Sentenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo dell'11 ottobre 2011 - Ricorso n. 32226/04 - Salvatore Francesco Pezzino c. Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, eseguita da  Anna Aragona, funzionario linguistico


CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA  SEZIONE
DECISIONE
Ricorso n. 32226/04
presentato da Salvatore Francesco PEZZINO
contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in data 11 ottobre 2011 in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
David Thór Björgvinsson,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Guido Raimondi,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 30 agosto 2004,
Viste le osservazioni presentate dal governo convenuto,
Dopo aver deliberato, emette la seguente decisione :

IN FATTO

Il ricorrente, sig. Salvatore Francesco Pezzino, è un cittadino italiano, nato nel 1962, detenuto nel carcere di Voghera. Dopo la comunicazione del ricorso, egli ha incaricato l’avv. M. Pontin, del foro di Milano, affinché lo rappresentasse dinanzi alla Corte, ed ha chiesto l’ammissione al gratuito patrocinio. Si tratta del suo quinto ricorso dinanzi alla Corte.
Il governo italiano (« il Governo ») è rappresentato dal suo agente, sig.ra E. Spatafora, e dal suo ex co-agente aggiunto, sig. Lettieri.
I fatti della causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.
Il ricorrente, sospettato di appartenenza alla mafia ed accusato di omicidio, è sottoposto a detenzione dal 2 dicembre 1984. Il 29 aprile 1988, la corte d’assise d’appello di Palermo lo condannava a 30 anni di reclusione.
Il 24 aprile 1991, il tribunale di Firenze concedeva al ricorrente una detrazione di pena di 540 giorni, poi revocata il 27 luglio 1992.
Il 21 giugno 1996, il ricorrente veniva ammesso al beneficio della semilibertà. A partire dal 18 maggio 1994 e fino al 27 dicembre 1999, egli beneficiava di varie detrazioni di pena.

Sospettato di aver commesso un secondo omicidio in data 10 aprile 1999, durante il regime di semilibertà, nonché di aver perpetrato altri reati (associazione di tipo mafioso, frode, estorsione), in data 17 maggio 2000, il ricorrente veniva arrestato e sottoposto nuovamente a detenzione. Egli era successivamente detenuto nelle carceri di Vicenza, Voghera, Palermo e Sulmona.

Si evince dal fascicolo che a carico del ricorrente venivano promossi due procedimenti penali, il primo per l’omicidio commesso nel 1999, il secondo per gli altri reati. Il primo procedimento era ancora pendente in primo grado al momento della presentazione del ricorso. In data 28 maggio 2004, il ricorrente chiedeva alla corte d’assise di Palermo di poter interrogare il pentito M.S., testimone a carico. Il 16 novembre 2004 si teneva il confronto richiesto. Il pentito, dopo aver discolpato il ricorrente, lo accusava nuovamente dell’omicidio. L’esito del citato procedimento non è noto ed il fascicolo non contiene nessun documento relativo al medesimo.
Per quanto concerne il secondo procedimento, sembra che il ricorrente sia stato infine assolto, tuttavia non è stato prodotto al riguardo nessun documento. 
Frattanto, il ricorrente aveva chiesto più volte alle autorità politiche, giudiziarie e penitenziarie il rispetto del suo diritto alla salute e ad un trattamento umano in carcere, nonché la concessione di un sussidio economico e di un’assistenza materiale per il suddetto e la sua famiglia. Egli afferma di aver ricevuto solo dinieghi. Tuttavia, nell’ambito del secondo procedimento penale, egli beneficiava del gratuito patrocinio. Dal fascicolo si evince che l’interessato è stato sottoposto a controlli medici regolari.
Il 9 gennaio 2001, il ricorrente veniva sottoposto alla misura della sorveglianza speciale per due anni, in quanto sospettato di appartenere alla mafia. Infine, il 2 luglio 2003, i suoi beni venivano sequestrati. Tuttavia, il 25 settembre 2003, detto sequestro non veniva convalidato.

MOTIVI DI RICORSO

Invocando la Convenzione nel suo complesso, nonché numerose disposizioni di diritto interno, il ricorrente lamenta una serie di ingiustizie subite da parte delle autorità giudiziarie e penitenziarie italiane. 

In primo luogo, nelle lettere inviate a varie autorità nazionali ed alla stampa, il ricorrente formulava delle doglianze relative alle condizioni carcerarie nei penitenziari di Vicenza, Voghera e Palermo, nonché nei furgoni utilizzati per la traduzione da una prigione all’altra. Le sue contestazioni riguardavano il sovraffollamento, le carenze igieniche, l’assistenza medica insufficiente, l’assenza di possibilità di lavoro, la scarsa illuminazione ed aerazione, gli arredi insufficienti, le limitazioni all’utilizzo della televisione, nonché l’assenza di un sussidio economico per il suddetto e la sua famiglia. Il ricorrente lamenta di non aver ottenuto risposte favorevoli alle numerose richieste sottoposte alle autorità politiche, giudiziarie e penitenziarie, finalizzate ad ottenere il rispetto del suo diritto alla salute e ad un trattamento umano all’interno del carcere, nonché un sussidio economico ed un’assistenza materiale per il medesimo e la sua famiglia.

