tra lo stato di salute del ricorrente e la detenzione perché era necessario un imminente intervento al retto. Per esaminare la compatibilità con la detenzione nel periodo successivo all'intervento, sarebbe stato necessario valutare in quel momento lo stato di salute del ricorrente sulla base delle nuove conoscenze dello stato neurologico del settore cervicale e dorsale. Eventualmente l'interessato avrebbe potuto essere rinchiuso di nuovo in carcere.

28.Il 5 dicembre 2006 il ricorrente subì la resezione del retto. Dal fascicolo non risulta la data in cui rientrò nel carcere di Parma, né quella in cui venne eseguita la risonanza magnetica.

29.Il tribunale di sorveglianza di Bologna decise di rinviare la sua decisione sulla incompatibilità per consentire al ricorrente di attuare un programma di riabilitazione in un istituto esterno al carcere.

30.Il ricorrente ed il suo avvocato si misero alla ricerca di una struttura adatta. Il 19 marzo 2007 l'avvocato del ricorrente informò quest'ultimo che il centro di riabilitazione di Villanova sull'Arda si era dichiarato pronto ad accoglierlo dopo averlo visitato per poter valutare le sue condizioni. Una visita era stata fissata per il 20 marzo 2007. Tuttavia, la Direzione del carcere di Parma non aveva ancora autorizzato l'uscita dell'interessato per questa circostanza.
Nell'aprile 2007, il ricorrente fu esaminato da un medico del centro di riabilitazione di Villanova sull'Arda che stabilì un programma riabilitativo. Precisò che si trattava di un tentativo per verificare le possibilità di un ritorno alla deambulazione. Raccomandò una nuova visita dopo un mese per fare il bilancio. Il 6 dicembre 2007, il tribunale rinviò l'udienza per permettere il completamento del programma riabilitativo.

31.Il 18 marzo 2008, il tribunale di sorveglianza di Bologna rese la sua decisione. Basandosi sulla perizia d'ufficio e sui documenti raccolti nel corso del procedimento, il tribunale prese nota del fatto che il ricorrente doveva essere nuovamente operato all'addome. Inoltre, l'avvocato del ricorrente aveva, nel corso del procedimento, trovato una possibilità terapeutica presso la Casa di riabilitazione spinale di Villanova sull’Arda. I carabinieri da parte loro avevano giudicato la clinica idonea per essere sorvegliata. Di conseguenza, era possibile concedere al ricorrente la detenzione domiciliare in ospedale per un periodo di sei mesi, permettendogli di essere dapprima sottoposto ad intervento chirurgico e di eseguire poi la riabilitazione.

C. Il periodo successivo al marzo 2008

32.In seguito alla decisione del tribunale di sorveglianza di Bologna del 18 marzo 2008, il ricorrente uscì dal carcere e fu collocato in detenzione domiciliare.

33.Il 12 giugno 2008 il ricorrente subì un nuovo intervento chirurgico all'intestino.

34.Il tribunale di sorveglianza di Bologna prorogò di tre mesi la detenzione domiciliare con decisione dell'11 settembre 2008, tenuto conto dello stato generale di salute del ricorrente, definito precario, in quanto soffriva di paraparesi e di cardiopatia (ischemia cronica). Questo periodo supplementare di tre mesi gli avrebbe permesso di recuperare meglio dopo il suo intervento. Il tribunale non concesse la sospensione della pena ritenendo che il ricorrente avrebbe potuto commettere nuovamente dei reati.

35.Con decisioni successive, la detenzione domiciliare del ricorrente fu prorogata fino al 2010.

36.Con decisione del 21 gennaio 2010, il tribunale di sorveglianza di Bologna prorogò la detenzione domiciliare fino al 30 giugno 2010 tenuto conto del fascicolo sanitario del ricorrente, dal quale risultava che oltre alla paraparesi, che necessitava di una costante assistenza e di continue misure riabilitative, il ricorrente doveva essere ancora operato a breve termine.

37.Il 25 giugno 2010 il ricorrente fu sottoposto a intervento chirurgico di laparoplastica.

38.Con decisione del 29 giugno 2010, tenuto conto della fisioterapia già programmata e visto il periodo estivo, il tribunale di sorveglianza di Bologna ritenne che vi fosse incompatibilità con la detenzione. Prorogò di tre mesi, ossia fino al 30 settembre 2010, la detenzione domiciliare del ricorrente.

