Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 23 agosto 2011 - Ricorso n. 11303/02 - Carmela Basileo e altri c. Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dalla dott.ssa Anna Aragona, funzionario linguistico

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
DECISIONE SULLA RICEVIBILITA’
del ricorso n° 11303/02
presentato da Carmela BASILEO ed altri contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 23 agosto 2011 in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
David Thór Björgvinsson,
Dragoljub Popović,
Giorgio Malinverni,
András Sajó,
Guido Raimondi,
Paulo Pinto de Albuquerque, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 14 marzo 2002,
Viste le osservazioni presentate dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dalle ricorrenti,
Dopo aver deliberato, emette la seguente decisione :

IN FATTO

Le ricorrenti, le signore Carmela Basileo, Donata Iovine e Lidia Iovine, sono cittadine italiane, nate rispettivamente nel 1958, 1964 e 1961 e residenti, la prima, a Casamarciano (Napoli) e, la seconda e la terza, a Marigliano (Napoli). Esse sono rappresentate dinanzi alla Corte dagli avvocati Giovanni Romano e Umberto Russo, del foro di Benevento. Il governo italiano (« il Governo ») è rappresentato dal suo agente, la signora E. Spatafora, e dalle sue co-agenti, le signore P. Accardo e S. Coppari.

Le circostanze del caso di specie

I fatti della causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

1.  La procedura di fallimento

Le ricorrenti erano dipendenti della società W. S.p.a.
Con sentenza depositata il 25 agosto 1983, il tribunale di Napoli dichiarava il fallimento di detta società.
Le ricorrenti, unitamente ad altri 98 ex dipendenti della società, chiedevano al giudice delegato l’ammissione al passivo fallimentare, al fine di ottenere le retribuzioni non corrisposte, nonché il trattamento di fine rapporto, cui esse ritenevano di aver diritto.
Il 17 luglio 1984, il giudice ammetteva le ricorrenti al passivo fallimentare per i seguenti importi:
- Sig.ra Carmela Basileo : 3 113 861 lire italiane (ITL) (ossia, all’incirca 1 608 euro (EUR)) ;
- Sig.ra Donata Iovine : 2 365 786 ITL (ossia, all’incirca 1 221 EUR) ;
- Sig.ra Lidia Iovine : 2 415 293 ITL (ossia, all’incirca 1 247 EUR).
In data imprecisata, la procedura veniva trasferita al tribunale di Nola (Napoli).
Nelle sue osservazioni, il Governo ha rilevato che, al più tardi nel 1995, le tre ricorrenti hanno ottenuto il pagamento integrale dei loro crediti (si veda in prosieguo la parte « in diritto »). Secondo quest’ultimo, dopo l’effettuazione di detti pagamenti, non era stato possibile chiudere la procedura di fallimento unicamente a causa della necessità di valutare i danni cagionati da un incendio doloso appiccato alla sede dell’impresa in liquidazione, nonché del fatto che il saldo del deposito fallimentare era stato fraudolentemente sottratto dal conto corrente. 
Le ricorrenti non hanno fornito alcuna informazione riguardante i pagamenti oggetto di contestazione né al momento della presentazione del ricorso alla Corte, né all’interno delle osservazioni presentate in risposta a quelle del Governo. Le ricorrenti non hanno contestato le informazioni fornite dal Governo. 
La procedura di fallimento è stata chiusa il 15 marzo 2007.

2.  Il procedimento promosso ai sensi della legge no 89 del 24 marzo 2001 (« legge Pinto »)

Il 16 aprile 2002, le ricorrenti presentavano un ricorso alla corte d’appello di Roma, ai sensi della « legge Pinto », per contestare la durata della procedura di fallimento, « la quale, nel caso di specie, aveva comportato la violazione del diritto di proprietà », a causa dell’addotta prolungata impossibilità di recuperare i loro crediti.
Con decisione depositata il 23 giugno 2003, la corte d’appello riconosceva a ciascuna delle ricorrenti 2 000 EUR a titolo di risarcimento del danno morale derivante dalla violazione dell’articolo  6 § 1 della Convenzione.
3.  La procedura di esecuzione della decisione adottata ai sensi della « legge Pinto »
Il 10 agosto 2004, le ricorrenti notificavano al ministero della Giustizia una messa in mora e, in data 6 settembre 2004, esse promuovevano un pignoramento presso terzi al fine di ottenere l’esecuzione della decisione della corte d’appello di Roma, depositata il 23 giugno 2003.
Il 26 gennaio 2006, le ricorrenti ottenevano il pagamento di 3 208,84 EUR cadauna.

