Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 27 settembre 2011 - Ricorso n. 14929/08 - Pietro Pianese c. Italia e Paesi Bassi

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, eseguita dalla dott.ssa Rita Pucci, funzionario linguistico

 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
DECISIONE FINALE
SULLA RICEVIBILITA’
del ricorso n. 14929/08
presentato da Pietro PIANESE
contro l'Italia e i Paesi Bassi

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 27 settembre 2011 in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Danutė Jočienė,
Egbert Myjer,
Giorgio Malinverni,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Guido Raimondi, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 7 marzo 2008,
Vista la decisione parziale del 15 giugno 2010,
Viste le osservazioni presentate dai governi convenuti e quelle presentate in risposta dal ricorrente,
Dopo avere deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

1.  Il ricorrente, sig. Pietro Pianese, è un cittadino italiano, nato nel 1953 e attualmente detenuto nel penitenziario di Saluzzo (Cuneo). E’ rappresentato dinanzi alla Corte dall’Avv. A. Peluso, con studio a Villaricca (Napoli). Il governo italiano è rappresentato dal suo agente, sig.ra E. Spatafora, e dal suo co-agente, sig. N. Lettieri; il governo dei Paesi Bassi è stato rappresentato dal suo agente, sig. R. Böcker.

A.  Le circostanze del caso di specie

2.  I fatti della causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

1.  L’arresto del ricorrente nei Paesi Bassi e la sua prima consegna alle autorità italiane

3.  Il 24 novembre 2006, il ricorrente fu arrestato a Amsterdam e sottoposto a custodia cautelare in carcere nell’ambito di un’inchiesta olandese (denominata «Botlek») su un traffico di stupefacenti, sul riciclaggio di denaro e su reati di falso. Con fax del 25 gennaio 2007, un rappresentante della procura di Amsterdam chiese alla procura di Napoli di emettere un mandato di arresto europeo (qui di seguito «il MAE») nei confronti del ricorrente. Il fax in questione recita:
 «Egregio Signore,
Negli ultimi mesi, ho condotto un’inchiesta denominata «Botlek» su un traffico di stupefacenti e sul riciclaggio di denaro.
Nell’ambito di detta inchiesta, sono state arrestate le seguenti persone:
(...) Pietro Pianese (...)
Attualmente, esse sono sottoposte a custodia cautelare in carcere. In occasione di una commissione rogatoria internazionale della procura di Napoli, sono venuto a sapere che nel 2006 Pietro Pianese è stato condannato all’ergastolo per omicidio .
Il 5 febbraio 2007, il tribunale di Amsterdam deciderà sull’opportunità di prorogare la custodia cautelare del sig. Pianese; il successivo 27 febbraio, si terrà un’udienza.
Non si può escludere che il tribunale ritenga insufficienti le prove a carico del sig. Pianese e decida di scarcerarlo. Quindi, Le chiedo espressamente di emettere con la massima urgenza un MAE nei confronti di Pianese Pietro, per consentire almeno una proroga della sua custodia cautelare in carcere.
La ringrazio per quanto farà in questa causa e confido in una collaborazione proficua.»

4.  Il 29 gennaio 2007, il giudice per le indagini preliminari (qui di seguito «il GIP») di Napoli emise un MAE nei confronti del ricorrente. L’imputato era accusato di avere acquistato, in concorso con altri, quantitativi imprecisati di hashish e di marijuana a fini di spaccio. I reati, aggravati, punibili con la pena massima di venti anni di reclusione, erano stati commessi a Napoli e a Giugliano in Campania fino al febbraio 2006.

5.  Il 22 febbraio 2007, la procura di Amsterdam ricevette via fax il MAE emesso nei confronti del ricorrente.

6.  Il 27 febbraio 2007, iniziò il processo del ricorrente dinanzi al tribunale di Amsterdam. A suo carico sei capi d’accusa. Con ordinanza del 27 febbraio 2007, il tribunale di Amsterdam, ritenendo le prove a carico insufficienti per cinque dei sei capi d’accusa, sospese sine die l’esame della causa e dispose la scarcerazione del ricorrente. Tuttavia, l’interessato rimase in carcere in attesa della notifica del MAE emesso dal GIP di Napoli.

7.  Secondo il Governo dei Paesi Bassi, a partire dall’ordinanza del 27 febbraio 2007, la base legale della privazione della libertà del ricorrente non era più il codice di procedura penale olandese, bensì l’articolo 21 della legge del 29 aprile 2004, di attuazione della decisione quadro del Consiglio dell’Unione europea, relativa al MAE e alle procedure di consegna tra Stati membri (Overleveringswet, di seguito «l’OLW» - si veda anche più avanti, sotto «il diritto europeo e interno pertinente», paragrafi 41-51).

8.  Il 28 febbraio 2007, il ricorrente fu privato della libertà in esecuzione del MAE emesso dal GIP di Napoli. Ritenendo che il MAE costituisse una base legale sufficiente per la detenzione del ricorrente, il tribunale di Amsterdam rigettò una domanda di scarcerazione presentata dall’interessato e ordinò la proroga della privazione della libertà di questi per il pericolo di fuga.

