Sentenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo del 15 novembre 2011 - Ricorso n. 699/03 - Facchiano e Maio c. Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, eseguita da  Martina Scantamburlo, funzionario linguistico

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA FACCHIANO E MAIO c. ITALIA
(Ricorso n. 699/03)
SENTENZA
STRASBURGO
15 novembre 2011

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Facchiano e Maio c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in un Comitato composto da:
David Thór Björgvinsson, presidente,
Guido Raimondi,
Helen Keller, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 18 ottobre 2011,
Rende la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1.All’origine della causa vi è un ricorso (n. 699/03) presentato contro la Repubblica italiana con cui due cittadini di tale Stato, i sigg. Carlo Facchiano e Vito Maio («i ricorrenti»), hanno adito la Corte il 30 luglio 1999 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2.I ricorrenti, nati rispettivamente nel 1950 e nel 1946 e residenti a Benevento, sono rappresentati dall’avv. T. Verrilli del foro di Benevento. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo ex agente, I.M. Braguglia, e dal suo ex co-agente, N. Lettieri.
3.Il 7 settembre 2006 la Corte ha dichiarato il ricorso parzialmente irricevibile e ha deciso di informare il Governo dei motivi di ricorso basati sulla eccessiva durata della procedura e sulla ineffettività del ricorso Pinto. In applicazione del Protocollo n.14 i ricorsi sono stati assegnati ad un Comitato.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

1.Il procedimento principale

4.L’8 luglio 1995 più di cinquanta funzionari di una società di diritto privato, tra i quali i ricorrenti, depositarono un ricorso unico dinanzi al pretore di Benevento (RG n. 5632/95), facente funzione di giudice del lavoro, al fine di ottenere il pagamento delle differenze di retribuzione alle quali ritenevano di avere diritto.
5.Delle cinque udienze fissate tra il 25 febbraio 1997 e il 1° giugno 1999 tre furono rinviate d’ufficio.
6.Il giudice trattenne la causa in decisione il 21 settembre 1999.
7.Con sentenza emessa lo stesso giorno, il cui testo fu depositato in cancelleria il 24 novembre 1999, il pretore rigettò la domanda dei ricorrenti.

2.Il procedimento «Pinto»

8.Con lettera in data 25 luglio 2001 la cancelleria della Corte informò i ricorrenti dell’entrata in vigore, il 18 aprile 2001, della legge n. 89 del 24 marzo 2001 («la legge Pinto»). I ricorrenti furono, inoltre, invitati a sottoporre i loro motivi di ricorso prima ai giudici nazionali.
9.Con un decreto-legge del 12 ottobre 2001 il termine di sei mesi previsto dall’articolo 6 della legge Pinto fu prorogato fino al 18 aprile 2002.
10.Con lettera in data 4 aprile 2002 i ricorrenti informarono la Corte che intendevano avvalersi del rimedio offerto dalla legge Pinto.
11.Nell’ottobre 2001 adirono dunque la corte d’appello di Roma allo scopo di ottenere una constatazione di violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e la condanna del governo al risarcimento dei danni morali subiti, ossia 12.000.000 lire [6.197,48 euro (EUR)] per il sig. Facchiano e 8.000.000 lire [4.131,65 EUR] per il sig. Maio.
12.Con decisione in data 18 giugno 2002, il cui testo fu depositato in cancelleria il 26 luglio 2002, la corte d’appello accolse la domanda e accordò a ciascun ricorrente le somme di 600 EUR in equità a titolo di riparazione del danno morale e di 1.000 EUR per le spese. Notificata all’amministrazione il 4 dicembre 2002, la decisione divenne definitiva il 2 febbraio 2003.
13.Con due lettere datate 7 e 11 febbraio 2004 i ricorrenti informarono la Corte dell’esito del procedimento nazionale e la pregarono di riprendere l’esame del loro ricorso. Indicarono anche che non avevano intenzione di presentare ricorso per cassazione in quanto tale rimedio poteva essere esperito soltanto per questioni di diritto.
14.Le somme accordate in esecuzione della decisione Pinto furono pagate il 7 aprile 2004.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

15. Il diritto e la prassi interni pertinenti sono riportati nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, §§ 23-31, 29 marzo 2006).

IN DIRITTO

I. SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

16.I ricorrenti sostengono che la durata del procedimento ha contravvenuto al principio del «termine ragionevole» e lamentano l’insufficienza della riparazione ottenuta nell’ambito del rimedio «Pinto».
17.Il Governo si oppone a questa tesi.
18.L’articolo 6 § 1 della Convenzione recita:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...).»

A. Sulla ricevibilità

1.Tardività del ricorso

19.Il Governo eccepisce la tardività del ricorso, in quanto i ricorrenti non hanno contestato l’esito del procedimento «Pinto» entro sei mesi a decorrere dalla chiusura dello stesso.
20.La corte ricorda anzitutto che il ricorso è stato presentato prima dell’entrata in vigore della legge «Pinto». Poiché i ricorrenti hanno chiesto che fosse mantenuto il ricorso dinanzi alla Corte dopo aver adito la corte d’appello competente, la data di presentazione è quella del loro ricorso iniziale. La Corte constata anche che dal fascicolo risulta che i ricorrenti non hanno mai interrotto la loro corrispondenza con la Corte per periodi superiori a un anno. Di conseguenza, ritiene che sia opportuno rigettare l’eccezione.

