Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 5 aprile 2011 - Ricorso n. 25716/09 - Toumi c. Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata da Martina Scantamburlo, funzionario linguistico

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA TOUMI c. ITALIA
(Ricorso n. 25716/09)
SENTENZA

Questa sentenza è stata rettificata il 6 aprile 2011, conformemente all’articolo 81 del regolamento della Corte.
STRASBURGO
5 aprile 2011

Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Potrà subire modifiche di forma.

Nella causa Toumi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Ireneu Cabral Barreto,
David Thór Björgvinsson,
Dragoljub Popović,
Giorgio Malinverni,
András Sajó,
Guido Raimondi, giudici,
e da Stanley Naismith, cancellere di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 15 marzo 2011,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 25716/09) presentato contro la Repubblica italiana e con cui un cittadino tunisino, il sig. Ali Ben Sassi Toumi («il ricorrente»), ha adito la Corte il 17 maggio 2009 in applicazione dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Il ricorrente è rappresentato dall’avv. B. Manara del foro di Milano. Il governo italiano («il Governo») è rappresentato dal suo agente E. Spatafora, e dal suo co-agente N. Lettieri.

3. Il ricorrente sostiene in particolare che la sua espulsione verso la Tunisia lo ha esposto a un rischio di tortura ed ha violato il suo diritto al rispetto della vita privata e famigliare. Egli considera altresì che l’esecuzione della decisione con cui è stata disposta la sua espulsione ha violato il suo diritto di ricorso individuale.

4. Il 14 agosto 2009 il presidente della seconda sezione ha deciso di informare il Governo del ricorso. Come consente l’articolo 29 § 1 della Convenzione, ha inoltre deciso che la Camera si sarebbe pronunciata nel contempo sulla ricevibilità e sul merito della causa.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. Il ricorrente è nato nel 1965 ed è attualmente residente in Tunisia. È sposato con una cittadina italiana ed è padre di tre bambini.

A. Le indagini nei confronti del ricorrente e il provvedimento di espulsione

6. Nel 2003 il ricorrente, sospettato in particolare di terrorismo internazionale (articolo 270bis del codice penale) fu arrestato e posto in stato di custodia cautelare insieme ad altre persone.

7. Con decisione resa in data 24 gennaio 2005, il giudice per le indagini preliminari («il GUP») di Milano prosciolse il ricorrente da tale accusa. Il ricorrente fu comunque condannato a una pena di tre anni di reclusione per falso in scritture.

8. Tale decisione fu confermata in appello il 28 novembre 2005. La corte d’assise d’appello concluse che il ricorrente faceva parte di un’associazione per delinquere finalizzata alla falsificazione di documenti al fine di favorire l’immigrazione clandestina verso l’Italia e altri Stati europei.

9. L’11 ottobre 2006 la Corte di cassazione cassò la sentenza d’appello e dispose il rinvio della causa dinanzi ai giudici di merito.

10. Con sentenza resa in data 23 ottobre 2007, la corte d’assise d’appello di Milano condannò il ricorrente a una pena di sei anni di reclusione per il reato di terrorismo internazionale. L’11 giugno 2008 la Corte di cassazione confermò la sentenza della corte d’assise d’appello.

11. Nel frattempo, in data non precisata, il Tribunale di Tunisi aveva condannato il ricorrente in contumacia per il reato di truffa. Il ricorrente sostiene di non essere stato informato di tale procedimento, la cui esistenza gli sarebbe stata rivelata dai suoi famigliari residenti in Tunisia.

12. Il 18 maggio 2009 il ricorrente, che aveva beneficiato di un condono, fu scarcerato. Con decreto emesso lo stesso giorno il prefetto di Crotone dispose l’espulsione del ricorrente verso la Tunisia.

13. Il 18 maggio 2009, su richiesta del ricorrente, il presidente della seconda sezione, in applicazione dell’articolo 39 del regolamento della Corte, indicò al governo italiano, nell’interesse delle parti e del buono svolgimento del procedimento dinanzi alla Corte di non procedere all’espulsione del ricorrente verso la Tunisia fino a nuovo ordine.

14. Il 19 maggio 2009 l’avvocato del ricorrente informò la cancelleria della Corte che il suo cliente era stato condotto nel centro di permanenza temporanea di Crotone ai fini dell’esecuzione della sua espulsione verso la Tunisia.

15. Lo stesso giorno il cancelliere della seconda sezione inviò alla rappresentanza permanente d’Italia a Strasburgo e al ministero dell’Interno (Ufficio UCARLI e Direzione centrale dell’immigrazione della polizia delle frontiere), il seguente fax: «Con una lettera datata 18 maggio 2009 (in allegato), il vostro Governo era stato informato che il presidente della seconda sezione della Corte aveva deciso di indicargli, in applicazione dell’articolo 39 del regolamento della Corte, che era auspicabile, nell’interesse delle parti e del buono svolgimento del procedimento dinanzi alla Corte, non procedere all’espulsione del ricorrente verso la Tunisia fino a nuovo ordine. Tale misura provvisoria non è mai stata revocata. Il presidente, informato delle nuove circostanze, ha confermato che tale indicazione era sempre in vigore. Richiamo la vostra attenzione sulla sentenza Saadi c. Italia del 28 febbraio 2008 in cui la Grande Camera ha considerato, in una causa simile, che qualora fosse eseguita la decisione che dispone l’espulsione del ricorrente verso la Tunisia vi sarebbe violazione dell’articolo 3 della Convenzione. Una copia della presente lettera è stata trasmessa via fax al ministero dell’Interno (Ufficio UCARLI e Direzione centrale dell’immigrazione della polizia delle frontiere).»

16. Con decisione in data 20 maggio 2009 il giudice di pace di Crotone convalidò la decisione del prefetto che disponeva l’espulsione del ricorrente ma ordinò una sospensione di trenta giorni dell’esecuzione di tale espulsione.

17. Il 21 giugno 2009 il ricorrente presentò una domanda volta a ottenere lo status di rifugiato. Con decisione in data 7 luglio 2009 la commissione competente rigettò la domanda, tenuto conto in particolare dell’assenza di rischio per il ricorrente di essere perseguitato nel suo paese d’origine data la condanna per terrorismo internazionale inflitta dai giudici italiani.

18. Peraltro, il 7 luglio 2009 il ricorrente impugnò dinanzi alla Corte di cassazione la decisione del giudice di pace del 20 maggio 2009. Tale procedimento è tuttora pendente.

19. Il 24 luglio 2009 il rappresentante del ricorrente informò la Corte che le autorità italiane si apprestavano ad eseguire l’espulsione del ricorrente. Lo stesso giorno il cancelliere della seconda sezione inviò alla rappresentanza permanente d’Italia a Strasburgo e al ministero dell’Interno (Ufficio UCARLI e Direzione centrale de l’immigrazione e della polizia delle frontiere), il seguente fax: «Con lettere datate 18 e 19 maggio 2009 (in allegato), il vostro Governo era stato informato che il presidente della seconda sezione della Corte aveva deciso di indicargli, in applicazione dell’articolo 39 del regolamento della Corte, che era auspicabile, nell’interesse delle parti e del buono svolgimento del procedimento dinanzi alla Corte, non procedere all’espulsione del ricorrente verso la Tunisia fino a nuovo ordine. Tale misura provvisoria non è mai stata revocata. Il presidente, informato delle nuove circostanze, ha confermato che tale indicazione era sempre in vigore.
Richiamo ancora una volta la vostra attenzione sulla sentenza Saadi c. Italia del 28 febbraio 2008 in cui la Grande Camera ha considerato, in una causa simile, che qualora fosse eseguita la decisione che dispone l’espulsione del ricorrente verso la Tunisia vi sarebbe violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
Una copia della presente lettera è stata trasmessa via fax al ministero dell’Interno (Ufficio UCARLI e Direzione centrale dell’immigrazione della polizia delle frontiere)»

20. Il 25 luglio 2009 il Questore di Crotone ordinò che fosse eseguito il decreto di espulsione del 18 maggio 2009. Lo stesso giorno il giudice di pace di Crotone diede il proprio consenso all’espulsione del ricorrente.