9.  Con sentenza del 18 maggio 2007, il tribunale di Amsterdam ritenne che la consegna del ricorrente alle autorità italiane fosse conforme alle disposizioni in vigore e rigettò le accuse formulate dall’interessato di illegittimità della privazione della libertà da lui subita.

10.  Il 21 maggio 2007, la procura di Amsterdam chiese al ministro della Giustizia di autorizzare la consegna temporanea del ricorrente alle autorità italiane.

11.  Con missiva del 23 maggio 2007, il ministro della Giustizia olandese accolse la domanda e pose le seguenti condizioni:

  • che la consegna riguardasse soltanto il processo per il quale era stata dichiarata accoglibile;
  • che il lasso di tempo trascorso in stato detentivo in Italia, tra la partenza ed il ritorno del ricorrente nei Paesi Bassi, fosse detratto dalla condanna eventualmente pronunciata dalle autorità giudiziarie italiane;
  • che, durante la consegna temporanea, la privazione della libertà del ricorrente fosse disciplinata dal diritto italiano;
  • che, in caso di fuga del ricorrente in Italia, le autorità italiane fossero responsabili per la sua cattura;
  • che al ricorrente fosse consentito presenziare al procedimento penale pendente nei suoi confronti nei Paesi Bassi (al riguardo, le autorità olandesi si sarebbero impegnate a notificare tempestivamente la data del processo alle omologhe autorità italiane);
  • che il ricorrente fosse rinviato nei Paesi Bassi non appena la sua presenza in Italia non fosse più necessaria nell’ambito del procedimento avviato nei suoi confronti (al riguardo, le autorità italiane si sarebbero impegnate a notificare tempestivamente la data del suo ritorno alle omologhe autorità olandesi).

12.  Un’altra udienza si celebrò dinanzi al tribunale di Amsterdam il 25 maggio 2007. Il ricorrente chiese ed ottenne una sospensione sine die del procedimento penale olandese.

13.  Il 28 giugno 2007, l’interessato fu consegnato alle autorità italiane sulla base del MAE emesso dal GIP di Napoli e incarcerato. Si trattava, a quanto precisato, di una «consegna temporanea» con facoltà per le autorità olandesi di chiedere il ritorno del ricorrente nei Paesi Bassi.

2.  La condanna definitiva del ricorrente all’ergastolo e la sospensione dell’esecuzione della pena

14.  Nel frattempo, il 13 giugno 2007, la Corte di cassazione aveva rigettato un ricorso proposto dal ricorrente avverso la condanna all’ergastolo inflittagli il 29 aprile 2005 dalla corte d’assise d’appello di Napoli (precedente paragrafo 3). Il 29 giugno 2007, l’ordine di esecuzione di quella condanna fu notificato al ricorrente nel carcere di Roma-Rebibbia.

15.  Il ricorrente eccepì la nullità dell’ordine di esecuzione in questione motivando che esso violava il principio di specialità di cui all’articolo 721 del codice di procedura penale (qui di seguito, «il CPP»). Ai sensi di tale disposizione, una persona estradata non poteva essere privata della libertà per un fatto precedente all’estradizione e diverso da quello per il quale la domanda di estradizione era stata accolta, salvo in caso di consenso da parte dello Stato interessato o salvo che l’interessato, avendone avuta la possibilità, non avesse lasciato il territorio dello Stato richiedente entro quarantacinque giorni dalla data della sua scarcerazione definitiva.

16.  Con ordinanza del 29 giugno 2007, la procura di Napoli prese atto dell’applicabilità dell’articolo 721 del CPP al caso del ricorrente e decise di sospendere l’esecuzione della pena inflitta dalla corte d’assise d’appello di Napoli.

3.  La sospensione della custodia cautelare in carcere del ricorrente e la consegna di questi alle autorità olandesi

17.  Il 20 luglio 2007, la procura di Napoli chiese il rinvio a giudizio del ricorrente e di diverse altre persone per traffico di stupefacenti.

18.  Nel frattempo, il ricorrente aveva chiesto più volte e invano la revoca della misura della custodia cautelare e impugnato una delle decisioni di rigetto.

19.  Il 3 agosto 2007 si tenne un’udienza dinanzi alla sezione del tribunale di Napoli incaricata di riesaminare le misure cautelari (qui di seguito «la sezione specializzata»). In quell’occasione, gli avvocati del ricorrente eccepirono l’illegittimità costituzionale della legge che introduce il MAE nell’ordinamento giuridico italiano (legge n. 69 del 22 aprile 2006). Con ordinanza del 3 agosto 2007, la sezione specializzata, ritenendo la questione di costituzionalità pertinente e non manifestamente infondata, ordinò la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e, nell’attesa della decisione di questa, la scarcerazione del ricorrente, se non detenuto per altra causa.

20.  Tuttavia, il ricorrente non lasciò il carcere di Roma-Rebibbia.

21.  Con nota del 4 agosto 2007, la direzione del carcere chiese alla sezione specializzata di comunicare se il ricorrente dovesse essere scarcerato o mantenuto in stato detentivo ai fini della consegna alle autorità olandesi.

