Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo dell'11 ottobre 2011 - Ricorso n. 35567/02 - Pasquale Bagordo ed altri c.Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, eseguita da Rita Pucci, funzionario linguistico

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
DECISIONE
SULLA RICEVIBILITÀ
del ricorso n. 35567/02
presentato da Pasquale BAGORDO ed altri
contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita l’11 ottobre 2011 in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
David Thór Björgvinsson,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Guido Raimondi,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 18 febbraio 1999,
Viste le osservazioni presentate dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dai ricorrenti,
Dopo avere deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

I ricorrenti, le cui generalità figurano nell’elenco allegato, sono cittadini italiani. Sono rappresentati dinanzi alla Corte dall’Avv. Giovanni Romano, del foro di Benevento. Il governo italiano («il Governo») è rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dai suoi co-agenti, P. Accardo e S. Coppari.

A. Le circostanze del caso di specie

I fatti della causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

1. La procedura fallimentare

I ricorrenti erano dipendenti della società S.C. S.a.s.

Con sentenza depositata il 25 febbraio 1993, il tribunale di Napoli dichiarò il fallimento della suddetta società.

Tra il 5 maggio 1993 e il 10 giugno 1993, i ricorrenti presentarono domande di ammissione al passivo fallimentare al fine di ottenere le ultime tre retribuzioni non corrisposte e il trattamento di fine rapporto (T.F.R.) a cui ritenevano di avere diritto

Tra il 13 maggio 1993 e il 18 novembre 1993, il giudice delegato accolse le loro domande nella misura dei seguenti importi:

  • sig. Pasquale Bagordo: 11.345.064 lire italiane (ITL) (ossia circa 5.860 euro (EUR));
  • sig. Salvatore Battaglia: 3.859.707 ITL (ossia circa 2.000 EUR);
  • sig. Massimo Battaglia: 3.500.000 ITL (ossia circa 1.800 EUR);
  • sig. Fiorillo Caracciolo: 4.199.231 ITL (ossia circa 2.170 EUR);
  • sig. Giovanni Sepe: 5.768.076 ITL (ossia circa 2.980 EUR);
  • sig. Ciro Alfieri: 4.986.500 ITL (ossia circa 2.575 EUR).

In data imprecisata, il giudice depositò lo stato passivo del fallimento.

Il Governo ha presentato un documento firmato dal sig. Pasquale Bagordo, il primo ricorrente, attestante la liquidazione del trattamento di fine rapporto (T.F.R.) a questi da parte dell’I.N.P.S. (Istituto Nazionale di Previdenza Sociale), il 13 novembre 1997, conformemente alla domanda da lui presentata ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 297 del 29 maggio 1982 (si veda la parte «Diritto interno pertinente» qui sotto).

Nessuna informazione sul pagamento controverso è stata fornita dai ricorrenti al momento della presentazione del ricorso dinanzi alla Corte né in occasione delle osservazioni presentate in risposta a quelle del Governo. I ricorrenti non hanno contestato le suddette informazioni, così come esposte dal Governo.

Quanto agli altri cinque ricorrenti, stando alle informazioni ricevute dal Governo, essi non hanno formulato alcuna domanda sulla base della suddetta legge.

Secondo le informazioni fornite dei ricorrenti, al 18 maggio 2011, la procedura era pendente.

2. Il procedimento intentato conformemente alla legge n. 89 del 24 marzo 2001 («legge Pinto»)

Il 27 dicembre 2001, i ricorrenti proposero un ricorso dinanzi alla corte d’appello di Roma conformemente alla «legge Pinto» lamentando l’eccessiva durata della procedura fallimentare, «nel caso di specie, all’origine della violazione del loro diritto di proprietà», in particolare per la protratta impossibilità di recuperare i loro crediti.

Con decisione depositata il 2 settembre 2002, la corte d’appello, considerando che i ricorrenti non avevano prodotto prove quanto alla responsabilità delle autorità giudiziarie nei ritardi, che la procedura era complessa e nessun ritardo era imputabile alle autorità giudiziarie, rigettò la domanda dei ricorrenti.

Il 6 novembre 2002, questi proposero ricorso per cassazione.

Il 16 febbraio 2002, il ministero della Giustizia propose un controricorso per cassazione.

