Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 27 settembre 2011 - Ricorso n. 43509/08 - A. Menarini Diagnostics Srl c. Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, eseguita dai funzionari linguistici Martina Scantamburlo e rita Carnevali

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA A. MENARINI DIAGNOSTICS S.R.L. c. ITALIA
(Ricorso n. 43509/08)
SENTENZA
STRASBURGO - 27 settembre 2011

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa A. Menarini Diagnostics S.R.L. c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
David Thór Björgvinsson,
Dragoljub Popović,
Giorgio Malinverni,
András Sajó,
Guido Raimondi,
Paulo Pinto de Albuquerque, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 30 agosto 2011,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 43509/08) presentato contro la Repubblica italiana con cui una società italiana, la A. Menarini Diagnostics S.R.L. («la ricorrente»), ha adito la Corte il 10 settmbre 2008 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. La società ricorrente è stata rappresentata dagli avvocati G. Romano, del foro di Benevento e A. Mascia, del foro di Verona. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente  E. Spatafora, e dal suo co-agente  P. Accardo.

3. La società ricorrente lamenta la mancanza di «piena giurisdizione» del giudice amministrativo nel sistema nazionale, così ponendo un problema in termini di accesso alla giustizia.

4. Il 20 aprile 2010 il presidente della seconda sezione ha deciso di informare il Governo del ricorso. Come consentito dall’articolo 29 § 1 della Convenzione, ha inoltre deciso che la sezione si sarebbe pronunciata contestualmente sulla ricevibilità e sul merito.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. La ricorrente, A. Menarini Diagnostics S.R.L., è una società italiana con sede sociale a Firenze.

6. I fatti della causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

7. La società ricorrente commercializza numerosi test per la diagnosi del diabete. Nel 2001 l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), autorità amministrativa indipendente, procedette ad una inchiesta contro la società ricorrente ed altre quattro società farmaceutiche per aver messo in atto pratiche anticoncorrenziali in virtù dell’articolo 2 della legge n. 287 del 10 ottobre 1990 sulla tutela della concorrenza e del mercato.

8. Nel 2003 l’AGCM contestò alla ricorrente di aver partecipato ad un cartello avente per scopo la fissazione dei prezzi e la ripartizione del mercato dei test per la diagnosi del diabete.

9. Con decisione del 30 aprile 2003, notificata alla società ricorrente il 15 maggio 2003, l’AGCM inflisse alla società ricorrente una sanzione pecuniaria di sei milioni di euro per pratiche anticoncorrenziali nel mercato dei test per la diagnosi del diabete in virtù delle norme in materia di concorrenza previste dalla legge n. 287 del 10 ottobre 1990. In particolare, l’AGCM affermò che la sanzione doveva rappresentare un deterrente per qualsiasi altra azienda farmaceutica.

10. La ricorrente pagò la somma il 26 gennaio 2004.

11. L’8 luglio 2003 la società ricorrente presentò ricorso avverso tale decisione dinanzi al tribunale amministrativo del Lazio (di seguito TAR). A sostegno del suo ricorso, la ricorrente negò di aver partecipato ad un cartello per fissare i prezzi dei test diagnostici e criticò le conclusioni formulate nei suoi confronti. Inoltre, la società contestò l’esposizione e la qualificazione dei fatti operate dall’AGCM.

12. La società contestò inoltre l’importo della sanzione pecuniaria ed eccepì l’incostituzionalità dell’articolo 33 della legge n. 287 del 1990 nella parte in cui escludeva un controllo di piena giurisdizione da parte dei tribunali. La società ricorrente chiedeva al tribunale di sospendere la decisione dell’AGCM, di annullarla nel merito e di ridurre la sanzione del 10 %.

13. Con sentenza del 3 dicembre 2003, il TAR rigettò il ricorso della ricorrente, ribadendo che il controllo del tribunale sulle decisioni dell’AGCM era esclusivamente un controllo di legittimità. Nella misura in cui la doglianza della società ricorrente verteva sull’eccesso di potere da parte dell’autorità amministrativa, il giudice amministrativo poteva controllare soltanto la rilevanza e la motivazione dell’atto dell’amministrazione, ma non aveva il potere di sostituirsi all’AGCM.

14. Il TAR sottolineò che aveva pieno controllo sulla valutazione dei fatti e l’applicazione della sanzione, ma per quanto riguarda la qualificazione giuridica dei fatti operata dall’AGCM, il controllo era limitato alla legittimità del’atto amministrativo.

15. Per quanto riguarda la sanzione, il TAR confermò l’applicazione dell’articolo 15 della legge n. 287 del 1990. In particolare, il TAR affermò che quando la doglianza concerne l’eccesso di potere, il giudice amministrativo può verificare se la decisione impugnata è logica, opportuna, ragionevole, correttamente motivata ma non può sostituire le proprie valutazioni sulla fondatezza a quelle dell’AGCM. Sostenne che il controllo giurisdizionale è in questo caso «debole» poiché si tratta di un controllo sulla ragionevolezza e sulla coerenza tecnica della decisione adottata, senza che il giudice possa far prevalere la propria valutazione tecnica su quella dell’AGCM. In questo contesto, il TAR sottolineò che vi era «certamente una perdita relativamente all’efficacia della difesa, dal momento che al giudice non è consentito effettuare un controllo intrinseco». Inoltre, secondo il TAR «il giudice non può sostituire le proprie valutazioni a quelle dell’AGCM; allo stesso modo il giudice può applicare solo le norme individuate dall’AGCM e non può sostituirle con altre; non può modificare le caratteristiche dell’inchiesta e, di conseguenza nemmeno la decisione adottata. Può solo verificarne la legittimità».

16. Il 15 luglio 2004 la ricorrente impugnò la sentenza dinanzi al Consiglio di Stato.

17. La società ricorrente sosteneva che il TAR, limitandosi al controllo di legittimità dell’atto dell’AGCM, aveva omesso di valutare il comportamento della società ricorrente sanzionato dall’AGCM. Sosteneva inoltre che la sanzione applicata era illegittima. In particolare affermava che il contenuto della norma che definiva l’illecito non era stato determinato dal legislatore e che l’AGCM aveva il potere di determinarne il contenuto al momento della valutazione del caso di specie. Infine, lamentava la mancanza di «piena giurisdizione» del giudice amministrativo nel sistema nazionale.

18. Con sentenza del 16 marzo 2006 il Consiglio di Stato rigettò il ricorso della società ricorrente. Osservò che la competenza del giudice amministrativo è limitata ad un controllo di legittimità, ma che l’accesso alla giustizia non ne era limitato in quanto il giudice amministrativo poteva valutare gli elementi di prova raccolti dall’AGCM. Inoltre il Consiglio di Stato ricordò che quando l’amministrazione dispone di un potere discrezionale, il giudice amministrativo non ha il potere di sostituirsi all’autorità amministrativa indipendente. Tuttavia può accertare se l’amministrazione abbia fatto un uso adeguato dei suoi poteri. Per quanto riguarda la sanzione, il Consiglio di Stato ricordò che il proprio controllo era di piena giurisdizione dal momento che esso poteva accertare l’adeguatezza della sanzione all’infrazione commessa, e, se necessario, sostituire la sanzione.

19. Il Consiglio di Stato stabilì che il controllo del giudice amministrativo era compatibile con la Costituzione.

20. Il 10 luglio 2006 la società ricorrente propose ricorso per cassazione.

21. Con sentenza depositata il 17 marzo 2008 la Corte di cassazione dichiarò tale ricorso inammissibile. La Suprema Corte confermò la decisione del Consiglio di Stato e sostenne che, per quanto riguarda le decisioni dell’AGCM, il controllo esercitato dai giudici amministrativi era un controllo di piena giurisdizione poiché il giudice amministrativo può accertare la veridicità dei fatti che hanno motivato la sanzione. Tuttavia, quando l’amministrazione ha un potere discrezionale, il giudice amministrativo non ha il potere di sostituirsi all’autorità amministrativa indipendente, ma può controllare la razionalità e la coerenza del potere esercitato dall’amministrazione. Secondo la Corte di cassazione, la questione sollevata dalla società ricorrente non riguardava la funzione giurisdizionale del giudice amministrativo, ma il suo esercizio. In questo caso, il giudice amministrativo aveva correttamente esercitato il proprio potere di valutazione dei fatti.

