Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 27 aprile 2010 - Ricorso n. 15104/04 - Roberta Barelli e altri c. Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dalla dott.ssa Rita Pucci, funzionario linguistico

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
DECISIONE SULLA RICEVIBILITA’
del ricorso n° 15104/04
presentato da Roberta BARELLI ed altri contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 27 aprile 2010 in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
Nona Tsotsoria,
Kristina Pardalos, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 28 aprile 2004,
Vista la decisione della Corte di procedere all’esame congiunto della ricevibilità e del merito della causa, come consentito dall’articolo 29 § 3 della Convenzione,
Viste le osservazioni presentate dal governo convenuto e quelle di replica presentate dai ricorrenti,
Dopo avere deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

I ricorrenti, Roberta Barelli, Ginetta Di Domizio, Carlo Barelli e Paolini Giada (la madre, i nonni e la sorellastra dei bambini M. e A.) sono cittadini italiani, nati rispettivamente nel 1970, 1936, 1935 e 1999 e residenti a Poggio Rusco e a Mirandola. Davanti alla Corte, dichiarano di agire anche a nome di M. e A., nati il 16 giugno 1992 e il 5 marzo 1995. Sono rappresentati dinanzi alla Corte dall’Avv. G. Catellani, del foro di Reggio Emilia.
I fatti della causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.
Il 28 agosto 1997, i servizi sociali del comune di Mirandola inviarono al tribunale per i minorenni («il tribunale») di Bologna un rapporto sulla situazione della famiglia. Stando ad esso, il padre e la madre dei bambini erano tossicodipendenti, la situazione tra i coniugi conflittuale, le condizioni psicofisiche dei due bambini precarie e, per la maggior parte del tempo, essi erano tenuti dalla nonna. I servizi sociali suggerivano al tribunale di ordinare l’allontanamento dei bambini dai genitori e dai nonni e l’affidamento degli stessi ad una struttura d’accoglienza protetta stante l’incapacità dei genitori e dei nonni di svolgere il loro ruolo.
Il 30 settembre 1997, in considerazione della «necessità di procedere ad esami approfonditi» sui bambini, la procura chiese al tribunale, in virtù dell’articolo 330 del codice civile («CC»):

  • di ordinare l’allontanamento dei bambini dai genitori;
  • di ordinare l’affidamento dei bambini, tramite il servizio sanitario locale («AUSL») di Mirandola, ad una struttura di accoglienza «protetta» e di fissare un calendario di incontri;
  • di presentare entro il termine di due mesi un rapporto sulla situazione dei bambini e della famiglia.

A. fu affidato ad una casa di accoglienza “Cenacolo Francescano” e M. ad una casa di accoglienza di Mirandola.
Il 10 ottobre 1997, i ricorrenti promossero opposizione dinanzi al tribunale per i minorenni, chiedendo l’annullamento della decisione del 30 settembre. Essi facevano notare che il rapporto dei servizi sociali era stato presentato in agosto, mentre la decisione del tribunale era di settembre. Inoltre, contestavano la decisione di allontanare i bambini dai nonni.

Con decreto del 29 ottobre 1997, il tribunale per i minorenni rigettò la domanda dei ricorrenti e confermò la decisione del 30 settembre.

Il 24 novembre 1997, i servizi sociali trasmisero al tribunale il rapporto richiesto, nel quale riferivano di incontri tra i bambini, i genitori e i nonni. A dire dei servizi sociali, i genitori si erano mostrati collaborativi.
Il 1° dicembre 1997, il tribunale per i minorenni sentì i genitori dei bambini. Con decisione del 27 dicembre 1997, il tribunale ritenne necessario confermare la misura dell’affidamento.
Il 19 ottobre 1998, il tribunale ricevette dai servizi sociali un nuovo rapporto sulla situazione, stando al quale vi erano stati diversi incontri tra i ricorrenti e i bambini. Tuttavia, a giudizio dei servizi sociali, i genitori dei bambini si mostravano incapaci di esercitare tutte le funzioni di un genitore. Gli incontri tra M. e i nonni erano stati interrotti dai servizi sociali per la grande ansia manifestata dalla bambina. Inoltre, secondo i servizi sociali, il comportamento dei ricorrenti mirava a condizionare i bambini. Per giunta, M. aveva riferito di avere subito, al pari del fratello e di altri bambini – abusi sessuali, in un’abitazione privata e durante riti satanici in un cimitero, da parte dei genitori, dei nonni e di altri adulti. I servizi sociali avevano quindi interrotto gli incontri con i genitori e segnalato i fatti al Procuratore della Repubblica.
Il 3 novembre 1998, la procura chiese al tribunale per i minorenni di sospendere ogni rapporto tra i bambini e i ricorrenti e di procedere al più presto alle visite medico legali e psicologiche al fine di accertare se i minori avessero subito abusi sessuali.

