Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 17 maggio 2011 - Ricorso n.24920/07 - Capitani e Campanella c. Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall'esperto linguistico Rita Carnevali

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA CAPITANI E CAMPANELLA c. ITALIA
Ricorso n. 24920/07
SENTENZA
STRASBURGO - 17 maggio 2011

Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Capitani e Campanella c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
Giorgio Malinverni,
Işıl Karakaş,
Guido Raimondi,
Paulo Pinto de Albuquerque, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo averne deliberato in camera di consiglio il 12 aprile 2011,
Rende la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (no 24920/07) proposto contro la Repubblica italiana con il quale quattro cittadini di questo Stato, la sig.ra Elena Capitani, il sig. Attilio Campanella e le signore Amalia e Catiuscia Campanella (“le ricorrenti”), hanno adito la Corte l’11 giugno 2007 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I ricorrenti sono rappresentati dall’avv. F. Ferrara, del foro di Teramo. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la sig.ra E. Spatafora.
3. Il 31 agosto 2008, il presidente della seconda sezione ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Come consentito dall’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata contestualmente su ricevibilità e merito della causa.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1951, 1946, 1978 e 1976 e risiedono a Castellalto.
5. Nel 2004, poiché i ricorrenti erano sospettati di appartenere ad una organizzazione criminale dedita all’usura ed al riciclaggio di denaro, la procura di Teramo avviò il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione previste dalla legge 575 del 1965, così come modificata dalla legge n° 646 del 13 settembre 1982.
6. In seguito, il procedimento innanzi al tribunale di Teramo si svolse in camera di consiglio. I ricorrenti erano assistiti da un avvocato di fiducia.
7. Con ordinanza del 21 giugno 2004, il tribunale decise di sottoporre i ricorrenti alla misura della sorveglianza speciale. Il tribunale ordinò inoltre la confisca di numerosi beni appartenenti ai ricorrenti. Nell’elenco dei beni confiscati figuravano parecchi immobili, terreni, auto e somme di denaro.
8. Il tribunale dichiarò che, alla luce dei numerosi indizi, vi era motivo di sospettare che i ricorrenti avessero partecipato alle attività di un’associazione per delinquere e che essi rappresentassero un pericolo sociale. Sostenne inoltre che le attività esercitate e i redditi dichiarati dai ricorrenti non potevano giustificare l’acquisizione dei beni di cui erano proprietari.
9. Gli interessati proposero appello avverso l’ordinanza del 21 giugno 2004, sostenendo, sotto diversi aspetti, l’illegittimità della confisca dei loro beni. In particolare allegarono la violazione del principio ne bis in idem a loro sfavore. Il procedimento si svolse in camera di consiglio.
10. Con ordinanza del 9 dicembre 2005, la corte d’appello di L’Aquila rigettò l’appello confermando la legittimità della confisca dei beni disposta dal tribunale e dichiarando che nella fattispecie non vi era alcuna violazione del principio ne bis in idem.
11. Il 18 gennaio 2006, i ricorrenti proposero ricorso per cassazione. Il procedimento si svolse in camera di consiglio.
12. Con sentenza del 25 gennaio 2007, depositata il 19 marzo 2007, la Corte di cassazione dichiarò il ricorso inammissibile in quanto i ricorrenti non deducevano la violazione di una o più norme di legge, ma miravano ad ottenere un nuovo esame del merito della causa.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

13. Il diritto interno pertinente è descritto nella causa Bocellari e Rizza c. Italia, no 399/02, §§ 25 e 26, 13 novembre 2007.

IN DIRITTO

I. SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

14. I ricorrenti lamentano la mancanza di pubblicità del procedimento di applicazione delle misure di prevenzione. Invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, recita:
 « Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente (...), da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controverse sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...). la sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia».
15. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