22.  In una nota del 6 agosto 2007, la sezione specializzata fece notare che il suo compito era quello di pronunciarsi sulla questione sollevata dall’appello del ricorrente e non quello di indicare l’eventuale sussistenza di altri motivi per il mantenimento dell’interessato in stato detentivo. Essa precisò comunque di non potere che confermare il dispositivo della sua ordinanza del 3 agosto 2007.

23.  Risulta da numerose note della direzione del carcere di Roma-Rebibbia e dei ministeri della Giustizia e dell’Interno che, dopo il 3 agosto 2007, la detenzione del ricorrente era giustificata dall’esigenza di assicurare il ritorno dello stesso nei Paesi Bassi, dove egli era oggetto di procedimenti penali in corso.

24.  Il 6 agosto 2007, il ricorrente sporse querela contro il direttore del carcere di Roma-Rebibbia e di un agente penitenziario per omissione di atti d’ufficio e/o sequestro di persona. Il 22 settembre 2007, il GIP di Roma archiviò la querela, osservando che i fatti denunciati dal ricorrente riguardavano lo svolgimento di una procedura di cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale e non potevano essere costitutivi di reato.

25.  Nel frattempo, il ricorrente aveva presentato istanza di scarcerazione immediata per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare. Con ordinanza dell’11 agosto 2007, il GIP di Napoli rigettò l’istanza. Egli comunicò che la durata della detenzione scontata nei Paesi Bassi in attesa dell’esecuzione del MAE non poteva essere presa in considerazione ai fini del calcolo della durata della custodia cautelare dell’interessato; quindi, a suo dire, questa era iniziata solo il 28 giugno 2007, giorno dell’arrivo dell’imputato in Italia (precedente paragrafo 13), e i termini in questione sarebbero scaduti solo il 28 settembre 2007.

26.  Il ricorrente aveva chiesto anche di essere scarcerato in virtù dell’ordinanza emessa dalla sezione specializzata il 3 agosto 2007 (precedente paragrafo 19). Con ordinanza del 13 agosto 2007, il GIP di Napoli prese atto della decisione in questione e ordinò l’immediata scarcerazione del ricorrente. Ora, quello stesso giorno, il ricorrente fu accompagnato all’aeroporto di Roma e imbarcato su un volo per Amsterdam. L’interessato sostiene che quella misura, formalmente giustificata dall’esigenza di assicurare la sua partecipazione al dibattimento nell’ambito del processo in corso nei suoi confronti nei Paesi Bassi, era in realtà uno stratagemma per evitare l’applicazione del principio di specialità.

4.  Il processo del ricorrente nei Paesi Bassi e la seconda consegna dello stesso alle autorità italiane

27.  Nel frattempo, il 4 agosto 2007, le autorità italiane avevano informato la procura di Amsterdam della probabile imminente scarcerazione del ricorrente. Il 9 agosto 2007, il ministro della Giustizia olandese aveva informato la procura di Amsterdam che il ricorrente doveva ritornare nei Paesi Bassi affinché potesse concludersi il procedimento penale avviato nei suoi confronti.

28.  Il 13 agosto 2007 alle ore 16.00, quando ancora si trovava in Italia, il ricorrente aveva chiesto al tribunale dell’Aia di ordinare allo Stato olandese di informare l’Italia che il suo trasferimento nei Paesi Bassi non era né necessario né auspicabile. Quello stesso giorno, alle ore 18.20, il ricorrente fu consegnato alle autorità dei Paesi Bassi e il tribunale dell’Aia rigettò la sua domanda. Esso respinse la tesi del ricorrente secondo la quale le autorità italiane avrebbero dovuto scarcerarlo e fece notare che il ricorrente poteva contestare la legittimità della privazione della libertà da lui subita dinanzi alle autorità giudiziarie olandesi.

29.  Il 14 agosto 2007, il ricorrente fu incarcerato nei Paesi Bassi; gli fu notificato un secondo MAE, emesso il 3 agosto 2007 dalla procura di Napoli. Quello stesso giorno, la procura di Amsterdam sentì il ricorrente alla presenza del legale di questi e di un interprete; l’interessato dichiarò di non acconsentire alla sua consegna alle autorità olandesi e presentò istanza di scarcerazione immediata, che la procura rigettò.

30.  Il 3 settembre 2007, il ricorrente reiterò l’istanza di scarcerazione dinanzi al tribunale di Amsterdam. Con decisione del 24 settembre 2007, il tribunale di Amsterdam la rigettò osservando che la detenzione del ricorrente nei Paesi Bassi era giustificata dall’articolo 36 dell’OLW (successivo paragrafo 48) e che ogni questione riguardante la legittimità delle privazioni della libertà subite in Italia doveva essere sollevata dinanzi ai giudici italiani. Inoltre, niente lasciava pensare che vi fosse stata una flagrante violazione dell’articolo 5 della Convenzione.

31.  Nel frattempo, il 21 agosto 2007, la procura di Amsterdam aveva chiesto alle autorità giudiziarie italiane informazioni complementari sul processo che aveva portato alla condanna all’ergastolo del ricorrente. Le informazioni furono trasmesse il 28 settembre 2007. Dai documenti allegati risultava che il ricorrente aveva partecipato al processo di primo grado, interposto appello avverso la sentenza di condanna e autorizzato i suoi legali a rappresentarlo.