Con decreto del 13 novembre 1998, tenuto conto del rapporto dei servizi sociali e dell’incapacità della ricorrente e del marito di esercitare le funzioni di genitori, il tribunale decise di sospendere l’autorità genitoriale della prima ricorrente e del marito, di sospendere i rapporti con i nonni, di nominare l’AUSL di Mirandola tutore di M. e di A. incaricandola di affidare i bambini ad una struttura «protetta» e di avviare un’indagine psicologica. Infine, il tribunale avviò la procedura volta ad accertare la sussistenza dello stato di abbandono, ai sensi dell’articolo 10 della legge n. 184 del 1983.

Il 21 dicembre 1998, furono eseguite due perizie medico legali. I rapporti, presentati il 13 febbraio 1999, concludevano, quanto alla visita ginecologica, per «l’esistenza di lesioni legate a rapporti sessuali» e, quanto all’altra visita, per «un’elevata coerenza con l’ipotesi di atti di abusi sessuali riguardanti la regione anale».
Il 14 ottobre 1999, i servizi sociali segnalarono al tribunale che la prima ricorrente era incinta di un nuovo compagno e che il padre dei bambini era stato arrestato per furto aggravato.
Il 18 novembre 1999, la prima ricorrente diede alla luce una bambina (la quarta ricorrente).
Il 28 ottobre 1999, il tribunale per i minorenni dichiarò coperti dal segreto istruttorio gli atti processuali.

Con sentenza del 5 giugno 2000 del tribunale di Modena, la prima ricorrente fu assolta dall’imputazione di abusi sessuali su minori.

Il 27 novembre 2000, i nonni chiesero di avere in affidamento i bambini.
Il 13 novembre 2001, la prima ricorrente chiese al tribunale di poter incontrare i bambini. Essa faceva notare di avere dato alla luce una figlia e di essere stata ritenuta adatta ad occuparsi di lei dai servizi sociali del comune in cui viveva al momento e dal tribunale per i minorenni di Brescia. La prima ricorrente chiese al tribunale di potere riannodare i legami con i figli.
Il 24 dicembre 2001, ritenendo che i genitori dei bambini non avrebbero potuto fornire a questi ultimi la protezione necessaria in una situazione così grave, il tribunale considerò impraticabile il ritorno dei bambini a casa dei ricorrenti. Sebbene l’inchiesta penale si fosse chiusa con l’assoluzione della ricorrente, per il tribunale era necessario tutelare i bambini. Esso ordinò quindi ai servizi sociali di predisporre una perizia al fine di «verificare lo stato psicologico dei bambini, la personalità dei genitori e in particolare della madre, e la relazione tra questi e i figli, nonché di valutare l’opportunità di una ripresa degli incontri tra i bambini e la madre».
Il 10 settembre 2002, la psicologa presentò un rapporto in cui constatava un contesto di grande sofferenza psicologica dei bambini. In particolare, le condizioni psicologiche di M. erano gravi: essa presentava sintomi psicotici.
Il rapporto fu discusso durante l’udienza del 15 gennaio 2003 alla presenza della psicologa, della prima ricorrente e dell’avvocato di questa.
Il 28 gennaio 2003, la prima ricorrente presentò una memoria dinanzi al tribunale per i minorenni. Essa sosteneva di avere dato alla luce un’altra figlia e di avere cambiato città per il timore che le fosse sottratta anche questa terza figlia. Infatti, secondo i ricorrenti, addirittura prima della nascita di quest’ultima, si era pensato di adottare un provvedimento di allontanamento, come dimostrava il fatto che i servizi sociali di Mirandola avevano informato la procura della nascita della bambina, per l’eventuale adozione di ogni decisione di competenza della procura. La decisione non era stata adottata in quanto il tribunale di Bologna non era più competente. I ricorrenti facevano notare che, a giudizio del tribunale di Brescia, la prima ricorrente era in grado di allevare il terzo figlio e che essa era stata assolta dall’accusa di avere commesso abusi sessuali.

Con decreto definitivo dell’11 giugno 2003, il tribunale per i minorenni di Bologna dichiarò la decadenza dei due genitori dall’autorità genitoriale. Esso rilevò la precarietà delle condizioni psicofisiche dei bambini e l’esistenza di un contesto familiare e sociale rivelatore dell’incapacità affettiva, educativa e pedagogica dei genitori. Nella sua decisione, il tribunale, alla luce degli elementi raccolti sia nel corso dell’inchiesta da esso condotta sia nell’ambito del procedimento penale contro la prima ricorrente, ritenne che il padre non si fosse più interessato dei figli dopo il loro affidamento e che la madre non fosse né potesse apparire vicina al vissuto dei figli né fosse ancora in grado di aiutare M. e A. a comprendere il loro vissuto e le loro sofferenze. Il tribunale confermò l’affidamento dei bambini e l’interruzione dei rapporti con i genitori, e ordinò l’avvio di un percorso terapeutico per i bambini e per la prima ricorrente al fine di valutare l’opportunità, in futuro, di una ripresa degli incontri tra i bambini e la madre. Il tribunale rigettò la domanda della ricorrente di disporre il trasferimento della valutazione dei bambini ad un’altra AUSL.
I ricorrenti adirono la corte d’appello di Bologna. Chiesero la revoca del decreto del tribunale, il trasferimento della valutazione dei bambini ad un’altra AUSL – perché, a loro dire, i bambini erano manipolati dagli psicologi dell’AUSL di Mirandola – nonché l’affidamento dei bambini alla prima ricorrente o ai nonni.