22. In conclusione, ricordando che esercitava solo una competenza di natura giurisdizionale, la Corte dichiarò inammissibile il ricorso della società ricorrente.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

23. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è una «autorità indipendente» creata dalla legge n. 287 del 10 ottobre 1990 (legge per la tutela della concorrenza e del mercato - «la legge»). In quanto autorità indipendente, essa ha lo status di ente pubblico e le sue decisioni vengono prese a norma di legge senza alcuna possibilità di ingerenza da parte del governo. Tale autorità ha la funzione di deliberare sulle pratiche e le intese restrittive della libera concorrenza, nonché sulle pubblicità ingannevoli e comparative. Inoltre è incaricata di dirimere i conflitti di interesse in applicazione della legge n. 215 del 20 luglio 2004.

24. Legge n. 287 del 10 ottobre 1990 per la tutela della concorrenza e del mercato:

Articolo 2 – Intese restrittive della libertà di concorrenza
«1. Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari.
2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel:

  1. fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali;
  2. impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico;
  3. ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
  4. applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;
  5. subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l'oggetto dei contratti stessi.

3. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto.»

Articolo 15 – Diffide e sanzioni
«1. Se a seguito dell'istruttoria di cui all'articolo 14 l'Autorità ravvisa infrazioni agli articoli 2 o 3, fissa alle imprese e agli enti interessati il termine per l'eliminazione delle infrazioni stesse. Nei casi di infrazioni gravi, tenuto conto della gravità e della durata dell'infrazione, dispone inoltre l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino al dieci per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell'ultimo esercizio (…), determinando i termini entro i quali l'impresa deve procedere al pagamento della sanzione.
2. In caso di inottemperanza alla diffida di cui al comma 1, l'Autorità applica la sanzione amministrativa pecuniaria fino al dieci per cento del fatturato ovvero, nei casi in cui sia stata applicata la sanzione di cui al comma 1, di importo minimo non inferiore al doppio della sanzione già applicata con un limite massimo del dieci per cento del fatturato come individuato al comma 1, determinando altresì il termine entro il quale il pagamento della sanzione deve essere effettuato. Nei casi di reiterata inottemperanza l'Autorità può disporre la sospensione dell'attività d'impresa fino a trenta giorni.
2-bis. L'Autorità, in conformità all'ordinamento comunitario, definisce con proprio provvedimento generale i casi in cui, in virtù della qualificata collaborazione prestata dalle imprese nell'accertamento di infrazioni alle regole di concorrenza, la sanzione amministrativa pecuniaria può essere non applicata ovvero ridotta nelle fattispecie previste dal diritto comunitario.»

Articolo 33 – Competenza giurisdizionale
«1. I ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi adottati sulla base delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV della presente legge rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Essi devono essere proposti davanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio.
2. Le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV sono promossi davanti alla corte d'appello competente per territorio.»

25. Il diritto interno pertinente all’epoca dei fatti
Ai tribunali amministrativi sono attribuiti tre tipi di giurisdizione:

  1. La giurisdizione generale di legittimità;
  2. La giurisdizione speciale estesa al merito;
  3. La giurisdizione speciale esclusiva;
  4. Le autorità amministrative indipendenti (AAI).

A. La giurisdizione generale di legittimità

La giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo è di tipo generale. Il giudice amministrativo è competente per tutte le questioni relative alla legittimità di un atto amministrativo che ha leso un interesse legittimo  salvo che la controversia non sia riservata alla competenza delle altre giurisdizioni speciali (Corte dei conti, Tribunale superiore delle acque pubbliche, Commissione tributaria).
Nella giurisdizione di legittimità, l’oggetto della controversia è costituito dal provvedimento contestato e non dal rapporto giuridico che ha dato origine alla controversia. Sotto questo punto di vista, la giurisdizione di legittimità differisce dalla giurisdizione esclusiva. È opportuno aggiungere che il controllo del giudice amministrativo, anche se limitato alla tutela degli interessi legittimi, può essere esteso incidenter tantum (con effetto limitato al caso in esame), a questioni pregiudiziali ed accessorie relative ai diritti soggettivi, la cui risoluzione è necessaria rispetto alla questione principale.
Il giudice amministrativo, nella giurisdizione di legittimità, può pronunciare con effetto costitutivo [sic] sentenze di annullamento degli atti amministrativi illegittimi quando i fatti non corrispondono a quelli che l’amministrazione ha preso in considerazione per l’adozione del provvedimento. Tuttavia, il giudice non può sostituirsi all’autorità amministrativa ed adottare, al suo posto, la misura richiesta dal ricorrente. Al riguardo, la giurisdizione di legittimità differisce dalla giurisdizione estesa al merito. Oltre ai casi espressamente definiti dalla legge, il giudice amministrativo non ha il potere di ordinare all’amministrazione di adottare determinate misure.

B. La giurisdizione estesa al merito

La giurisdizione estesa al merito dei tribunali amministrativi sostituisce un’eccezione. Essa può essere esercitata solo per le materie strettamente previste dalla legge. Tali materie non possono essere estese per analogia a causa della natura eccezionale delle norme che prevedono la giurisdizione estesa al merito. Quest’ultima consente al giudice di esaminare non solo la legittimità, ma anche il merito dell’atto amministrativo in questione, interferendo in un’area solitamente sottratta alla competenza del giudice amministrativo.
La competenza estesa al merito differisce da quella di legittimità per i poteri più ampi che sono riconosciuti al giudice amministrativo. Ciò implica un esame più esteso dei fatti, senza le limitazioni proprie della giurisdizione di legittimità. In particolare è consentito al giudice di verificare in modo autonomo i fatti, di valutare la corrispondenza tra il provvedimento e le esigenze prese in considerazione dalla legge e di determinare con precisione l’esatta portata del principio di diritto stabilito da una decisione.
Al giudice sono conferiti anche ampi poteri di indagine: oltre ad esercitare i poteri tipici della giurisdizione di legittimità, può ordinare tutte le misure istruttorie, secondo quanto stabilito dal regolamento di procedura. In generale sono consentiti tutti i mezzi di prova  ammissibili nel contenzioso civile, purché siano compatibili con le caratteristiche del processo amministrativo. Sono ammissibili, in particolare, la prova testimoniale, le ispezioni, le perizie e ogni altra indagine che possa portare all’accertamento dei fatti.
Il giudice non solo può annullare l’atto amministrativo contestato, ma anche riformarlo e sostituirlo o sostituirsi all’autorità amministrativa nell’adozione del provvedimento e, quindi, adottare nuove misure. Il giudice può anche esaminare tutte le questioni relative all’indennizzo. Inoltre, può pronunciare una sentenza di condanna al pagamento della somma di cui l’amministrazione è responsabile.
L’ambito principale della giurisdizione estesa al merito è il giudizio di ottemperanza. Il giudice amministrativo, mediante un commissario ad acta, sostituisce l’amministrazione inadempiente nell’adozione delle misure necessarie per soddisfare la richiesta del ricorrente.

C. La giurisdizione esclusiva

La giurisdizione esclusiva amministrativa è stabilita dalla legge sui TAR e da altre leggi relative a materie per le quali la competenza del giudice amministrativo non è limitata agli interessi legittimi, ma si estende anche ai diritti soggettivi.
Per quanto riguarda i poteri istruttori, il legislatore ha attribuito al giudice amministrativo nell’ambito della giurisdizione esclusiva, degli strumenti analoghi a quelli riconosciuti al giudice ordinario. L’articolo 7 della legge n. 205 del 2000 ha introdotto la possibilità di utilizzare i mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile e di ricorrere inoltre alle perizie.
Nell’esercizio della giurisdizione esclusiva, esistono da una parte le sentenze di annullamento, con le quali il giudice elimina il provvedimento lesivo della posizione giuridica del ricorrente; dall’altra sono previsti dei giudizi di valutazione per risolvere i problemi relativi all’esistenza di una situazione giuridica soggettiva. In caso di annullamento di un atto amministrativo, il giudice indica delle direttive all’amministrazione.
Nel caso in cui accolga il ricorso per motivi di merito, il giudice può modificare o sostituire l’atto. Quest’ultimo, inoltre, può emettere delle sentenze di condanna che obbligano l’amministrazione ad adottare un determinato comportamento. L’articolo 35 del decreto legislativo n. 80 del 1998 consente attualmente di ordinare la restitutio in integrum.
Sebbene il potere di disapplicazione sia previsto solo per i giudici ordinari secondo la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 154 del 1992 e 799 del 1993), il giudice amministrativo può, anche d’ufficio, impedire l’applicazione degli atti amministrativi in contrasto con le norme di livello superiore, purché non costituiscano l’oggetto della contestazione.