In secondo luogo, il ricorrente lamenta l’accanimento della Procura e dei giudici di Palermo nei suoi confronti, nonché la mancanza di equità nel procedimento penale per omicidio. Al riguardo, egli invoca la scomparsa o la falsificazione di alcuni documenti, l’accoglimento di false testimonianze da parte di alcuni pentiti e la violazione da parte della Procura della « libertà di autodeterminazione » durante l’interrogatorio.

IN DIRITTO

Il ricorrente lamenta le condizioni carcerarie all’interno di diversi istituti penitenziari italiani ed in occasione delle traduzioni da una prigione all’altra a bordo di furgoni.  Egli afferma che le sue richieste di aiuto sono rimaste senza risposta. Inoltre, egli lamenta la mancanza di equità nei procedimenti penali e l’accanimento giudiziario nei suoi confronti. Egli invoca varie disposizioni di diritto nazionale e della Convenzione.
In relazione alle disposizioni di diritto nazionale invocate dal ricorrente, la Corte rammenta che è suo compito garantire il rispetto degli impegni assunti dalle Alte Parti Contraenti mediante l’adesione alla Convenzione ed ai suoi protocolli. Pertanto essa ha la competenza per esaminare i motivi di ricorso solo alla luce della Convenzione. 

Le doglianze del ricorrente si prestano ad un esame sotto il profilo dell’articolo 3 della Convenzione, secondo il quale « nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti  », e dell’articolo 6 della Convenzione, che enuncia le garanzie di un processo equo.

Il Governo osserva che né i documenti, né il modulo del ricorso contengono elementi a sostegno dei motivi di ricorso addotti dal ricorrente. Nella corrispondenza con la Corte, il ricorrente ha affermato in modo generale, senza riferirsi alla propria situazione o a circostanze precise, che le carceri italiane sono sovraffollate e carenti sotto il profilo igienico, di modo che tale motivo di ricorso costituisce una actio popularis. Ad ogni buon conto, il Governo afferma che le condizioni carcerarie del ricorrente sono compatibili con le raccomandazioni del Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT). Il ricorrente è sempre stato in una cella individuale della superficie di circa 9 metri quadrati, superiore dunque alla superficie minima indicata dal CPT. Inoltre, le celle in questione disponevano di illuminazione naturale e di sufficiente ventilazione, nonché di sanitari dotati di una separazione, che ne garantiva l’uso fuori dalla vista di terze persone. Il ricorrente poteva uscire dalla cella quattro ore al giorno e passeggiare con gli altri detenuti. Egli ha avuto l’opportunità di lavorare, socializzare, aver accesso ad attività culturali. Non sono state disposte a suo carico limitazioni agli incontri con i suoi familiari. Considerato il suo particolare stato di salute psichica (antisociale e ipocondriaca con elementi paranoidi), egli è sempre rimasto in celle individuali e gli sono state somministrate le cure mediche adeguate. Le traduzioni da una prigione all’altra sono state effettuate nel rispetto della dignità e della salute del ricorrente.
Il ricorrente non ha presentato osservazioni.

L’avvocato nominato dopo la comunicazione del ricorso chiedeva una prima proroga del termine stabilito per la presentazione delle osservazioni, sostenendo di non essere in possesso di tutti i documenti pertinenti, in particolare quelli inviati dal ricorrente alla Corte. La richiesta veniva accolta ed si fissava un nuovo termine.
Quindici giorni prima della scadenza del nuovo termine, l’avvocato chiedeva l’invio di copia di tutti i ricorsi presentati dal ricorrente alla Corte, in quanto questi non disponeva di copie integrali dei medesimi. Detta richiesta non veniva accolta.

In seguito, l’avvocato chiedeva una seconda proroga del termine stabilito per la presentazione delle osservazioni, sostenendo di aver appena ricevuto dal ricorrente copia di alcuni atti inviati alla Corte. Inoltre egli faceva richiesta di un modulo (« dichiarazione di risorse »), sulla base del quale avrebbe potuto presentare la domanda di gratuito patrocinio. Tali richieste venivano accolte, si fissava un nuovo termine e veniva spedito all’avvocato un nuovo modello di dichiarazione di risorse.

Il giorno precedente alla scadenza del termine, l’avvocato inoltrava una nuova domanda finalizzata ad ottenere copia dei documenti presentati a sostegno dei ricorsi depositati dal ricorrente dinanzi alla Corte, in modo da poter replicare alle osservazioni del Governo. In maniera implicita, l’avvocato chiedeva dunque una nuova proroga del termine. Detta richiesta veniva rigettata dalla Presidente. D’altronde, l’avvocato non aveva restituito la dichiarazione di risorse debitamente compilata. 

La Corte deve dunque decidere sulla base degli atti disponibili. 
Essa constata che il ricorrente non ha prodotto sufficienti elementi a sostegno dei motivi di ricorso. Essa ritiene che nessun elemento del fascicolo lasci supporre una parvenza di violazione delle disposizioni della Convenzione.

Ne consegue che il ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,
Dichiara il ricorso irricevibile.

Stanley Naismith
Cancelliere

Françoise Tulkens
Presidente