Con decreto del 5 novembre 2003, la corte d’appello rigettò la domanda dei ricorrenti, giudicando corretta l’analisi della situazione fatta dal tribunale per i minorenni e le conclusioni cui esso era giunto. In particolare, essa rilevò la gravità della situazione dei bambini ed espresse dubbi in merito all’assoluzione della ricorrente da parte dei giudici penali, stanti i comportamenti «di natura erotica» dei due bambini. Ad avviso della corte, l’eventuale ripristino dei rapporti tra la prima ricorrente e i figli – impossibile nell’immediato – dipendeva da un processo di maturazione della donna e dalla  presa di coscienza delle sofferenze vissute dai figli. Infine, secondo la corte, i genitori avevano tenuto una condotta violenta nei confronti dei figli e recato loro molto danno.

Il 7 aprile 2006, i ricorrenti chiesero al tribunale di potere incontrare i bambini. Il 3 luglio 2006 il tribunale per i minorenni chiese all’AUSL di predisporre un rapporto sulla situazione dei bambini per il 21 ottobre 2006. Il rapporto fu presentato il 24 ottobre 2006.
Secondo i servizi sociali, la prima ricorrente aveva iniziato un trattamento terapeutico al fine di comprendere il suo vissuto. Tuttavia, stando al rapporto, essa continuava a negare la possibilità che M. avesse subito abusi sessuali e sosteneva che le affermazioni della bambina erano dovute alla manipolazione da parte dei servizi sociali.
Il 12 ottobre 2006, i nonni chiesero al giudice delle tutele di potere incontrare i bambini.
Il 16 novembre 2006, il giudice delle tutele incaricò i servizi sociali di presentare un resoconto sulla fattibilità di un eventuale ripristino dei rapporti tra i bambini e i nonni. I servizi sociali fissarono tre incontri con i nonni.
Il 31 ottobre 2006, il tribunale convocò la prima ricorrente e la psicologa. Quest’ultima informò che M. era affidata alla stessa famiglia di accoglienza dal 1997 e frequentava la scuola con profitto. Dal punto di vista psicologico, essa mostrava una grande sofferenza ed aveva incubi, alla notizia dei passi fatti dalla madre naturale per poterla incontrare. Quanto ad A., egli aveva dovuto cambiare famiglia di accoglienza a causa dei suoi «comportamenti sessualizzanti compulsivi». L’inserimento nella nuova famiglia aveva costituito un cambiamento positivo per A., il quale era rimasto impassibile alla notizia delle iniziative prese dalla madre. Secondo la psicologa, un’eventuale ripresa dei rapporti con la madre poteva essere estremamente traumatizzante per i bambini.
Il 7 dicembre 2006, la procura chiese al tribunale di sentire i bambini.
Il 22 febbraio 2007, i servizi sociali presentarono una relazione sulla fattibilità di un eventuale ripristino dei rapporti tra i bambini e i nonni. Secondo i servizi sociali, i nonni erano interessati più a proteggere la posizione della figlia che a sviluppare empatia verso i bambini. Essi non avevano preso coscienza delle sofferenze vissute da questi ultimi. Inoltre, i bambini non erano pronti psicologicamente ad incontrare i ricorrenti.

Con decreto definitivo del 3 maggio 2007, il tribunale per i minorenni si pronunciò negativamente sulla domanda della ricorrente di sospendere il decreto dell’11 giugno 2003. Stando al tribunale, i bambini non erano pronti ad accogliere la madre, ed avevano ancora bisogno di elaborare ed accettare la loro infanzia.

La prima ricorrente interpose appello avverso il decreto del tribunale per i minorenni.
Il 21 giugno 2007, il giudice delle tutele rigettò le domande dei nonni.
Il 28 settembre 2007, la corte d’appello chiese all’AUSL di presentare un nuovo rapporto sulla situazione dei bambini.
Il 7 novembre 2007, il tutore dei bambini si costituì nel procedimento.

Con sentenza del 5 dicembre 2007, la corte d’appello di Bologna rigettò il ricorso della prima ricorrente. La corte osservò che la decisione di dichiarare la decadenza della prima ricorrente dall’autorità genitoriale era stata adottata nell’interesse superiore dei bambini. In particolare, la corte d’appello osservò che M. non voleva riannodare il legame con la prima ricorrente per il ricordo ancora vivo degli abusi subiti durante l’infanzia. Quanto ad A., la corte osservò che egli si era inserito bene nella nuova famiglia di accoglienza. Secondo la corte, un riavvicinamento immediato dei bambini alla madre non era prevedibile a breve, soprattutto a causa del rifiuto dei bambini, ormai adolescenti, di incontrarla.