39.Il 9 luglio 2010 il ricorrente dovette essere operato di nuovo per l'incisione di un ematoma che si era formato nell'addome.

40.Dopo quest'ultimo intervento, il personale medico dell'ospedale di Fidenza effettuò un bilancio sullo stato di salute e annotò, in una relazione del 19 luglio 2010, che lo stato di salute del ricorrente era medio. Aveva necessità di sottoporsi costantemente a controlli medici per evitare una infezione maggiore. La cicatrizzazione sarebbe stata graduale. Una volta guarito, il paziente avrebbe dovuto riprendere la riabilitazione in piscina che era stata sospesa a causa dei dolori intestinali. Questo nuovo intervento si inseriva negativamente in un contesto già fortemente compromesso dalle altre malattie, e aveva delle ripercussioni sullo stato psichico del malato. Il ricorrente in futuro avrebbe avuto bisogno di un controllo medico molto attento e continuo nonché di un'assistenza che i limiti imposti dalla vita in carcere rendevano difficili. Poi il ricorrente era in attesa di un intervento chirurgico ortopedico per decomprimere il nervo ulnare sinistro. Inoltre occorreva salvaguardare il benessere psichico dell'interessato permettendogli di vivere a casa con persone che potevano garantirgli l'assistenza e l'affetto di cui aveva bisogno.

D. Il ritorno in carcere del ricorrente

41.Con decisione del 21 settembre 2010, il tribunale di sorveglianza di Bologna rigettò la domanda di proroga della detenzione domiciliare, ritenendo che il ricorrente potesse eseguire le terapie fuori dal carcere pur restando detenuto a Parma.

42.Il ricorrente ritornò nel carcere di Parma il 1° ottobre 2010 e fu assegnato ad una sezione per detenuti comuni. Lo stesso giorno fu visitato da un medico che consegnò in una relazione le informazioni seguenti. Il ricorrente, affetto da paraparesi alle gambe e da cardiopatia, aveva inoltre manifestato sintomi di claustrofobia e aveva bisogno di una visita psichiatrica. Collocato in una cella sorvegliata, doveva disporre sine die di una poltrona con cuscino antidecubito, di un tutore ortopedico e di stampelle. Doveva utilizzare l'ascensore per spostarsi nell'edificio.

43.Il 6 ottobre 2010, il ricorrente depositò una richiesta di differimento della pena o di detenzione domiciliare. Sosteneva che il suo stato di salute era incompatibile con la detenzione. In primo luogo contestava la sua assegnazione ad una sezione del carcere per detenuti comuni. In secondo luogo, visti i due anni e mezzo trascorsi in detenzione domiciliare senza alcun problema con la giustizia, il suo ritorno in carcere in regime di alta sicurezza era ingiustificato.

44.Con decisione del 23 novembre 2010, il tribunale di sorveglianza di Bologna concesse la detenzione domiciliare per otto mesi. Ritenne che lo stato di salute del ricorrente fosse incompatibile con il suo collocamento in una sezione del carcere per detenuti comuni e osservò che non vi erano posti nella sezione paraplegici. Secondo i medici del carcere, la presenza di barriere architettoniche insormontabili, da una parte, associata, dall'altra parte, all'impossibilità di avere una adeguata riabilitazione, rendevano la detenzione incompatibile con lo stato di salute del ricorrente. Di fronte all'impossibilità da parte dell'amministrazione penitenziaria di garantire una adeguata presa in carico del ricorrente - o la sua sistemazione in un ambiente senza barriere e la possibilità per lui di ricevere le terapie adeguate - il tribunale ritenne che vi fosse in ciò una evidente violazione del diritto alla salute del ricorrente e che il mantenimento dell'interessato in tale situazione avrebbe esposto lo Stato ad una condanna da parte della Corte, come era avvenuto nella causa Scoppola c. Italia (no 50550/06, 10 giugno 2008).

II.IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

45.La sospensione dell'esecuzione della pena prevista dall'articolo 147 § 1 no 2) del codice penale, ai sensi del quale:

« L’esecuzione di una pena può essere differita: (...)