MOTIVI  DI  RICORSO

  1. Le ricorrenti affermano l’avvenuta violazione del diritto al rispetto dei beni, in quanto esse non avrebbero ottenuto il pagamento dei loro crediti, in particolare a causa della durata della procedura di fallimento. Esse invocano l’articolo 1 del Protocollo no 1.
  2. Con lettera del 20 agosto 2002, le ricorrenti hanno proposto un nuovo motivo di ricorso, ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, in relazione al diritto di accesso ad un tribunale, ed ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione, in relazione alla mancanza di una via di ricorso interna finalizzata a controllare l’attività del curatore ed a sollecitare la liquidazione dei beni compresi nel fallimento.
  3. Con lettera del 18 agosto 2003, le ricorrenti hanno proposto un ulteriore motivo di ricorso, ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, in quanto, alla suddetta data, l’amministrazione non aveva ancora pagato la somma loro riconosciuta dalla corte d’appello di Roma a norma della « legge Pinto ».

IN DIRITTO

  1. Le ricorrenti affermano l’avvenuta violazione del diritto al rispetto dei beni, in quanto esse non avrebbero ottenuto il pagamento dei loro crediti, in particolare a causa della durata della procedura di fallimento. Esse invocano l’articolo 1 del Protocollo no 1.
  2. Invocando gli articoli 6 § 1 della Convenzione, in relazione al diritto di accesso ad un tribunale, e 13 della Convenzione, esse denunciano la mancanza di una via di ricorso, finalizzata a controllare l’attività del curatore ed a sollecitare la liquidazione dei beni compresi nel fallimento.
  3. Invocando l’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, le ricorrenti lamentano altresì che, alla data del 18 agosto 2003, l’amministrazione non avesse ancora versato la somma loro riconosciuta dalla corte d’appello di Roma a norma della  « legge Pinto ».

Gli articoli in questione, nelle parti pertinenti, recitano:
Articolo 6 § 1 della Convenzione
« Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (...) da un tribunale indipendente ed imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi (...) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...) »
Articolo 13 della Convenzione
« Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (...) Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. »
Articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione
« Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non pregiudicano il diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.  »

Il Governo asserisce innanzi tutto che, al più tardi nel 1995, le tre ricorrenti hanno ottenuto il pagamento integrale dei loro crediti. A sostegno di tali affermazioni, esso ha fornito una dichiarazione del cancelliere del tribunale di Nola, redatta per conto del presidente del tribunale, nonché un documento dell’I.N.P.S. (Istituto Nazionale di Previdenza Sociale) dal quale risulta che, a loro richiesta, in data 15 giugno e 26 luglio 1990, le signore Carmela Basileo e Lidia Iovine hanno ricevuto dall’I.N.P.S. rispettivamente 1 608,16 EUR e 1 247,39 EUR., ai sensi della legge no 297/82. L’articolo 2 di detta legge prevede infatti l’istituzione di un fondo di garanzia, di cui i lavoratori possono beneficiare, ai fini del pagamento del trattamento di fine rapporto, in caso di fallimento della società della quale sono dipendenti. Sulla base della suddetta dichiarazione, il Governo rileva altresì che al momento della ripartizione parziale dell’attivo fallimentare, in data 2 luglio 1993, la sig.ra Donata Iovine ha ricevuto 967,45 EUR.
Il Governo ha altresì prodotto una relazione del giudice delegato della procedura fallimentare, datata 18 luglio 2006, nella quale si dichiarava che tutti i crediti dei 101 ex dipendenti della società W. S.p.a. erano stati soddisfatti non oltre il 1995, sia in occasione della ripartizione parziale dell’attivo fallimentare, sia a seguito dei versamenti effettuati dall’I.N.P.S.
Dal momento che nel procedimento dinanzi alla Corte erano state taciute delle circostanze essenziali, il Governo è del parere che il presente ricorso dovrebbe essere rigettato in quanto abusivo.
In subordine, il Governo sostiene che le ricorrenti hanno omesso di proporre ricorso per cassazione avverso la decisione della corte d’appello di Roma del 23 giugno 2003. In tal modo, le vie di ricorso interne non risulterebbero esaurite. Inoltre, esso sostiene che la procedura di fallimento è stata particolarmente complessa, in ragione della gestione fraudolenta, a seguito della quale venivano altresì promossi più procedimenti penali. Le ricorrenti non avrebbero d’altronde beneficiato di un « bene » ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, in quanto i crediti ammessi al passivo fallimentare non sarebbero stati né certi, né definitivi. 
Le ricorrenti reiterano i loro motivi di ricorso.