Nel frattempo, i ricorrenti interposero appello avverso il decreto del giudice delle tutele del 21 giugno 2007.

Con decreto del 25 marzo 2008, il tribunale dichiarò il ricorso manifestamente infondato. A suo giudizio, le condizioni psicologiche dei bambini erano ancora fragili, a causa dell’esperienza traumatizzante vissuta nell’infanzia. Essi avevano reagito male alla notizia delle iniziative prese dai ricorrenti. Malgrado ciò, la corte d’appello sottolineò che non era esclusa un’eventuale ripresa dei rapporti in futuro.
Il 2 luglio 2009, i servizi sociali presentarono una relazione sulla situazione dei bambini. A loro avviso, i rapporti tra i bambini erano molto stretti: essi si incontravano in occasione dei compleanni e delle vacanze scolastiche. Entrambi avevano affermato di non volere incontrare i ricorrenti. A tutt’oggi, i due bambini seguono ancora un percorso psicologico.

II.  IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

Il diritto e la prassi interni pertinenti riguardanti l’adozione sono riportati nelle sentenze Bronda c. Italia (Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-IV, 9 giugno 1998, §§ 36 43) e Roda e Bonfatti c. Italia (n. 10427/02, del 21 novembre 2006, §§ 77-78), mentre quelli relativi alla decadenza dall’autorità genitoriale sono riportati nella sentenza Covezzi e Morselli c. Italia (n. 52763/99, 9 maggio 2003, §§ 71-76).

MOTIVI DI RICORSO

  1. Invocando l’articolo 3 della Convenzione, i ricorrenti affermano che il modo in cui M. e A. sono stati presi in consegna dai servizi sociali, la rottura radicale di ogni contatto con la famiglia e le condizioni in cui si sarebbero svolti gli incontri dei bambini con i periti devono essere considerati trattamenti degradanti. Secondo loro, i servizi sociali non hanno operato per il ritorno dei bambini in famiglia.
  2. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, i ricorrenti lamentano, anche per conto di M. e di A., l’interruzione prolungata dei rapporti con i bambini e dei rapporti di questi tra loro, nonché l’affidamento dei bambini a due strutture diverse, pregiudizievole, nella loro opinione, per i rapporti tra i piccoli.
  3. Invocando l’articolo 6 della Convenzione, i ricorrenti lamentano l’assenza di equità del procedimento civile. In particolare, denunciano l’assoluta mancanza di considerazione per i loro interessi in un procedimento così delicato. A loro dire, nelle decisioni pronunciate, i giudici civili non hanno tenuto in alcun conto l’esito del procedimento penale. Essi lamentano inoltre la durata eccessiva dei procedimenti, a loro giudizio doppiamente iniqua, perché le lungaggini processuali avrebbero protratto la loro separazione dai bambini.

IN DIRITTO

A.  Tesi del Governo

Il Governo sostiene che la prima ricorrente non dispone del locus standi per agire dinanzi alla Corte a nome dei figli perché dichiarata decaduta dall’autorità genitoriale con decreto del tribunale per i minorenni dell’11 giugno 2003, molto prima della presentazione del ricorso. Quanto agli altri ricorrenti, il Governo non vede a quale titolo essi potrebbero essere autorizzati a rappresentare gli interessi dei bambini dinanzi alla Corte, essendo da sempre privi di autorità legale sugli stessi.
A dire del Governo, è vero che l’interpretazione dell’articolo 34 della Convenzione data dalla Corte è molto elastica, al punto che i requisiti per presentare un ricorso non coincidono necessariamente con i criteri nazionali di locus standi, tuttavia, nel caso Scozzari e Giunta c. Italia ([GC], nn. 39221/98 e 41963/98, § 138, CEDU 2000 VIII), la ricorrente era stata dichiarata sospesa dall’autorità genitoriale, non decaduta da tale autorità come nel presente caso.
Il Governo rammenta inoltre che, nel caso di specie, è stato nominato un tutore per rappresentare in giustizia i bambini ed assicurare loro un percorso terapeutico.
In conclusione, il ricorso presentato dai ricorrenti a nome dei bambini, sarebbe, per questa parte, incompatibile ratione personae.
Infine, quanto al motivo di ricorso relativo all’equità del procedimento, il Governo sostiene che il procedimento controverso non riguarda una contestazione su un diritto di natura civile. Di conseguenza, il procedimento di giurisdizione graziosa si sottrae all’applicazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Quanto alla fondatezza del motivo di ricorso relativo all’articolo 8, il Governo osserva che gli interventi delle autorità nazionali erano previsti dalla legge (articoli 300 e 333 del codice civile) e perseguivano scopi legittimi, vale a dire la tutela dei minori. A suo parere, i giudici hanno adottato le misure meno traumatizzanti per i bambini. Prova ne è che le condizioni dei bambini sono migliorate in seguito all’allontanamento dalla famiglia di origine e alla sospensione degli incontri. Inoltre, a dire del Governo, dette misure non hanno mai posto fine ai rapporti familiari. I giudici e i servizi sociali hanno infatti cercato sempre di favorire una ripresa dei contatti tra la madre e i bambini.
Il Governo ricorda che la Corte non può sostituirsi ai giudici interni ed effettuare una diversa ricostruzione dei fatti.
Quanto alla decisione delle autorità di affidare i due bambini a due famiglie diverse, il Governo sostiene che le condizioni psicologiche dei bambini erano diverse per via della loro età e del loro vissuto. Basandosi sulla perizia degli psicologi, il tribunale aveva deciso di seguire un percorso personalizzato per ciascun bambino, tenendo conto delle loro esigenze e dei loro bisogni. Inoltre, a dire del Governo, i contatti tra i due bambini sono sempre stati assicurati, soprattutto in occasione delle feste e delle vacanze scolastiche.
A titolo sussidiario, il Governo afferma che il procedimento si è svolto in modo equo e secondo il principio del contraddittorio.