2) se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica;

(...). »

46.Ai sensi dell'articolo 678 del codice di procedura penale, la decisione di sospendere l'esecuzione della pena può essere adottata anche d'ufficio dal tribunale di sorveglianza.

III. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNAZIONALI PERTINENTI

47.Rapporto al governo italiano relativo alla visita in Italia del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT) dal 21 novembre al 3 dicembre 2004;
L'istituto penitenziario di Parma è stato visitato dal CPT. Al paragrafo 100 del rapporto si legge:

« Innanzitutto il CPT deve sottolineare che la sua delegazione ha rilevato carenze allarmanti nel campo della sanità penitenziaria che erano, in larga misura, la diretta conseguenza dei severi tagli di bilancio. In effetti, il budget dei servizi sanitari nelle carceri era stato recentemente ridotto di oltre il 30% mentre la popolazione carceraria aveva continuato a crescere. In maniera generale sembrava esserci uno scarto significativo tra il livello delle cure sanitarie proposte ai detenuti e quello di cui beneficiava tutta la popolazione. Questa impressione era pienamente condivisa da parecchi medici penitenziari incontrati dalla delegazione. Inoltre, la delegazione è stata informata che la data di riapertura della sezione paraplegici del carcere di Parma era incerta, perché i fondi necessari per completare i lavori di ristrutturazione già iniziati non erano stati accantonati. Di conseguenza, questi detenuti si trovavano in locali ordinari, una situazione di per sé totalmente insoddisfacente».

48.Terzo rapporto generale di attività del CPT relativo al periodo dal 1° gennaio al 31 dicembre 1992 (capitolo III - servizi sanitari nei carceri):

« iv)  incompatibilità con il regime carcerario

Esempi tipici sono quelli dei detenuti che presentano una prognosi infausta a breve termine, quelli che soffrono di una malattia grave che non può essere trattata correttamente in condizioni detentive, nonché quelli che sono seriamente handicappati o in età molto avanzata. La detenzione continua di tali persone in ambiente penitenziario può creare una situazione umanamente intollerabile. In casi di questo genere, spetta al medico penitenziario redigere una relazione destinata all'autorità competente affinché vengano prese le disposizioni che si impongono. »

49. Raccomandazione no R (98) 7 adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa l'8 aprile 1998 relativa agli aspetti etici ed organizzativi delle cure sanitarie in ambiente carcerario:

« C.  Persone non adatte alla detenzione continua: handicap fisico grave, età avanzata, prognosi infausta a breve termine

50. I detenuti affetti da handicap fisici gravi e coloro che sono in età molto avanzata dovrebbero poter condurre una vita più normale possibile e non essere separati dal resto della popolazione carceraria. Dovrebbero essere apportate le modifiche strutturali necessarie per facilitare gli spostamenti e le attività delle persone sulla sedia a rotelle e degli altri handicappati, come avviene all'esterno del carcere.

51. La decisione sul momento opportuno per trasferire presso luoghi di cura esterni i malati il cui stato patologico indica un esito infausto prossimo dovrebbe essere basata su criteri medici. In attesa di lasciare l'istituto penitenziario, queste persone dovrebbero ricevere durante la fase terminale della loro malattia cure ottimali nel servizio sanitario. In tali casi, dovrebbero essere previsti dei periodi temporanei in strutture ospedaliere al di fuori dell'ambito penitenziario. Dovrebbe essere esaminata la possibilità di concedere la grazia o la liberazione anticipata per ragioni mediche.»

IN DIRITTO

I. SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE

50. Il ricorrente lamenta di aver subito un trattamento contrario all'articolo 3 della Convenzione per essere stato mantenuto in carcere nonostante la sua condizione preoccupante. La disposizione invocata dal ricorrente recita:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.»

51. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

52. Il Governo ritiene che il ricorrente non abbia esaurito le vie di ricorso interne perché innanzi al tribunale di sorveglianza di Bologna era pendente una procedura volta ad ottenere la detenzione domiciliare.

53. Il ricorrente si oppone alla tesi del Governo e osserva che tale procedura si è conclusa con la decisione del 18 marzo 2008 del tribunale di sorveglianza di Bologna.