D. Le autorità amministrative indipendenti (AAI)

Non esiste alcuna disposizione di legge che conferisce in linea generale al giudice amministrativo una giurisdizione esclusiva sui provvedimenti delle autorità indipendenti; al contrario, sono le varie leggi riguardanti tali autorità ad attribuire al giudice amministrativo la competenza nel contenzioso che le coinvolge. Tali autorità, infatti, godono di una particolare posizione di indipendenza.
Il controllo del giudice amministrativo è limitato ad una valutazione tecnica degli atti dell’autorità (potere discrezionale tecnico).
La giurisprudenza è consolidata per quanto riguarda la portata del potere del giudice nei confronti della autorità indipendenti: il controllo del giudice copre, senza limiti, l’intero esercizio del potere delle autorità amministrative indipendenti. (Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 febbraio 2007, n. 515).
Per quanto riguarda le sanzioni dell’AGCM per le pratiche restrittive della concorrenza, la competenza del giudice amministrativo è estesa al merito ai sensi dell’articolo 23 della legge n. 689 del 1981, applicabile in base all’articolo 31 della legge n. 287 del 1990. Pertanto il giudice può annullare l’atto amministrativo e modificarlo per quanto riguarda la sanzione.

IN DIRITTO

I. SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

26. La società ricorrente lamenta di non aver avuto accesso a un tribunale ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nella sua parte pertinente, recita:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…), da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti.»

27. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

1. Tesi delle parti

28. Il Governo solleva in primo luogo una eccezione relativa alla incompatibilità ratione materiae del ricorso con la Convenzione. Sostiene che l’elemento penale dell’articolo 6 § 1 della Convenzione non è da prendere in considerazione nel caso di specie.

29. Per quanto riguarda i primi tre criteri della giurisprudenza Engel e altri c. Paesi Bassi, (8 giugno1976, serie A n. 22), il Governo afferma anzitutto che le decisioni dell’AGCM a livello nazionale rientrano tra le «sanzioni amministrative» e non tra le «sanzioni penali». Inoltre, le condotte anticoncorrenziali sono sanzionate non sulla base del diritto penale ma sulla base della legge n. 287 del 10 ottobre 1990 per la tutela della concorrenza e del mercato.

30. Per quanto riguarda il secondo criterio il Governo osserva che lo scopo perseguito dalla legge n. 287 del 10 ottobre 1990 è quello di preservare la libera concorrenza sul mercato. Ricorda che tale legge non si applica alle società che gestiscono servizi di interesse economico generale o che esercitano una attività in regime di monopolio sul mercato. Detta legge, pertanto, non pregiudica gli interessi generali della società normalmente tutelati dal diritto penale. Inoltre, il Governo ricorda che le norme procedurali previste dalla suddetta legge sono diverse dalle leggi penali.

31. Quanto al terzo criterio relativo alla natura e al grado di severità della «sanzione», il Governo sostiene che lo scopo principale della misura è quello di impedire la prosecuzione di una particolare attività in violazione della concorrenza e che la sua applicazione è solo eventuale. Per questi motivi il Governo sostiene che l’effetto dissuasivo della sanzione coesiste con un effetto riparatore. Per quanto riguarda la severità della sanzione il Governo ritiene che debba essere proporzionale al peso economico della società ricorrente, una società multinazionale con una grande potenzialità finanziaria.

32. Secondo il Governo la causa Société Stenuit c. Francia (rapporto della Commissione del 30 maggio 1991, serie A n. 232 A) non è applicabile al caso di specie. Ricorda che in varie cause contro la Russia (OOO Neste St. Petersburg, ZAO Kirishiavtoservice, OOO Nevskaya Toplivnaya, ZAO Transservice, OOO Faeton, OOO PTK-Service c. Russia, nn. 69042/01, 69050/01, 69054/01, 69055/01, 69056/01, 69058/01, decisione del 3 giugno 2004) la Corte ha ritenuto che l’articolo 6 non fosse applicabile.

33. La società ricorrente contesta le argomentazioni del Governo. Ritiene che la decisione dell’AGCM sia equivalente ad una decisione sulla fondatezza di una accusa in materia penale.

34. Anzitutto, la società ricorrente ricorda che, per quanto riguarda la natura della sanzione, le indicazioni fornite dal diritto interno hanno un valore relativo. In effetti, l’obiettivo della decisione impugnata è quello di mantenere la libera concorrenza nel mercato italiano. Il fatto che l’AGCM, intervenendo nel caso di specie, abbia disciplinato il mercato relativo ad un prodotto specifico fornito da alcune società farmaceutiche, non può ridurre la portata della legge n. 287 del 1990. Creando l’AGCM, avente statuto di autorità amministrativa indipendente, il legislatore ha voluto assicurare il controllo sulle intese restrittive della concorrenza e sugli abusi di posizione dominante.

35. Secondo la società ricorrente, nel sistema economico italiano, basato sulla libertà del commercio e dell’industria, l’AGCM riveste una funzione fondamentale, in quanto è volta a garantire la creazione di un regime di concorrenza credibile per le aziende. Infatti, i mercati possono contribuire all’efficienza economica solo se la legge garantisce agli operatori la libertà di fissare i prezzi, il libero accesso al mercato, ma anche l’assenza di abusi di posizioni dominanti da parte di chi la detiene. L’AGCM è responsabile del rispetto di questo equilibrio. La legge n. 287 del 1990 incide così sugli interessi generali della società normalmente tutelati dal diritto penale (si veda, mutatis mutandis, Stenuit с. Francia, sopra citata, § 64).

36. Per quanto riguarda la gravità della sanzione, la società ricorrente osserva che essa ammonta a sei milioni di euro, una somma per lei eccessivamente elevata. Inoltre, è stata costretta a pagarla pochi mesi dopo la sua imposizione. Come affermato dalla stessa AGCM questa misura doveva costituire un deterrente per qualsiasi società farmaceutica. La società ricorrente contesta l’affermazione del Governo italiano secondo la quale la sanzione inflitta dall’AGCM sarebbe solo eventuale. I fatti della causa dimostrano che l’AGCM ha voluto identificare la sanzione con una somma importante attribuendole un carattere prettamente punitivo. A sostegno della sua tesi la società ricorrente sottolinea che il carattere punitivo di questo tipo di infrazione [sic] si evince anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (si vedano, tra le altre, le cause Lottomatica S.p.A. e altri, sentenza n. 6469/07, SOGEC s.r.l. e altri, sentenza n. 695/08 e Cinema Orchidea s.r.l., sentenza n. 697/08). In queste cause, il giudice amministrativo ha sottolineato che la sanzione «antitrust» è «tipicamente punitiva». Nella causa RIVOIRA S.p.A. e altri, sentenza n. 1006/08, il Consiglio di Stato ha ribadito l’esigenza che la sanzione abbia «un’adeguata efficacia dissuasiva». Nella sentenza n. 5050 del 5 marzo 2010, la Corte di cassazione ha sottolineato l’aspetto punitivo delle sanzioni «antitrust» Infine, l’AGCM, nella sua relazione annuale del 30 aprile 2008, ha ribadito il carattere dissuasivo della sanzione.

37. In conclusione, la decisione dell’AGCM di infliggere alla società ricorrente una sanzione pecuniaria di sei milioni di euro deve essere considerata, secondo la società ricorrente, rispetto alla Convenzione, come una decisione sulla fondatezza di una accusa penale (si veda, mutatis mutandis, Stenuit с. Francia, sopra citata, § 65).

2. Valutazione della Corte

38. La Corte ricorda la sua giurisprudenza consolidata, secondo la quale è necessario, per determinare se esista o meno un’«accusa penale», tenere conto di tre criteri: la qualificazione giuridica del provvedimento contestato nel diritto nazionale, la natura stessa di quest’ultimo e la natura e la gravità della «sanzione» (Engel, sopra citata). Questi criteri sono peraltro alternativi e non cumulativi: affinché l’articolo 6 § 1 trovi applicazione rispetto alle parole «accusa penale», è sufficiente che l’infrazione in questione sia di natura «penale» rispetto alla Convenzione o abbia esposto l’interessato ad una sanzione che, per la sua natura e gravità, ricada generalmente nella «materia penale». Ciò non preclude l’adozione di un approccio cumulativo se l’analisi separata di ciascun criterio non porta ad una conclusione chiara sull’esistenza di un’«accusa penale» (Jussila c. Finlandia [GC], n. 73053/01, §§ 30 e 31, CEDU 2006-XIII, e Zaicevs c. Lettonia, n. 65022/01, § 31, CEDU 2007-IX (estratti)).