32.  Durante un’udienza riguardante il secondo MAE, il ricorrente sostenne l’illegittimità della sua detenzione e della sua condanna, secondo lui pronunciata in contumacia, e chiese che la sua consegna alle autorità olandesi fosse dichiarata illegittima ai sensi degli articoli 11 e 12 dell’OLW (successivo paragrafo 51).

33.  Con sentenza del 9 novembre 2007, la sezione del tribunale di Amsterdam incaricata di pronunciarsi sulle commissioni rogatorie internazionali autorizzò la consegna del ricorrente alle autorità italiane al fine di consentire l’esecuzione della pena dell’ergastolo pronunciata dalla corte d’assise d’appello di Napoli.

34.  Essa osservò che, a dire del ricorrente, l’estradizione di questi aveva violato l’articolo 5 della Convenzione; precisò tuttavia che, in caso di domanda di estradizione formulata da uno Stato parte alla Convenzione, vi era presunzione di rispetto delle disposizioni di questa da parte delle autorità richiedenti. Tranne in caso di flagrante violazione dell’articolo 5 e di impossibilità per l’interessato di disporre nel paese di destinazione, in violazione dell’articolo 13 della Convenzione, di un ricorso effettivo per denunciare la violazione.

35.  Il tribunale di Amsterdam ritenne che queste due condizioni non fossero soddisfatte nel caso del ricorrente. Rammentò che questi era stato posto temporaneamente a disposizione delle autorità italiane e che, in una lettera del 23 maggio 2007, il ministro della Giustizia olandese aveva comunicato che l’interessato sarebbe dovuto tornare nei Paesi Bassi, su richiesta della autorità olandesi, quando la sua presenza in Italia non fosse stata più necessaria nell’ambito dell’inchiesta penale italiana (precedente paragrafo 11). Il ministro della Giustizia olandese aveva poi chiesto il ritorno del ricorrente. Il 3 agosto 2007, la procura di Napoli aveva emesso un nuovo MAE per l’esecuzione della pena dell’ergastolo pronunciata nei confronti del ricorrente dalla corte d’assise d’appello di Napoli (precedente paragrafo 29). Le autorità italiane avevano comunque accolto la domanda delle autorità olandesi e consegnato loro il ricorrente in virtù degli accordi stipulati in precedenza. Il tribunale di Amsterdam ritenne che la tesi della difesa, secondo la quale le autorità dei due paesi avevano organizzato un complotto per evitare di scarcerare l’imputato, non si fondasse su alcun elemento oggettivo. Stando alle condizioni poste dal ministro della Giustizia olandese, le autorità italiane erano peraltro tenute a consegnare il ricorrente alle autorità dei Paesi Bassi. Inoltre, anche qualora non si fosse verificata la consegna provvisoria del ricorrente, questi sarebbe comunque stato privato della libertà nei Paesi Bassi, sulla base del primo MAE.

36.  Il tribunale rilevò che il ricorrente eccepiva anche di essere stato condannato in contumacia in Italia senza avere avuto la possibilità di difendersi personalmente. Secondo l’interessato, dal fascicolo non risultava chiaramente che egli fosse stato debitamente informato della data e del luogo dell’udienza. Stando al tribunale di Amsterdam, dai documenti trasmessi dalle autorità italiane risultava che il ricorrente era stato presente al dibattimento in primo grado, aveva incaricato il suo legale di interporre appello e non aveva fornito spiegazioni sui motivi che gli avrebbero impedito di partecipare al processo di appello. Il tribunale rammentò anche che, stando alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, non poteva configurarsi alcuna violazione dell’articolo 6 della Convenzione in caso di rinuncia dell’accusato al diritto di presenziare al dibattimento. Ora, si era in presenza di una tale rinuncia quando all’attenzione delle autorità venivano portati documenti attestanti inequivocabilmente la conoscenza da parte dell’interessato del procedimento pendente nei suoi confronti e delle accuse mossegli (Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, § 99 in fine, CEDU 2006-II).

37.  Dinanzi alla Corte, il ricorrente ha sostenuto che l’affermazione del tribunale di Amsterdam, secondo la quale egli doveva tornare nei Paesi Bassi, era smentita da un fax della polizia olandese del 4 agosto 2007, comunicato al carcere di Roma-Rebibbia solo il 18 agosto 2007. Il fax informava che, anche se il ricorrente era stato posto temporaneamente a disposizione delle autorità italiane e nei Paesi Bassi pendeva nei suoi confronti un processo per falsificazione di documenti, la sua presenza in sala di udienza non era necessaria e, quindi, le autorità olandesi non si opponevano alla sua scarcerazione.

38.  Con sentenza del 29 novembre 2007, il tribunale di Amsterdam condannò il ricorrente a tre mesi di reclusione per falsificazione di documenti. L’interessato fu assolto dagli altri capi d’imputazione (traffico di stupefacenti).

