Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 30 agosto 2011 - Ricorso n.32807/02 - Donato Baranello c. l'Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, eseguita dall’assistente linguistico Rita Carnevali

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
DECISIONE
SULLA RICEVIBILITA’
Del ricorso no 32870/02
presentato da Donato BARANELLO contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 30 agosto 2011 in un comitato composto da :
David Thór Björgvinsson, presidente,
Giorgio Malinverni,
Guido Raimondi, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,
Visto il ricorso sopra citato introdotto il 12 aprile 2000,
Viste le osservazioni sottoposte dal governo convenuto e quelle presentate dal ricorrente in risposta,
Dopo aver deliberato, rende la seguente decisione

IN FATTO

Il ricorrente, il signor Donato Baranello, è un cittadino italiano, nato nel 1934 e residente a Pago Veiano (BN). E’ rappresentato innanzi alla Corte dall’avvocato T. Verrilli, del foro di Benevento. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo ex co-agente N. Lettieri.

1.Il procedimento principale

L’8 febbraio 1972, la signora N.P., madre del ricorrente, citò i signori N.P. e G.P innanzi al tribunale di Benevento per ottenere la divisione dell’eredità (RG no 462/72).
Delle trentaquattro udienze fissate tra l’8 giugno 1972 ed il 19 maggio 1983, dieci furono rinviate su richiesta delle parti, una per lo sciopero degli avvocati e sei d’ufficio.
All’udienza del 30 gennaio 1984, le parti presentarono le loro conclusioni e l’udienza di precisazione delle conclusioni si svolse il 21 gennaio 1986.
Con ordinanza del 4 marzo 1986, la causa fu rinviata innanzi al giudice istruttore.
Delle ventinove udienze fissate tra il 26 maggio 1986 e il 3 dicembre 2001, quattro furono rinviate su richiesta delle parti, una per lo sciopero degli avvocati e nove d'ufficio.
In data non precisata, la causa fu assegnata alla sezione stralcio.
Il 29 novembre 2000, il ricorrente si costituì nel procedimento in qualità di erede della signora N.P.
All'udienza del 10 dicembre 2001, le parti presentarono le loro conclusioni e il giudice trattenne la causa in decisione.
Con sentenza interlocutoria del 12 febbraio 2002, il cui testo fu depositato in cancelleria il 15 febbraio 2002, il tribunale di Benevento rigettò parzialmente la domanda del ricorrente e rinviò la causa innanzi al giudice istruttore.
All'udienza del 9 dicembre 2002, le parti presentarono le loro conclusioni e il giudice trattenne la causa in decisione.
Con sentenza definitiva dell'11 febbraio 2003, il cui testo fu depositato in cancelleria il 7 maggio 2003, il tribunale di Benevento rigettò la domanda del ricorrente.

2. La procedura « Pinto »

Il 6 settembre 2001, il ricorrente adì la corte d'appello di Roma ai sensi della legge no 89 del 24 marzo 2001, detta “legge Pinto”, per lamentare la durata eccessiva del procedimento sopra descritto. Il ricorrente domandò alla corte di dichiarare che vi era stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione e di condannare il governo italiano al risarcimento dei danni morali subiti quantificati in 27.888,67 euro.
Con decisione del 13 dicembre 2001, il cui testo fu depositato in cancelleria il 23 gennaio 2002, la corte d'appello constatò il superamento della durata ragionevole. Accordò le somme di 20.658,27 euro a titolo di riparazione del danno morale e 2.117,47 euro per spese legali.
Questa decisione fu notificata il Ministero della Giustizia il 6 marzo 2002 e passò in giudicato il 5 maggio 2002.
Con lettera del 24 luglio 2002, il ricorrente informò la Corte del risultato della procedura nazionale e domandò alla Corte di riprendere l’esame del suo ricorso.
Con la stessa lettera, il ricorrente informò anche la Corte che non era intenzionato a proporre ricorso per cassazione in quanto questo rimedio poteva essere introdotto soltanto per questioni di diritto.
Con lettera del 7 febbraio 2004, il ricorrente informò la Corte che le somme accordate in esecuzione della decisione Pinto erano state pagate.