39. La Corte constata anzitutto che le pratiche anticoncorrenziali contestate nel caso di specie alla società ricorrente non costituiscono reato secondo il diritto italiano. Le condotte anticoncorrenziali sono infatti sanzionate non sulla base del diritto penale, ma della legge n. 287 del 10 ottobre 1990 di tutela della concorrenza e del mercato. Tuttavia, ciò non è determinante ai fini dell’applicabilità dell’articolo 6 della Convenzione, poiché le indicazioni fornite dal diritto interno hanno un valore relativo (Öztürk c. Germania, 21 febbraio 1984, § 52, serie A n. 73).

40. Per quanto riguarda la natura dell’infrazione, sembra che le disposizioni delle quali è stata contestata la violazione alla società ricorrente fossero volte a tutelare la libera concorrenza del mercato. La Corte ricorda che l’AGCM, autorità amministrativa indipendente, ha il compito di vigilare sugli accordi restrittivi della concorrenza e gli abusi di posizione dominante. Pertanto essa incide sugli interessi generali della società normalmente tutelati dal diritto penale (Stenuit c. Francia, sopra citata, § 62). Inoltre va rilevato che la sanzione inflitta mirava per lo più a punire al fine di evitare il ripetersi degli atti incriminati. Si può dunque concludere che la sanzione inflitta era basata su norme aventi uno scopo sia preventivo che repressivo (mutatis mutandis, Jussila, sopra citata, § 38).

41. Per quanto riguarda la natura e la gravità della sanzione «che può essere inflitta» alla ricorrente (Ezeh e Connors c. Regno Unito [GC], nn. 39665/98 e 40086/98, § 120, CEDU 2003-X), la Corte constata che essa non poteva essere sostituita con una pena detentiva in caso di mancato pagamento (a contrario, Anghel c. Romania, n. 28183/03, § 52, 4 ottobre 2007). Tuttavia, sottolinea che l’AGCM ha inflitto nel caso di specie una sanzione pecuniaria di sei milioni di euro, sanzione avente natura repressiva in quanto era volta a perseguire una irregolarità, e preventiva poiché lo scopo perseguito era quello di dissuadere la società interessata dal reiterare la condotta. Inoltre, la Corte osserva che la ricorrente sottolinea che la natura punitiva di tali infrazioni risulta anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato.

42. Alla luce di quanto precede e tenuto conto dell’elevato importo della sanzione pecuniaria inflitta, la Corte ritiene che essa sia, per la sua gravità, di natura penale (Öztürk sopra citata, § 54, e, a contrario, Inocêncio c. Portogallo (dec.), n. 43862/98, CEDU 2001 I).

43. Del resto, la Corte ricorda anche che, a proposito di alcune autorità amministrative francesi competenti in diritto economico e finanziario e aventi poteri sanzionatori, essa ha deciso che l’articolo 6, nel suo aspetto penale, si applica in particolare alle decisioni del Consiglio della concorrenza (Lilly c. Francia (dec.), n. 53892/00, 3 dicembre 2002), del Consiglio dei mercati finanziari (Didier c. Francia (dec.), n. 58188/00, 27 agosto 2002) e della Commissione bancaria (Dubus S.A. c. Francia, n. 5242/04, § 36, 11 giugno 2009).

44. Tenuto conto dei vari aspetti della causa, ed avendo esaminato l’importanza di ciascuno di essi, la Corte ritiene che la sanzione inflitta alla società ricorrente sia di natura penale e che l’articolo 6 § 1 sia applicabile nel suo aspetto penale. Di conseguenza, è opportuno rigettare l’eccezione sollevata dal Governo in merito alla inapplicabilità ratione materiae dell’articolo 6 della Convenzione.

45. La Corte constata che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e rileva che esso non incorre in nessun altro motivo di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

1. Argomentazioni delle parti

46. Il governo rileva anzitutto che i giudici amministrativi nazionali esercitano la loro giurisdizione in termini di legittimità e che la portata del loro controllo è indicata nella sentenza di Consiglio di Stato depositata in cancelleria il 16 marzo 2006. Nel caso di specie il giudice amministrativo godeva di una giurisdizione esclusiva che gli ha permesso di conoscere tutta la controversia senza distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi.

47. Il Governo afferma che i giudici nazionali hanno proceduto ad un esame approfondito nel merito. Il fatto che il controllo del giudice amministrativo sia definito controllo di «legittimità» non significa che esso si limiti all’aspetto formale della controversia. Ricorda che il TAR limita il suo controllo alla ragionevolezza della decisione e alla coerenza tecnica della stessa, senza sostituire la sua valutazione tecnica a quella dell’amministrazione. Il giudice amministrativo può esaminare la fondatezza e la proporzionalità delle scelte operate dalla pubblica amministrazione.

48. Il governo sottolinea inoltre che il Consiglio di Stato ha rigettato le argomentazioni della società ricorrente poiché il controllo giurisdizionale sulla sanzione inflitta è «pieno e particolarmente accurato». In particolare, il giudice amministrativo può annullare le valutazioni tecniche che non sono ragionevoli, logiche e coerenti e può annullare il provvedimento amministrativo in questione. Nel caso di specie, i giudici amministrativi avevano il potere di annullare le ingerenze dell’AGCM e il controllo esercitato sulla sanzione pecuniaria poteva, se del caso, portare ad una riduzione dei suoi effetti.

49. Il Governo richiama la giurisprudenza del Consiglio di Stato che riconosce che, per quanto riguarda le valutazioni tecniche dell’AGCM, il giudice amministrativo deve basarsi su regole e conoscenze tecniche analoghe a quelle cui l’Amministrazione ha ricorso. Inoltre il controllo del giudice può anche riguardare l’analisi effettuata dall’AGCM e quindi portare ad una riconsiderazione delle sue scelte tecniche.

50. Per queste ragioni, il Governo chiede alla Corte di rigettare il ricorso.

51. La società ricorrente ritiene che in questo caso i giudici amministrativi abbiano effettuato solo un controllo di legittimità e che questo tipo di controllo non le consenta di presentare le sue contestazioni davanti ad un «giudice» che soddisfi i requisiti di cui all’articolo 6 § 1 della Convenzione. Ricorda che, nel caso di una misura proveniente da un organo non giurisdizionale, come l’AGCM, la Corte richiede che la decisione sia soggetta ad un controllo ulteriore da parte di un giudice avente giurisdizione estesa al merito che soddisfi le garanzie di cui all’articolo 6 della Convenzione (si veda, tra le altre, Öztürk с. Germania, sopra citata, § 56). Tuttavia, in questo caso, il controllo del giudice amministrativo si è limitato a verificare che la AGCM abbia usato il suo potere discrezionale in maniera coerente con la legge n. 287 del 1990 (si veda, mutatis mutandis, Obermeier c. Austria, 28 giugno 1990, § 70, serie A n. 179).

52. La società ricorrente sottolinea che il controllo giurisdizionale del TAR è «debole» e che vi è stata «certamente una perdita di efficacia della difesa, dal momento che è vietato al giudice procedere ad un controllo intrinseco». Inoltre, fa notare che, secondo il TAR, il giudice non può sostituire le proprie valutazioni a quelle della AGCM, ma può applicare solo le norme individuate dalla AGCM e non può modificare le caratteristiche dell’indagine né, di conseguenza, la decisione.

53. Infine, secondo la società ricorrente la Corte di cassazione ha ritenuto che, quando l’amministrazione dispone di un potere discrezionale, il giudice amministrativo non ha alcun potere di sostituirsi all’autorità amministrativa indipendente, ma può solo verificare la logicità e la coerenza del potere esercitato dall’amministrazione. Secondo la Corte di cassazione, la questione sollevata dalla società ricorrente non concerneva la funzione giurisdizionale del giudice amministrativo, ma il suo esercizio.

54. Il fatto che i giudici amministrativi abbiano limitato il controllo alla legittimità dell’atto non ha permesso di esaminare il merito della decisione adottata dalla AGCM, in quanto i giudici amministrativi nazionali non potevano sostituirsi all’AGCM né modificare la qualificazione giuridica dei fatti operata dalla stessa.

55. Su questo punto, la società ricorrente osserva che il contenuto delle norme che definiscono l’infrazione non è determinato dal legislatore («norma penale in bianco») e che la l’AGCM ha il potere di determinare il contenuto al momento della violazione del caso. Ora, un semplice controllo di legittimità, chiamato anche controllo «debole», da parte del giudice ha come conseguenza una notevole riduzione delle garanzie e non può fornire una protezione adeguata contro l’arbitrario.