Con sentenza del 21 settembre 2004, la Corte di cassazione cassò la decisione della corte d’appello e rinviò la causa ad un’altra sezione della stessa.

Con decisione dell’11 maggio 2005, depositata il 13 settembre 2005, la corte d’appello concluse per la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e condannò il ministero della Giustizia al pagamento di 5.000 EUR a favore di ciascuno dei due ricorrenti.

B. Il diritto interno pertinente

1. Legge n. 297 del 29 maggio 1982

Articolo 2: Fondo di garanzia

«1.E’ istituito presso l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (I.N.P.S.) il fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto (T.F.R.) con lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto [...].

2.Trascorsi quindici giorni dal deposito dello stato passivo […] ovvero della sentenza su eventuali opposizioni […], il lavoratore può ottenere a domanda il pagamento, a carico del fondo [sopra menzionato], del trattamento di fine rapporto di lavoro [...].»

2.Decreto legislativo n. 80 del 27 gennaio 1992

Articolo 1: Garanzia dei crediti di lavoro

1.Nel caso in cui il datore di lavoro sia assoggettato alle procedure di fallimento [...] il lavoratore [...] può ottenere a domanda il pagamento, a carico del Fondo di garanzia istituito con la legge del 29 maggio 1982, n. 297, dei crediti di lavoro non corrisposti di cui all’articolo 2 [di questo stesso decreto] [...].

Articolo 2: Intervento del Fondo di garanzia

1.Il pagamento effettuato dal Fondo di garanzia ai sensi dell’articolo 1 [di questo stesso decreto] è relativo ai crediti di lavoro, diversi da quelli spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto, inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro rientranti nei dodici mesi che precedono la data di inizio [della procedura fallimentare]. La domanda di pagamento è effettuata ai sensi dell’articolo 2 comma 2 […] della legge n. 297 del 29 maggio 1982. […]

MOTIVI DI RICORSO

  1. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, i ricorrenti lamentano l’eccessiva durata della procedura.
  2. Con missiva del 23 novembre 2000, i ricorrenti hanno proposto un nuovo motivo di ricorso, relativo alla violazione del loro diritto al rispetto dei beni per non avere ottenuto il pagamento dei loro crediti, in particolare a causa dell’eccessiva durata della procedura fallimentare. Invocano l’articolo 1 del Protocollo n. 1.
  3. .Con missiva del 20 agosto 2002, i ricorrenti hanno proposto un nuovo motivo di ricorso denunciando la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, sotto il profilo del diritto di accesso ad un tribunale, e dell’articolo 13 della Convenzione per non avere avuto a disposizione, a loro dire, una via di ricorso per controllare l’attività del curatore fallimentare e sollecitare la liquidazione dei beni facenti parte del fallimento.

IN DIRITTO

  1. I ricorrenti denunciano innanzitutto l’eccessiva durata della procedura fallimentare invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione.
  2. Essi adducono la violazione del diritto al rispetto dei loro beni per non avere ottenuto il pagamento dei loro crediti, in particolare a causa dell’eccessiva durata della procedura fallimentare ed invocano l’articolo 1 del Protocollo n. 1.
  3. Invocando gli articoli 6 § 1 della Convenzione, sotto il profilo del diritto di accesso ad un tribunale, e dell’articolo 13 della Convenzione, essi denunciano di non disporre di una via di ricorso per lamentare la limitazione del loro diritto al rispetto dei beni.

Gli articoli in questione, nelle parti pertinenti, recitano:

Articolo 6 § 1 della Convenzione

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (...) da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi (...) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

Articolo 13 della Convenzione

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

Articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

In occasione della presentazione delle osservazioni, il Governo ha depositato un documento firmato dal sig. Pasquale Bagordo, il primo ricorrente, attestante che, il 13 novembre 1997, l’I.N.P.S. liquidò al suddetto il trattamento di fine rapporto (T.F.R.), conformemente alla domanda da lui presentata ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 297 del 29 maggio 1982.

Inoltre, stando al Governo, gli altri ricorrenti non hanno presentato una tale domanda.

Quanto alle mensilità non corrisposte, il Governo fa notare che i ricorrenti hanno omesso di chiederne il pagamento ai sensi del decreto legislativo n. 80 del 27 gennaio 1992.