21. L’espulsione del sig. Toumi fu eseguita il 2 agosto 2009.

B. Le assicurazioni diplomatiche ottenute dalle autorità italiane

22. Nel frattempo, il 12 giugno 2009, l’Ambasciata d’Italia a Tunisi inviò al ministero tunisino degli Affari esteri la seguente nota verbale (n. 2498):
«L'Ambasciata d'Italia presenta i suoi complimenti al ministero degli Affari Esteri e fa riferimento all’esame delle procedure da seguire in merito ai ricorsi pendenti innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, presentati da cittadini tunisini, nei cui confronti sono stati emessi o potrebbero essere emessi dei decreti di espulsione.
L’Ambasciata d’Italia ringrazia il ministero degli Affari Esteri e per il suo tramite il ministero della Giustizia e dei diritti dell’uomo per la concreta collaborazione manifestata in tutti i casi già trattati.
Conformemente a quanto convenuto nella riunione del 24 luglio 2008, le autorità italiane si pregiano di sottoporre per via diplomatica la loro richiesta di elementi supplementari specifici, che risultano necessari nel contenzioso pendente innanzi alla Corte di Strasburgo tra l’Italia e il sig. TOUMI Ali Ben Sassi, nato a Tunisi il 24 dicembre 1965.
A tale scopo, l’Ambasciata d'Italia si pregia di chiedere al ministero degli Affari Esteri di voler adire le autorità tunisine competenti affinché esse possano fornire per via diplomatica le seguenti assicurazioni specifiche su ciascuno di questi ricorrenti in relazione ai seguenti argomenti:

  • che, in caso di espulsione verso la Tunisia, la persona le cui generalità saranno specificate non venga sottoposta a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti;
  • che essa possa essere giudicata da un tribunale indipendente ed imparziale, secondo procedure che, nel complesso, siano conformi ai principi di un processo equo e pubblico;
  • che durante la sua detenzione, possa ricevere le visite dei suoi avvocati, dei suoi familiari e di un medico.

L’Ambasciata d'Italia sarebbe grata al ministero degli Affari Esteri se volesse farle pervenire prima del 20 giugno 2009 gli elementi che sono stati richiesti e resta a disposizione delle Autorità tunisine competenti per fornire tutti i chiarimenti ritenuti necessari.
L'ambasciata d'Italia ringrazia anticipatamente il ministero degli Affari Esteri per l’attenzione che vorrà riservare alla presente nota e coglie l’occasione per rinnovarle i sensi della sua alta considerazione.»

23. Il 25 giugno 2009 il ministero degli affari esteri tunisino fece pervenire la sua risposta. Nelle sue parti pertinenti, tale risposta è cosi formulata:
«Nella sua nota verbale del 12 giugno 2009 l’ambasciata d’Italia a Tunisi ha richiesto alle autorità tunisine le assicurazioni qui di seguito riportate, riguardanti il cittadino tunisino Ali TOUMI, qualora egli dovesse essere espulso verso la Tunisia.
Conviene anzitutto ricordare che l’interessato non è attualmente sottoposto a procedimenti giudiziari in riferimento a reati in materia di terrorismo. L’unica decisione resa nei suoi confronti è una sentenza pronunciata in contumacia che lo ha condannato a un anno di reclusione per truffa. L’interessato è stato infatti accusato di aver costituito delle società fittizie al solo scopo di far sembrare che disponeva di un credito commerciale, e di essere in tal modo riuscito a estorcere, con tali manovre, importanti somme di denaro.
Se l’interessato fosse espulso verso la Tunisia, al suo arrivo sarà tradotto dinanzi al giudice competente. Egli potrà allora esercitare il suo diritto di ricorso, tenendo conto che la ricevibilità del ricorso nella forma produrrà l’effetto, in applicazione dell’articolo 182 del codice di procedura penale, di annullare la sentenza impugnata e permettere il riesame della causa, durante il quale sarà ammesso a presentare ogni mezzo utile per la sua difesa.
Al momento della sua comparizione dinanzi al giudice, l’interessato beneficerà obbligatoriamente dell’assistenza di uno o più avvocati di sua scelta. Se risulta che non ha i mezzi per farlo, gli verrà nominato d’ufficio un avvocato a spese dello Stato. Il giudice deciderà poi se scarcerare l’imputato o emettere un’ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti. Per tutto il processo egli godrà di tutte le garanzie seguenti:

I. La garanzia del rispetto della dignità dell’interessato

Il rispetto della dignità degli interessati è garantito e trae origine dal principio del rispetto della dignità della persona, in qualunque stato si trovi. Si tratta di un principio fondamentale riconosciuto dal diritto tunisino e garantito a tutte le persone, e più particolarmente ai detenuti ai quali la legge accorda una tutela particolare.
È utile a tale proposito ricordare che l'articolo 13, comma 2, della Costituzione tunisina dispone che «ogni individuo che ha perduto la sua libertà è trattato umanamente, nel rispetto della sua dignità.»
La Tunisia ha peraltro ratificato senza alcuna riserva la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Essa ha così riconosciuto la competenza del comitato contro la tortura a ricevere ed esaminare le comunicazioni presentate da o per conto dei cittadini sottoposti alla sua giurisdizione che sostengono di essere vittime di violazioni delle disposizioni della Convenzione [ratificata dalla legge n. 88-79 dell'11 luglio 1988. Gazzetta Ufficiale della Repubblica tunisina n. 48 del 12-15 luglio 1988, pagina 1035 (allegato n. 1)].
Le disposizioni di detta Convenzione sono state trasposte nel diritto interno, l'articolo 101bis del codice penale definisce la tortura come «un atto con il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona un dolore o delle sofferenze acute, fisiche o mentali, al fine di ottenere dalla medesima o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che lei o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla o far pressioni su una terza persona, o quando il dolore o le sofferenze acute sono inflitte per qualsiasi altro motivo fondato su una forma qualunque di discriminazione.»
Il legislatore ha previsto pene severe per questo genere di violazioni, così il succitato articolo 101bis dispone che «è punito con otto anni di reclusione il funzionario o un suo assimilato che, nell'esercizio o in occasione dell'esercizio delle sue funzioni, sottopone una persona a tortura.»
Occorre segnalare che, secondo l'articolo 12 della Costituzione, la misura del fermo di polizia è soggetta al controllo giudiziario e che la detenzione preventiva può essere disposta soltanto con provvedimento giudiziario. È vietato sottoporre una persona a fermo o a detenzione arbitraria. La procedura di fermo prevede parecchie garanzie che tendono ad assicurare il rispetto dell'integrità fisica e morale del detenuto, fra cui in particolare:

  • Il diritto della persona sottoposta a fermo di informare, al momento del suo arresto, i suoi famigliari.
  • Il diritto di chiedere durante il fermo di polizia o allo scadere del suo termine di essere sottoposto a visita medica. Questo diritto può eventualmente essere esercitato dai famigliari.
  • La durata della detenzione preventiva è regolamentata, la sua proroga è eccezionale e deve essere motivata dal giudice.