56. In conclusione, la società ricorrente è convinta di non aver mai beneficiato di un sindacato da parte di un giudice dotato di piena giurisdizione, che avrebbe giudicato nel merito dell’accusa penale diretta nei suoi confronti (si veda, mutatis mutandis, Colozza c. Italia, 12 febbraio 1985, § 32, serie A n. 89, e Stenuit с Francia, sopra citata, § 72).

2. Valutazione della Corte

57. La Corte osserva che i motivi di ricorso della società ricorrente riguardano il diritto di accesso a un giudice avente piena giurisdizione e il controllo giurisdizionale, presumibilmente incompleto, della decisione amministrativa resa dalla AGCM.

58. In questo caso, la sanzione contestata non è stata inflitta da un giudice dopo un procedimento nel contraddittorio delle parti, ma dalla AGCM. Se conferire alle autorità amministrative il compito di perseguire e punire le contravvenzioni non è incompatibile con la Convenzione, va sottolineato, tuttavia, che il soggetto interessato deve essere in grado di impugnare ogni decisione adottata nei suoi confronti davanti ad un giudice che offra le garanzie di cui all’articolo 6 (Kadubec c. Slovacchia, 2 settembre 1998, § 57, Recueil des arrêts et décisions 1998-VI, e Čanády c. Slovacchia, n. 53371/99, § 31, 16 novembre 2004).

59. La conformità con l’articolo 6 non esclude che, in un procedimento di natura amministrativa, una pena sia inflitta da un’autorità amministrativa. Si presuppone però che la decisione di un’autorità amministrativa che non soddisfi le condizioni di cui all’articolo 6 § 1 debba subire un controllo a posteriori da un organo giudiziario avente giurisdizione piena (Schmautzer, Umlauft, Gradinger, Pramstaller, Palaoro e Pfarrmeier c. Austria, sentenza del 23 ottobre 1995, serie A nn. 328 A-C e 329 A-C, rispettivamente §§ 34, 37, 42 e 39, 41 e 38). Tra le caratteristiche di un organo giudiziario avente piena giurisdizione vi è il potere di riformare in ogni modo, in fatto come in diritto, la decisione, resa da un organo di grado inferiore. Detto giudice deve essere competente a giudicare tutte le questioni di fatto e di diritto rilevanti per la controversia per cui viene adito (Chevrol c. Francia, n. 49636/99, § 77, CEDU 2003-III, e Silvester’s Horeca Service c. Belgio, n. 47650/99, § 27, 4 marzo 2004).

60. Nel caso di specie, la società ricorrente ha avuto la possibilità di impugnare la sanzione amministrativa in questione dinanzi al TAR di Roma e presentare appello dinanzi al Consiglio di Stato. Secondo la giurisprudenza della Corte, tali organi soddisfano i requisiti di indipendenza e di imparzialità del «giudice» di cui all’articolo 6 della Convenzione (Predil Anstalt S.A. c. Italia (dec.), n. 31993/96, 8 giugno 1999).

61. La Corte ricorda, innanzitutto, che il concetto di «giudice» ai sensi dell’articolo 6 § 1 viene conferito ad un organo avente piena giurisdizione e che soddisfa una serie di requisiti quali l’indipendenza rispetto al potere esecutivo e alle parti interessate (si vedano, tra le altre, le sentenze Ringeisen c. Austria, 16 luglio 1971, § 95, serie A n. 13; Le Compte, Van Leuven e De Meyere c. Belgio, 23 giugno 1981, § 55, serie A n. 43; Belilos c. Svizzera, 29 aprile 1988, § 64, serie A n. 132, e soprattutto la sentenza Beaumartin c. Francia, 24 novembre 1994, § 38 e 39, serie A n. 296 B).

62. D’altronde, la Corte ricorda che la natura di un procedimento amministrativo può differire, sotto diversi aspetti, dalla natura di un procedimento penale nel senso stretto della parola. Se queste differenze non possono esonerare gli Stati contraenti dal loro obbligo di rispettare tutte le garanzie offerte dall’articolo 6, possono tuttavia influenzare le modalità della loro applicazione (Valico S.r.l. c. Italia (dec.), n. 70074/01, CEDU 2006 III).

63. La Corte rileva che, nel caso di specie, i giudici amministrativi hanno affrontato le varie questioni di fatto e di diritto della società ricorrente, Hanno poi esaminato gli elementi di prova raccolti dalla AGCM. Inoltre il Consiglio di Stato ha ricordato che, quando l’amministrazione dispone di un potere discrezionale, anche se il giudice amministrativo non ha alcun potere di sostituirsi all’autorità amministrativa indipendente, può tuttavia controllare se l’amministrazione ha fatto un uso appropriato dei suoi poteri.

64. Pertanto, la Corte rileva che la competenza del giudice amministrativo non si è limitata ad un semplice controllo di legittimità. I giudici amministrativi hanno potuto verificare se, in relazione alle particolari circostanze della causa, l’AGCM aveva fatto uso appropriato dei suoi poteri. Hanno potuto esaminare l’adeguatezza e la proporzionalità della misura della AGCM e anche controllarne le valutazioni di ordine tecnico.

65. Inoltre, il controllo effettuato sulla sanzione è stato di piena giurisdizione nella misura in cui il TAR ed il Consiglio di Stato hanno potuto verificare l’adeguatezza della pena all’infrazione commessa e, ove necessario, avrebbero potuto sostituirla (si veda, a contrario, Silvester’s Horeca Service c. Belgio, n. 47650/99, § 28, 4 marzo 2004).

66. In particolare, il Consiglio di Stato, andando al di là di un controllo «esterno» sulla coerenza logica della motivazione della AGCM, ha respinto un’analisi dettagliata dell’adeguatezza della sanzione in relazione a parametri rilevanti, come la proporzionalità della sanzione stessa.

67. La decisione della AGCM è stata sottoposta al controllo a posteriori da parte di un giudice avente giurisdizione estesa al merito, pertanto nel caso di specie non può essere rilevata alcuna violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,

  1. Dichiara, all’unanimità, il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara, con 6 voti contro 1, che non vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 27 settembre 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Stanley Naismith
Cancelliere

Françoise Tulkens
Presidente

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione delle seguenti opinioni separate:
– opinione concordante del giudice Sajó;
– opinione dissenziente del giudice Pinto de Albuquerque.

OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICIE SAJÓ
(Traduzione)

Come la maggioranza dei miei colleghi ho concluso che, nel caso di specie, non vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione. Tuttavia, mi sembra necessario sottolineare che, nel valutare la natura del controllo giurisdizionale sulle decisioni amministrative adottate dalle autorità indipendenti, è importante seguire le considerazioni esposte dal giudice Pinto de Albuquerque nell'opinione dissenziente. Il motivo per cui non sono riuscito a concordare con lui è puramente fattuale. È vero che la legge attualmente in vigore e alcune sentenze interpretative italiane non hanno incoraggiato i giudici ad esercitare un reale controllo giudiziario. Apparentemente, questo contesto giuridico ha permesso solo un'analisi formale (un controllo di legittimità o un «controllo giurisdizionale debole»). Nel caso di specie, il Consiglio di Stato ha eseguito de facto un'analisi nel merito che ha risposto ai requisiti di cui all'articolo 6. Inoltre, il Consiglio di Stato aveva il potere di annullare la decisione amministrativa che ha inflitto la sanzione penale. Certo, procedendo a un controllo nel merito, ha utilizzato una terminologia che induce a pensare ad un controllo giurisdizionale debole, ma il Consiglio di Stato sembra non aver agito come aveva annunciato di voler fare. Ai fini dell'articolo 6, quello che conta è che i diritti sanciti dalla Convenzione siano stati effettivamente tutelati e non la terminologia imposta dalla legislazione «interpretata» dal Consiglio di Stato.

OPINIONE DISSENZIENTE DEL GIUDICE PINTO DE ALBUQUERQUE

1. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato («l’AGCM») ha condannato la società ricorrente ad una sanzione amministrativa pecuniaria di 6 milioni di euro per pratiche anticoncorrenziali nel mercato dei test per la diagnosi del diabete. La condanna era fondata sulla legge n. 287 del 10 ottobre 1990 per la tutela della concorrenza e del mercato. I giudici amministrativi chiamati di volta in volta ad esaminare la causa, fra cui il tribunale amministrativo del Lazio («il TAR»), il Consiglio di Stato e la Corte di cassazione, hanno rigettato i ricorsi della società ricorrente.

