Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 15 febbraio 2011 - Ricorso n.37606/05 - Giovanna Ortu e altri c. Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, eseguita da Martina Scantamburlo, funzionario linguistico

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
DECISIONE
SULLA RICEVIBILITÀ
del ricorso n. 37606/05
presentato da Giovanna ORTU e altri
contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 15 febbraio 2011 in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Ireneu Cabral Barreto,
David Thór Björgvinsson,
Dragoljub Popović,
Giorgio Malinverni,
András Sajó,
Guido Raimondi, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato, presentato il 6 ottobre 2005,
Dopo aver deliberato, rende la seguente decisione:

IN FATTO

I ricorrenti, sigg.re Giovanna e Nella Ortu e sig. Antonio Ortu sono tre cittadini italiani residenti a Roma. Sono rappresentati dinanzi alla Corte dall’avv. G. Romano del foro di Benevento.

A.Le circostanze del caso di specie

I fatti della causa, così come esposti dai ricorrenti, si possono riassumere come segue.

I ricorrenti sono gli aventi diritto di Maria Ortu, con la quale erano proprietari di un’azienda agricola a Tripoli-Tagiura, in Libia.

In un contesto di nazionalizzazione di beni stranieri la Libia, territorio in passato sotto la sovranità italiana, confiscò l’azienda dei ricorrenti. Il 21 luglio 1970 questi ultimi furono così privati dei loro beni, ivi compresi i terreni, gli edifici e i contributi sociali. Furono costretti a lasciare la Libia entro il 15 ottobre 1970.

Nell’aprile 1972 i ricorrenti chiesero alle autorità italiane un indennizzo ai sensi della legge n. 1066 del 1971 (si veda infra). Con decreti ministeriali del 13 novembre 1972 e 7 marzo 1974 il ministero del Tesoro accordò loro due anticipazioni sull’indennizzo.

Nel 1980 i ricorrenti chiesero un indennizzo ai sensi della legge n. 16 del 1980 (si veda infra), nonché una revisione della stima dei beni confiscati. Con un decreto ministeriale del 1981 i ricorrenti ottennero una somma di denaro a titolo di risarcimento.

Con decreto in data 11 luglio 1985 ottennero un importo supplementare conformemente alla legge n. 135 del 1985.

Ritenendo che la somma totale ricevuta fosse nettamente inferiore al danno subito, i ricorrenti citarono in giudizio il ministero del Tesoro. Con sentenza emessa il 26 gennaio 2000 il tribunale civile di Roma rigettò il ricorso dei ricorrenti. Questi ultimi interposero appello.
Con sentenza in data 21 gennaio 2002 la corte d’appello di Roma accolse parzialmente il ricorso, accordando una ulteriore somma per i terreni confiscati e per le aziende commerciali. Respinse altre domande per carenza di documentazione. Escluse l’applicazione di interessi moratori sulla somma da versare, in quanto si trattava di un indennizzo e non di un risarcimento danni.
In conclusione, i ricorrenti ottennero un importo totale di 2.034.161 euro, mentre si aspettavano un importo di almeno 11 milioni di euro.

La sentenza della corte d’appello non è stata oggetto di ricorso per cassazione.

B.Il diritto interno pertinente

La legge n. 1066 del 6 dicembre 1971

In attesa della conclusione di accordi internazionali questa legge prevedeva la possibilità, per persone che hanno perduto beni, diritti e interessi in Libia, di chiedere anticipazioni sugli indennizzi. Il pagamento di tali anticipazioni doveva essere disposto con decreto del ministero del Tesoro.

La legge n. 16 del 26 gennaio 1980

Ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 16 del 26 gennaio 1980, i cittadini italiani che hanno perduto beni, diritti ed interessi in territori già soggetti alla sovranità italiana possono chiedere degli indennizzi, ivi compresi quelli derivanti da accordi internazionali. L’indennizzo viene accordato previa detrazione degli indennizzi parziali già percepiti. L’indennizzo viene corrisposto in contanti fino all’ammontare di 20.000.000 di lire italiane (ITL), la somma eccedente viene corrisposta per il 50% in contanti e per il restante 50% in titoli di Stato.

Ai sensi dell’articolo 6 di tale legge, per coloro che ottengono l’indennizzo integrale delle perdite subite la liquidazione definitiva dell’indennizzo è subordinata alla presentazione di una dichiarazione notarile con la quale gli interessati autorizzano il ministero del Tesoro a surrogarsi ad essi dal momento del pagamento in ogni loro pretesa sui beni, diritti ed interessi perduti.
Ai sensi dell’articolo 7 di tale legge, gli interessati devono presentare una domanda al ministero del Tesoro.

La legge n. 135 del 5 aprile 1985

Per effetto della legge n. 135 del 1985, il coefficiente di rivalutazione fissato da applicare agli indennizzi previsti dalla legge n. 16 del 1980 è 1,90. L’articolo 4 di tale legge prevede infatti che il valore dei beni, diritti e interessi perduti dopo il 1° gennaio 1950 viene determinato sulla base dei prezzi nel momento in cui le autorità straniere hanno adottato i provvedimenti limitativi della proprietà, e moltiplicato per un coefficiente 1,90.

La legge n. 98 del 29 gennaio 1994

Si tratta di una legge di interpretazione della legge n. 135 del 1985, che precisa nel suo articolo 1 che per «beni indennizzabili» debbono intendersi sia i beni materiali che quelli immateriali. Le persone autorizzate a chiedere l’indennizzo possono essere ditte esercenti attività industriali, commerciali, agricole, di servizi, marittime, immobiliari, professionali od artigianali. L’indennizzo copre l’«avviamento delle attività» delle aziende interessate e viene calcolato sulla base degli ultimi tre bilanci. In caso di mancata presentazione di tale documentazione, viene riconosciuto un indennizzo fino all'ammontare massimo del 30 % di quanto riconosciuto per i beni materiali dell'azienda.

