Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 26 luglio 2011 - Ricorso n. 55743/08 - Pozzi c. Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata da Rita Pucci, funzionario linguistico

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA POZZI c. ITALIA
(Ricorso n. 55743/08)
SENTENZA
STRASBURGO
26 luglio 2011

La presente sentenza è definitiva. Può subire variazioni di forma.

Nella causa Pozzi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), costituita in un comitato composto da:
David Thór Björgvinsson, presidente,
Giorgio Malinverni,
Guido Raimondi, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 5 luglio 2011,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDIMENTO

1.  All’origine della causa vi è un ricorso (n. 55743/08) nei confronti della Repubblica italiana con cui un cittadino di quello Stato, Adalberto Pozzi («il ricorrente»), ha adito la Corte il 18 novembre 2008 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2.  Il ricorrente è rappresentato dall’Avv. G. Romano, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, sig.ra E. Spatafora.

3.  L’8 marzo 2010, il presidente della seconda sezione ha deciso di comunicare il ricorso al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO

4.  Il ricorrente è il rappresentante legale della società I.G.A.M.

5.  Sospettato di far parte di un’associazione mafiosa finalizzata alla ricettazione e al racket, P.G. fu oggetto di una procedura per l’applicazione delle misure di prevenzione previste dalle leggi nn. 575 del 1965 e 152 del 1975 avviata dall’apposita sezione del tribunale di Milano.

6.  Il 26 aprile 2005, il tribunale di Milano ordinò il sequestro di numerosi beni di proprietà di P.G. nonché di terzi, tra cui un appartamento della società I.G.A.M.

7.  In seguito, la procedura dinanzi al tribunale si svolse in camera di consiglio. Il ricorrente, assistito da un avvocato di fiducia, fu invitato a parteciparvi in qualità di terza persona interessata dalla misura ed ebbe la facoltà di presentare memorie e mezzi di prova.

8.  Con decreto del 17 marzo 2006, il tribunale decise di applicare nei confronti di P.G. la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di Busto Arsizio per un periodo di tre anni e sei mesi. Con lo stesso decreto, il tribunale ordinò la confisca dei beni sequestrati in precedenza.

9. Il tribunale constatò che l’appartamento del ricorrente era stato venduto dalla società FIMGE (società di P.G.) alla società I.G.A.M. nel settembre del 2001. Tuttavia, secondo i giudici, la vendita era simulata. Di conseguenza, l’appartamento era ancora di proprietà di P.G., quindi parte dei suoi beni.

10. In data imprecisata, il ricorrente interpose appello avverso il decreto del 17 marzo 2006. Addusse che il tribunale non aveva accertato debitamente la proprietà del bene confiscato ed aveva commesso errori di fatto. Con ordinanza del 4 giugno 2007, la corte d’appello di Milano confermò la decisione impugnata. Il ricorrente propose ricorso per cassazione.

11.  Con sentenza del 21 maggio 2008, la Corte di cassazione, ritenendo che la corte d’appello di Milano avesse motivato in modo logico e corretto tutti i punti controversi, rigettò il ricorso del ricorrente.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

12.  Il diritto interno pertinente è descritto nella causa Bocellari e Rizza c. Italia, n. 399/02, §§ 25 e 26, 13 novembre 2007.

IN DIRITTO

I. SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

13.  Il ricorrente lamenta la mancanza di pubblicità della procedura di applicazione delle misure di prevenzione. Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle parti pertinenti, recita:
 « Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente (…), da un tribunale indipendente ed imparziale, costituito per legge, il quale deciderà (…) le controversie sui diritti ed obblighi di carattere civile della stessa (…). La sentenza deve essere emessa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante l’intero processo o una parte di esso nell’interesse della moralità, dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigano gli interessi dei minori o la tutela della vita privata delle parti in causa, o nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa arrecare pregiudizio agli interessi della giustizia. »

14.  Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

15.  Il Governo eccepisce il mancato esaurimento dei mezzi d’impugnazione interni, in quanto il ricorrente non avrebbe sollecitato i giudici interni a adire la Corte costituzionale per verificare la legittimità costituzionale della legge. Il Governo ne deduce che il ricorrente ha omesso di esperire tutti i mezzi di impugnazione a sua disposizione nel diritto italiano.

16.  Per la Corte, obbligare un ricorrente ad un tale passo sembra andare oltre l’uso «normale» dei ricorsi interni richiesto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione.