54. La Corte constata che la procedura nazionale richiamata dal Governo si è conclusa con la decisione del 18 marzo 2008 e ritiene quindi che l'eccezione debba essere rigettata. Ritiene poi il ricorso non manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 (a) della Convenzione e rileva peraltro che esso non contrasta con nessun altro motivo di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

1.  Argomenti delle parti

55. Il ricorrente osserva che dal luglio 2003, data del suo ingresso nel carcere di Parma, e fino al dicembre 2005 è stato rinchiuso in una sezione per detenuti comuni del carcere che non era compatibile con il suo handicap a causa delle barriere architettoniche insormontabili. Sostiene che l'impossibilità di spostarsi con i propri mezzi e, in particolare, di andare al bagno da solo, è un trattamento degradante.

56. Inoltre, durante tutta la durata della sua detenzione a Parma, ossia anche dopo la sua collocamento nella sezione paraplegici nel dicembre 2005, il ricorrente non ha potuto beneficiare delle terapie adeguate per la sua paraparesi, che è una malattia di natura degenerativa, perché il carcere di Parma non era attrezzato per dispensarle. Ciò è confermato dal fatto che nel 2008 il tribunale di sorveglianza ha infine concesso che fosse collocato in una clinica riabilitativa specializzata.
Il ricorrente argomenta che il fatto che per anni gli sia mancata la riabilitazione ha comportato un progressivo deterioramento della sua motricità. Sottolinea che le autorità hanno deciso di mantenerlo in carcere, senza la possibilità di una terapia riabilitativa, nonostante il parere contrario dei medici e nonostante l'aggravamento dello suo stato.

57. Infine, il ricorrente osserva che il suo rientro in carcere nel 2010, in una sezione per detenuti comuni non adatta al suo handicap, tenuto conto della gravità del suo stato di salute, è incomprensibile.

58. In conclusione, il ricorrente ritiene di essere stato vittima di un trattamento contrario all'articolo 3 della Convenzione.

59. Il Governo sottolinea che il ricorrente non soffre di paraplegia ma di paraparesi, ossia di una riduzione della mobilità delle gambe meno invalidante rispetto alla paraplegia. Questa situazione sarebbe la conseguenza di un'ernia del disco, risalente ad un momento precedente al suo collocamento in carcere. Inoltre, lo stato di salute del ricorrente non è stato un ostacolo per commettere reati. Lo stato di salute del detenuto non è molto grave e le modalità di esecuzione della pena non l'hanno sottoposto a pericoli o ad una prova la cui intensità ecceda l'inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione.

60. Vista la complessità dello stato clinico del ricorrente, quest'ultimo ha avuto bisogno di un trattamento individualizzato che ha potuto essere assicurato in un centro molto organizzato, come quello del carcere di Parma. È stato fatto tutto il necessario. Riguardo alle esigenze pratiche della carcerazione, la protezione della salute e il benessere del prigioniero sono stati adeguatamente assicurati, vista in particolare l'esistenza a Parma di una sezione paraplegici dotata di piscina e di personale specializzato. Durante il periodo trascorso nella sezione paraplegici, il ricorrente è stato regolarmente seguito dal personale medico e da specialisti, ha beneficiato di fisioterapia, ha consultato gli specialisti degli ospedali ed è stato ricoverato quando necessario conformemente alla legge penitenziaria. Il controllo medico del ricorrente è stato tuttavia ostacolato dagli spostamenti che quest'ultimo ha richiesto per i suoi studi. Questi spostamenti confermano che lo stato di salute dell'interessato non era grave.

61. Visto che il ricorrente non ha autonomia nel camminare, ha comunque beneficiato dell'aiuto di un piantone, di stampelle e di una sedia a rotelle. Pur riconoscendo che il ricorrente si è trovato in condizioni di disagio, il Governo osserva che non è stato ostacolato nelle sue relazioni sociali e che ha usufruito di un sistema di videoconferenza per i suoi studi universitari.

62. Ad ogni modo, da parte del perito di ufficio o dei medici non è mai stato formulato un parere che concludesse per la incompatibilità dello stato di salute del ricorrente con la detenzione. Tutti i medici hanno ritenuto che il ricorrente potesse vivere in un istituto penitenziario ben attrezzato e accedere alle cure all'esterno.

63. Il Governo osserva infine che non si è mai posta la questione di rimettere in libertà il ricorrente, in quanto quest'ultimo non era in età molto avanzata e non aveva commesso i reati in un'epoca lontana.

