Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 26 settembre 2017 - Ricorso n. 18132/10 - Causa Stefano Bosco c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita da Rita Carnevali, assistente linguistico e rivista con la dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 18132/10

Stefano Bosco
contro l’Italia


La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita il 26 settembre 2017 in un comitato composto da:

  • Krzysztof Wojtyczek, presidente,
  • Armen Harutyunyan,
  • Jovan Ilievski, giudici,
  • e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 25 marzo 2010,
Dopo avere deliberato, emette la seguente decisione:

IN FATTO

1.  Il ricorrente, il sig. Stefano Bosco, è un cittadino italiano nato nel 1963 e residente a Piano di Follo (SP). È stato rappresentato dinanzi alla Corte dall’avvocato C. Defilippi, del foro di La Spezia.

A.  Le circostanze del caso di specie

2.  I fatti di causa, così come sono stati esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.
3.  In una data non precisata, il ricorrente presentò una domanda dinanzi al pretore di La Spezia per ottenere un decreto ingiuntivo per un importo di 34.609.008 lire italiane (ITL), credito che la sua società individuale richiedeva alla società «CIAS group» per dei lavori effettuati nel 1994.
4.  In una data non precisata del 1995, il pretore di La Spezia emise un decreto ingiuntivo (n. 482/1995) contro la «CIAS group». Quest’ultima presentò opposizione dinanzi al tribunale di primo grado di La Spezia.
5.  Con decreto n. 2355/2000 (la cui data non è stata precisata), il tribunale di La Spezia confermò il decreto ingiuntivo.
6.  Il 28 febbraio 2003 il ricorrente doveva ancora ricevere il pagamento di una parte del suo credito per un importo pari a 18.563.13 euro (EUR).
7.  Il 16 settembre 2003 il tribunale di Parma ammise la società debitrice alla procedura di concordato preventivo e nominò contestualmente il giudice delegato e il commissario giudiziale. Questi ultimi fissarono la convocazione dei creditori interessati per il 15 ottobre 2003, al fine di ottenere l' approvazione del concordato.
8.  Il 18 dicembre 2003 il tribunale emise un decreto di omologa del concordato preventivo e nominò un liquidatore giudiziale.
9.  Il 2 febbraio 2006 il ricorrente presentò un ricorso dinanzi alla corte d’appello «Pinto» di Bologna lamentando la durata complessiva della procedura. A suo parere, la durata della procedura doveva essere calcolata considerando come un unico «processo», ai sensi dell' articolo 6 § 1 della Convenzione, il procedimento di ingiunzione e la procedura di concordato preventivo.
10.  Nella sua decisione del 3 ottobre 2006, depositata il 29 novembre 2006, la corte d’appello di Bologna respinse la domanda del ricorrente. Ritenne che il procedimento di ingiunzione fosse terminato nel 2000, visto che il decreto n. 2355/2000 del tribunale di La Spezia era divenuto definitivo ben prima del termine di sei mesi previsto dalla legge «Pinto» (articolo 4 della legge n. 89/2001). Questa parte del ricorso doveva pertanto essere considerata tardiva.
11.  Per quanto riguarda il concordato preventivo, la corte d’appello rilevò che questa procedura era stata avviata il 16 settembre 2003 e il decreto di omologa era stato emesso il 18 dicembre 2003. Tenendo conto della complessità della causa, in particolare dell’esigenza di valutare la situazione patrimoniale della società debitrice, la corte d’appello giudicò che, alla data della sua decisione, il tempo trascorso non aveva superato il termine ragionevole.
12.  Il 29 novembre 2007 il ricorrente propose ricorso per cassazione sollevando un unico motivo e chiedendo alla Corte di cassazione di indicare se il giudice nazionale, chiamato a pronunciarsi sulla violazione del diritto a un processo entro un termine ragionevole, dovesse considerare la procedura di merito e quella di esecuzione separatamente o, al contrario, dovesse adottare una lettura globale considerando come dies ad quem il momento in cui il diritto azionato ha trovato la sua effettiva realizzazione.
13.  Il 29 settembre 2009, la Corte di cassazione rigettò con ordinanza il ricorso del ricorrente dichiarando che la procedura di concordato preventivo e il procedimento di ingiunzione dovevano essere considerati autonomamente.