39.  Egli fu poi consegnato per la seconda volta alle autorità italiane. Al suo arrivo in Italia, fu incarcerato in esecuzione della condanna all’ergastolo pronunciata nei suoi confronti dalla corte d’assise d’appello di Napoli (precedente paragrafi 3 e 14).

40.  Il 6 ottobre 2008, l’avvocato del ricorrente chiese di avere accesso al fascicolo riguardante l’estradizione del suo cliente. In pari data, la procura di Napoli rigettò la domanda, trattandosi di atti interni non ostensibili. L’avvocato del ricorrente si rivolse allora al ministero della Giustizia. Con nota del 28 novembre 2008, quest’ultimo comunicò che il ricorrente era stato consegnato alle autorità olandesi sulla base di un MAE e non al termine di una procedura di estradizione e che, quindi, il ministero non era intervenuto sulla questione. Esso invitò l’avvocato a rivolgere ogni domanda al riguardo all’autorità giudiziaria competente.

B.  Il diritto europeo e interno pertinente

41.  L’articolo 1 della decisione quadro del Consiglio dell’Unione europea relativa al MAE e alle procedure di consegna tra Stati membri (qui di seguito, «la decisione quadro»), recita:
«Il MAE è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro per l’arresto e la consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio dell’azione penale o dell’esecuzione di una pena o misura di sicurezza privative della libertà.»

42.  Se l’autorità giudiziaria dello Stato in cui si trova la persona oggetto del MAE (qui di seguito, «l’autorità giudiziaria di esecuzione») vi acconsente, l’interessato è consegnato alle autorità giudiziarie dello Stato richiedente. Così, le procedure di estradizione tra Stati membri dell’Unione europea risultano semplificate. L’autorità giudiziaria di esecuzione si limita a verificare se il MAE soddisfi i requisiti indicati nella decisione quadro, se la persona portata dinanzi ad essa sia proprio quella oggetto del MAE e se esistano ostacoli (indicati esaurientemente nella decisione quadro) alla consegna.

43.  I principi stabiliti nella decisione quadro sono stati recepiti nel diritto olandese dall’OLW. Ai sensi di tale legge (articolo 16), la procura può disporre l’arresto di uno straniero quando abbia validi motivi per ritenere di ricevere a breve un MAE emesso nei confronti dello stesso. Inoltre (articolo 18), su richiesta della procura, il giudice istruttore può disporre la custodia cautelare in carcere dell’interessato, possibilmente, dopo averlo sentito.

44.  Una persona può essere arrestata senza ulteriori formalità sulla base di un MAE rispondente ai criteri elencati nell’articolo 2 dell’OLW. Il tribunale deve pronunciarsi sulla consegna della persona oggetto del MAE entro 60 giorni dall’arresto della stessa.

45.  La decisione del tribunale sul MAE è esecutiva; non è suscettibile di alcun ricorso, se non di quello per cassazione nell’interesse dell’applicazione uniforme della legge (articolo 29 dell’OLW).
46.  Ai sensi dell’articolo 36 dell’OLW, la decisione riguardante la consegna è rinviata qualora, e fino a quando, un procedimento penale sia pendente nei Paesi Bassi contro l’interessato. Tuttavia, il ministro della Giustizia può decidere che questi sia posto subito e in via temporanea a disposizione delle autorità che hanno emesso il MAE e convenire con esse le condizioni della consegna.

47.  L’autorità giudiziaria di esecuzione può acconsentire alla consegna della persona oggetto del MAE unicamente in relazione ad alcuni dei capi d’imputazione in esso contenuti. Essa può autorizzare una consegna temporanea, le cui condizioni e durata saranno stabilite di comune accordo tra i due Stati (si vedano gli articoli 18, 23 e 36 dell’OLW).

48.  Ai sensi dell’articolo 27 § 2 della decisione quadro, salvo in casi particolari, «la persona consegnata non può essere perseguita, condannata né privata della libertà per un reato commesso prima della consegna diverso da quello all’origine della consegna». Il principio, noto come «principio di specialità», ha tuttavia delle eccezioni, in particolare quando l’autorità giudiziaria di esecuzione accetti che l’interessato sia perseguito e/o giudicato per altri reati (articolo 27 §§ 3 g) e 4 della decisione quadro; si veda, inoltre, l’articolo 14 dell’OLW).

49.  Ai sensi dell’articolo 14 § 3 dell’OLW, l’ottenimento del consenso al perseguimento per ulteriori accuse è subordinato alla presentazione di un nuovo MAE, contenente tutte le informazioni necessarie per autorizzare una consegna.

50.  Infine, ai sensi dell’articolo 1 § 3, «la (…) decisione quadro non può comportare una modifica dell’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i principi giuridici fondamentali quali sono sanciti dall’articolo 6 del trattato sull’Unione europea». Facendo applicazione di questa disposizione, l’articolo 11 dell’OLW prevede che la consegna non debba essere autorizzata quando vi siano motivi per ritenere che essa si tradurrebbe in una «flagrante violazione» dei diritti dell’interessato, quali sono sanciti dalla Convenzione.