2. Condivido l’opinione della maggioranza secondo la quale, nel caso di specie, è applicabile l’articolo 6 della Convenzione. È opinione consolidata che tale «sanzione amministrativa pecuniaria» competa al diritto amministrativo e si distingua nettamente dalle sanzioni del diritto penale (sulla natura e l’importanza delle sanzioni amministrative nell’ambito del movimento di depenalizzazione nel diritto italiano e la cosiddetta «teoria formale» di distinzione tra le sanzioni amministrative e le sanzioni penali, si vedano, tra altre, Giorgio Colla e Gianfranco Manzo, Le Sanzioni Amministrative, Milano, Giuffrè, 2001 pp. 79-107, Casetta, Illecito amministrativo, in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, Volume VIII, Torino, UTET, 1993, pp. 89-90, e Aldo Travi, Sanzioni Amministrative e Pubblica Amministrazione, Padova, CEDAM, 1983, pp. 11-87). Tuttavia, l’applicabilità dell’articolo 6 della Convenzione, sotto il suo profilo penale, ai procedimenti amministrativi e giudiziari in causa è evidente, visto il carattere repressivo e preventivo della sanzione amministrativa pecuniaria. La sanzione presentava una carattere repressivo in quanto mirava a sanzionare un comportamento contrario alla legge. Sotto un altro profilo, aveva anche un carattere preventivo, perché lo scopo perseguito era quello di dissuadere la società interessata dal reiterare in futuro la condotta censurata. Inoltre, l'ampiezza dei quantum fissati dalla legge, nonché la gravità dell’importo effettivamente inflitto, concorrono alla conclusione già enunciata circa l'applicabilità dell'articolo 6.

3. Mi dissocio tuttavia dalla maggioranza per quanto riguarda la conclusione che non vi è stata alcuna violazione di tale articolo. A mio parere, i giudici amministrativi italiani non hanno esercitato, nel caso di specie, un vero potere di controllo di «piena giurisdizione» sulle decisioni di condanna adottate dalla AGCM.

4. I giudici nazionali hanno definito esattamente e ripetutamente l'estensione delle loro competenze di controllo nei confronti della decisione della AGCM. Secondo la loro interpretazione della legge italiana applicabile prima dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura amministrativa, i giudici di diritto amministrativo non possono «esercitare un potere sostitutivo che arrivi al punto di rimpiazzare con la propria valutazione tecnica dei fatti quella dell'autorità amministrativa». Ciò significa che il nucleo del giudizio è sottratto alla giurisdizione dei tribunali italiani amministrativi. La decisione che stabilisce la responsabilità in realtà spetta alle autorità amministrative indipendenti e non ai tribunali amministrativi.

5. Alla base di questa interpretazione del diritto nazionale vi è la sentenza del Consiglio di Stato n. 2199/2002 del 23 aprile 2002, che armonizza e consolida una giurisprudenza già enunciata nelle sentenze precedenti del Consiglio di Stato n. 699 del 9 aprile 1999, n. 1348 del 14 marzo 2000, n. 1671 del 20 marzo 2001, n. 4118 del 26 luglio 2001, n. 5287 del 6 ottobre 2001, e n. 5733 dell’8 novembre 2001. Secondo la giurisprudenza precedente definita nelle sentenze nn. 1348, 1671, 4118 e 5733, il giudice amministrativo poteva solo esercitare un controllo sui vizi tradizionali di incompetenza, violazione della legge ed eccesso di potere commessi dalle autorità amministrative indipendenti, senza disporre di alcun potere di verifica sulle valutazioni di merito fatte dall'amministrazione. Inoltre, la sentenza n. 699 aveva già riconosciuto l'estensione della competenza del giudice amministrativo al potere discrezionale dell'amministrazione, in particolare su valutazioni tecniche discutibili. La sentenza n. 5287 aveva infine introdotto la famosa distinzione tra controllo «forte», che si traduce in una sostituzione del giudice amministrativo alla valutazione tecnica da parte dell'amministrazione, e controllo «debole», limitato ad una valutazione della ragionevolezza e della coerenza tecnica del provvedimento amministrativo.

Riassumendo la giurisprudenza precedente, la sentenza n. 2119/2002 ha definito chiaramente i limiti della giurisdizione del giudice amministrativo riguardo alle decisioni della AGCM. Il Consiglio di Stato ha descritto la procedura decisionale seguita dalla AGCM, riconoscendo l'esistenza di quattro fasi distinte:1) la «valutazione dei fatti», 2) la «contestualizzazione» della norma di tutela della concorrenza che, riferendosi a «concetti giuridici indeterminati» (come il mercato rilevante, l'abuso di posizione dominante, le intese restrittive della concorrenza), necessita di una esatta individualizzazione degli elementi dell'infrazione contestata; 3) la comparazione dei fatti con il parametro già contestualizzato, e 4) l'applicazione delle sanzioni. Secondo il Consiglio di Stato, il giudice amministrativo ha pieni poteri di controllo sulla prima e seconda fase della procedura amministrativa decisionale, ma ha un potere molto limitato nelle altre fasi in cui entra in gioco la discrezionalità tecnica dell'amministrazione. Così, il potere di controllo del giudice include la «veridicità» degli elementi di fatto, il che presuppone la valutazione degli elementi di prova raccolti dalla AGCM e dalla difesa. Può anche valutare la proporzionalità delle sanzioni inflitte. Tuttavia non può che effettuare un controllo «debole» sulle altre fasi della procedura decisionale amministrativa, dato che la AGCM esercita «almeno in parte, un'attività discrezionale tecnica» e che «le valutazioni tecniche della AGCM non si basano su regole scientifiche, precise e indiscutibili, ma sono il risultato di scienze inesatte e discutibili (soprattutto di carattere economico) cui corrispondono concetti giuridici indeterminati».

La sentenza menzionata del Consiglio di Stato è stata confermata dalle sezioni unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 8882 del 29 aprile 2005, che ha consolidato la giurisprudenza secondo la quale «il limite individuato dal giudice amministrativo attiene alla possibilità (esclusiva) di esercitare un controllo cosiddetto di tipo «forte» sulle valutazioni tecniche opinabili, cioè alla possibilità di esercitare da parte del giudice un potere sostitutivo, spinto fino a sovrapporre la valutazione tecnica opinabile del medesimo giudice a quella dell'amministrazione».

La Corte di Cassazione non ha lasciato dubbi sulla sua posizione di principio in materia di sanzioni amministrative applicate dalla AGCM: «va ribadito il principio che questa Corte ha già affermato, e cioè che la giurisdizione del giudice amministrativo, ancorché esclusiva, resta giurisdizione di legittimità e non si estende al merito (…). Pertanto correttamente il Consiglio di Stato ha ritenuto che i provvedimenti dell'A.G.C.M. sono sindacabili in giudizio per vizi di legittimità e non di merito».

6. Questa interpretazione «debole» del potere di controllo giurisdizionale è stata seguita dal TAR nella sentenza del 3 dicembre 2003, dal Consiglio di Stato nella sentenza del 16 marzo 2006, ed infine dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 17 marzo 2008.
Utilizzando le parole del Consiglio di Stato, il TAR ha rilevato che il controllo sulle decisioni della AGCM riguardava esclusivamente vizi di legittimità. Nella sentenza, il TAR ha affermato che «allorché, peraltro, viene dedotto il vizio di eccesso di potere, il giudice può solo verificare se il provvedimento impugnato appaia logico, congruo, ragionevole, correttamente motivato e istruito, ma non può anche sostituire proprie valutazioni di merito a quelle effettuate dall'Autorità e a questa riservate. Tale affermazione, in linea con i principi che regolano la giurisdizione generale di legittimità, assume un rilievo specifico in relazione ai limiti che incontra l'accertamento dei fatti posti a fondamento dell'impugnato provvedimento». Il TAR ha sottolineato che il suo controllo era pieno per quanto riguarda la valutazione dei fatti accertati e l'applicazione della sanzione. Tuttavia, per quanto riguarda la qualificazione giuridica dei fatti operata dall’AGCM, l’esame del TAR è stato limitato esclusivamente alla legittimità della condanna. In particolare il TAR ha affermato che, nella seconda e terza fase del procedimento logico seguito dall’Autorità, «si pone un tipo di controllo giurisdizionale «debole», nel quale, cioè, il giudice si limita ad effettuare un controllo di ragionevolezza e coerenza tecnica della decisione assunta, senza sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile a quella della AGCM». In questo contesto, il TAR ha ammesso che «si perde sicuramente qualcosa in tema di effettività della tutela, atteso che si nega in radice la possibilità di consentire al giudice un controllo intrinseco». Inoltre, il TAR ha affermato che il giudice «non può sostituire le proprie valutazioni a quelle dell'Autorità (ad esempio, in sede di individuazione del mercato); parimenti il giudice non può sostituire la specificazione del parametro normativo violato a quella dell'Autorità, né può modificare l'impostazione dell'indagine e quindi del provvedimento, ma solo verificarne la legittimità» (pp. 14-18 della sentenza del 3 dicembre 2003).