Occorre anche notare che la legge del 14 maggio 2001 relativa all'organizzazione carceraria all’articolo primo sancisce che l’obiettivo della medesima legge è la disciplina delle «condizioni detentive nelle carceri al fine di assicurare l'integrità fisica e morale del detenuto, di prepararlo alla vita in libertà e di aiutarlo nel suo reinserimento.»
Questa disposizione legislativa è rafforzata dall'attuazione di un sistema di controllo destinato ad assicurare l’effettivo rispetto della dignità dei detenuti. Si tratta di vari tipi di controlli eseguiti da diversi organi e istituzioni:

  • Vi è dapprima un controllo giudiziario assicurato dal giudice dell'esecuzione delle pene che, secondo la formulazione dell'articolo 342-3 del codice di procedura penale tunisino, è tenuto a visitare l'istituto penitenziario sito nel distretto di sua competenza, per conoscere le condizioni dei detenuti; dette visite sono in pratica effettuate mediamente due volte a settimana.
  • Vi è poi il controllo effettuato dal comitato superiore dei diritti umani e delle libertà fondamentali; il presidente di questo istituto nazionale indipendente può effettuare visite improvvise negli istituti penitenziari per informarsi sullo stato dei detenuti e sulle condizioni della loro detenzione.
  • Vi è anche il controllo amministrativo interno effettuato dai servizi dell'ispettorato generale del ministero della Giustizia e dei diritti dell'uomo e dell'ispettorato generale che dipende dalla direzione generale delle carceri e della rieducazione. È da notare in questo quadro che l'amministrazione penitenziaria fa parte del ministero della Giustizia e che gli ispettori del citato ministero sono magistrati di carriera, fatto che costituisce una garanzia supplementare ai fini di un controllo rigoroso delle condizioni detentive.
  • Occorre infine segnalare che il comitato internazionale della Croce Rossa è abilitato dal 2005 ad effettuare visite nei luoghi di detenzione, nelle carceri e nei locali della polizia abilitati ad accogliere i detenuti in stato di fermo. Al termine di queste visite sono redatti dei rapporti dettagliati e vengono organizzati incontri con i servizi interessati per mettere in atto le raccomandazioni formulate dal comitato.

Le autorità tunisine ricordano che esse non esitano affatto ad indagare su tutte le allegazioni di tortura ogni qualvolta vi siano ragionevoli motivi per credere che siano stati commessi dei maltrattamenti. Si citano quattro esempi:
Il primo esempio riguarda quattro agenti delle forze dell’ordine sospettati di avere maltrattato un imputato, durante il suo fermo di polizia, causandone il decesso. Riconosciuti colpevoli dei fatti loro ascritti, due degli agenti sono stati condannati ciascuno a venti anni di reclusione per lesioni volontarie che hanno preterintenzionalmente provocato la morte, mentre gli altri due sono stati condannati rispettivamente a quindici e dieci anni di reclusione per concorso (sentenza resa dalla corte d’appello di Tunisi il 3 marzo 2009). Il secondo esempio riguarda un agente di polizia che è stato perseguito per lesioni volontarie e condannato a 15 anni di reclusione con una sentenza resa dalla corte d'appello di Tunisi il 2 aprile 2002. Il terzo esempio riguarda tre agenti dell'amministrazione penitenziaria che hanno maltrattato un detenuto e, a seguito di un’inchiesta avviata in merito, sono stati rinviati a giudizio e condannati alla pena di quattro anni di reclusione ciascuno con sentenza resa dalla corte d’appello di Tunisi il 25 gennaio 2002. Il quarto esempio riguarda due agenti delle forze dell’ordine che hanno fatto uso, nell’ambito delle loro funzioni, di violenza nei confronti di due cittadini. Perseguiti per tale fatto, sono stati condannati alla pena di due anni di reclusione ciascuno (sentenza resa dalla corte d’appello di Monastir l’11 giugno 2009).
Questi quattro esempi dimostrano come le autorità tunisine non tollerino alcun maltrattamento e non esitino ad intraprendere le azioni necessarie contro i pubblici ufficiali ogni qualvolta vi siano motivi ragionevoli per ritenere che siano stati commessi atti di tale natura.

I pochi casi di condanna per maltrattamenti segnalati nel rapporto presentato dalla Tunisia al Consiglio dei diritti dell'uomo ed al Comitato dei diritti dell'uomo denotano così la volontà politica dello Stato nel perseguire e reprimere qualsiasi tortura o maltrattamento, e questo permette di respingere qualsiasi allegazione di violazione sistematica dei diritti dell'uomo.

In conclusione, è evidente che:

  • Se Ali TOUMI sarà espulso verso la Tunisia, sarà condotto dinanzi a un giudice e beneficerà dell’assistenza di un avvocato.
  • L’interessato potrà esercitare il suo diritto di ricorso avverso la sentenza resa nei suoi confronti. Una decisione di ricevibilità del ricorso produrrà l’effetto di annullare la sentenza e la causa sarà riesaminata.
  • L’autorità giudiziaria competente deciderà di scarcerarlo o di emettere un’ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti.
  • In ogni caso, l’interessato beneficerà di tutte le garanzie di un processo equo, e gli sarà garantita l’integrità fisica e morale.

II. La garanzia di un processo equo all’interessato:

Ali TOUMI è perseguito per il reato di truffa. Se sarà consegnato alla Tunisia, l’interessato beneficerà di procedure di accusa, istruzione e giudizio che offrono tutte le garanzie necessarie ad un processo equo, e in particolare:

  • Il rispetto del principio della separazione tra le autorità di accusa, di istruzione e di giudizio.
  • L'istruzione in materia di crimini è obbligatoria. Obbedisce al principio del doppio grado di giurisdizione (giudice istruttore e sezione istruttoria).
  • Le udienze sono pubbliche e rispettano il principio del contraddittorio.
  • Ogni persona sospettata di un reato ha diritto all'assistenza di uno o più avvocati. Se necessario le viene nominato un avvocato di ufficio e le spese sono a carico dello Stato. L'assistenza dell'avvocato prosegue per tutte le fasi del procedimento: istruzione preparatoria e fase di giudizio.
  • L'esame dei reati è di competenza delle corti penali che sono formate da cinque magistrati; questa formazione allargata rafforza le garanzie dell'imputato.
  • Il principio del doppio grado di giurisdizione in materia penale è sancito dal diritto tunisino. Il diritto di proporre appello avverso le sentenze di condanna è quindi un diritto fondamentale per l'imputato.
  • La condanna può essere resa soltanto sulla base di prove solide che sono state oggetto di dibattimento in contraddittorio innanzi all’autorità giudiziaria competente. Anche la confessione dell'imputato non è considerata prova determinante. Questa posizione sarà confermata dalla sentenza della Corte di cassazione tunisina n. 12150 del 26 gennaio 2005, con la quale la Corte ha affermato che la confessione estorta con violenza è nulla e si considera non avvenuta, e questo in applicazione dell'articolo 152 del codice di procedura penale che dispone che: «la confessione, come qualsiasi elemento di prova, è lasciata alla libera valutazione dei giudici ». Il giudice deve quindi valutare tutte le prove che gli vengono presentate al fine di decidere la forza probante da conferire a dette prove secondo la sua intima convinzione.

III. La garanzia del diritto di ricevere visite:

Se l'arresto della persona interessata viene deciso dall'autorità giudiziaria competente, essa beneficerà dei diritti garantiti dalla legge del 14 maggio 2001 relativa all'organizzazione carceraria. Questa legge sancisce il diritto di ogni imputato di ricevere la visita dell'avvocato incaricato della sua difesa, senza la presenza di un agente carcerario, nonché la visita dei familiari. Se viene deciso il loro arresto, gli interessati godranno di questo diritto conformemente alla legislazione vigente e senza alcuna restrizione.

IV. La garanzia del diritto di beneficiare di cure mediche:

La legge precitata relativa all'organizzazione carceraria dispone che ogni detenuto ha diritto gratuitamente a cure e medicinali all'interno delle carceri e, in mancanza, nelle strutture ospedaliere. Inoltre, l'articolo 336 del codice di procedura penale autorizza il giudice dell'esecuzione delle pene a sottoporre il condannato a visita medica.
Se viene deciso l'arresto dell’interessato, questi sarà sottoposto alla visita medica di prima ammissione nell’istituto penitenziario. Potrà, peraltro, fruire successivamente di un controllo medico nell'ambito di esami periodici.
Le autorità tunisine ribadiscono la loro volontà di cooperare pienamente con la parte italiana fornendole tutte le informazioni e i dati utili alla sua difesa nella procedura in corso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo».

C. Le informazioni relative alla situazione del ricorrente dopo la sua espulsione

24. Il ricorrente afferma di essere stato arrestato subito dopo il suo arrivo a Tunisi, il 2 agosto 2009, e di essere stato liberato il 12 agosto 2009. Durante la sua detenzione, sarebbe stato torturato dalla polizia.
Inoltre, il ricorrente sostiene di essere stato liberato solo dopo essersi impegnato a mantenere il silenzio sulla sua detenzione e afferma di essere oggetto di continue minacce da parte delle forze di polizia.