MOTIVI DI RICORSO

51.  Invocando l’articolo 5 della Convenzione, il ricorrente lamenta di essere stato privato arbitrariamente della libertà.

52.  Egli lamenta inoltre di non avere avuto a disposizione alcun ricorso efficace per fare valere i suoi motivi di ricorso relativi all’articolo 5.

IN DIRITTO

A.  Motivo di ricorso relativo all’articolo 5 § 1 della Convenzione

53.  Secondo il ricorrente, la privazione della libertà da lui subita ha ignorato le esigenze dell’articolo 5 § 1 della Convenzione.
Nelle parti pertinenti nel caso specifico, la disposizione recita:
  «1. Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge:
a) se è detenuto regolarmente in seguito a condanna da parte di un tribunale competente;
(…)
c) se è stato arrestato e detenuto per essere tradotto dinanzi all’autorità giudiziaria competente, quando vi sono motivi plausibili di sospettare che egli abbia commesso un reato o vi sono fondati motivi di ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di darsi alla fuga dopo averlo commesso;
(…)
f) se si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare illegalmente nel territorio, oppure di una persona contro la quale è in corso un procedimento di espulsione o di estradizione.»

54.  Secondo il ricorrente, a partire dal 28 giugno 2007, le autorità italiane lo hanno detenuto in violazione del principio di specialità iscritto nel CPP. Inoltre, nonostante l’ordinanza della sezione specializzata del tribunale di Napoli datata 3 agosto 2007 con cui si disponeva la sua scarcerazione immediata, egli è stato detenuto nel carcere di Roma-Rebibbia fino al 13 agosto 2007, data della sua consegna alle autorità olandesi (precedenti paragrafi 19-26).

55.  Sempre a dire del ricorrente, il MAE emesso dal GIP di Napoli il 29 gennaio 2007 conteneva informazioni sbagliate e/o false, e il ritorno del ricorrente nei Paesi Bassi non è stato altro che un espediente per evitare l’applicazione del principio di specialità.

56.  Il governo dell’Italia eccepisce innanzitutto la tardività di questo motivo di ricorso. Al riguardo, esso sottolinea le seguenti circostanze:
a) il 28 giugno 2007, data della consegna del ricorrente alle autorità italiane, le autorità olandesi hanno precisato che si trattava di una «consegna temporanea» (come previsto dalla decisione quadro e dall’OLW); si presumeva quindi che il ricorrente sarebbe tornato nei Paesi Bassi dopo avere soddisfatto le esigenze del procedimento penale italiano;
b) il 3 agosto 2007, ordinando la scarcerazione dell’interessato, la sezione specializzata di Napoli ha precisato che la sua decisione era subordinata alla condizione che il ricorrente «non [fosse] detenuto per altra causa»;
c) dopo alcuni giorni dedicati al compimento delle necessarie verifiche, il 13 agosto 2007 il ricorrente è stato scarcerato e consegnato alle autorità olandesi secondo gli accordi conclusi in precedenza.

57.  Ciò premesso, secondo il governo italiano, il termine di sei mesi di cui all’articolo 35 § 1 della Convenzione dovrebbe decorrere dal 13 agosto 2007 e non dalla data successiva dell’archiviazione della querela sporta dal ricorrente contro i giudici italiani (22 settembre 2007). Infatti, il motivo di ricorso dell’interessato riguarderebbe la legittimità della sua custodia cautelare o della sua detenzione a fini estradizionali, terminate il 13 agosto 2007. Ne consegue che il ricorso, presentato il 7 marzo 2008, è tardivo in relazione a questo motivo di ricorso.

58.  Il ricorrente si oppone a questa tesi. A suo dire, a causa del ritardo nell’esecuzione dell’ordine di scarcerazione, egli aveva il diritto – e sotto il profilo dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, l’obbligo – di presentare ricorso per rivendicare a livello interno il diritto alla libertà. Le sue affermazioni sono state tuttavia respinte dal GIP di Roma il 22 settembre 2007, data alla quale andrebbe fissata la decorrenza del termine di sei mesi.

59.  La Corte rammenta di poter essere adita, ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, solo entro sei mesi dalla data della decisione interna definitiva. Quando un ricorrente lamenti una situazione continua, il termine decorre dalla fine di questa (si veda, tra molte altre, Ortolani c. Italia (dec.), n. 46283/99, 31 maggio 2001).

60.  Nel caso di specie, la custodia cautelare del ricorrente in Italia nell’ambito del primo MAE è cessata il 13 agosto 2007, quando il GIP di Napoli ha disposto la scarcerazione immediata dello stesso, e l’interessato ha lasciato il carcere per essere accompagnato all’aeroporto di Roma e imbarcato su un volo con destinazione Amsterdam (precedente paragrafo 26). Quanto al secondo MAE, esso è stato emesso il 3 agosto 2007 ed è stato notificato al ricorrente il 14 agosto 2007 (precedente paragrafo 29). Il ricorso è stato presentato solo il 7 marzo 2008, pertanto le accuse mosse dal ricorrente sotto il profilo dell’articolo 5 § 1 sembrano tardive.