17. Vale comunque la pena ricordare che «nell’ordinamento giuridico italiano, un individuo non gode di un accesso diretto alla Corte costituzionale: solo un organo giudiziario competente a conoscere del merito di una causa ha la facoltà di adirla, su richiesta di una parte nel procedimento o d’ufficio. Pertanto, una simile domanda non può costituire un ricorso di cui (…) la Convenzione richieda l’esperimento» (si vedano, Brozicek c. Italia, 19 dicembre 1989, serie A n. 167, § 34, serie A n. 167, 19 dicembre 1989, e C.I.G.L. e Cofferati c. Italia, n. 46967/07, § 48, 24 febbraio 2009).

18.  L’eccezione di mancato esaurimento dei mezzi di impugnazione sollevata dal Governo deve essere quindi rigettata.

19.  La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione né contrasta con nessun altro motivo d’irricevibilità. E’ quindi opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

20.  La Corte osserva che il presente caso è simile a diversi casi in cui essa ha esaminato la compatibilità delle procedure di applicazione delle misure di prevenzione con le esigenze del processo equo previste dall’articolo 6 della Convenzione (Bocellari e Rizza c. Italia, n. 399/02, 13 novembre 2007; Perre ed altri c. Italia, n. 1905/05, 8 luglio 2008; Leone c. Italia, n. 30506/07, 2 febbraio 2010; Capitani e Campanella c. Italia, n. 24920/07, 17 maggio 2011).

21.  Nelle suddette cause, la Corte ha osservato che lo svolgimento in camera di consiglio delle procedure finalizzate all’applicazione delle misure di prevenzione, sia in primo grado sia in appello, è espressamente previsto dall’articolo 4 della legge n. 1423 del 1956 e che le parti non hanno la possibilità di chiedere ed ottenere una pubblica udienza.

22.  Pur ammettendo che in questo genere di procedura possano talvolta entrare in gioco interessi superiori e un elevato grado di tecnicità, la Corte ha giudicato fondamentale, tenuto conto in particolare della posta in gioco delle procedure di applicazione delle misure di prevenzione e degli effetti che esse possono produrre sulla situazione personale delle persone coinvolte, che le parti in causa si vedano offrire per lo meno la possibilità di chiedere una pubblica udienza dinanzi alle sezioni specializzate dei tribunali e delle corti d’appello.

23.  La Corte ritiene che la presente causa non presenti elementi tali da differenziarla dalle cause succitate.

24.  Essa conclude, pertanto, per la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

II.  SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 DELLA CONVENZIONE

25.  Il ricorrente afferma che la confisca dell’appartamento in questione ha leso il diritto al rispetto dei beni. Egli invoca l’articolo 1 del Protocollo n. 1 che, nelle parti pertinenti, recita:
«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei propri beni. Nessuno può essere privato della proprietà se non per causa di pubblica utilità e alle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

26.  La Corte ricorda di avere già constatato che l’ingerenza controversa, cioè la confisca di beni fondata sull’articolo 2 ter della legge del 1965, è volta ad impedire un uso illecito e pericoloso per la società di beni di cui non sia stata dimostrata la provenienza lecita. A suo avviso, quindi, il fine di una tale ingerenza coincide con l’interesse generale (Arcuri ed altri tre c. Italia (dec.), n. 52024/99, CEDU 2001-VII; Riela ed altri c. Italia (dec.), n. 52439/99, 4 settembre 2001; Capitani e Campanella c. Italia, succitata).

27.  Quanto alla proporzionalità dell’ingerenza, la Corte osserva che, per decidere l’applicazione delle misure di prevenzione, i giudici nazionali non potevano basarsi su semplici sospetti. Essi hanno accertato e valutato oggettivamente i fatti esposti dal ricorrente e niente nel fascicolo lascia pensare che abbiano valutato arbitrariamente gli elementi sottoposti al loro esame.
Essi si sono basati sulle informazioni raccolte su P.G. ed hanno esaminato la situazione economica del ricorrente e la natura dei suoi rapporti con lo stesso.

28.  D’altra parte, nell’appello e nel ricorso per cassazione, il ricorrente aveva contestato la confisca dei suoi beni. Le sue argomentazioni sono state quindi esaminate anche dai giudici interni. Ad avviso della Corte, il procedimento in contraddittorio dinanzi ai giudici italiani offriva al ricorrente un’occasione adeguata per esporre la sua causa alle autorità competenti.

29.  Pertanto, tenuto conto del margine di apprezzamento degli Stati nel regolamentare «l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale», in particolare nell’ambito di una politica di contrasto al fenomeno della grande criminalità, la Corte conclude che l’ingerenza nel diritto del ricorrente al rispetto dei beni non è sproporzionata rispetto al fine legittimo perseguito.

30.  Ne consegue che questo motivo di ricorso deve essere rigettato in quanto manifestamente infondato, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

III.  SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE

31.  Invocando l’articolo 6 §§ 2 e 3 b) e d) della Convenzione, il ricorrente lamenta, sotto vari aspetti, l’iniquità della procedura che ha portato all’applicazione delle misure di prevenzione in assenza di condanna nei suoi confronti.