Nella sentenza del 16 marzo 2006, il Consiglio di Stato ha richiamato ancora una volta il suo parere secondo cui «il sindacato del giudice amministrativo (…) non consente un potere sostitutivo del giudice tale da sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile o il proprio modello logico di attuazione del «concetto indeterminato» all'operato dell'Autorità» (p. 19 della sentenza del 16 marzo 2006).
La Corte di Cassazione italiana ha confermato questo ragionamento, affermando che «non è consentito al Consiglio di Stato un controllo cosiddetto «forte» sulle valutazioni tecniche opinabili, ossia l'esercizio da parte del giudice di un potere sostitutivo spinto fino a sovrapporre la valutazione tecnica opinabile del medesimo giudice a quella dell'Amministrazione» (pag. 22 della sentenza del 17 marzo 2008).

7. Il giudice amministrativo non ha sostenuto i principi sopra esposti in astratto. Li ha applicati in concreto. Nel caso di specie, i giudici amministrativi hanno agito in linea con il sindacato giurisdizionale «debole», secondo cui al giudice non è consentito effettuare un controllo indipendente ed esteso sulla decisione amministrativa. Il TAR ha riassunto i principi di questa giurisprudenza in modo chiaro e li ha applicati in maniera rigorosa (vedere pagine 14-17 della suddetta sentenza del 3 dicembre 2003). Dopo aver affermato i principi della sua giurisprudenza, il Consiglio di Stato ha più volte sostenuto in concreto il limite gnoseologico del proprio potere, dicendo che «la sezione osserva che le doglianze svolte dalle parti appellanti non sono idonee a scalfire le conclusioni raggiunte dall’Autorità, da scrutinare nell'alveo del sindacato non sostitutivo del merito delle valutazioni tecniche di cui si è detto al precedente paragrafo 4 (vedere pagina 31 della sentenza del 16 marzo 2006). In un altro estratto sulla questione di diritto fondamentale relativa all'esistenza di una linea di demarcazione tra distribuzione diretta e indiretta, il Consiglio di Stato si dimette deliberatamente dai suoi poteri riconoscendo che «non risulta infine persuasiva, sempre alla luce del descritto ambito riservato al sindacato giurisdizionale, la pretesa segmentazione tra distribuzione diretta ed indiretta» (vedere pagina 34 della sentenza del 16 marzo 2006).

Ripetendo la motivazione della condanna amministrativa, spesso con le stesse espressioni e frasi, i giudici amministrativi hanno dato un beneplacito formale e hanno realizzato un controllo «interno» che non costituisce una garanzia reale e pratica per i soggetti già condannati. Una lettura attenta dei motivi della decisione sui fatti rivela che la sentenza del TAR contiene più di 60 citazioni e riferimenti ai paragrafi della decisione dell’AGCM, e quella del Consiglio di Stato più di quaranta citazioni e riferimenti al suddetto testo. Gli organi giurisdizionali non fanno che ripetere uno dopo l'altro gli argomenti già sostenuti dall’AGCM, rinviando con notevole enfasi ai paragrafi della decisione amministrativa. La presunta analisi degli argomenti del ricorso della società è stata semplicemente un’adesione formale da parte dei giudici alla valutazione tecnica «indiscutibile» e incontestabile della AGCM. In definitiva non vi è stata alcuna valutazione indipendente, concreta e dettagliata di illegittimità e responsabilità del comportamento della ricorrente.
In conclusione, il controllo del giudice amministrativo è stato solo formale, perché non ha analizzato il nucleo della motivazione della decisione amministrativa di condanna, vale a dire la valutazione tecnica dei fatti contestati alla ricorrente. La ricorrente è stata privata di un'analisi autonoma dei motivi del suo ricorso

8. Per la Corte non è necessario che l'organo o la persona che ha inflitto una sanzione rispetti appieno i requisiti di cui all'articolo 6, se la sanzione può essere soggetta a un controllo a posteriori da parte di un «tribunale» che abbia le garanzie del presente articolo ed eserciti «la piena giurisdizione» sul caso (si veda la sentenza chiave Öztürk c. Germania, 21 febbraio 1984, § 56, serie A n. 73, che ha esaminato per la prima volta le violazioni amministrative, Ordnungswidrigkeiten codice tedesco della strada, ed è stata confermata dalle sentenze Schmautzer c. Austria, 23 ottobre 1995, § 34, serie A n. 328 A, Umlauft c. Austria, 23 ottobre 1995, § 37, serie A n. 328 B, Gradinger c. Austria, 23 ottobre 1995, § 42, serie A n. 328 C, Pramstaller c. Austria, 23 ottobre 1995, § 39, serie A n. 329 A, Palaoro c. Austria, 23 ottobre 1995, § 41, serie A n. 329 B, e Pfarrmeier c. Austria, 23 ottobre 1995, § 38, serie A n. 329 C, che hanno trattato gli illeciti amministrativi, Verwaltungsübertretungen codice austriaco della strada e, nel caso Pramstaller, diritto austriaco delle costruzioni civili; lascio da parte la questione spinosa di stabilire se la nozione di «piena giurisdizione» nel diritto penale debba essere soggetta ad un trattamento giuridico differente, persino meno esigente, rispetto a quello previsto nella materia penale; su questo problema vedere gli argomenti di F. Sudre, nota in Cass.com., 29 aprile 1997, Ferreira c/DGI, JCP, 1997, ed. G, II, 22935).

La nozione di «piena giurisdizione» in materia penale ha una portata ampia e limitata in quanto comprende non solo il controllo del quid delle sanzioni amministrative (le sanzioni inflitte erano previste dalla legge?) e del quantum delle sanzioni amministrative (le sanzioni erano proporzionali alla gravità dei fatti?), ma anche della realtà dell'illecito amministrativo (le persone hanno, con atti od omissioni, commesso consapevolmente un illecito punito dalla legge?). La giurisdizione estesa al merito richiede che il giudice vada al di là del semplice controllo degli errori manifesti (o «illogici», «incoerenti», «irragionevoli») di valutazione e possa scartare gli errori di valutazione che non sono manifesti (o «illogici», «incoerenti», «irragionevoli»). L'intero processo di valutazione delle prove, di qualificazione dei fatti, di interpretazione della legge applicabile e di quantificazione delle sanzioni rispetto alla gravità dell'infrazione può essere annullato e rifatto dal giudice, indipendentemente dalla natura fissa o variabile della sanzione prevista dalla legge, perché il giudice non ha alcun dovere di sottoporre il caso alle autorità amministrative. In termini classici, il ricorso di «piena giurisdizione», non è una semplice reformatio della decisione amministrativa contestata, ma piuttosto una revisio della causa. In altre parole la causa viene rimandata al giudice amministrativo.

Così la limitazione dell'ambito di applicazione della giurisdizione amministrativa del ragionamento del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione è logicamente insostenibile. Essa svuota il controllo giurisdizionale sui fatti oggetto della decisione di condanna del suo contenuto reale e pratico (circa l'importanza di salvaguardare il contenuto effettivo, reale e pratico del diritto di accesso a un giudice, vedere Jean François Renucci, Traité de droit européen des droits de l’homme, Paris, LGDJ, 2007, p. 339, Walter Goolwitzer, Menschenrechte im Strafverfahren, MRK und IPBPR Kommentar, Berlin, de Gruyter, 2005, p. 304, e Christoph Grabenwarter, Europäische Menschenrechtskonvention, 4. Auflage, München, Beck, 2009, p. 355).

La giurisdizione «piena» è giustamente caratterizzata dalla sua natura esaustiva, poiché essa può e deve comprendere tutti gli aspetti sia di fatto che di diritto della responsabilità per il presunto illecito. La giurisdizione non è «piena» se non è esaustiva. La «pienezza» della giurisdizione implica necessariamente la sua esaustività. Nella logica pura, sono contraddittorie le proposizioni che presentano qualità incompatibili, come ad esempio: il giudice controlla pienamente la decisione amministrativa ma non può sostituire la propria valutazione tecnica a quella della decisione amministrativa. Per un'implicazione logica elementare, una sola di queste proposizioni è vera, l'altra è falsa. In questo caso, è la seconda parte della frase nell'esempio ad essere falsa.