61.  Resta tuttavia da stabilire se la circostanza che l’interessato abbia sporto querela per omissione di atti d’ufficio e/o sequestro di persona e che detta querela sia stata archiviata in data successiva (precedente paragrafo 24) sia tale da modificare la decorrenza del termine di sei mesi.

62.  Al riguardo, la Corte rammenta che soltanto i ricorsi normali ed effettivi possono essere presi in considerazione ai fini dell’articolo 35 § 1: un ricorrente non può eludere lo stretto termine imposto dalla Convenzione presentando ricorsi inopportuni o non pertinenti a giudici o istituzioni che non hanno il potere o la competenza necessari ad accordare, sulla base della Convenzione, una riparazione effettiva quanto al motivo di ricorso in questione (De Parias Merry c. Spagna (dec.), n. 40177/98, CEDU 1999 II; Fernie c. Regno Unito (dec.), n. 14881/04, 5 gennaio 2006; Sobczyński c. Polonia (dec.), nn. 355/04 e 358/04, 25 settembre 2007; Trome S.A. c. Spagna (dec.), n. 9442/06, 1°  luglio 2008; Baronchelli c. Italia (dec.), n. 19479/03, 7 settembre 2010).

63.  A parere della Corte, nel presente caso, il ricorso tentato dal ricorrente non aveva alcuna possibilità di successo. Infatti, come osservato dal GIP di Roma nell’ordinanza di archiviazione del procedimento, i fatti denunciati dall’interessato riguardavano lo svolgimento di una procedura di cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale e non potevano essere costitutivi di reato (precedente paragrafo 24). Inoltre, la denuncia del ricorrente non mirava a fare constatare che la detenzione da lui subita dal 3 al 13 agosto 2007 era contraria all’articolo 5 della Convenzione, o che il secondo MAE era illegittimo, e ad ottenere una riparazione a tali riguardi, bensì unicamente ad accertare se il direttore del carcere di Roma-Rebibbia e un agente penitenziario avessero commesso un reato e dovessero essere oggetto di sanzioni.

64.  Alla luce delle argomentazioni sopra esposte, la Corte conclude che il procedimento relativo alla querela del 6 agosto 2007 non può essere preso in considerazione ai fini del calcolo del termine di sei mesi per quanto riguarda il motivo di ricorso relativo all’articolo 5 § 1 della Convenzione (si veda, mutatis mutandis, Baronchelli, decisione succitata).

65.  Ne consegue che questo motivo di ricorso è tardivo e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

B.  Motivo di ricorso relativo all’articolo 5 §§ 4 e 5 della Convenzione

66.  Il ricorrente lamenta di non avere avuto a disposizione alcun ricorso effettivo per fare valere le sue doglianze relative all’articolo 5 § 1. Egli denuncia l’archiviazione della querela da lui sporta per omissione di atti d’ufficio e/o sequestro di persona.

67.  Nella decisione parziale del 15 giugno 2010, la Corte ha ritenuto che questo motivo di ricorso si prestasse ad essere esaminato sotto il profilo dell’articolo 5 §§ 4 e 5 della Convenzione, così redatto:
«4. Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare ricorso ad un tribunale affinché questo decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima.
5. Ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione di una delle disposizioni del presente articolo ha diritto a una riparazione.»
1. Argomentazioni dei governi convenuti

a)  Il governo italiano

68.  Il governo dell’Italia osserva innanzitutto che il procedimento con cui il ricorrente ha contestato la legittimità della sua detenzione è durato tre giorni (dal 10 al 13 agosto 2007), ossia un periodo di tempo «assolutamente fisiologico». Inoltre, il ricorso del ricorrente era stato indirizzato ad un’autorità non competente, che si era fatta carico di trasmetterlo al GIP di Napoli.

69.  Peraltro, in assenza di qualsiasi violazione dei paragrafi da 1 a 4 dell’articolo 5 della Convenzione, non è riscontrabile alcun’inosservanza delle esigenze di cui al paragrafo 5 della stessa disposizione.

b)  Il governo olandese

70.  Il Governo olandese osserva che la decisione di privare il ricorrente della libertà nei Paesi Bassi sulla base del secondo MAE è stata riesaminata più volte dalle autorità giudiziarie olandesi. In particolare, fa riferimento alle seguenti decisioni: la decisione del tribunale dell’Aia del 13 agosto 2007 (precedente paragrafo 28), la decisione del tribunale di Amsterdam del 24 settembre 2007 (precedente paragrafo 30) e la sentenza del tribunale di Amsterdam del 9 novembre 2007 (secondo la quale, tra l’altro, non vi era stata alcuna violazione dell’articolo 5 della Convenzione – precedenti paragrafi 33-36).

71. Se il ricorrente ritiene che il secondo MAE non dovesse essere emesso, dovrebbe proporre un’azione di riparazione dinanzi ai giudici italiani. Peraltro, l’articolo 67 dell’OLW prevede la possibilità di ottenere un risarcimento per il danno subito in conseguenza di una privazione della libertà ordinata ai sensi delle sue disposizioni, in caso di rifiuto della consegna allo Stato richiedente. Infine, se il ricorrente ritiene che lo Stato olandese abbia agito illegittimamente in qualsiasi altro modo nel corso della procedura di consegna, può intentare un’azione civile di risarcimento ai sensi dell’articolo 6:162 del codice civile (Burgerlijk Wetboek).