64. In conclusione, il Governo domanda alla Corte di rigettare il ricorso perché il trattamento imposto al ricorrente non raggiunge la soglia minima di gravità per ricadere nell'ambito di applicazione dell'articolo 3 della Convenzione

2.  Valutazione della Corte

(a) Principi generali

65. La Corte ricorda che, per ricadere nell'ambito di applicazione dell'articolo 3, un cattivo trattamento deve raggiungere una soglia minima di gravità. La valutazione di questo minimo è relativa; dipende dall'insieme dei dati della causa, in particolare dalla durata del trattamento e dei suoi effetti fisici o mentali nonché, talvolta, dal sesso, dall'età e dallo stato di salute di un ricorrente (vedere, tra altre, Price c. Regno Unito, no 33394/96, § 24, CEDU 2001-VII, Mouisel c. Francia, no 67263/01, § 37, CEDU 2002-IX). Affinché una pena e il trattamento ad essa associato possano essere qualificati "inumani" o "degradanti", la sofferenza o l'umiliazione devono in ogni caso andare ben al di là di quello che inevitabilmente comporta una determinata forma di trattamento o di pene legittimi (Jalloh c. Germania [GC], no 54810/00, § 68, CEDU 2006 IX).

66. In particolare, trattandosi di persone private della libertà, l'articolo 3 impone allo Stato l'obbligo positivo di assicurarsi che ogni prigioniero sia detenuto in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l'interessato ad un pericolo o ad una prova di una intensità che ecceda l'inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della carcerazione, siano assicurati in maniera adeguata la salute e il benessere del prigioniero, in particolare tramite la somministrazione delle cure mediche richieste (Kudła c. Polonia [GC], no 30210/96, § 94, CEDU 2000-XI ; Rivière c. Francia, no 33834/03, § 62, 11 luglio 2006). Queste cure dispensate in ambiente carcerario devono essere appropriate, ossia di un livello paragonabile a quello che le autorità dello Stato si sono impegnate a fornire a tutta la popolazione. Tuttavia ciò non implica che sia garantito ad ogni detenuto lo stesso livello delle cure mediche dispensate nelle migliori strutture sanitarie esterne all'ambiente carcerario (Mirilashivili c. Russia (dec.), no 6293/04, 10 luglio 2007). Peraltro, nel fornire le cure mediche appropriate, bisogna tener conto delle esigenze pratiche della carcerazione (Alexanian c. Russia, no 46468/06, § 140, 22 dicembre 2008). La mancanza di cure mediche appropriate e, più in generale, la detenzione di una persona malata in condizioni inadeguate, può per principio costituire un trattamento contrario all'articolo 3 (İlhan c. Turchia [GC], no 22277/93, § 87, CEDU 2000-VII). In più, oltre alla salute del prigioniero, è il suo benessere che deve essere assicurato in maniera adeguata (Mouisel  sopra citata, § 40).

67. Le condizioni di detenzione di una persona malata devono garantire la tutela della salute del prigioniero, tenuto conto delle contingenze ordinarie e ragionevoli della carcerazione. Anche se non è possibile dedurne l'obbligo generale di rimettere in libertà o di trasferire in un ospedale civile un detenuto, seppur affetto da una malattia particolarmente difficile da curare (Mouisel sopra citata, § 40), l'articolo 3 della Convenzione impone comunque allo Stato di proteggere l'integrità fisica delle persone private della libertà. La Corte non può escludere che, in condizioni particolarmente gravi, sia possibile trovarsi in presenza di situazioni in cui una buona amministrazione della giustizia penale richieda l'adozione di misure di natura umanitaria per farvi fronte (Matencio c. Francia, no 58749/00, § 76, 15 gennaio 2004; Sakkopoulos c. Grecia, no 61828/00, § 38, 15 gennaio 2004). In una determinata causa, la detenzione di una persona colpita da una patologia che mette in gioco la prognosi di vita o il cui stato è durevolmente incompatibile con la vita carceraria può porre dei problemi sotto il profilo dell'articolo 3 della Convenzione (Tekin Yıldız c. Turchia, no 22913/04, § 72, 10 novembre 2005).
Applicando i principi sopra citati, la Corte ha già concluso che il mantenimento in carcere per un periodo prolungato di una persona in età avanzata, e per di più malata, può rientrare nell'ambito di tutela dell'articolo 3 (Papon c. Francia (no 1) (dec.), no 64666/01, CEDU 2001-VI, Sawoniuk c. Regno Unito (dec.), no 63716/00, CEDU 2001-VI, e Priebke c. Italia (dec.), no 48799/99, 5 aprile 2001). Inoltre, la Corte ha ritenuto che mantenere in carcere una persona tetraplegica o in ogni caso gravemente handicappata, in condizioni inadeguate al suo stato di salute, costituisse un trattamento degradante (Price sopra citata, § 30; Vincent c. Francia, no 6253/03, § 103, 24 ottobre 2006; Hüseyin Yıldırım c. Turchia, no 2778/02, § 83, 3 maggio 2007).