B.  Tesi dei ricorrenti

I ricorrenti si oppongono alle tesi del Governo. Fanno notare che in un caso simile - Covezzi e Morselli c. Italia (n. 52763/99, 9 maggio 2003) - il Governo non aveva sollevato alcuna eccezione di irricevibilità.

Essi rammentano che, secondo la posizione costante della Corte, in caso di conflitto, sugli interessi di un minore, tra il genitore biologico e la persona investita della tutela dei bambini dalle autorità, vi è il rischio che alcuni interessi del minore non siano mai portati all’attenzione della Corte e che egli sia privato dell’effettiva tutela dei diritti riconosciutigli dalla Convenzione (Scozzari e Giunta c. Italia succitata, § 138). Ne consegue che, nel caso specifico, i ricorrenti in conflitto con il tutore hanno il diritto di adire la Corte anche a nome dei figli al fine di tutelarne gli interessi.
I ricorrenti sostengono di essere stati vittime di una violazione dell’articolo 3 della Convenzione. A sostegno delle loro accuse, hanno trasmesso le trascrizioni delle registrazioni dei colloqui con i servizi sociali stando alle quali questi ultimi avrebbero cercato di ottenere la collaborazione dei nonni per dimostrare che la prima ricorrente aveva abusato dei figli piuttosto che di verificare la sussistenza delle condizioni favorevoli all’incontro tra i bambini e i nonni.
I ricorrenti contestano il ruolo dominante svolto nei procedimenti giudiziari dall’AUSL, che si sarebbe servita di periti incompetenti e parziali. Essi sospettano l’utilizzo di metodi di suggestione.
Lamentano altresì il fatto che, nonostante le loro numerose richieste, le autorità giudiziarie, in particolare il tribunale per i minorenni, abbiano rifiutato costantemente di intervenire per constatare direttamente lo stato psicofisico dei bambini.
I ricorrenti ricordano che, con decisione del 5 giugno 2000, la corte d’appello di Bologna ha assolto la prima ricorrente dall’accusa di abusi sessuali su minori. A loro dire, tali fatti costituivano uno degli elementi su cui si fondava la decisione di confermare l’affidamento dei bambini e, quindi, la loro insussistenza comporta la mancata giustificazione di dette decisioni.
Quanto alla separazione dei bambini, i ricorrenti la considerano totalmente ingiustificata: probabilmente essa ha compromesso molto seriamente i rapporti tra i due piccoli. Essi fanno inoltre notare che, tra il 2002 e il 2005, i bambini non si sono incontrati, i genitori della famiglia di accoglienza di M. si sono separati e A. ha cambiato famiglia di accoglienza.
Stando ai ricorrenti, niente giustifica la rottura totale di qualsiasi contatto, accompagnata addirittura dal divieto di fare pervenire ai bambini doni o biglietti di auguri. Al riguardo, essi si chiedono per quale motivo non sia stata accolta nemmeno la loro richiesta di vedere i bambini alla presenza dei servizi sociali, in un ambiente protetto e alle condizioni decise dalle autorità.
Quanto all’articolo 6 della Convenzione, i ricorrenti lamentano l’iniquità dei procedimenti svoltisi dinanzi al tribunale per i minorenni.

C.  Valutazione della Corte

Depositaria del potere di decidere la qualificazione giuridica dei fatti della causa, la Corte ritiene appropriato esaminare i motivi di ricorso sollevati dai ricorrenti unicamente sotto il profilo dell’articolo 8, stando al quale il processo decisionale che porta all’adozione di misure d’ingerenza deve essere equo e rispettare com’è giusto gli interessi tutelati da tale disposizione (Havelka ed altri c. Repubblica ceca, n. 23499/06, §§ 34-35, 21 giugno 2007; Kutzner c. Germania, n. 46544/99, § 56, CEDU 2002-I; Wallová e Walla c. Repubblica ceca, n. 23848/04, § 47, 26 ottobre 2006).
L’articolo 8 della Convenzione dispone come segue nelle parti pertinenti:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita (...) familiare (...).
2. Non può esservi ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria (...) alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.».