MOTIVI DI RICORSO

Invocando l'articolo 6 della Convenzione, il ricorrente lamenta la durata del procedimento civile. Dopo aver tentato la procedura "Pinto", il ricorrente ritiene che l'importo accordato dalla corte d'appello per il danno morale non sia sufficiente a riparare il danno subito per la violazione dell'articolo 6.

Invocando l'articolo 13 della Convenzione, il ricorrente lamenta anche che la procedura "Pinto" non è un rimedio effettivo in quanto l'importo accordato dalla corte d'appello per il danno morale non è sufficiente.

Il ricorrente deduce anche violazione degli articoli 34, 17 14 della Convenzione. Viste le spese procedurali che occorre anticipare per intentare la procedura Pinto, ritiene che vi sia una discriminazione fondata sulla ricchezza. A questo ostacolo di ordine economico si aggiunge anche quello psicologico di dover affrontare il rischio della condanna alle spese a favore dello Stato per circa 1084,56 euro (come in altre cause) mentre l'importo delle spese in genere accordate al ricorrente è inferiore alla metà.

Invocando l'articolo 6 della Convenzione, il ricorrente lamenta infine la mancanza di imparzialità dei magistrati nell'ambito della procedura "Pinto". Egli ritiene che questi magistrati non possano essere imparziali perché devono verificare se un altro giudice, loro collega, è responsabile della durata irragionevole di un procedimento interno e, in caso di condanna, il fascicolo è trasmesso alla Corte dei conti per l’eventuale avvio del procedimento di responsabilità del giudice.

IN DIRITTO

A. Sulla allegata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione

Il ricorrente sostiene che la durata del procedimento ha disconosciuto il principio del “termine ragionevole” così come previsto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione. Dopo aver tentato la procedura “Pinto”, ritiene che la somma riconosciutagli dalla corte d’appello di Roma per il danno morale sia insufficiente a riparare il danno causato dalla violazione dell’articolo 6.
Il Governo contesta questa tesi.

L’articolo 6 § 1 della Convenzione, nelle sue parti pertinenti, recita:
« Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…) chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…) ».

Il motivo di ricorso del ricorrente verte sulla durata di un procedimento civile che è iniziato l’8 febbraio 1972, con il deposito di un ricorso innanzi al tribunale di Benevento, ed è terminato il 7 maggio 2003, data in cui il testo della sentenza del tribunale è stata depositata in cancelleria. Tenuto conto del fatto che il periodo da prendere in considerazione inizia a decorrere dal 1° agosto 1973 con il riconoscimento del diritto di ricorso individuale da parte dell’Italia (vedere Andreozzi c. Italia, no 54288/00, § 12, 28 marzo 2002), il procedimento è quindi durato più di ventotto anni e quattro mesi per un grado di giudizio alla data della decisione “Pinto”.
Secondo il ricorrente, la durata dei procedimenti non soddisfa l’esigenza del “termine ragionevole” così come previsto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Prima di esaminare se nel caso di specie vi sia stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, la Corte deve verificare se il ricorrente può continuare a ritenersi “vittima” ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione dopo avere esercitato il ricorso nazionale.
Al riguardo la Corte ricorda la sua giurisprudenza esposta nella causa Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, § 84, CEDH 2006 V) ai sensi della quale in questo genere di cause è compito della Corte verificare, da un lato, se da parte delle autorità vi sia stato il riconoscimento, almeno in sostanza, di una violazione di un diritto protetto dalla Convenzione e, dall’altro, se la riparazione possa essere considerata adeguata e sufficiente.
La prima condizione, ossia la constatazione di violazione da parte delle autorità nazionali, non solleva problemi in quanto la corte d’appello ha espressamente constatato la violazione.
Quanto alla seconda condizione, ossia una riparazione adeguata e sufficiente, la Corte fa riferimento a quanto da lei enunciato nella sentenza Cocchiarella c. Italia (sopra citata, §§ 86-107) sulle caratteristiche che deve avere un ricorso interno per apportare una riparazione adeguata e sufficiente; si tratta in particolar modo del fatto che, per valutare l’importo dell’indennizzo riconosciuto dalla corte d’appello, la Corte esamina, sulla base degli elementi di cui dispone, quanto lei avrebbe accordato nella stessa situazione per il periodo preso in considerazione dal giudice interno.
La Corte ritiene che, riguardo agli elementi della presente causa, avrebbe potuto accordare, in mancanza di vie di ricorso interne, la somma di 30.000 euro. Nota che il ricorrente si è visto riconoscere 20.658,27 euro dalla corte d’appello di Roma, somma che rappresenta circa il 68,86% dell’importo che essa stessa avrebbe potuto assegnare all’interessato. L’indennizzo percepito dal ricorrente può quindi essere considerato adeguato e, di conseguenza, idoneo a riparare la violazione subita (Garino c. Italia (dec.), nn. 16605/03, 16641/03 e 16644/03, 18 maggio 2006).
Ne consegue che il ricorrente non può più considerarsi vittima della violazione relativa alla durata del procedimento. Questo motivo di ricorso è quindi manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione degli articoli 34 e 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