68. Detto ciò, la Corte ricorda che nella causa Sakkopoulos c. Grecia prima citata essa ha tenuto conto di tre elementi per esaminare la compatibilità dello stato di salute preoccupante con il mantenimento in carcere del ricorrente: (a) la condizione del detenuto, (b) la qualità delle cure dispensate e (c) l'opportunità di mantenere il regime carcerario visto lo stato di salute del ricorrente. La Corte ritiene che questi criteri siano pertinenti anche in questa causa.

(b) Applicazione di questi principi al caso di specie

69. Nella presente causa si pongono la questione della compatibilità dello stato di salute del ricorrente con il suo mantenimento in carcere e quella di stabilire se questa situazione raggiunga un livello sufficiente di gravità per poter rientrare nel campo di applicazione dell'articolo 3 della Convenzione.

70. All'epoca in cui è stato introdotto il ricorso il ricorrente aveva 58 anni, era affetto da patologie cardiache ed era stato operato più volte all'addome, non camminava più almeno dal 1997 e si spostava soltanto con la sedia a rotelle. Questa situazione sembra essere riferita all'ernia del disco recidivante e degenerativa che è stata constatata all'epoca in cui il ricorrente era detenuto in un altro istituto penitenziario.
Arrivato nel carcere di Parma, fu collocato in una sezione nella quale le barriere architettoniche rendevano molto difficili i suoi spostamenti. Il mobilio e i sanitari non erano assistiti, il ricorrente non poteva recarsi al bagno da solo e doveva farsi aiutare da un piantone. Inoltre, gli spazi non gli permettevano di spostarsi con il girello che gli era stato fornito. Peraltro, anche dopo avergli fornito una sedia a rotelle, la circolazione negli spazi non attrezzati rimaneva difficile. Infine, le uscite nel corridoio - spazi in cui gli spostamenti erano più facili - erano limitate a causa del regime di alta sorveglianza al quale era sottoposto. Nel dicembre 2005, il ricorrente fu assegnato alla sezione paraplegici del carcere di Parma, nella quale gli spazi sono attrezzati in funzione dei bisogni di questa categoria di detenuti.

71. La Corte accoglie con favore la decisione delle autorità italiane di allestire nel carcere di Parma, già dotato di un centro clinico, una sezione per handicappati. Tuttavia, dal fascicolo risulta che l'apertura della sezione paraplegici fu ritardata a causa di consistenti tagli di bilancio. Inoltre, sembra che il numero di posti previsti in questa sezione specializzata fosse insufficiente rispetto al numero di detenuti affetti da patologie invalidanti come quella del ricorrente. Infine, anche dopo l'apertura, la gestione della sezione paraplegici dipendeva dalla effettiva messa a disposizione dei fondi per il reclutamento del personale specializzato e per la messa in funzione della piscina.

72. Nel caso di specie, non vi è prova dell'esistenza di una volontà di umiliare o degradare il ricorrente, ma l'articolo 3 della Convenzione può essere infranto dalla inerzia o dalla omessa diligenza da parte delle autorità pubbliche. Tuttavia la Corte ritiene che la detenzione di una persona handicappata in un istituto in cui non può spostarsi con i propri mezzi, come nel caso di specie, durata così a lungo, costituisca un trattamento degradante proibito dall'articolo 3 della Convenzione.