2.Qualità di «vittima»

2.Il Governo sostiene che i ricorrenti non possono più pretendersi «vittime» della violazione dell’articolo 6 § 1 in quanto hanno ottenuto dalla corte d’appello «Pinto» una constatazione di violazione e una riparazione adeguata e sufficiente.
22.La Corte, dopo aver esaminato tutti i fatti delle cause e gli argomenti delle parti, considera che la riparazione si è rivelata insufficiente (si veda Delle Cave e Corrado c. Italia, n. 14626/03, §§ 26-31, 5 giugno 2007, CEDU 2007 VI; Cocchiarella sopra citata, §§ 69-98) e che l’indennizzo «Pinto» non è stato versato entro sei mesi a decorrere dal momento in cui la decisione della corte d’appello è divenuta esecutiva (Cocchiarella sopra citata, § 89). Pertanto, i ricorrenti possono ancora pretendersi «vittime», ai sensi dell’articolo 34della Convenzione.

B. Sul merito

23.La Corte constata che la durata del procedimento in contestazione è stata di quattro anni e quattro mesi per un grado di giudizio.
24.La Corte ha trattato più volte ricorsi che sollevavano questioni simili a quelle del caso di specie ed ha constatato che viene ignorata l'esigenza del «termine ragionevole», tenuto conto dei criteri derivanti dalla sua consolidata giurisprudenza in materia (si veda, in primo luogo, Cocchiarella sopra citata). Non scorgendo nulla che possa indurla a concludere diversamente nella presente causa, la Corte ritiene che, per gli stessi motivi, sia anche opportuno constatare una violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

II. SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13

25.Invocando l’articolo 13 della Convenzione, i ricorrenti lamentano l’ineffettività del rimedio «Pinto» a causa dell’insufficienza della riparazione accordata dalla corte d’appello «Pinto».
La Corte ricorda che, secondo la giurisprudenza Delle Cave e Corrado (n. 14626/03, §§ 43-46, 5 giugno 2007, CEDU 2007 VI) e Simaldone c. Italia (n. 22644/03, §§ 71-72, CEDU 2009-... (estratti)), l’insufficienza dell’indennizzo «Pinto» non rimette in causa l’effettività di questa via di ricorso. Pertanto, è opportuno dichiarare questo motivo di ricorso irricevibile in quanto manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convezione.

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

26. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

27.I ricorrenti chiedono la somma di 6.000 euro (EUR) per il danno morale che avrebbero subito.
28.Il Governo contesta questa pretesa.
29.La Corte ritiene che avrebbe potuto accordare a ciascun ricorrente, in assenza di vie di ricorso interne e tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Arvanitaki-Roboti e altri c. Grecia [GC] (n. 27278/03, §§ 28-32, CEDU 2008), la somma di 2.000 EUR. Il fatto che la corte d’appello «Pinto» abbia accordato loro la somma di 600 EUR ha portato ad un risultato manifestamente irragionevole, tanto più che il pagamento di tale somma è avvenuto più di sei mesi dopo il deposito in cancelleria della decisione Pinto. Di conseguenza, tenuto conto della soluzione adottata nelle sentenze Cocchiarella c. Italia (sopra citata, §§ 139-142 e 146) e Belperio e Ciarmoli c. Italia (n. 7932/04, §§ 61-64, 21 dicembre 2010) la Corte, deliberando equamente, accorda a ciascun ricorrente la somma di 300 EUR e la somma di 200 EUR per l’ulteriore frustrazione derivante dal ritardo nel versamento dell’indennizzo «Pinto».

B. Spese

30.I ricorrenti chiedono anche la somma di 7.250,21 EUR per le spese relative al procedimento «Pinto» e a quello intentato dinanzi alla Corte.
31.Il Governo si oppone a queste pretese.
32.La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, l’attribuzione delle spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che ne siano accertate la realtà e la necessità, e che il loro importo sia ragionevole (Can e altri c. Turchia, n. 29189/02, § 22, 24 gennaio 2008). Inoltre, le spese di giustizia possono essere rimborsate solo nella misura in cui si riferiscono alla violazione constatata (si veda, ad esempio, Beyeler c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 33202/96, § 27, 28 maggio 2002; Sahin c. Germania [GC], n. 30943/96, § 105, CEDU 2003-VIII).
33.Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri sopra menzionati, la Corte ritiene ragionevole accordare globalmente a ciascun ricorrente la somma di 500 EUR per le spese.

C. Interessi moratori

34.La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

1.Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda il motivo di ricorso relativo alla durata del procedimento e irricevibile per il resto;

2.Decide che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;

3.Decide
a ) che lo Stato convenuto deve versare a ciascun ricorrente, entro tre mesi,
        i. 500 EUR (cinquecento euro) per danno morale, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta;
       ii. 500 EUR (cinquecento euro) per le spese, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dai ricorrenti;
b) che a decorrere dallo scadere di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali;

4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese e poi comunicata per iscritto il 15 novembre 2011 in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Davíd Thór Björgvinsson

Cancelliere aggiunto Presidente