Secondo la Corte, la questione della rappresentanza dei bambini dinanzi alla Corte meriterebbe una discussione approfondita; tuttavia, nel caso di specie, essa non ritiene necessario esaminare le eccezioni di irricevibilità sollevate dal Governo in quanto, anche ammesso che i genitori possano adire la Corte per conto dei figli, il ricorso è comunque irricevibile per manifesta infondatezza ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione.
A parere della Corte, si deve procedere all’esame separato dei motivi di ricorso relativi all’articolo 8.

1.  L’allontanamento d’urgenza e la presa in consegna dei bambini

La Corte ricorda che, per un genitore e suo figlio, stare insieme è un elemento fondamentale della vita familiare (Kutzner c. Germania, n. 46544/99, § 58, CEDU 2002 I) e che misure interne che impediscano loro di farlo costituiscono un’ingerenza nel diritto tutelato dall’articolo 8 della Convenzione (K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 151, CEDU 2001-VII). Una tale ingerenza viola l’articolo 8 salvo che, «prevista dalla legge», essa persegua uno o più scopi legittimi tra quelli menzionati nel secondo paragrafo di detta disposizione e sia «necessaria, in una società democratica» per raggiungerli. Il concetto di «necessità» implica un’ingerenza fondata su un bisogno sociale imperioso e, soprattutto, proporzionata allo scopo legittimo perseguito (Couillard Maugery c. Francia, n. 64796/01, § 237, 1° luglio 2004).
Se l’articolo 8 tende fondamentalmente a premunire l’individuo contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, esso pone per di più a carico dello Stato obblighi positivi inerenti all’effettivo «rispetto» della vita familiare. Così, quando sia accertata l’esistenza di un legame familiare, in linea di principio lo Stato deve agire in modo da favorire lo sviluppo di tale legame adottando misure atte a riunire il genitore e il figlio interessati (si vedano, ad esempio, Eriksson c. Svezia, 22 giugno 1989, § 71, serie A n. 156; Margareta e Roger Andersson c. Svezia, 25 febbraio 1992, § 91, serie A n. 226 A; Olsson c. Svezia (n. 2), 27 novembre 1992, § 90, serie A n. 250; Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 94, CEDU 2000 I; Gnahoré c. Francia, n. 40031/98, § 51, CEDU 2000 IX). Il confine tra gli obblighi positivi e quelli negativi dello Stato ai sensi dell’articolo 8 è labile: i principi applicabili sono paragonabili. In particolare, in entrambi i casi, da un lato si deve garantire il giusto equilibrio tra gli interessi concorrenti, dall’altro lo Stato gode di un certo margine di apprezzamento (si vedano, ad esempio, W., B. e R. c. Regno Unito, 8 luglio 1987, serie A n. 121, §§ 60 e 61, e Gnahoré, succitata, § 52).
Nel caso di specie, è indubbio – e il Governo non lo nega – che l’allontanamento, la presa in consegna di M. e di A. e il loro affidamento a due famiglie di accoglienza costituiscano un’«ingerenza» nell’esercizio del diritto dei ricorrenti al rispetto della vita familiare. La Corte osserva che la misura controversa, fondata sugli articoli 330, 333 e 336 del codice civile, era «prevista dalla legge» e perseguiva uno scopo legittimo ai sensi del paragrafo 2 dell’articolo 8, vale a dire la «tutela della salute e della morale» e «la protezione dei diritti e delle libertà altrui», in quanto finalizzata a salvaguardare il benessere dei bambini.
Per valutare la «necessità» delle misure controverse «in una società democratica», la Corte accerterà, alla luce della causa nel suo complesso, se i motivi invocati per giustificarle siano pertinenti e sufficienti ai fini del paragrafo 2 dell’articolo 8 (si vedano, in particolare, Johansen c. Norvegia, 7 agosto 1996, § 64, Raccolta 1996 III; Olsson (n. 2), succitata, § 87; Bronda c. Italia, 9 giugno 1998, § 59, Raccolta 1998 IV; Gnahoré, succitata, § 54). Essa terrà inoltre conto dell’obbligo imposto in linea di principio allo Stato di favorire il mantenimento del legame tra la madre e i due figli.
La Corte osserva che, nel settembre del 1997, il tribunale per i minorenni ordinò l’affido dei bambini a causa dell’inadeguatezza dell’ambiente in cui vivevano determinata dall’incapacità dei genitori di prendersi cura di loro.
Ad avviso della Corte, nel caso di specie, la misura dell’allontanamento dei bambini era basata su motivi pertinenti e sufficienti, vale a dire le condizioni di degrado del contesto familiare e sociale, l’incapacità affettiva, educativa e pedagogica dei genitori e le turbe psichiche dei minori. Stando ai rapporti dei servizi sociali, i bambini soffrivano di privazioni materiali, psicologiche ed affettive, e il loro sviluppo risultava compromesso dalla circostanza di vivere in un ambiente inadeguato per l’incapacità dei genitori di prendersi cura di loro. Per giunta, vi era il sospetto che M. avesse subito abusi sessuali da parte di familiari.
Pertanto, in considerazione dell’interesse fondamentale dei bambini a vivere in un ambiente capace di offrire le migliori condizioni per il loro sviluppo, a giudizio della Corte, l’ingerenza nel diritto dei ricorrenti era «necessaria in una società democratica» ai sensi dell’articolo 8 § 2 della Convenzione. Ne consegue che questa parte del ricorso deve essere rigettata in quanto manifestamente infondata, conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