73. Per quanto riguarda il ritorno in carcere del ricorrente dal 1° ottobre al 23 novembre 2010 e il suo collocamento in una sezione per detenuti comuni a Parma, nonostante il suo handicap e le sue condizioni generali di salute, non si può considerare che le autorità nazionali abbiano reagito conformemente alle esigenze dell'articolo 3 della Convenzione.
Del resto, questa situazione inadeguata è stata sottolineata dal tribunale di sorveglianza di Bologna a proposito del periodo detentivo che va dal 1° ottobre al 23 novembre 2010. In effetti, nella sua decisione del 23 novembre 2010, facendo riferimento alla causa Scoppola c. Italia sopra citata, questo tribunale ha riconosciuto che tale situazione violava il diritto alla salute del ricorrente ed ha ritenuto che avrebbe esposto l'Italia ad una condanna per violazione dell'articolo 3 della Convenzione se al ricorrente non fosse stata concessa immediatamente la detenzione domiciliare, vista la mancanza di posti nella sezione tetraplegici.

74. Per quanto riguarda la presa in carico sanitaria da parte delle autorità competenti, la Corte constata che, contrariamente alle argomentazioni del Governo, i medici del carcere hanno rilevato e annotato nel fascicolo del ricorrente che era impossibile in ambiente carcerario prodigargli la riabilitazione di cui aveva bisogno. Più volte hanno formulato dei pareri sul pericolo di un deterioramento della motricità che la mancanza di una appropriata riabilitazione avrebbe comportato. Il perito nominato d'ufficio dal tribunale di sorveglianza di Bologna ha da parte sua constatato un deterioramento delle condizioni del ricorrente ed ha anche raccomandato il suo trasferimento in un ambiente idoneo, che garantisca un adeguato controllo medico.
Nonostante le raccomandazioni di trasferire il ricorrente in una struttura esterna al carcere, specializzata nella riabilitazione e in grado di fornire l'assistenza continua di cui aveva bisogno, quest'ultimo è rimasto nel carcere di Parma fino al marzo 2008 per ragioni che non possono essere imputate all'interessato.
Soltanto con la decisione del tribunale di sorveglianza di Bologna del 18 marzo 2008 il ricorrente è stato ammesso al beneficio della detenzione domiciliare in ambiente ospedaliero al fine di prodigargli il trattamento riabilitativo e sottoporlo all'intervento chirurgico di cui aveva necessità.
Secondo la Corte, la decisione sopra citata conferma che la terapia riabilitativa di cui il ricorrente aveva bisogno era possibile soltanto al di fuori del carcere, in un luogo specializzato. Del resto, è opportuno sottolineare che il Governo non è stato in grado di sostenere la natura e l'adeguatezza della terapia riabilitativa che sarebbe stata prodigata al ricorrente nel periodo controverso.

75. Peraltro, la Corte rileva che il ricorrente ha espletato personalmente le pratiche per trovare un istituto disposto ad accoglierlo per la sua riabilitazione. Per la Corte l'inadeguatezza, sistematicamente denunciata dai medici, dell'ambiente carcerario alla patologia presentata dal ricorrente avrebbe dovuto indurre lo Stato a trasferire quest'ultimo in un istituto di cure adatto per escludere qualsiasi rischio di trattamenti inumani, o a sospendere l'esecuzione di una pena che costituiva ormai un trattamento contrario all'articolo 3 della Convenzione

76. Inoltre, quali che siano gli ostacoli, sottolineati dal Governo, per il regolare svolgimento del programma di esami e di visite mediche che il ricorrente stesso abbia potuto frapporre con i suoi spostamenti, la Corte ritiene che questi non dispensino affatto lo Stato dai suoi obblighi di fronte ai detenuti malati. Da una parte questi spostamenti sono stati autorizzati; dall'altra parte, anche se spostato in un altro istituto penitenziario, il ricorrente rimaneva detenuto e dunque dal punto di vista medico doveva essere preso in carico dalle autorità.

77. In conclusione, le cure di cui l'interessato aveva bisogno non potevano essere prodigate in carcere, il suo mantenimento nel carcere di Parma nonostante il parere contrario dei medici ha raggiunto la soglia minima di gravità per costituire un trattamento inumano e violare l'articolo 3 della Convenzione.

78. Tenuto conto degli elementi di cui sopra e delle conclusioni alle quali essa è pervenuta (paragrafi 72, 73 e 77 supra), la Corte ritiene che vi sia stata violazione dell'articolo 3 della Convenzione per il trattamento inumano e degradante subito dal ricorrente.