B.Sulle altre violazioni allegate

Invocando l’articolo 13 della Convenzione, il ricorrente lamenta l’inefficacia del rimedio “Pinto” per l’insufficienza della riparazione concessa dalla corte d’appello “Pinto”.
La Corte ricorda che, secondo la giurisprudenza Delle Cave e Corrado (no 14626/03, §§ 43-46, 5 giugno 2007, CEDU 2007 VI) e Simaldone c. Italia (no 22644/03, §§ 71-72, CEDU 2009-... (estratti)), l’insufficienza dell’indennizzo “Pinto” non rimette in discussione l’efficacia di questa via di ricorso. Pertanto, questo ricorso deve essere dichiarato irricevibile per manifesta infondatezza ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
Il ricorrente lamenta anche la violazione degli articoli 14, 17 e 34 della Convenzione in quanto sarebbe stato vittima di una discriminazione fondata sulla ricchezza, tenuto conto delle spese affrontate per intentare la procedura “Pinto”.
La Corte ritiene opportuno esaminare questi motivi di ricorso dal punto di vista del diritto ad un tribunale riguardo all’articolo 6 della Convenzione. Osserva che benché un individuo possa essere ammesso, secondo la legge italiana, al beneficio del gratuito patrocinio in materia civile, il ricorrente non ha domandato l’assistenza giudiziaria. Rileva inoltre che il ricorrente ha potuto rivolgersi all’autorità giudiziaria competente ai sensi della legge “Pinto” e che la corte d’appello ha accolto parzialmente la sua domanda accordandogli una somma a titolo di spese procedurali. Pertanto, non si può parlare di impedimento all’esercizio del diritto ad un tribunale quando una parte, rappresentata da un avvocato, adisce liberamente l’autorità giudiziaria competente e presenta innanzi ad essa i suoi argomenti. Poiché non può essere rilevata nessuna parvenza di violazione, la Corte dichiara il motivo di ricorso relativo alle spese procedurali irricevibile in quanto manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione (Nicoletti c. Italia (dec.), no 31332/96, 10 aprile 1997 e De Rosa e altri c. Italia (dec.), nn. 3666/03, 11966/03 e 11969/03, 7 dicembre 2010).
Il ricorrente lamenta infine, ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione, la mancanza di equità della procedura “Pinto”.
A sostegno, il ricorrente avanza argomenti che la Corte ha già rigettato, in particolare nella causa De Rosa e altri (dec.), sopra citata. La Corte non scorge alcun motivo per derogare alla sua precedente conclusione, rigetta pertanto questo motivo di ricorso in quanto manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Françoise Elens-Passos
Cancelliere aggiunto

David Thor Bjorgvinsson
Presidente