2.  Valutazione della Corte

a)  Sul motivo di ricorso relativo all’articolo 5 § 4 della Convenzione

72.  La Corte rammenta che l’articolo 5 § 4 riconosce alle persone arrestate o detenute il diritto di presentare ricorso per ottenere il controllo del rispetto delle esigenze di procedura e merito necessarie per la «legittimità», ai sensi della Convenzione, della privazione della libertà. Il concetto di «legittimità» di cui al paragrafo 4 dell’articolo 5 deve corrispondere a quello del paragrafo 1, in modo da garantire alla persona arrestata o detenuta il diritto ad ottenere il controllo della «legittimità» della propria detenzione sotto il profilo non solo del diritto interno, ma anche della Convenzione, dei principi generali in essa sanciti e della finalità delle restrizioni autorizzate dall’articolo 5 § 1. L’articolo 5 § 4 non sancisce il diritto ad un controllo giurisdizionale di ampiezza tale da autorizzare il tribunale competente a sostituire la propria valutazione sugli aspetti della causa nel loro complesso, comprese considerazioni di mera opportunità, a quella dell’autorità da cui promana la decisione. Tantomeno vuole un controllo ampio al punto di estendersi a ciascuna delle condizioni indispensabili alla «legittimità» della detenzione di un individuo sotto il profilo del paragrafo 1 (E. c. Norvegia, 29 agosto 1990, § 50, serie A n. 181). Il «giudice» incaricato di un tale controllo non deve avere semplicemente attribuzioni consultive, ma anche la competenza a «deliberare» sulla «legittimità» della detenzione e ad ordinare la scarcerazione in caso di detenzione illegittima (Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978, § 200, serie A n. 25; Weeks c. Regno Unito, 2 marzo 1987, § 61, serie A n. 114; Chahal c. Regno Unito, 15 novembre 1996, § 130, Raccolta 1996-V; A. e Altri c. Regno Unito [GC], n. 3455/05, § 202, 19 febbraio 2009).

73.  Innanzitutto, la Corte osserva che le doglianze relative alla procedura di esame dei ricorsi del ricorrente contro la detenzione subita in Italia prima della consegna alle autorità dei Paesi Bassi, intervenuta il 13 agosto 2007, sono tardive per le ragioni di cui ai precedenti paragrafi 60-66. Quanto all’archiviazione della querela sporta dal ricorrente per omissione di atti d’ufficio e/o sequestro di persona, essa non pone alcun problema sotto il profilo dell’articolo 5 § 4 della Convenzione, in quanto, come la Corte ha già fatto notare (precedente paragrafo 64), detta querela non era volta ad ottenere una decisione sulla legittimità della detenzione, bensì sanzioni penali nei confronti del direttore del carcere di Roma-Rebibbia e di un agente penitenziario.

74.  Quanto alle doglianze dell’interessato relative all’assenza di un ricorso per contestare la legittimità della sua privazione della libertà nei Paesi Bassi, la Corte osserva che il tribunale di Amsterdam ha affrontato la questione ben due volte, il 24 settembre e il 9 novembre 2007 (precedenti paragrafi 30 e 33-36). In tali occasioni, esso ha preso in esame la base legale della detenzione nel diritto olandese e la compatibilità con la Convenzione del mantenimento della misura privativa della libertà e della consegna dell’interessato alle autorità italiane. La Corte non rileva quindi la benché minima violazione dell’articolo 5 § 4 della Convenzione.

75.  Ne consegue che questo motivo di ricorso è in parte tardivo e in parte manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 1, 3 (a) e 4 della Convenzione.

b)  Sul motivo di ricorso relativo all’articolo 5 § 5 della Convenzione

76.  La Corte rammenta che vi è osservanza del paragrafo 5 dell’articolo 5 ogniqualvolta sia possibile chiedere riparazione per una privazione della libertà operata in condizioni contrarie ai paragrafi 1, 2, 3 o 4 (Wassink succitata, § 38). Il diritto alla riparazione enunciato nel paragrafo 5 presuppone quindi l’accertamento, da parte di un’autorità nazionale o delle istituzioni della Convenzione, della violazione di uno degli altri paragrafi (N.C. c. Italia [GC], n. 24952/94, § 49 in fine, CEDU 2002-X, e Picaro c. Italia, n. 42644/02, § 78, 9 giugno 2005).

77.  Nel caso di specie, la Corte ha rigettato i motivi di ricorso del ricorrente relativi ai paragrafi 1 e 4 dell’articolo 5 per tardività e manifesta infondatezza (precedenti paragrafi 65 e 75). Quanto ai giudici nazionali, essi hanno sempre ritenuto che la detenzione del ricorrente fosse legittima e conforme alla Convenzione. Non si riscontra la benché minima violazione dell’articolo 5 § 5.

78.  Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,
Dichiara il resto del ricorso irricevibile.

Françoise Elens-Passos   
Cancelliere aggiunto

Presidente
Françoise Tulkens