A dire del Governo, i ricorrenti hanno omesso di proporre ricorso per cassazione avverso la decisione della corte d’appello di Roma depositata il 13 settembre 2005. Quindi, non sarebbero stati esperiti tutti i mezzi di impugnazione interni. In ogni caso, a suo dire, la procedura fallimentare è stata particolarmente complessa.

Il Governo osserva infine che, nell’ambito del rimedio previsto dalla «legge Pinto», i ricorrenti hanno ottenuto un importo superiore alla somma richiesta a titolo di ammissione al passivo del fallimento.

I ricorrenti reiterano le loro doglianze senza alcun riferimento alle informazioni fornite dal Governo quanto all’attribuzione dei pagamenti effettuati dall’I.N.P.S.

La Corte constata che, stando alle informazioni fornite dal Governo, prove alla mano, il 13 novembre 1997, vale a dire assai prima della data di presentazione del ricorso dinanzi alla Corte (18 febbraio 1999) nonché del ricorso ai sensi della «legge Pinto» (27 dicembre 2001), il sig. Pasquale Bagordo, il primo ricorrente, aveva ottenuto il pagamento del trattamento di fine rapporto (T.F.R.) da parte dell’I.N.P.S. La Corte non vede motivi per discostarsi dalla versione dei fatti presentata dal governo convenuto. Essa rileva inoltre che i ricorrenti non hanno fornito alcuna informazione sul detto pagamento al momento della presentazione del ricorso dinanzi alla Corte e in occasione delle osservazioni presentate in risposta a quelle del Governo. Del resto, essi non hanno contestato in alcun modo i fatti, così come esposti dal governo convenuto (Basileo ed altri c. Italia (dec.), n. 11303/02, 23 agosto 2011).

Quanto agli altri ricorrenti, stando agli elementi a disposizione della Corte, sembra che essi non abbiano presentato all’I.N.P.S. alcuna domanda volta ad ottenere il trattamento di fine rapporto, come avevano la facoltà di fare ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 297 del 29 maggio 1982.

Per quanto riguarda il resto dei crediti per i quali i ricorrenti sono stati ammessi al passivo del fallimento, vale a dire, le ultime tre retribuzioni non corrisposte alle quali essi ritenevano di avere diritto, la Corte rileva, come il Governo, che i ricorrenti hanno omesso di presentare all’I.N.P.S. una domanda volta ad ottenere la liquidazione ai sensi del decreto legislativo n. 80 del 27 gennaio 1992. Secondo gli articoli 1 e 2 di tale decreto, i ricorrenti avrebbero potuto infatti presentare una tale domanda trascorsi quindici giorni dal deposito dello stato passivo del fallimento, verificatosi, nel loro caso, in una data imprecisata successiva al 18 novembre 1993 (data in cui il giudice accolse l’ultima domanda di ammissione al passivo del fallimento presentata dai ricorrenti).

I ricorrenti non hanno utilizzato il mezzo di impugnazione a loro disposizione per reintegrare, entro breve termine, i loro crediti di lavoro, di conseguenza, a giudizio della Corte, tenuto conto dei diritti tutelati dalla Convenzione, il ritardo nella liquidazione di detti crediti derivante dall’eccessiva durata della procedura fallimentare non può essere imputato al governo convenuto.

Considerate tutte le circostanze del caso di specie, la Corte ritiene che anche questa parte del ricorso sia manifestamente infondata e debba essere rigettata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Stanley Naismith Cancelliere

Françoise Tulkens Presidente

 
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

ELENCO ALLEGATO

ELENCO DEI RICORRENTI

  1. sig. Pasquale Bagordo, nato nel 1962 e residente a Firenze;
  2. sig. Salvatore Battaglia, nato nel 1968 e residente a Nola (Napoli);
  3. sig. Massimo Battaglia, nato nel 1972 e residente a Casamarciano (Napoli);
  4. sig. Fiorillo Caracciolo, nato nel 1963 e residente a Carbonara di Nola (Napoli);
  5. sig. Giovanni Sepe, nato nel 1964 e residente a Carbonara di Nola;
  6. sig. Ciro Alfieri, nato nel 1968 e residente a Saviano (Napoli).