B.  Il diritto e la prassi interni pertinenti

14.  Per quanto riguarda il diritto e la prassi interni pertinenti nel caso di specie, la Corte rinvia alla sentenza Bozza c. Italia (n.17739/09, §§ 17 24, 29 agosto 2017).

MOTIVI DI RICORSO

15.  Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il ricorrente lamenta la durata complessiva del procedimento civile di cui è stato parte.
16.  Invocando l’articolo 13 della Convenzione, egli lamenta l’assenza di un ricorso effettivo per ottenere soddisfazione del suo credito nell’ambito della procedura di concordato preventivo.
17.  Invocando l’articolo 1 del Protocollo n. 1, il ricorrente denuncia l’impossibilità di recuperare il suo credito nel corso del medesimo procedimento.

IN DIRITTO

18.  Il ricorrente invoca una violazione degli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1, formulati come segue:
Articolo 6 § 1
«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (...) entro un termine ragionevole, da un tribunale (...), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»
Articolo 13
«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti  nella (...) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»
Articolo 1 del Protocollo n. 1
«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»
19.  Secondo il ricorrente, la durata complessiva del procedimento non soddisfa il requisito del «termine ragionevole» di cui all’articolo 6 § 1 della Convenzione. Egli sostiene che la procedura, iniziata in una data non precisata del 1995, era ancora in corso alla data di presentazione del suo ricorso.
20.  La Corte rammenta che, secondo la sua consolidata giurisprudenza, gli Stati contraenti hanno l’obbligo di assicurare che ogni diritto rivendicato trovi la sua effettiva realizzazione. Pertanto, l’esecuzione di una sentenza, di qualsiasi giudice, deve essere considerata parte integrante del «processo», ai sensi dell’articolo 6 (si veda, in particolare, Scordino c. Italia (n. 1) [GC], n.. 36813/97, § 197, CEDU 2006-V; e Metaxas c. Grecia (n. 8415/02, § 25, 27 maggio 2004).
21.  La Corte ha anche indicato che la portata di questo obbligo varia in funzione della qualità della parte debitrice. In effetti, essa ha operato una distinzione in base alla natura della parte debitrice, tra debitore privato e debitore pubblica amministrazione (Bozza c. Italia, n. 17739/09, §§ 42-48, 29 settembre 2017).
22.  Quando il privato o la persona sono inadempienti, spetta agli Stati contraenti garantire l’assistenza necessaria affinché il diritto rivendicato trovi la sua effettiva realizzazione. Benché lo Stato non sia responsabile per il mancato pagamento di un credito esigibile dovuto all'insolvenza di un debitore «privato» (si veda, mutatis mutandis, Sanglier c. Francia, n. 50342/99, § 39, 27 maggio 2003, Ciprova c. Repubblica ceca (dec.), n. 33273/03, 22 marzo 2005, e Cubănit c. Romania (dec.), n. 31510/02, 4 gennaio 2007), esso può esserlo quando le autorità pubbliche coinvolte nei procedimenti esecutivi non danno prova della diligenza richiesta o addirittura impediscono l’esecuzione (Bogdan Vodă Greek-Catholic Parish c. Romania, n. 26270/04, § 44, 19 novembre 2013, e Sekul c. Croazia (dec.), n. 43569/13, §§ 54-55, 30 giugno 2015).
23.  Nel caso di specie, la Corte nota che, tra la fine del procedimento ingiuntivo (in data non precisata del 2000) e l’inizio della procedura di concordato preventivo (16 settembre 2003), il ricorrente non ha agito per ottenere soddisfazione del suo credito o, in ogni caso, non ha indicato alla Corte le azioni che avrebbe avviato per ottenerne il recupero.
24.  Pertanto, rammentando i principi sopra menzionati, la Corte non può imputare allo Stato l’inattività del ricorrente durante questo periodo di tre anni. In effetti, nell’ambito di rapporti tra privati come quello della presente causa, quando il debitore è un privato, gli Stati hanno l’obbligo positivo di istituire un sistema che sia effettivo in pratica come in diritto e che permetta di assicurare l’esecuzione delle decisioni giudiziarie definitive tra persone private (Fouklev c. Ucraina, n. 71186/01, § 84, 7 giugno 2005). Ciò significa che l’eventuale negligenza o ritardo nell’utilizzo dei rimedi disponibili non possono essere imputati agli Stati, così come l’insolvenza del debitore privato, nel caso di specie all’origine dell’apertura della procedura di concordato preventivo (si veda il paragrafo 22 supra). Di conseguenza, la Corte non riscontra alcun nesso di continuità tra la prima e la seconda procedura (si veda, a contrario, Bozza, sopra citata, §§ 50-52).