La legge n. 7 del 6 febbraio 2009 e il decreto n. 280 del 30 novembre 2010

Con la legge n. 7 del 2009 il Parlamento italiano ha ratificato il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione fatto a Bengasi il 30 agosto 2008. Ai sensi di tale legge le persone e le aziende italiane interessate dalla nazionalizzazione dei beni in Libia e dalla legislazione di cui sopra possono chiedere un ulteriore indennizzo. Ai fini di quest’ultimo è stato istituito un apposito fondo annuale di 50 milioni di euro, previsto per gli anni 2009, 2010, 2011. Si precisa che le pratiche precedentemente respinte per carenza di documentazione possono essere prese nuovamente in esame.
Il decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze n. 280 del 30 novembre 2010 ha fissato un coefficiente di rivalutazione pari a 0,30 da applicare sulle somme già versate a titolo di indennizzo, al netto degli interessi e della rivalutazione, e nei limiti delle risorse di bilancio disponibili.

MOTIVI DI RICORSO

Invocando l’articolo 1 del Protocollo n. 1 i ricorrenti lamentano la prolungata impossibilità di ottenere riparazione del danno causato dalla condotta delle autorità libiche. Considerano le autorità italiane responsabili del mancato pagamento di un indennizzo adeguato, e questo per vari motivi.

  1. In primo luogo, sostengono che vi è stata una inerzia da parte delle autorità italiane che non avrebbero preso posizione nell’ambito delle negoziazioni con le autorità libiche.
  2. In secondo luogo, i ricorrenti lamentano di non poter ottenere un indennizzo adeguato e che quello previsto dalla legge n. 16 del 1980 è illusorio. Da una parte, tale indennizzo viene accordato sulla base di una decisione del ministero del Tesoro, con riserva della disponibilità di bilancio; dall’altra, l’indennizzo in questione copre solo una parte del danno subito.

A sostegno dei loro motivi di ricorso, i ricorrenti invocano anche gli articoli 8 e 13 della Convenzione.

IN DIRITTO

I ricorrenti sostengono che vi è stata violazione degli articoli 8 e 13 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. Vista la natura dei motivi di ricorso sollevati, la Corte ritiene che il ricorso debba essere esaminato unicamente sotto il profilo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, che recita:

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

La Corte esaminerà poi i punti seguenti.

  1. Nella misura in cui i ricorrenti lamentano il comportamento delle autorità italiane, ossia la loro inerzia nel corso delle negoziazioni con le autorità libiche, la Corte ricorda la propria giurisprudenza secondo la quale la Convenzione non sancisce alcun diritto alla protezione diplomatica o ad altre misure di questo genere che dovrebbe adottare una Alta Parte Contraente in favore di ogni persona sottoposta alla sua giurisdizione (A.C. e altri c. Italia (dec.), n. 40812/98, 11 luglio 2000, Abraini Leschi e altri c. Francia, n. 37505/97, decisione della Commissione del 22 aprile 1988, Décisions et rapports 93-A, pp. 120, 125). Di conseguenza questa parte del ricorso è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione, ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4.

     
  2. Nella misura in cui i ricorrenti lamentano che la legislazione italiana non prevede una riparazione che copra l’intero danno causato dalle autorità libiche, la Corte osserva anzitutto che si tratta, nel caso di specie, di una nazionalizzazione effettuata da uno Stato terzo e, del resto, non contraente, cosicché il diritto all’indennizzo è limitato all’entità dell’impegno assunto dall’Italia su base volontaria. Ritiene che, se il diritto nazionale prevede solo un indennizzo parziale, per la parte eccedente che non sia prevista i ricorrenti non possono avvalersi delle disposizioni dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. In effetti, la nozione di «beni» entra in gioco solo per valori patrimoniali, ivi compresi i crediti, in virtù dei quali il ricorrente può pretendere di avere almeno una «speranza legittima» di ottenere il godimento effettivo di un diritto di proprietà (Kopecký c. Slovacchia [GC], n. 44912/98, § 35, CEDU 2004-IX, Abraini Leschi e altri c. Francia, sopra citata, Aeang - Associação dos Espoliados de Angola" e altri 793 c. Portogallo, n. 25934/94, decisione della Commissione del 28 giugno 1995, non pubblicata). Questo motivo di ricorso è pertanto incompatibile ratione materiae con la disposizione invocata, e deve essere rigettato conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

     
  3. Nella misura in cui i motivi di ricorso dei ricorrenti possono essere interpretati come una critica alle decisioni parzialmente negative rese nell’ambito della procedura in riparazione, la Corte osserva che la sentenza emessa dalla corte d’appello di Roma in materia non è stata oggetto di ricorso per cassazione. Peraltro, i ricorrenti non hanno fatto sapere se si sono avvalsi o meno della legge n. 7 del 6 febbraio 2009 e del decreto n. 280 del 30 novembre 2010. In queste circostanze, la Corte ritiene che i ricorrenti non hanno esaurito le vie di ricorso interne (Salini Costruttori Spa c. Italia, n. 30423/96, decisione della Commissione del 16 aprile 1998, non pubblicata).

Ne consegue che questo motivo di ricorso deve essere rigettato conformemente all’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Stanley Naismith Cancelliere
Françoise Tulkens Presidente