Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 6 dicembre 2011 - Ricorso 6310/07 - Antonio Cennamo c Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata da Martina Scantamburlo, funzionario linguistico

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
DECISIONE
SULLA RICEVIBILITÀ
del ricorso n. 6310/07
Antonio CENNAMO
contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 6 dicembre 2011 in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Dragoljub Popović,
Isabelle Berro-Lefèvre,
András Sajó,
Guido Raimondi,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato, proposto il 25 gennaio 2007,
Viste le osservazioni presentate dal governo convenuto e quelle avanzate in risposta dal ricorrente,
Dopo aver deliberato, emette la seguente decisione:

IN FATTO

Il ricorrente, sig. A. Cennamo, è un cittadino italiano, nato nel 1955 e residente ad Acerra (Napoli). È stato rappresentato dinanzi alla Corte dall’avv. I. Ferraro del foro di Palma Campania. Il governo italiano («il Governo») è rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dai suoi co-agenti, P. Accardo e S. Coppari.

A. Le circostanze del caso di specie

I fatti della causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

Con sentenza depositata il 12 novembre 1991 il tribunale di Napoli dichiarò il fallimento personale del ricorrente.

Nel 1996 la procedura di fallimento fu trasferita dinanzi al tribunale di Nola.

Nel 2002 il curatore fallimentare fu sostituito.

Con decisione depositata il 14 luglio 2006 il tribunale dichiarò la chiusura della procedura per ripartizione finale dell’attivo del fallimento.

B. Il diritto interno pertinente

1.L’articolo 50 della vecchia legge sul fallimento (regio decreto n. 267 del 16 marzo 1942) recitava:

«Nella cancelleria di ciascun tribunale è tenuto un pubblico registro nel quale sono iscritti i nomi di coloro che sono dichiarati falliti dallo stesso tribunale. Le iscrizioni dei nomi dei falliti sono cancellate dal registro in seguito a sentenza del tribunale. Finché l'iscrizione non è cancellata, il fallito è soggetto alle incapacità stabilite dalla legge.»

Conformemente alla sentenza Campagnano c. Italia (n. 77955/01, § 54, CEDU 2006 IV):

«[...] la Corte osserva che l’iscrizione del nome di una persona nel registro dei falliti implica una serie di incapacità personali previste dalla legge, come l’impossibilità di essere nominato tutore (articolo 350 del codice civile), il divieto di essere nominato amministratore o sindaco di una società commerciale o cooperativa (articoli 2382, 2399, 2417 e 2516 del codice civile), l’esclusione ex lege del socio da una società (articoli 2288, 2293 e 2318 del codice civile), l’incapacità di esercitare la professione di curatore (articolo 393 del codice civile), di mediatore (articolo 57 della legge n. 272 del 1913), di revisore dei conti (articolo 5 del regio decreto n. 228 del 1937), di arbitro (articolo 812 del codice di procedura civile). Altre incapacità derivano dal fatto che il fallito, non godendo pienamente dei diritti civili, non può essere iscritto all’albo di alcuni ordini professionali (ad esempio degli avvocati, dei notai o dei consulenti commerciali).»

2.L’articolo 47 del decreto legislativo n. 5 del 9 gennaio 2006, entrato in vigore il 16 gennaio 2006 (in riforma della vecchia legge sul fallimento) dispone:

«L’articolo 50 del regio decreto n. 267 del 16 marzo 1942 è abrogato.»

3.Altri elementi di diritto interno pertinente sono esposti nelle cause Campagnano c. Italia, n. 77955/01, CEDU 2006 IV; Albanese c. Italia, n. 77924/01, 23 marzo 2006 e Vitiello c. Italia, n. 77962/01, 23 marzo 2006.

MOTIVI DI RICORSO

  1. Invocando gli articoli 8 e 10 della Convenzione, 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione e 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione, il ricorrente lamenta la violazione del suo diritto al rispetto della corrispondenza e della libertà di espressione, del suo diritto al rispetto dei beni e della libertà di circolazione, in particolare a causa della durata della procedura.
  2. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, denuncia una violazione del suo diritto al rispetto della vita privata e famigliare a causa delle incapacità personali e professionali derivanti dall’iscrizione del suo nome nel registro dei falliti e per il fatto che può chiedere la riabilitazione solo cinque anni dopo la chiusura della procedura di fallimento.
  3. Invocando l’articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, il ricorrente lamenta la limitazione dei suoi diritti elettorali a seguito della dichiarazione di fallimento nei suoi confronti.
  4. Invocando gli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione, il ricorrente lamenta infine di non disporre di un ricorso effettivo per denunciare le incapacità che lo hanno colpito per tutta la durata della procedura di fallimento.

IN DIRITTO

1. Invocando gli articoli 8 e 10 della Convenzione, 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione e 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione, il ricorrente lamenta la violazione del suo diritto al rispetto della corrispondenza e della libertà di espressione, del suo diritto al rispetto dei beni e della libertà di circolazione, in particolare a causa della durata della procedura.

La Corte osserva anzitutto che è opportuno esaminare il motivo di ricorso relativo al diritto del ricorrente al rispetto della corrispondenza unicamente sotto il profilo dell’articolo 8 della Convenzione (Collarile c. Italia, n. 10644/02, § 17, 8 giugno 2006).

Tali articoli recitano:

Articolo 8 della Convenzione

«1.Ogni persona ha diritto al rispetto della propria (…) corrispondenza.