II. SULL’APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

79. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

« Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa. »

A.  Danno

80. Il ricorrente reclama 200.000 euro per il danno morale che avrebbe subito. Precisa che questa somma potrà essere utilizzata per pagare il suo trattamento riabilitativo.

81. Il Governo osserva che la constatazione di violazione costituirebbe di per sé una equa soddisfazione sufficiente.

82. La Corte ritiene opportuno concedere al ricorrente 10.000 euro per  danno morale.

B. Spese

83. Il ricorrente, che è stato ammesso al beneficio dell'assistenza giudiziaria ed ha ricevuto a questo titolo 850 euro, domanda 4.340,30 euro per le spese affrontate dinanzi alla Corte.

84. Il Governo trova eccessive le spese reclamate.

85. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole la somma di 3.000 euro per la procedura innanzi ad essa, dalla quale va dedotta la somma di 850 EURO già versati a titolo di assistenza giudiziaria, e la accorda al ricorrente.

C.  Interessi moratori

86. La Corte giudica appropriato calcolare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITA',

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 3 della Convenzione in ragione del trattamento inumano e degradante subito dal ricorrente;
  3. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui questa sentenza sarà diventata definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. 10.000 EURO (diecimila euro), più l'importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
      2. 2.150 EURO (duemilacentocinquanta euro), più l'importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per le spese legali;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso pari a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 7 febbraio 2012, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Françoise Tulkens
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l'esposizione dell'opinione separata dei giudici Jočienė, Berro-Lefèvre e Karakaş.

F.T.
S.H.N. 

OPINIONE CONCORDANTE COMUNE AI GIUDICI JOČIENĖ, BERRO-LEFÈVRE E KARAKAŞ

Siamo giunti senza esitazione alle conclusioni della camera secondo le quali vi è stata violazione dell'articolo 3 della Convenzione per il trattamento inumano e degradante subito dal ricorrente. Tuttavia, desideriamo esprimere il nostro disaccordo sulla formulazione che figura al paragrafo 66.

Riteniamo in effetti che il principio generale enunciato in questo paragrafo secondo il quale le cure dispensate in ambiente carcerario devono essere di un livello paragonabile a quello che le autorità dello Stato si sono impegnate a fornire a tutta la popolazione vada ben oltre gli obblighi positivi che la nostra giurisprudenza ha finora posto a carico degli Stati in materia di detenzione di persone malate.

La Corte ha imposto agli Stati di assicurarsi che ogni prigioniero sia detenuto in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l'interessato ad un pericolo o ad una prova la cui intensità superi l'inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, in considerazione delle esigenze pratiche della carcerazione, siano assicurati in maniera adeguata la salute ed il benessere del prigioniero, soprattutto tramite la somministrazione delle cure mediche richieste (Kudła c. Polonia [GC], no 30210/96, § 94, CEDU 2000-XI). Mostrando un certo realismo e tenendo conto della particolarità del contesto carcerario, ha anche considerato che l'articolo 3 della Convezione non può essere interpretato come una norma che sancisce un obbligo generale di liberare un detenuto per motivi di salute o di collocarlo in un ospedale civile per permettergli di ottenere un trattamento sanitario di tipo particolare (Mouisel c. Francia, no 67263/01, § 40, CEDU 2002-IX). In più occasioni, la Corte ha dichiarato che l'articolo 3 della Convenzione può essere interpretato come una norma che garantisce ad ogni detenuto un trattamento medico dello stesso livello di quello dispensato nelle migliori cliniche civili (Mirilachvili c. Russia (dec.), no 6293/04, 10 luglio 2007; Grichine c. Russia, no 30983/02, § 76, 15 novembre 2007).

In realtà è opportuno mantenere una certa flessibilità nel valutare il livello di cure richiesto. Questo livello deve evidentemente essere compatibile con la dignità umana del detenuto, ma deve anche tener conto delle esigenze pratiche della carcerazione. Del resto, come enunciato al paragrafo 67, le condizioni detentive di una persona malata devono garantire la tutela della salute del prigioniero, considerate le contingenze ordinarie e ragionevoli della carcerazione. Erigere a principio generale un livello di cure in detenzione paragonabile a quello dispensato al di fuori della detenzione significa puramente e semplicemente ignorare queste contingenze.