Per quanto riguarda i motivi di ricorso relativi all’asserita mancata liquidazione dei crediti delle ricorrenti, riconosciuti con l’ammissione al passivo fallimentare (motivi di ricorso n. 1 e 2), la Corte rileva che un ricorso dinanzi ad essa può essere dichiarato abusivo nel caso in cui il ricorrente ometta deliberatamente dal principio di informare la Corte circa un elemento essenziale per l’esame della causa  (mutatis mutandis, Al-Nashif c. Bulgaria, no 50963/99, § 89, 20 giugno 2002, e Keretchachvili c. Georgia (dec.), no 5667/02, 2 maggio 2006).

Nel caso di specie, la Corte rileva che, secondo le informazioni fornite dal Governo, i crediti delle ricorrenti erano stati integralmente soddisfatti al più tardi nel 1995 e dunque molto prima della presentazione del ricorso alla Corte (in data 14 marzo 2002), nonché del ricorso ai sensi della « legge Pinto» (in data 16 aprile 2002).

La Corte non vede ragione di discostarsi dalla versione dei fatti fornita dal governo convenuto. Essa rileva altresì che le ricorrenti, al momento della presentazione del ricorso alla Corte, non hanno prodotto alcuna informazione circa i suddetti pagamenti; esse non hanno d’altronde contestato il resoconto dei fatti fornito dal governo convenuto, né hanno prodotto al riguardo informazioni supplementari nelle loro osservazioni presentate in risposta a quelle del Governo. 

La Corte constata dunque che le ricorrenti hanno passato sotto silenzio delle informazioni essenziali concernenti i fatti di causa, allo scopo di indurre la stessa in errore. Avendo abusato del loro diritto di ricorso, tale parte del medesimo deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

Per quanto concerne la doglianza presentata dalle ricorrenti in relazione al ritardo con il quale esse hanno ottenuto il risarcimento loro riconosciuto nell’ambito della procedura « Pinto » (motivo di ricorso no 3), la Corte osserva che la corte d’appello competente non ha tenuto conto, nella sua decisione, della circostanza che i crediti delle ricorrenti erano stati soddisfatti. In effetti, tale circostanza non è stata riferita dalle ricorrenti nel ricorso « Pinto », né è stata sollevata dal ministero della Giustizia dinanzi all’autorità procedente. 

Orbene, la circostanza che la corte d’appello di Roma abbia riconosciuto alle ricorrenti, su una base erronea, un risarcimento morale non comporta, a parere della Corte, l’insorgenza di diritti ai sensi della Convenzione, in quanto le conclusioni dell’autorità procedente si basavano, almeno in parte, sulla condotta erronea delle ricorrenti.  
Questa parte del ricorso deve dunque essere rigettata per manifesta infondatezza, ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità, Dichiara il ricorso irricevibile.

Stanley Naismith   
Cancelliere

Françoise Tulkens
Presidente