Seguendo l'interpretazione «debole», i fatti sono realmente accertati dalle autorità amministrative e, in pratica, possono essere contestati dalle persone condannate davanti ad un «tribunale». Così, le autorità amministrative decidono in prima e ultima istanza sui fatti, soprattutto per quanto riguarda la valutazione del contesto economico del comportamento sanzionato e la definizione di concetti giuridici indeterminati. L'applicazione di concetti giuridici fondamentali come il mercato rilevante, l'abuso di posizione dominante e le intese che limitano la concorrenza è effettivamente sottratta al controllo giurisdizionale. Il giudice amministrativo si converte in questo modo in un organo subalterno del potere giudiziario, che deve inchinarsi dinanzi alle onnipotenti autorità amministrative.

Pertanto, il contenzioso sulle sanzioni amministrative non concerne l’eccesso di potere perché un ricorso avverso un eccesso di potere non soddisfa i requisiti di cui all'articolo 6 della Convenzione. Come sostengono Delmas-Marty e Teitgen-Colly, il ricorso per eccesso di potere è caratterizzato da una «mancanza di controllo in termini di punizione» (si veda Delmas-Marty e Teitgen-Colly, Punir sans juger? De la répression administrative au droit administratif pénal, Paris, Economica, 1992, p. 124). Bisogna riconoscere un ampio ricorso alla giurisdizione estesa al merito e alla sostanza di tutti gli elementi di fatto e di diritto su cui si basa l'attribuzione di responsabilità per un illecito amministrativo, seguendo l'esempio della giurisprudenza della Corte Costituzionale tedesca stabilita dalla sentenza del 14 ottobre 1958 sulla compatibilità della Bussgeldverfahren con la Grundgesetz, in cui la Corte Costituzionale ha affermato che la costituzionalità di questa procedura è stata garantita dal fatto che «i tribunali sono abbastanza liberi nella determinazione e valutazione giuridica dei fatti e possono anche determinare a loro discrezione il quantum della sanzione ad esclusione della reformatio in pejus» (vedere la dottrina tedesca uniforme, Göhler, Ordnungswidrigkeitengesetz, 15. Auflage, München, Beck, pp. 351 e 668, Rebmann, Roth e Herrmann, Gesetz über Ordnungswidrigkeiten, Band 1, Stuttgart, Kohlhammer, annotazione 2 al § 65, e Wolfgang Ferner, Gesetz über Ordnungswidrigkeiten Kommentar, Band 1, Köln, Luchterhand, annotazione 1 al § 67, e nella dottrina francese, Romain Tinière, La notion de «pleine juridiction» au sens de la Convention européenne des droits de l’homme et l’office du juge administratif, in Revue française de droit administratif, luglio-agosto 2009, pp. 735-737, e Catherine Mamontoff, La notion de pleine juridiction au sens de l’article 6 de la Convention européenne des droits de l’homme et ses implications en matière de sanctions administratives, in Revue française de droit administratif, 15, sett.-ott.1999, pp. 1009-1015).

L'ampiezza del concetto di giurisdizione estesa al merito per le sanzioni amministrative è confermata anche dall'articolo 31 del Regolamento (CE) n. 1/2003 del 16 dicembre 2002 concernente l'applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato che prevede la giurisdizione estesa al merito (nel testo inglese, unlimited jurisdiction) della Corte di giustizia sulle condanne della Commissione per violazione delle norme a tutela della libera concorrenza. Tale giurisdizione estesa al merito include il potere della Corte di giustizia di sostituire la propria valutazione di fatto e di diritto a quella della Commissione, e di farlo anche in assenza di un errore significativo della Commissione (vedere, circa gli sviluppi della giurisprudenza comunitaria, Florian Schmidt, Die Befugnis des Gemeinschaftsrichters zu unbeschränkter Ermessensnachprüfung, Baden-Baden, Nomos, 2004, p.144-163, Taehi Hwang, Das Sanktionensystem des europäischen Kartellrechts nach der VO 1/2003, Hamburg, Verlag Dr. Kovac, 2007, pp. 105-106, e Melchior Wathelet et Jonathan Wildmeersch, Contentieux européen, Bruxelles, Larcier, 2010, pp. 230-233).

9. La discussione sulla compatibilità dell'interpretazione «debole» dei poteri di controllo giurisdizionale con il regime convenzionale non si limita all'articolo 6 della Convenzione e deve essere condotta a un livello più profondo. Questa interpretazione pone anche seri problemi riguardo al principio della separazione dei poteri e al principio di legalità delle sanzioni (articolo 7 della Convenzione) (a questo proposito, si vedano le considerazioni di Catherine Mamontoff, op. cit., pp. 1010 e 1021). In termini di principi, l'applicazione delle sanzioni pubbliche travalica le tradizionali funzioni dell'amministrazione e compete solo a un giudice. Se la verifica delle condizioni di fatto per l'applicazione di una sanzione pubblica fosse riservata a un organo amministrativo, senza un successivo controllo rigoroso da parte dei giudici, tali principi sarebbero completamente disattesi. L'accettazione di un diritto «pseudo-penale» o di un diritto penale «a due velocità», in cui l'amministrazione esercita un potere di punizione, infliggendo a volte delle sanzioni pecuniarie estremamente severe, senza applicare le tradizionali garanzie del diritto e della procedura penale, avrebbe due conseguenze inevitabili: l'usurpazione da parte delle autorità amministrative della prerogativa del potere giudiziario di punire e l'affidamento della tutela delle libertà individuali ad una amministrazione onnipotente. Se ragioni di efficienza e complessità tecnica della moderna funzione amministrativa possono giustificare l'attribuzione di un potere sanzionatorio alle autorità amministrative, tuttavia esse non possono giustificare che la pubblica amministrazione abbia l'ultima parola sull'esercizio del potere punitivo. L'auspicabile processo di depenalizzazione non può diventare un assegno in bianco rilasciato all’amministrazione.

Bisogna che, al termine della procedura sanzionatoria amministrativa, ci sia un giudice al quale gli amministrati possano rivolgersi per chiedere giustizia, senza alcun limite.
Il principio sotteso all'interpretazione «debole» dei poteri di controllo dei giudici amministrativi resta il potere discrezionale dell'amministrazione, anche nel campo delle sanzioni amministrative (si veda l’estratto citato della sentenza del Consiglio di Stato n. 2199/2002). Questa posizione di principio è insostenibile. Se vi è un settore in cui l'assoluta discrezionalità del potere amministrativo non può essere ammessa in uno stato di diritto, è quello delle sanzioni amministrative. Lo stato di diritto, che si basa sul primato delle libertà individuali, è per sua natura incompatibile con la libera discrezionalità in materia di sanzioni amministrative. L'interpretazione «debole» dei poteri dei giudici amministrativi in questo settore può essere intesa solo come un residuo dello Stato di polizia intrinsecamente in contrasto con le libertà individuali.

10. Infine, bisogna aggiungere che il Governo non contesta il fatto che l’AGCM non è un'autorità giudiziaria. La discutibile «indipendenza» delle autorità amministrative indipendenti non è sufficiente per convertirli in «tribunali» ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione, date le carenze del procedimento amministrativo istruttorio dinanzi alle autorità amministrative. La pretesa natura «quasi giudiziaria» di alcune autorità amministrative, combinata ad una procedura amministrativa che segue parzialmente le regole del giusto processo, non può compensare un controllo giurisdizionale meno esteso.

11. Di fronte alla contraddizione eclatante tra la giurisprudenza della Corte e le argomentazioni sviluppate dai giudici nazionali nelle loro sentenze successive, la conclusione è inevitabile: la ricorrente non ha avuto l'opportunità di presentare le sue contestazioni ad un «tribunale» che abbia i requisiti previsti all'articolo 6 della Convenzione. Data la natura non giudiziaria dell’AGCM e la portata limitata della giurisdizione amministrativa prevista in astratto ed esercitata in concreto dalle autorità giudiziarie nazionali, vi è stata violazione dell'articolo 6.

12. Una nota di ottimismo per concludere: l'interpretazione «debole» dei poteri di controllo dei tribunali amministrativi sulle sanzioni imposte dalle autorità amministrative è stata infine abolita dal nuovo codice di procedura amministrativa, che prevede esplicitamente nell'articolo 134, lettera c) la «giurisdizione estesa al merito» dei tribunali amministrativi per le sanzioni pecuniarie amministrative, ivi comprese quelle imposte dalle autorità amministrative indipendenti. Dal momento dell'entrata in vigore del nuovo codice, i giudici amministrativi italiani potranno controllare in totum le decisioni di applicazione delle sanzioni amministrative. Il legislatore italiano ha riconosciuto l'errore e si è avviato sulla strada giusta.