2.  L’interruzione dei rapporti

I ricorrenti lamentano inoltre l’interruzione totale e prolungata dei rapporti con i bambini.
Quanto all’assenza di contatti tra i ricorrenti e i bambini e all’organizzazione degli incontri, la Corte rammenta innanzitutto che ogni presa in carico deve, in linea di principio, essere considerata una misura temporanea, da sospendere non appena le circostanze lo consentano, e che qualsiasi atto di esecuzione deve tendere verso un fine ultimo: riunire il genitore di sangue e il figlio (si vedano, tra le altre Olsson c. Svezia (n. 1) del 24 marzo 1988, serie A n. 130, § 81, e Covezzi e Morselli c. Italia, n. 52763/99, § 118, 9 maggio 2003). Una prolungata interruzione dei contatti tra genitori e figli o incontri troppo distanziati nel tempo rischierebbero di compromettere ogni seria opportunità di aiutare gli interessati a superare le difficoltà sorte nella vita familiare (si veda, mutatis mutandis, la sentenza Scozzari e Giunta c. Italia [GC], nn. 39221/98 e 41963/98, § 177, CEDU 2000 VIII). Pertanto, anche se la misura dell’allontanamento era giustificata, la Corte è tenuta a verificare se le ulteriori restrizioni siano conformi all’articolo 8, il quale prescrive la tutela degli interessi dei ricorrenti.
Se le autorità hanno l’obbligo di operare per favorire la riunione della famiglia e i contatti tra i membri di questa, ogni ricorso alla coercizione in materia risulta inevitabilmente limitato dalla preoccupazione dell’interesse superiore del bambino. Quando i contatti con i genitori siano tali da minacciare tale interesse, spetta alle autorità nazionali garantire un giusto equilibrio tra gli interessi dei bambini e quelli dei genitori (si veda, tra le altre, la sentenza K. e T. c. Finlandia succitata, § 194).
La Corte osserva che, nel novembre del 1998, stando ai rapporti di valutazione presentati dai servizi sociali, il tribunale per i minorenni confermò l’affidamento dei bambini a due ambienti protetti, preferibilmente di tipo familiare, sospese i genitori dalla loro autorità, tenuto conto in particolare della loro personalità, e ritenne prematura la ripresa dei contatti tra i bambini e i ricorrenti, non essendo questi in grado di offrire ai bambini la necessaria protezione né essendo possibile in quel momento il ritorno nella casa materna.
Pertanto, un pronto ripristino dei rapporti era legato in particolare all’esito delle indagini condotte sulle parti in causa al fine di stabilire lo stato psicologico dei bambini e quello dei rapporti familiari.
La Corte ricorda di non avere il compito di sostituirsi alle autorità interne per regolamentare la situazione dei bambini e i diritti dei ricorrenti, bensì quello di valutare, sotto il profilo della Convenzione, le decisioni pronunciate dai diversi giudici nell’esercizio del loro potere di apprezzamento.
Essa osserva che il tribunale per i minorenni ha giustificato la sua decisione del 13 novembre 1998 facendo riferimento alle precarie condizioni psicofisiche dei due bambini, nonché alla tossicodipendenza dei loro genitori. La necessità di porre i bambini al sicuro affidandoli a un ambiente protetto si imponeva come un’evidenza.
La Corte constata che i giudici si sono pronunciati molto spesso sull’affidamento dei due bambini con numerosissime sentenze emesse dopo ripetute perizie psicologiche e psichiatriche sulla prima ricorrente e sui due bambini.
A suo parere, dalla motivazione delle diverse decisioni emerge chiaramente che i giudici pronunciatisi successivamente lo hanno fatto dopo un esame attento ed approfondito della situazione dei ricorrenti e dei bambini e tenendo conto delle richieste di questi ultimi.
La lettura delle decisioni mostra secondo ogni evidenza che l’affidamento dei due bambini è stato deciso e confermato a causa delle loro condizioni psicofisiche e dell’incapacità dei ricorrenti di esercitare il ruolo di genitori.
Sempre secondo la Corte, il fascicolo evidenzia una sostanziale mancanza di collaborazione e di fiducia dei ricorrenti nei confronti delle autorità competenti nel loro complesso. Infatti, stando al fascicolo, i ricorrenti hanno manifestato sfiducia nei confronti dei servizi sociali incaricati della tutela dei bambini, creando a più riprese un clima di tensione durante le operazioni di perizia sui bambini e durante gli incontri degli stessi ricorrenti con i servizi sociali.
D’altra parte, ad avviso della Corte, è opportuno constatare l’estrema complessità del compito affidato allora come ora alle autorità, tenuto conto della delicatezza di questo tipo di cause, della pendenza di un procedimento penale e del coinvolgimento diretto ed immediato della prima ricorrente. Inoltre, i bambini hanno manifestato sempre la volontà di non tornare a vivere nella famiglia naturale e un sentimento di paura nei confronti della madre.
Pertanto, la Corte non può ritenere che le autorità non abbiano adottato provvedimenti volti a garantire il giusto equilibrio tra gli interessi dei bambini e i diritti derivanti ai ricorrenti dall’articolo 8. Anche questa parte del ricorso deve quindi essere rigettata in quanto manifestamente infondata, conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