25. Secondo le informazioni fornite dal Governo, il 19 ottobre 2009 l’ambasciata d’Italia a Tunisi ha chiesto al ministero degli Affari esteri tunisino delle informazioni supplementari riguardanti la situazione del ricorrente.
Lo stesso giorno il ministero degli Affari esteri fece pervenire la sua risposta, il cui testo è il seguente:
«Conviene anzitutto precisare che la detenzione dell’interessato è durata solo tre giorni, a seguito dei quali è stato scarcerato.
Il primo procedimento (nei confronti del ricorrente) riguarda la sentenza resa in contumacia dalla corte d’appello di Tunisi, il 23 dicembre 2003, che lo ha condannato a un anno di reclusione per truffa.
L’interessato è stato condotto, il 7 agosto 2009, dinanzi alla corte d’appello di Tunisi, ha proposto opposizione avverso la sentenza ed è stato immediatamente scarcerato.
La causa, rinviata all’udienza del 1° dicembre 2009, segue attualmente il suo corso.
Il secondo procedimento riguarda delle azioni penali avviate per partecipazione, fuori dal territorio della repubblica tunisina, ad un’associazione criminale collegata a reati in materia di terrorismo. L’interessato è stato sottoposto, in data 7 agosto 2009, a custodia cautelare in attesa di essere interrogato.
Avendo proceduto all’interrogatorio dell’imputato, il 10 agosto 2009, in presenza del suo avvocato, il giudice istruttore ha dato seguito alla domanda della difesa di scarcerare l’imputato in attesa del seguito del procedimento. Anche questa causa segue il suo corso, e l’interessato si trova a piede libero.
(...).»

II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

26. I ricorsi che si possono presentare contro un decreto di espulsione in Italia e le norme in materia di riapertura di un processo in contumacia in Tunisia sono descritti in Saadi c. Italia ([GC], n. 37201/06, §§ 58-60, 28 febbraio 2008).

III. I TESTI E I DOCUMENTI INTERNAZIONALI

27. Nella sentenza Saadi sopra citata vi è una descrizione dei seguenti testi, documenti internazionali e fonti di informazioni: l’accordo di cooperazione in materia di lotta contro la criminalità firmato dall’Italia e dalla Tunisia e l’accordo di associazione tra la Tunisia, l’Unione europea e i suoi Stati membri (§§ 61-62); gli articoli 1, 32 e 33 della Convenzione delle Nazioni Unite del 1951 relativa allo status dei rifugiati (§ 63); le linee direttrici del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (§ 64); i rapporti relativi alla Tunisia di Amnesty International (§§ 65-72) e di Human Rights Watch (§§ 73-79); le attività del Comitato internazionale della Croce Rossa (§§ 80-81); il rapporto del Dipartimento di Stato americano relativo ai diritti dell’uomo in Tunisia (§§ 82-93); le altre fonti di informazioni relative al rispetto dei diritti dell’uomo in Tunisia (§ 94).

28. Dopo l’adozione della sentenza Saadi, Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto annuale 2008. Le parti pertinenti della sezione di tale rapporto dedicata alla Tunisia sono riportate in Ben Khemais c. Italia, n. 246/07, § 34, ... 2009).

29. Inoltre, il 26 gennaio 2010, a seguito di una visita in Tunisia dal 22 al 26 gennaio 2010, il sig. Martin Scheinin, Relatore speciale delle Nazioni Unite per la promozione e la protezione de i diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nella lotta contro il terrorismo, pubblicò la seguente dichiarazione:
«Vorrei esprimere la mia gratitudine al Governo della Tunisia che mi ha fornito la propria collaborazione durante la mia missione. Ho potuto discutere a lungo e in modo assolutamente trasparente con numerosi interlocutori che rappresentano le autorità e la società civile. Ho condotto dei colloqui fruttuosi con il Ministro degli Affari Esteri, il Ministro della Giustizia e dei Diritti dell’Uomo, i rappresentanti del ministero dell’Interno, dei giudici, dei parlamentari e il Comitato Superiore dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali. Ho incontrato anche i rappresentanti della comunità internazionale, degli avvocati, degli universitari e delle organizzazioni non governative, ivi comprese le organizzazioni dei diritti dell’uomo e delle organizzazioni di difesa delle vittime del terrorismo con riguardo alla legge e alla pratica antiterroristiche del paese.
Peraltro, ho visitato i locali di detenzione delle persone in stato di fermo di polizia a Bouchoucha nonché il carcere di Mournaguia, dove ho potuto conversare con varie persone sospettate o accusate di crimini terroristici. Ci tengo a ringraziare tutti i miei interlocutori, ivi compresi i detenuti, nonché le vittime di atti terroristici e le loro famiglie che hanno voluto parlarmi. Tutto ciò mi ha permesso di conoscere la situazione per valutare in maniera oggettiva il rispetto dei diritti dell’uomo nel contesto della lotta contro il terrorismo in Tunisia.
Ogni Stato ha l’obbligo di proteggere la vita e l’integrità dei suoi cittadini e residenti e di metterli al riparo dalle minacce derivanti dal terrorismo. Ma nello stesso tempo le norme internazionali in materia di diritti dell’uomo devono essere interamente rispettate, ivi compresi i diritti delle persone sospettate di essere implicate in crimini terroristici. La Tunisia ha spesso ribadito i suoi impegni a tale scopo, in particolare ratificando la maggior parte delle Convenzioni internazionali in materia di diritti dell’uomo e di terrorismo. L’invito che mi è stato fatto mi sembra un passo importante in questo senso. Consegnerò un rapporto completo in una delle prossime sessioni del Consiglio dei Diritti dell’Uomo. Ecco alcune osservazioni fondamentali allo scopo della mia visita.
Quadro giuridico
Per quanto riguarda il quadro giuridico, accolgo alcuni emendamenti apportati recentemente dalla legge, in particolare una redazione più precisa delle disposizioni riguardanti l’incitazione, l’abolizione dei «giudici senza volto» e il consolidamento delle garanzie legate al prolungamento del fermo. Tuttavia, la legge anti-terrorismo del 2003 contiene ancora alcune lacune che, sulla scia di molti altri paesi, sono imputabili alla definizione di terrorismo: le norme internazionali esigono che tutti gli elementi di un crimine vengano indicati espressamente e con precisione nelle definizioni giuridiche. L’ho sempre sottolineato, la violenza con esito mortale o ogni altra violenza fisica grave contro tutto o parte del grande pubblico dovrebbe essere al centro di ogni definizione di terrorismo (Articolo 15 del Patto internazionale sui diritti civili e politici). Ciò non avviene in Tunisia: nella maggior parte dei casi dal 2003 vengono punite semplici intenzioni, che si tratti di «pianificazione» o di «appartenenza», quest’ultima nozione rinvia ad organizzazioni o gruppi vagamente definiti. Mi hanno parlato di molti casi di giovani uomini, e ne ho visto alcuni, il cui principale crimine era quello di aver scaricato o guardato alcune trasmissioni on line o di essersi riuniti con altri per discutere di questioni religiose.
Le autorità non mi hanno ancora consegnato statistiche precise sul numero di cause per terrorismo esaminate nei tribunali tunisini in questi ultimi anni. Il terrorismo non è un fenomeno corrente in Tunisia, e tuttavia sembra che il campo di applicazione delle disposizioni anti-terroristiche sia fin troppo ampio e dovrebbe essere limitato. Come in altri Paesi, vedo in questa situazione il rischio di trovarsi su una «brutta china», che non solo porta alla condanna per terrorismo di persone che non meritano di essere stigmatizzate in questo modo, ma mette anche in pericolo l’efficacia della lotta contro il terrorismo banalizzando il fenomeno.
La legge tunisina vieta la tortura, e il Paese è parte alla Convenzione contro la tortura. Tuttavia, non esistono in apparenza disposizioni chiare che esigano dai giudici l’apertura di un’istruzione «ex-officio» quando vengono fatte delle accuse di tortura dinanzi ai tribunali, né la motivazione da parte degli stessi del rigetto di una denuncia per tortura o l’esclusione di prove o confessioni ottenute sotto tortura. Queste lacune nel quadro giuridico possono creare uno scudo di impunità per gli autori di torture o di maltrattamenti.
Divario tra legge e realtà
L’esperienza più sconcertante che ho fatto durante la mia missione è stata constatare gravi incoerenze tra la legge e ciò che accadeva realmente, secondo le informazioni che ho ricevuto. Continuerò a collaborare con il Governo per redigere un rapporto completo ma, nel frattempo, ho deciso di esprimere alcune delle mie principali preoccupazioni:

  • Sembrerebbe, e le autorità lo hanno ammesso, che la data di arresto possa essere postdatata, il che equivale ad aggirare le norme relative alla durata consentita di un fermo di polizia, dando luogo in tal modo alla detenzione in segregazione e la scomparsa della persona;
  • Il ricorso frequente alla confessione come elemento di prova dinanzi ai tribunali, in assenza di un’inchiesta appropriata sulle allegazioni di tortura o di altri maltrattamenti;
  • Le garanzie inappropriate contro la tortura, come ad esempio l’accesso ad una visita medica indipendente e l’accesso ad un avvocato fin dal momento dell’arresto, piuttosto che dopo la prima comparizione dinanzi al giudice istruttore;
  • Il numero eccessivamente esiguo di procedimenti o altre conclusioni precise relative alla tortura rispetto alla frequenza delle allegazioni.

È vero che, sotto molti punti di vista, le autorità tunisine hanno agito in assoluta trasparenza durante la mia visita, ma in ogni caso mi è stato negato l’accesso ai locali di interrogatorio della Polizia Giudiziaria (in particolare la Sottodirezione per gli affari criminali), ancora nota come la “Direzione della Sicurezza di Stato”, e questo nonostante le mie numerose richieste in tal senso. Questo è tanto più sconcertante se si considera che le allegazioni di tortura o maltrattamenti riguardano il ruolo della polizia giudiziaria prima della registrazione ufficiale del fermo di polizia, durante l’istruzione/interrogatorio, o quando un detenuto in attesa di processo è uscito dal carcere per le necessità dell’inchiesta.
Strategia di lotta contro il terrorismo
Sono convinto che l’approccio a più pilastri per prevenire il terrorismo grazie alle misure sociali, di insegnamento e di non discriminazione adottate dalla Tunisia, sia un eccellente esempio che merita riflessione. Temo tuttavia che i risultati di queste politiche innegabilmente positive vengano facilmente compromessi dalle violazioni della legge che, come sempre, ipotecano il successo della lotta contro il terrorismo.
Riprendo le raccomandazioni di alcuni meccanismi delle Nazioni Unite in materia di diritti dell’uomo recentemente rivolte alla Tunisia, pur incitandola a continuare ad investire nel campo dell’insegnamento, a colmare il divario sociale e a combattere la povertà. Spero di collaborare come in passato con il Governo nei mesi a venire per mettere a punto il rapporto completo della missione.»

30. Nella sua risoluzione 1433(2005), relativa alla legalità della detenzione da parte degli Stati Uniti a Guantanamo Bay, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha chiesto al Governo americano, tra l’altro, «di non rinviare o trasferire i detenuti sulla base di «assicurazioni diplomatiche» di Paesi conosciuti per ricorrere sistematicamente alla tortura e in ogni caso se l’assenza di rischio di maltrattamenti non è fermamente stabilita».

IN DIRITTO

I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE

31. Il ricorrente sostiene che la sua espulsione verso la Tunisia lo espone al rischio di essere torturato. Egli invoca l’articolo 3 della Convenzione.
Tale disposizione recita:
«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.»

32. Il Governo contesta questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

1. L’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sollevata dal Governo

33. Il Governo eccepisce anzitutto il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in quanto il ricorrente non avrebbe debitamente contestato dinanzi ai giudici nazionali il provvedimento di espulsione nei suoi confronti.

34. La Corte osserva che l’espulsione del ricorrente è stata eseguita sulla base di un decreto emesso dal prefetto di Crotone il 18 maggio 2009, convalidato da una decisione del giudice di pace in data 20 maggio 2009. Il ricorrente impugnò tale decisione dinanzi alla Corte di cassazione. Tuttavia, il decreto di espulsione fu eseguito, il 2 agosto 2009, quando il procedimento dinanzi all’alta giurisdizione era ancora pendente.
Il Governo non ha indicato quali altre vie di ricorso avrebbero potuto essere esercitate dal ricorrente per ottenere l’annullamento del decreto di espulsione controverso e impedire la sua espulsione.

35. Di conseguenza l’eccezione preliminare del Governo non può essere accolta.

2. Altri motivi di irricevibilità

36. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incorre in nessun altro motivo di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

1 Argomenti delle parti

37. Il ricorrente afferma di essere stato arrestato dal momento in cui è arrivato in Tunisia, il 2 agosto 2009, e di essere stato liberato il 12 agosto 2009. Contrariamente a quanto affermano le autorità tunisine, la sua detenzione si è dunque protratta per dieci giorni, durante i quali è stato torturato dalla polizia.

38. Il ricorrente sostiene di essere stato liberato solo dopo essersi impegnato a mantenere il silenzio riguardo alla sua detenzione e alle torture subite. Inoltre, da quando è stato liberato sarebbe oggetto di minacce e di provocazioni continue. Egli afferma che corre il rischio di essere nuovamente arrestato e torturato in qualsiasi momento.

39. Sostiene che vari tunisini espulsi con il pretesto che si trattava di terroristi non hanno più dato segni di vita. Le inchieste condotte da Amnesty International e dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America che dimostrerebbero che la tortura viene praticata in Tunisia, confermerebbero questa affermazione. La tesi del Governo, che sostiene che la situazione dei diritti dell’uomo in Tunisia è migliorata, non sarebbe basata su alcun elemento oggettivo.

40. Il ricorrente sostiene che le assicurazioni diplomatiche fornite dalla Tunisia sono assolutamente inattendibili. Ciò è dimostrato dal fatto che egli è stato arrestato e posto in stato di fermo subito dopo il suo arrivo in Tunisia, contrariamente alle garanzie fornite dalle autorità tunisine e senza alcun motivo valido. Infatti, né lui né il suo avvocato avrebbero avuto accesso al fascicolo per verificare le accuse che gli vengono mosse. Peraltro, l’affermazione delle autorità tunisine secondo la quale il suo fermo rientra nell’ambito di un procedimento per terrorismo non è stata corroborata dinanzi alla Corte mediante l’invio di documenti.

41. Il Governo sottolinea che le affermazioni relative a un pericolo di essere esposto alla tortura o a trattamenti inumani e degradanti devono essere suffragate da elementi di prova adeguati. Il ricorrente, invece, non ha suffragato in alcun modo le sue allegazioni di tortura pur essendo attualmente libero e in grado di dimostrare di essere stato oggetto di tortura in carcere.

42. La situazione in Tunisia non sarebbe diversa da quella che prevale in alcuni Stati parte alla Convenzione. Inoltre, il Governo non vede di buon occhio il valore che potrebbe essere attribuito al rapporto del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, Paese che non sarebbe «certamente un modello per quanto riguarda il trattamento delle persone sospettate di terrorismo». Le autorità tunisine che, secondo il rapporto americano non si sono mai rese colpevoli di rapimenti o omicidi, eserciterebbero una vigilanza efficace sul territorio nazionale. Il Governo sottolinea che la Tunisia conta meno di dieci milioni di abitanti e ritiene che, per questo motivo, il caso di specie è diverso dalla causa Chahal c. Regno Unito (Recueil des arrêts et décisions 1996-V, 15 novembre 1996), in cui la Corte aveva espresso dei dubbi circa la capacità del governo indiano di risolvere il problema delle violazioni dei diritti dell’uomo perpetrate da alcuni dei membri delle forze di sicurezza.