32.  La Corte rammenta innanzitutto che l’articolo 6 si applica alle procedure di applicazione delle misure di prevenzione nella sua parte civile, tenuto conto in particolare del loro oggetto « patrimoniale » (Arcuri c. Italia, succitata; Riela ed altri c. Italia succitata; Bocellari e Rizza c. Italia (dec.), n. 399/02, 28 ottobre 2004 e 16 marzo 2006).

33.  Essa rammenta poi di non avere il compito di conoscere degli errori di fatto o di diritto assertivamente commessi da un organo giudiziario interno, salvo nel caso e nella misura in cui essi potrebbero avere leso i diritti e le libertà tutelati dalla Convenzione (si veda García Ruiz c. Spagna [GC], n. 30544/96, § 28, CEDU 1999-I). Inoltre, l’ammissibilità delle prove dipende essenzialmente dalle norme del diritto nazionale e spetta in linea di principio ai giudici interni, in particolare ai tribunali, di interpretare tale legislazione (si veda, tra molte altre, Brualla Gómez de la Torre c. Spagna, sentenza del 19 dicembre 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VII, p. 2955, § 31). Il ruolo della Corte è limitato alla verifica della compatibilità con la Convenzione degli effetti di tale interpretazione (Edificaciones March Gallego S.A. c. Spagna, sentenza del 19 febbraio 1998, Raccolta 1998-I, p. 290, § 33).

34.  Nel caso di specie, il ricorrente, rappresentato da un avvocato di fiducia, partecipò alla procedura ed ebbe la possibilità di presentare le memorie e i mezzi di prova da lui ritenuti necessari per tutelare i suoi interessi. La Corte osserva che la procedura riguardante l’applicazione delle misure di prevenzione si è svolta in contraddittorio dinanzi a tre organi di giudizio successivi.

35.  La Corte osserva inoltre che i giudici italiani non potevano basarsi su semplici sospetti. Essi dovevano accertare e valutare oggettivamente i fatti esposti dalle parti e niente nel fascicolo lascia pensare che abbiano valutato arbitrariamente gli elementi sottoposti al loro esame.

36.  Ne consegue che questa doglianza deve essere rigettata in quanto manifestamente infondata, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

IV.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

37.  Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
« Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di riparare solo in parte alle conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa. »

A.  Danni

38.  Il ricorrente chiede 950.000 euro (EUR) a titolo di risarcimento del danno materiale che sostiene di avere subito.

39. Egli chiede inoltre 100.000 EUR a titolo di risarcimento del danno morale.

40.  Il Governo contesta queste richieste.

41.  La Corte non vede alcun nesso di causalità tra la violazione constatata e il danno materiale addotto e rigetta questa domanda. Quanto al danno morale subito dal ricorrente, a giudizio della Corte, nelle circostanze particolari del caso di specie, esso è riparato sufficientemente dalla constatazione di violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione alla quale la Corte è giunta (si vedano, tra molte altre, le sentenze Leone c. Italia, succitata, § 42; Capitani e Campanella c. Italia, succitata, § 43).

B.  Spese

42.  Giustificativi alla mano, il ricorrente chiede 82.054,42 EUR per le spese sostenute dinanzi alla Corte e, rimettendosi alla saggezza della Corte, chiede il rimborso delle spese sostenute dinanzi ai giudici interni.

43.  Il Governo si oppone a tali richieste.

44.  Tenuto conto dei documenti in suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte rigetta la domanda relativa al rimborso delle spese del procedimento nazionale. Per quanto riguarda le spese relative al presente procedimento, la Corte ritiene eccessiva la richiesta del ricorrente e, alla luce delle circostanze, ragionevole concedere la somma di 3.000 EUR a tale titolo.

C.  Interessi moratori

45.  La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITA’,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile quanto alla doglianza relativa all’articolo 6 § 1, a causa del difetto di pubblicità della procedura di applicazione delle misure di prevenzione, ed irricevibile nel resto;
  2. Afferma che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  3. Afferma che la constatazione di violazione fornisce di per sé un’equa soddisfazione sufficiente per il danno morale subito dal ricorrente;
  4. Afferma
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi, 3.000 EUR (tremila euro) per spese, oltre ad ogni importo eventualmente dovuto dal ricorrente a titolo d’imposta;
    2. che, a partire dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione nel resto.

Redatta in francese, poi comunicata per iscritto il 26 luglio 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Françoise Elens-Passos   
Cancelliere aggiunto

David Thór Björgvinsson
Presidente