3.  L’affido separato dei bambini

I ricorrenti lamentano l’affido dei bambini a strutture di accoglienza diverse, che, a loro dire, avrebbe recato danno ai rapporti tra i piccoli.
La Corte rammenta che i legami tra i membri di una famiglia così come le probabilità di successo nella riunione di quest’ultima risultano inevitabilmente affievoliti in presenza di ostacoli ad incontri facili e regolari tra gli interessati (si veda, tra le altre, la sentenza Olsson (n. 1), succitata, § 81). E’ quindi necessario stabilire, in funzione delle circostanze del caso di specie, se i motivi alla base della decisione di non affidare i bambini ad una stessa famiglia siano sufficienti a rendere la misura «necessaria» sotto il profilo della Convenzione.
Nel caso di specie, le spiegazioni fornite dai servizi sociali per giustificare la decisione di separare i bambini si fondano sulle specifiche esigenze di questi ultimi, in particolare sulla necessità di garantire a ciascuno di loro un sostegno familiare ed un livello di tutela particolarmente elevati.
D’altra parte, la conferma dell’affido separato dei bambini è stata giustificata dallo stato dei rapporti tra i bambini e dalle loro condizioni psicologiche. Del resto, dopo l’allontanamento dalla famiglia, i bambini hanno manifestato sempre la volontà di non lasciare le famiglie di accoglienza.
La Corte rammenta di dovere attribuire sempre una particolare importanza all’interesse del bambino. Al riguardo, essa osserva che, nella decisione dell’11 giugno 2003 di dichiarare i ricorrenti decaduti dall’autorità genitoriale, il tribunale per i minorenni ha deciso l’affido separato alla luce delle condizioni psicologiche dei bambini.
Pertanto, a giudizio della Corte, le spiegazioni fornite dalle autorità nazionali per giustificare l’affido dei bambini a due famiglie diverse sono ragionevoli e sufficienti a rendere la misura «necessaria» sotto il profilo della Convenzione e proporzionata allo scopo legittimo perseguito.
In conclusione, questa parte del ricorso deve essere rigettata in quanto manifestamente infondata, conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

4.  Il procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni

I ricorrenti lamentano sotto vari aspetti il procedimento svoltosi dinanzi al tribunale di Bologna. In particolare, essi contestano l’assenza di controllo del tribunale sul ruolo dominante assunto dai servizi sociali nel procedimento giudiziario.
La Corte rammenta che, se l’articolo 8 non prescrive esplicitamente alcun requisito processuale, è pur sempre necessario che il processo decisionale che porta all’adozione di misure d’ingerenza sia equo e rispetti com’è giusto gli interessi tutelati da tale disposizione. Alla Corte spetta di stabilire, in funzione delle circostanze di ogni caso di specie e in particolare della gravità delle misure da adottare, se i genitori abbiano potuto svolgere nel processo decisionale, considerato nel suo complesso, un ruolo tale da assicurare loro la richiesta tutela dei loro interessi. In caso negativo, vi è inosservanza del rispetto della vita familiare e l’ingerenza risultante dalla decisione non può considerarsi «necessaria» ai sensi dell’articolo 8 (si veda, tra le altre, la sentenza W. c. Regno Unito, succitata, §§ 62 e 64). Ad avviso della Corte, i ricorrenti hanno avuto la possibilità di esprimere dinanzi all’autorità giudiziaria i loro dubbi sulla competenza e sulla buona fede dei servizi sociali e dei periti nominati dall’AUSL. Il tribunale per i minorenni ha rigettato la domanda presentata dai ricorrenti al riguardo dopo avere valutato le capacità dei periti chiamati in causa e la conformità delle procedure dell’AUSL alle decisioni del tribunale per i minorenni. Del resto, nella decisione dell’11 luglio 2003 relativa alla decadenza della prima ricorrente dall’autorità genitoriale, il tribunale per i minorenni e la corte d’appello hanno valutato la posizione dell’AUSL e confermato il suo ruolo di tutore dei bambini. Pertanto, la Corte non può condividere l’affermazione dei ricorrenti secondo la quale l’autorità giudiziaria non ha esercitato un controllo sufficiente sull’attività dei servizi sociali nell’attuazione delle decisioni del tribunale per i minorenni.

Ne consegue che anche questa parte del ricorso deve essere rigettata in quanto manifestamente infondata, conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Sally Dollé
Cancelliere

Françoise Tulkens
Presidente