43. Esso osserva inoltre che la Tunisia ha ratificato numerosi strumenti internazionali in materia di tutela dei diritti dell’uomo, ivi compreso un accordo di associazione con l’Unione europea, organizzazione internazionale che, secondo la giurisprudenza della Corte, si presume offra una tutela dei diritti fondamentali «equivalente» a quella garantita dalla Convenzione. Le autorità tunisine permetterebbero peraltro alla Croce Rossa internazionale e ad «altri organismi internazionali» di visitare le carceri, le unità di detenzione provvisoria e i locali abilitati ad accogliere i detenuti in stato di fermo. Secondo il Governo, si può presumere che la Tunisia non si sottrarrà agli obblighi che è tenuta ad osservare in virtù dei trattati internazionali.

44. Quanto alla situazione personale del ricorrente, il Governo ricorda che quest’ultimo è stato espulso solo dopo che erano state ottenute delle assicurazioni formali sul fatto che non sarebbe stato sottoposto a trattamenti contrari alla Convenzione.

45. A questo riguardo, sostiene che le assicurazioni diplomatiche riguardanti il ricorrente non provengono dall’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziari, ma dal Ministero tunisino degli Affari Esteri, ossia l’autorità competente per fornire queste assicurazioni a nome dello Stato. A tale proposito, invita la Corte a discostarsi dalle proprie conclusioni nella causa Ben Khemais (già cit., § 59) relative alla incompetenza dell’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziari per fornire assicurazioni diplomatiche in nome dello Stato tunisino.

46. Peraltro, le garanzie fornite dalle autorità tunisine prima dell’espulsione sarebbero state confermate una volta che il ricorrente è arrivato in Tunisia. Riferendosi alla risposta delle autorità tunisine del 19 ottobre 2009, il Governo afferma che il ricorrente è stato detenuto solo per tre giorni, dal 7 al 10 agosto 2009, durante i quali non ha subito alcun maltrattamento.

2. Valutazione della Corte

47. I principi generali relativi alla responsabilità degli Stati contraenti in caso di espulsione, agli elementi da prendere in considerazione al fine di valutare il rischio di esposizione a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione e alla nozione di «tortura» e di «trattamenti inumani e degradanti» sono sintetizzati nella sentenza Saadi (già cit., §§ 124-136), in cui la Corte ha anche riaffermato l’impossibilità di valutare il rischio di maltrattamenti e i motivi invocati per l’espulsione allo scopo di determinare se la responsabilità di uno Stato viene chiamata in causa sotto il profilo dell’articolo 3 (§§ 137-141).

48. La Corte ricorda le conclusioni a cui è giunta nella causa Saadi sopra citata (§§ 143-146), che erano le seguenti:

  • i testi internazionali pertinenti riportano casi numerosi e regolari di torture e maltrattamenti inflitti in Tunisia a persone sospettate o riconosciute colpevoli di terrorismo;
  • tali testi descrivono una situazione preoccupante;
  • le visite del Comitato internazionale della Croce Rossa nei luoghi di detenzione tunisini non possono allontanare il rischio di sottoposizione a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione.

49. La Corte non vede nella fattispecie alcun motivo per ritornare su tali conclusioni, che sono del resto confermate dal rapporto 2008 di Amnesty International relativo alla Tunisia e dalla dichiarazione del Relatore speciale delle Nazioni Unite del 26 gennaio 2010 (v. i paragrafi 28 e 29 supra), per quanto riguarda l’esistenza di un rischio per il ricorrente di essere sottoposto a trattamenti contrari alla Convenzione in caso di espulsione. Al riguardo, la Corte ricorda che il ricorrente è stato perseguito e condannato in Italia per partecipazione al terrorismo internazionale.

50. In queste condizioni, la Corte ritiene che, nella fattispecie, fatti seri e accertati giustifichino il fatto di concludere per l’esistenza di un rischio reale di vedere il ricorrente subire dei trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione in Tunisia (v., mutatis mutandis, Saadi, già cit., § 146). Resta da verificare se le assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine siano sufficienti per escludere tale rischio e se le informazioni relative alla situazione del ricorrente dopo la sua espulsione abbiano confermato il parere del governo convenuto sulla fondatezza dei timori del ricorrente.

51. Al riguardo la Corte ricorda, in primo luogo, che l’esistenza di testi interni e l’accettazione di trattati internazionali che garantiscano, in linea di principio, il rispetto dei diritti fondamentali non bastano, da sole, ad assicurare una protezione adeguata contro il rischio di maltrattamenti quando, come nella fattispecie, delle fonti affidabili riportano delle pratiche da parte delle autorità – o tollerate da queste ultime – manifestamente contrarie ai principi della Convenzione (Saadi, già cit., § 147 in fine). In secondo luogo, spetta alla Corte esaminare se le assicurazioni date dallo Stato di destinazione forniscono, nella loro applicazione effettiva, una garanzia sufficiente per quanto riguarda la protezione del ricorrente contro il rischio di trattamenti vietati dalla Convenzione (Chahal, già cit., § 105). L’importanza da attribuire alle assicurazioni provenienti dallo Stato di destinazione dipende, in effetti, in ogni singolo caso, dalle circostanze prevalenti nel momento considerato (Saadi, già cit., § 148 in fine).

52. Nel caso di specie il ministero degli Affari esteri tunisino ha assicurato che la dignità umana del ricorrente sarebbe stata rispettata in Tunisia, che egli non sarebbe stato sottoposto alla tortura, a trattamenti inumani o degradanti o a una detenzione arbitraria, che avrebbe beneficiato di cure mediche adeguate e avrebbe potuto ricevere visite da parte del suo avvocato e dei suoi famigliari. Oltre alle leggi tunisine pertinenti e ai trattati internazionali firmati dalla Tunisia, tali assicurazioni si basano sui seguenti elementi:

  • i controlli praticati dal giudice dell’esecuzione delle pene, dal comitato superiore dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (istituzione nazionale indipendente) e dai servizi dell’ispettorato generale del ministero della Giustizia e dei Diritti dell’Uomo;
  • due casi di condanna di agenti dell’amministrazione penitenziaria e di un agente di polizia per maltrattamenti;
  • la giurisprudenza interna, ai sensi della quale una confessione estorta sotto costrizione si considera nulla e non avvenuta (v. il paragrafo 27 supra).

53. La Corte osserva, tuttavia, che, tenuto conto del fatto che delle fonti internazionali serie e affidabili hanno indicato che le accuse di maltrattamenti non venivano esaminate dalle autorità tunisine competenti (Saadi, già cit., § 143), il semplice richiamo di due casi di condanna di agenti dello Stato per lesioni personali su alcuni detenuti non può bastare per escludere il rischio di trattamenti di questo tipo né per convincere la Corte dell’esistenza di un sistema effettivo di protezione contro la tortura, in assenza del quale è difficile verificare che le assicurazioni date saranno rispettate. Al riguardo, la Corte ricorda che, nel suo rapporto 2008 relativo alla Tunisia, Amnesty International ha precisato in particolare che, benché numerosi detenuti si siano lamentati per essere stati torturati durante il fermo, «le autorità non hanno praticamente mai condotto alcuna inchiesta né adottato una qualsiasi misura per citare in giudizio i presunti torturatori».

54. Inoltre, nella sentenza Saadi sopra citata (§ 146), la Corte ha constatato una reticenza delle autorità tunisine a cooperare con le organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti dell’uomo, come Human Rights Watch. Nel suo rapporto 2008 sopra citato, Amnesty International ha peraltro osservato che, benché il numero di membri del comitato superiore dei diritti dell’uomo sia stato aumentato, quest’ultimo «non includeva organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti fondamentali». L’impossibilità per il rappresentante del ricorrente dinanzi alla Corte di fare visita al suo cliente se egli venisse incarcerato in Tunisia conferma la difficoltà di accesso dei detenuti tunisini ad avvocati stranieri indipendenti, anche quando essi sono parte a procedimenti giudiziari dinanzi a giurisdizioni internazionali. Queste ultime rischiano dunque, una volta che un ricorrente viene espulso in Tunisia, di trovarsi nell’impossibilità di verificare la sua situazione e di conoscere eventuali doglianze che potrebbe sollevare per quanto riguarda i trattamenti ai quali è sottoposto. Tali verifiche sembrano impossibili anche per il governo convenuto, il cui ambasciatore non potrà incontrare il ricorrente nel luogo in cui questi è detenuto.