25.  Ne consegue che questo motivo di ricorso, per quanto riguarda il procedimento di ingiunzione, è tardivo e deve essere respinto ai sensi dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
26.  Per quanto riguarda la parte del motivo di ricorso relativa alla procedura di concordato preventivo, la Corte constata che quest’ultima è iniziata il 16 settembre 2003 e al 26 novembre 2006, data del deposito della decisione «Pinto», era durata tre anni e due mesi per un grado di giudizio.
27.  Tenuto conto della complessità della causa che verte sull’analisi di un elevato numero di attivi e passivi che compongono il patrimonio della società, la Corte ritiene che la durata di questa procedura non sia sufficientemente importante per concludere che vi è stata una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione. Pertanto, questa parte del ricorso è manifestamente infondata e deve essere rigettata ai sensi dell’ articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.
28.  Per quanto riguarda l’ulteriore durata del concordato preventivo, il ricorrente ha indicato, senza fornirne la prova, che alla data di presentazione del ricorso la procedura contestata era ancora pendente.
29.  La Corte ha già avuto occasione di dichiarare che, per quanto riguarda la durata supplementare del procedimento principale che non è stata presa in considerazione da una corte d’appello «Pinto», le conseguenze da trarne in termini di esaurimento dei mezzi di ricorso interni dal punto di vista dell’articolo 35 § 1 della Convenzione variano in funzione della lunghezza del periodo da prendere in considerazione.
30.  In particolare, la Corte ha adottato il criterio dell’apparenza di violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione per stabilire se il ricorrente fosse tenuto o meno ad avvalersi una seconda volta del rimedio «Pinto» per denunciare la durata supplementare nell’ambito della stessa procedura (Cocchiarella c. Italia [GC], n, 64886/01, §§ 115-116, CEDU 2006 V; Rotondi c. Italia, n, 38113/97, §§ 14-16, 27 aprile 2000; Gattuso c. Italia, (dec.), n. 24715/04, 18 novembre 2004; e Natale c. Italia, n.  25872/02, § 25, 16 marzo 2010).
31.  Nella presente causa, la durata supplementare della procedura di concordato preventivo che non è stata presa in considerazione dalla corte d’appello di Bologna era, alla data di presentazione del ricorso, di tre anni e quattro mesi. Ciò è di per sé sufficiente a costituire una seconda violazione nell’ambito della stessa procedura (Rotondi, sopra citata, §§ 14-16; S.A.GE.MA S.n.c. c. Italia, n. 40184/98, §§ 12-14, 27 aprile 2000).
32.  Ne consegue che questa parte del motivo di ricorso dev’essere rigettata per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
33.  Dal punto di vista dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, il ricorrente lamenta l’impossibilità di recuperare il suo credito di 18.563,13 EUR. Ora, la Corte rammenta che, secondo la sua giurisprudenza, quando un motivo di ricorso relativo all’articolo 1 del Protocollo n. 1 è legato alla durata di una procedura, i ricorrenti devono far valere le loro contestazioni nell’ambito dello stesso rimedio previsto dalla «legge Pinto» ai fini dell’articolo 35 § 1 della Convenzione (si vedano Sanseverino c. Italia, dec. n. 75160/01, 19 gennaio 2006, mutatis mutandis, Mascolo c. Italia, dec. n. 68792/01, 16 ottobre 2003, e Provvedi c. Italia, dec. n. 66644/01, 2 dicembre 2004). Pertanto, per le stesse ragioni esposte ai paragrafi 28-32 supra, la Corte rigetta questo motivo di ricorso per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.
34.  Tenuto conto di quanto sopra esposto, il motivo di ricorso relativo all’articolo 13 della Convenzione deve essere rigettato in quanto manifestamente infondato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.
Per questi motivi, la Corte, all’unanimità
Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese poi comunicata per iscritto il 19 ottobre 2017.

Renata Degener
Cancelliere aggiunto    

Krzysztof Wojtyczek
Presidente