2.Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. »

Articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

Articolo 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione

«1.Chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di fissarvi liberamente la sua residenza.

2. Ognuno è libero di lasciare qualsiasi Paese, compreso il proprio.

3. L’esercizio di tali diritti non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono previste dalla legge e che costituiscono, in una società democratica, misure necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al mantenimento dell’ordine pubblico, alla prevenzione delle infrazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui.

4.I diritti riconosciuti al paragrafo 1 possono anche, in alcune zone determinate, essere oggetto di restrizioni previste dalla legge e giustificate dall’interesse pubblico in una società democratica.»

La Corte osserva che, nella sua sentenza n. 362 del 2003, depositata il 14 gennaio 2003, la Corte di cassazione ha per la prima volta ammesso che il risarcimento per il danno morale derivante dalla durata delle procedure di fallimento deve tenere conto, tra l’altro, del protrarsi delle incapacità derivanti dallo status di fallito.

La Corte ricorda di avere considerato che, a partire dal 14 luglio 2003, la sentenza n. 362 del 2003 non può più essere ignorata dal pubblico e che è a decorrere da tale data che si deve esigere che i ricorrenti si avvalgano di tale ricorso ai fini dell’articolo 35 § 1 della Convenzione (si veda Sgattoni c. Italia, n. 77132/01, § 48, 6 ottobre 2005).

Poiché il ricorrente non ha proposto ricorso ai sensi della «legge Pinto», la Corte ritiene che questa parte del ricorso è irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne e deve essere rigettata conformemente all’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione (si veda, tra molte altre, Francesco Moretti c. Italia, n. 10399/02, §§ 23-25, 24 maggio 2006).

2. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, il ricorrente denuncia una violazione del suo diritto al rispetto della vita privata e famigliare a causa delle incapacità personali e professionali derivanti dall’iscrizione del suo nome nel registro dei falliti, e sostiene di poter chiedere la riabilitazione solo dopo cinque anni dalla chiusura della procedura di fallimento. Tale articolo, nelle sue parti pertinenti, recita:

Articolo 8 della Convenzione

«1.Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (...).

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

La Corte osserva anzitutto che il motivo di ricorso relativo al diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata e famigliare non è stato debitamente provato. Questa parte del ricorso deve dunque essere rigettata in quanto manifestamente infondata, ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

Quanto al resto di questa doglianza, il Governo osserva che, il 16 febbraio 2006, è entrato in vigore il decreto legislativo n. 5 del 2006, abrogando l’articolo 50 della vecchia legge sul fallimento (articolo 47 del decreto). Secondo il Governo, il motivo di ricorso sollevato dal ricorrente sarebbe dunque tardivo in quanto le incapacità che lamenta sono cessate il 16 gennaio 2006 ed egli avrebbe dovuto presentare la sua doglianza entro sei mesi da tale data, ossia il 16 luglio 2006.

Il ricorrente non ha replicato alle osservazioni del governo convenuto.

Secondo la Corte, è indubbio che le incapacità che il ricorrente lamenta dinanzi alla Corte sono cessate dal 16 gennaio 2006. Il ricorrente, pertanto, avrebbe dovuto presentare entro il 16 luglio 2006. Poiché tale ricorso è stato presentato il 25 gennaio 2007, la doglianza del ricorrente è tardiva e deve essere rigettata ai sensi dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

3.Invocando l’articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, il ricorrente lamenta la limitazione dei suoi diritti elettorali a seguito della dichiarazione di fallimento nei suoi confronti. L’articolo in questione recita:

Articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione

«Le Alte Parti contraenti si impegnano a organizzare, a intervalli ragionevoli, libere elezioni a scrutinio segreto, in condizioni tali da assicurare la libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo.»

La Corte osserva che, secondo la legge applicabile all’epoca dei fatti della causa, la perdita del diritto di voto a seguito della dichiarazione di fallimento non poteva eccedere i cinque anni dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento. Poiché tale sentenza è stata emessa il 12 novembre 1991, il divieto in questione è cessato il 12 novembre 1996. Il ricorrente avrebbe dunque dovuto proporre questo motivo di ricorso entro sei mesi a decorrere da tale data (12 maggio 1997). Il ricorso è stato invece presentato il 25 gennaio 2007, pertanto la Corte constata che questo motivo di ricorso è tardivo e ritiene che debba essere rigettato conformemente all’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

4.Invocando gli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione, il ricorrente sostiene infine di non disporre di un ricorso effettivo per lamentare le incapacità che lo hanno colpito per tutta la durata della procedura di fallimento. Tali articoli, nelle parti pertinenti, recitano:

Articolo 6 § 1 della Convenzione

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (...) da un tribunale (...),il quale sia chiamato a pronunciarsi (...) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

Articolo 13 della Convenzione

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

La Corte ricorda di avere concluso per l’irricevibilità di motivi di ricorso relativi agli articoli 8 della Convenzione, 1 del Protocollo n.1 e 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione. Non trattandosi di motivi di ricorso «difendibili» rispetto alla Convenzione, la Corte ritiene che questa parte del ricorso debba essere rigettata in quanto manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione (Brancatelli c. Italia, n. 21229/02, dec. dell’11 maggio 2006).

Per questi motivi la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

   Françoise Elens-Passos  Greffière adjointe
   Françoise Tulkens   Présidente