55. In queste circostanze, la Corte non può sottoscrivere alla tesi del Governo secondo cui le assicurazioni date nella fattispecie offrono una protezione efficace contro il rischio serio che corre il ricorrente di essere sottoposto a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione (v., mutatis mutandis, Soldatenko c. Ucraina, n. 2440/07, §§ 73-74, 23 ottobre 2008). Essa ricorda, invece, il principio affermato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nella sua risoluzione 1433(2005), secondo il quale le assicurazioni diplomatiche non possono bastare quando l’assenza di pericolo di maltrattamento non è fermamente stabilita.

56. Per quanto riguarda, infine, gli argomenti del governo riguardanti la situazione del ricorrente in Tunisia, è opportuno ricordare che, se per controllare l’esistenza di un rischio di maltrattamenti bisogna far riferimento in via prioritaria alle circostanze di cui lo Stato in causa era o doveva essere a conoscenza al momento dell’espulsione (Saadi, già cit., § 133), ciò non impedisce alla Corte di tener conto di informazioni successive che possono servire a confermare o invalidare il modo in cui la Parte contraente interessata ha giudicato la fondatezza o meno dei timori di un ricorrente, (Mamatkulov e Askarov, già cit., § 69; Trabelsi c. Italia, n. 50163/08, § 49, 13 aprile 2010).

57. La Corte osserva anzitutto che le versioni delle parti sono divergenti per quanto riguarda gli eventi posteriori all’espulsione del ricorrente. In ogni caso, tenuto conto di tutti gli elementi in suo possesso, essa considera che le informazioni fornite dal Governo non sono sufficienti per rassicurarla sul modo in cui l’Italia ha giudicato la fondatezza o meno dei timori del ricorrente al momento dell’espulsione.

58. Pertanto, l’esecuzione dell’espulsione del ricorrente verso la Tunisia ha violato l’articolo 3 della Convenzione.

II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

59. Il ricorrente sostiene che la sua espulsione verso la Tunisia lo priverebbe dei legami affettivi con la moglie e i tre figli residenti in Italia, sanciti dall’articolo 8 della Convenzione.

60. Il Governo contesta questa tesi.

61. La Corte considera che questo motivo di ricorso è ricevibile (Saadi, già cit., § 163). Tuttavia, avendo constatato che l’espulsione del ricorrente verso la Tunisia ha costituito una violazione dell’articolo 3 della Convenzione, essa non ritiene necessario definire separatamente la questione di sapere se tale espulsione abbia violato anche il diritto al rispetto della vita privata e famigliare del ricorrente.

III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 34 DELLA CONVENZIONE

62. Il ricorrente denuncia l’inosservanza da parte del governo italiano della misura provvisoria indicata ai sensi dell’articolo 39 del regolamento della Corte dal presidente della seconda sezione.

63. Il Governo ritiene di non esser venuto meno ai propri obblighi.

64. La Corte ritiene che questo motivo di si presti ad essere esaminato sotto il profilo dell’articolo 34 della Convenzione, che recita:
«La Corte può essere investita di un ricorso da parte di una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga di essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi Protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l’esercizio effettivo di tale diritto.»

A. Sulla ricevibilità

65. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e osserva inoltre che esso non incorre in nessun altro motivo di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

1. Argomenti delle parti

66. Il ricorrente afferma che la sua espulsione ha ostacolato il suo diritto a un ricorso individuale così come tutelato dall’articolo 34 della Convenzione. Egli sostiene di trovarsi sotto la minaccia costante di rappresaglie da parte della polizia e dichiara di essere impossibilitato ad esprimersi liberamente a proposito dei trattamenti subiti durante la sua detenzione.

67. Il Governo afferma che l’espulsione del ricorrente, che è attualmente libero ed ha sempre mantenuto i contatti con il suo avvocato, non ha ostacolato né l’esercizio da parte del ricorrente del suo diritto di ricorso individuale né l’esame efficace del ricorso da parte della Corte.

2. Valutazione della Corte

a) Principi generali

68. L’articolo 39 del regolamento autorizza le sezioni o, se del caso, il loro presidente, ad indicare delle misure provvisorie. Tali misure sono state indicate solo quando ciò era strettamente necessario e in campi limitati, in linea di principio se vi è il rischio imminente di un danno irreparabile. Nella maggior parte dei casi si trattava di cause relative ad espulsioni ed estradizioni. Le cause in cui gli Stati non si sono uniformati alle misure indicate sono pochissime (Mamatkulov e Askarov c. Turchia [GC], nn. 46827/99 e 46951/99, §§ 103-105, CEDU 2005-I).

69. Nei procedimenti come questo, in cui si sostiene in maniera plausibile l’esistenza di un rischio di danno irreparabile al godimento da parte del ricorrente di uno dei diritti che fanno parte del nucleo fondamentale dei diritti tutelati dalla Convenzione, una misura provvisoria ha lo scopo di mantenere lo status quo in attesa che la Corte si pronunci sulla giustificazione della misura. La misura provvisoria quindi, avendo lo scopo di prolungare l’esistenza della questione oggetto del ricorso, riguarda il merito del motivo di ricorso attinente alla Convenzione. Con il suo ricorso, il ricorrente cerca di tutelare da un danno irreparabile il diritto enunciato nella Convenzione a cui si appella. Di conseguenza, il ricorrente chiede una misura provvisoria, e la Corte la concede, al fine di agevolare «l'esercizio efficace» del diritto individuale garantito dall’articolo 34 della Convenzione, ossia tutelare l’oggetto del ricorso quando essa ritiene che vi sia un rischio che quest’ultimo possa subire un danno irreparabile a causa di un’azione o di un’omissione dello Stato convenuto (Mamatkulov e Askarov, già cit., § 108).

70. Nell’ambito del contenzioso internazionale, le misure provvisorie hanno lo scopo di tutelare i diritti delle parti, permettendo alla giurisdizione di dare effetto alle conseguenze della responsabilità assunta nel contraddittorio. In particolare, nel sistema della Convenzione, le misure provvisorie, così come sono state costantemente applicate nella pratica, rivestono un’importanza fondamentale al fine di evitare situazioni irreversibili che impedirebbero alla Corte di procedere in buone condizioni ad un esame del ricorso e, se del caso, di garantire al ricorrente il godimento pratico ed effettivo del diritto tutelato dalla Convenzione a cui si appella. Perciò, in tali condizioni, l’inosservanza da parte di uno Stato convenuto di misure provvisorie mette in pericolo l’efficacia del diritto di ricorso individuale, così come esso è garantito dall’articolo 34, nonché l’impegno formale dello Stato, ai sensi dell’articolo 1, a salvaguardare i diritti e le libertà enunciati nella Convenzione. Tali misure permettono anche allo Stato in questione di adempiere al suo obbligo di uniformarsi alla sentenza definitiva della Corte, che è giuridicamente vincolante in virtù dell’articolo 46 della Convenzione (Mamatkulov e Askarov, già cit., §§ 113 e 125).

71. Ne consegue che l’inosservanza di misure provvisorie da parte di uno Stato contraente deve essere ritenuta un impedimento all’esame efficace da parte della Corte della doglianza del ricorrente, ed un ostacolo all’esercizio efficace del suo diritto, e quindi costituisce una violazione dell’articolo 34 (Mamatkulov e Askarov, già cit., § 128).
b) Applicazione di questi principi al caso di specie

72. Nella presente causa, poiché l’Italia ha espulso il ricorrente verso la Tunisia, il livello di tutela dei diritti enunciati all’articolo 3 della Convenzione che la Corte poteva garantire all’interessato è stato ridotto in modo irreversibile. Essa ha quantomeno privato di qualsiasi utilità l’eventuale constatazione di violazione della Convenzione, poiché il ricorrente è stato allontanato verso un Paese che non è parte a tale strumento, in cui sosteneva che rischiava di essere sottoposto a trattamenti contrari allo stesso.

73. Inoltre, l’efficacia dell’esercizio del diritto di ricorso implica anche che la Corte possa, per tutta la durata del procedimento intentato dinanzi ad essa, esaminare il ricorso secondo la sua procedura abituale.

74. Nella fattispecie, il ricorrente è stato espulso. La Corte nota che, dopo un periodo di detenzione, è stato liberato ed ha potuto riprendere i contatti con il suo avvocato. Tuttavia, da questa realtà constatata dopo la decisione di applicare la misura provvisoria non deriva che il Governo ha rispettato il proprio obbligo di non ostacolare con nessuna misura l’esercizio efficace del diritto sancito dall’articolo 34: dal momento che è più difficile per il ricorrente esercitare il suo diritto di ricorso a causa delle azioni del Governo, l’esercizio dei diritti sanciti da tale articolo è ostacolato (Chtoukatourov c. Russia, n. 44009/05, § 147, 27 marzo 2008).

75. La Corte non può fare a meno di osservare che la durata e le condizioni della detenzione del ricorrente rimangono a tutt’oggi non precisate dalle parti, soprattutto in assenza della possibilità per il ricorrente e per il suo avvocato di avere accesso al fascicolo dinanzi alle autorità tunisine. Inoltre, la Corte osserva che il Governo convenuto, prima di dare esecuzione all’espulsione, non ha chiesto la revoca della misura provvisoria adottata ai sensi dell’articolo 39 del regolamento della Corte, che sapeva essere sempre in vigore.

76. Dai fatti di causa, così come sopra esposti, risulta chiaramente che a causa della sua espulsione verso la Tunisia il ricorrente non ha potuto esporre tutti gli argomenti utili per la sua difesa, e che la sentenza della Corte rischia di essere privata di ogni effetto utile. In particolare, il fatto che il ricorrente sia stato sottratto alla giurisdizione dell’Italia costituisce un serio ostacolo che potrebbe impedire al Governo di adempiere ai propri obblighi (derivanti dagli articoli 1 e 46 della Convenzione) di tutelare i diritti dell’interessato e di eliminare le conseguenze delle violazioni constatate dalla Corte. Tale situazione costituisce un ostacolo all’esercizio effettivo da parte del ricorrente del suo diritto di ricorso individuale sancito dall’articolo 34 della Convenzione.

c) Conclusione

77. Tenuto conto degli elementi in suo possesso, la Corte conclude che, non uniformandosi alla misura provvisoria indicata in virtù dell’articolo 39 del suo regolamento, l’Italia non ha rispettato gli obblighi ad essa derivanti nel caso di specie in virtù dell’articolo 34 della Convenzione.

IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

78. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

79. Il ricorrente chiede la somma di 50.000 euro (EUR) per il danno morale che avrebbe subito.

80. Il Governo ritiene che tale importo sia eccessivo.

81. La Corte ritiene che il ricorrente abbia subito un torto morale certo a causa dell’esecuzione del provvedimento di espulsione nei suoi confronti. Deliberando equamente, come esige l’articolo 41 della Convenzione, gli accorda la somma di 15.000 EUR a questo titolo.

B. Spese

82. Producendo i relativi documenti giustificativi, il ricorrente chiede anche la somma di 7.469,99 EUR per le spese sostenute dinanzi alle giurisdizioni italiane e la somma di 14.046 EUR per quelle sostenute dinanzi alla Corte.

83. Il Governo contesta tali richieste.

84. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne sono stabilite la realtà, la necessità e l’importo ragionevole. Nel caso di specie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri sopra menzionati, la Corte ritiene eccessivi gli importi richiesti per le spese. Essa considera ragionevole la somma di 1.500 EUR per il procedimento dinanzi alle autorità nazionali e la somma di 5.000 EUR per il procedimento dinanzi ad essa, e le accorda al ricorrente.

C. Interessi moratori

85. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

  1. Dichiara, all’unanimità, il ricorso ricevibile; 
  2. Dichiara, all’unanimità, che l’esecuzione della decisione di espulsione del ricorrente verso la Tunisia ha violato l’articolo 3 della Convenzione; 
  3. Dichiara, con quattro voti contro tre, che non è opportuno esaminare separatamente se l’esecuzione della decisione di espulsione del ricorrente verso la Tunisia ha violato l’articolo 8 della Convenzione; 
  4. Dichiara, all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 34 della Convenzione; 
  5. Dichiara, all’unanimità,
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
      1. 15.000 EUR (quindicimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      2. 6.500 EUR (seimilacinquecento euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dal ricorrente, per le spese;
    2. che a decorrere dallo scadere di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali; 
  6. Rigetta, all’unanimità, la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 5 aprile 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Stanley Naismith
Cancelliere

Françoise Tulkens
Presidente

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione separata dei giudici David Thór Björgvinsson, Popović e Malinverni.
F.T.
S.H.N.

OPINIONE PARZIALMENTE DIVERGENTE DEL GIUDICE MALINVERNI, CONDIVISA DAI GIUDICI DAVID THÓR BJÖRGVINSSON E POPOVIC

  1. Ho votato contro il punto 3 del dispositivo della sentenza, con cui la Corte ha affermato «che non è opportuno esaminare separatamente se l’esecuzione della decisione di espulsione del ricorrente verso la Tunisia ha violato l’articolo 8 della Convenzione». Infatti, quando un ricorrente sostiene che vi è stata violazione di più articoli della Convenzione, come nel caso di specie, in linea di principio ha il diritto a che la Corte si pronunci sull’eventuale violazione di ciascuno di essi. Nella presente causa, oltre a una violazione dell’articolo 3 della Convenzione, il ricorrente aveva anche sostenuto che la sua espulsione lo avrebbe privato dei legami affettivi con la moglie e i suoi tre figli residenti in Italia.
     
  2. La Corte, tuttavia, ha ritenuto che, avendo constatato che l’espulsione verso la Tunisia ha costituito una violazione dell’articolo 3, «essa non ritiene necessario definire separatamente la questione di sapere se tale espulsione abbia violato anche il diritto al rispetto della vita privata e famigliare del ricorrente» (par. 62). A tale proposito fa riferimento alla sentenza Saadi c. Italia del 28 febbraio 2008, [GC] (n. 37201/06).
     
  3. In questo modo, tuttavia, la Corte non tiene conto di una differenza fondamentale che separa queste due cause. Infatti, nella causa Saadi, il ricorrente non era stato espulso nel momento in cui la Corte ha pronunciato la sentenza. Quest’ultima si era dunque limitata a constatare che la sua espulsione violerebbe l’articolo 3 della Convenzione (par. 149 della sentenza Saadi). In queste condizioni, essa poteva giustamente ritenere di non avere motivi per dubitare che il governo convenuto si sarebbe uniformato alla sua sentenza e che, di conseguenza, non era «necessario esaminare la questione ipotetica  di stabilire se, in caso di espulsione verso la Tunisia, vi sarebbe anche violazione dell’articolo 8 della Convenzione» (par. 170 della sentenza Saadi).
     
  4. Nella presente causa la situazione è completamente diversa. Contrariamente alla causa Saadi, in questo caso la decisione di espulsione nei confronti del ricorrente è stata eseguita (par. 20 e 21). Contrariamente alla causa Saadi, la Corte non ha detto che «la decisione di espulsione nei confronti dell’interessato violerebbe l’articolo 3 della Convenzione se fosse eseguita (par. 149 della sentenza Saadi), ma che «l’esecuzione dell’espulsione del ricorrente verso la Tunisia ha violato l’articolo 3 della Convenzione (par. 59).
     
  5. In queste condizioni, l’eventuale violazione dell’articolo 8 della Convenzione non può essere considerata una «questione ipotetica». A causa dell’espulsione, essa è divenuta una realtà. Il ricorrente è stato effettivamente separato dalla moglie e dai suoi tre figli. La Corte non avrebbe pertanto dovuto accontentarsi, come ha fatto nella sentenza Saadi, di esaminare il ricorso soltanto dal punto di vista dell’articolo 3. Avrebbe dovuto esaminare anche la fondatezza del motivo di ricorso relativo alla violazione addotta dell’articolo 8.