16. Il Governo eccepisce la tardività del ricorso sotto un doppio aspetto. Innanzitutto, esso considera che i ricorrenti avrebbero dovuto introdurre il loro ricorso entro il termine di sei mesi a decorrere dal 9 dicembre 2005, ossia dalla data della sentenza della corte d'appello di L'Aquila. Facendo valere che la mancanza di pubblicità delle udienze nel procedimento in cassazione non può essere messa in discussione innanzi alla Corte, esso sostiene che quest'ultima fase della procedura nazionale non dovrebbe essere tenuta in considerazione nel computo del termine dei sei mesi. In secondo luogo, il Governo rileva che, benché la prima comunicazione dei ricorrenti con la Corte sia datata 11 giugno 2007, il formulario di ricorso reca la data del 26 febbraio 1008. Invita quindi la Corte a considerare quest'ultima come data di introduzione del ricorso e a rigettare il ricorso in quanto tardivo.
17. I ricorrenti vi si oppongono.
18. Per quanto riguarda il primo aspetto dell'eccezione di tardività del Governo, la Corte ricorda che ai sensi dell'articolo 35 § 1 della Convenzione, essa può essere investita di una causa soltanto "entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva" ossia dell'atto che chiude il processo di "esaurimento delle vie di ricorso interne", ai sensi della stessa disposizione (Kadiÿis c. Lettonia (no 2) (dec.), no 62393/00, 25 settembre 2003).
19. Nella fattispecie, essa osserva che il procedimento controverso si è svolto in tre fasi, conformemente alle norme del sistema giuridico italiano, e si è concluso innanzi alla Corte di cassazione. La Corte considera che la "decisione interna definitiva" è la sentenza della suprema corte italiana del 25 gennaio 2007, depositata in cancelleria il 19 marzo 2007.
20. Per quanto riguarda il secondo aspetto dell'eccezione, la Corte constata che il ricorso è stato introdotto con una prima lettera dell'11 giugno 2007, con la quale gli interessati avevano sollevato in maniera dettagliata le loro doglianze. In seguito, il 4 gennaio 2008, hanno inviato il loro formulario di ricorso debitamente compilato.
21. A tale proposito la Corte ricorda la sua pratica costante che vuole che la data di introduzione di un ricorso sia quella della prima lettera con la quale il ricorrente formula il motivo che intende sollevare (Nee c. Irlanda (dec.), no 52787/99, 30 gennaio 2003 ; Ataman c. Turchia (dec.), no 46252/99, 11 settembre 2001). Certamente, uno scarto notevole tra il momento della prima comunicazione inviata alla Corte e la formalizzazione del ricorso potrebbe porre dei problemi sulla determinazione della data di introduzione di quest'ultimo.
21. Tuttavia, la Corte ritiene che il tempo impiegato dai ricorrenti per formalizzare il loro ricorso non sia irragionevole. Pertanto, nel caso di specie la data da prendere in considerazione come data di introduzione del ricorso è quella della prima lettera summenzionata.
22. Ne consegue che i due aspetti dell'eccezione di tardività del Governo non possono essere ritenuti. La Corte constata peraltro che questa parte del ricorso non è manifestamente infondata ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione e che non contrasta con nessun altro motivo di irricevibilità. È quindi opportuno dichiararla ricevibile

B. Sul merito

23. I ricorrenti allegano che il procedimento controverso si è svolto in camera di consiglio, e quindi non pubblicamente.
24. Il Governo afferma che i ricorrenti hanno beneficiato di un processo equo.
25. La Corte osserva che il presente caso di specie è simile a parecchie cause nelle quali essa ha esaminato la compatibilità delle procedure di applicazione delle misure di prevenzione con le esigenze del processo equo previste dall'articolo 6 della Convenzione (Bocellari e Rizza c. Italia, no 399/02, 13 novembre 2007 ; Perre e altri c. Italia, no 1905/05, 8 luglio 2008 ; Leone c. Italia, no 30506/07, 2 febbraio 2010).
26. Nelle citate cause, la Corte ha osservato che lo svolgimento in camera di consiglio delle procedure volte all'applicazione delle misure di prevenzione, sia in prima istanza che in appello, è espressamente previsto dall'articolo 4 della legge no 1423 del 1956 e che le parti non hanno la possibilità di domandare e di ottenere una pubblica udienza.
27. Pur ammettendo che in questo genere di procedure possono entrare in gioco interessi superiori ed un elevato grado di tecnicità, la Corte ha giudicato essenziale, tenuto conto soprattutto della posta in gioco delle procedure per l’applicazione delle misure di prevenzione e degli effetti che possono avere sulla situazione personale delle persone coinvolte, che alle persone sottoposte a giustizia sia quantomeno offerta la possibilità di chiedere un'udienza pubblica innanzi alle camere specializzate dei tribunali e delle corti d'appello.
28. La Corte ritiene che la presente causa non presenti elementi che possano distinguerla dalle cause summenzionate.
30. Di conseguenza, conclude per la violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ALLEGATE

29. I ricorrenti affermano che la confisca delle loro proprietà ha leso il diritto al rispetto dei loro beni e il principio ne bis in idem. Invocano gli articoli 1 del Protocollo no 1 e 4 del Protocollo no 7 che, nelle loro parti pertinenti, recitano:

Articolo 1 del Protocollo n. 1

« Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende. »

Articolo 4 del Protocollo n. 7

« 1. Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato. »

30. Per quanto riguarda il motivo di ricorso basato sull'articolo 1 del Protocollo no 1, la Corte ricorda di aver già constatato che l'ingerenza controversa, ossia la confisca dei beni basata sull'articolo 2 ter della legge del 1965, tende a prevenire un uso illegittimo e pericoloso per la società di beni di cui non sia stata dimostrata la provenienza legittima. Essa ritiene quindi che l'ingerenza che ne risulta persegua uno scopo che corrisponde all'interesse generale (Arcuri e altri tre c. Italia (dec.), no 52024/99, CEDH 2001-VII ; Riela e altri c. Italia (dec.), no 52439/99, 4 settembre 2001 ; Raimondo c. Italia del 22 febbraio 1994, § 30, serie A no 281-A).
31. Per quanto riguarda la proporzionalità dell'ingerenza, la Corte osserva che, per decidere sull'applicazione delle misure di prevenzione, i giudici nazionali si sono basati sui numerosi indizi a carico dei ricorrenti, che facevano pensare che essi fossero membri di un'organizzazione criminale dedita all'usura e al riciclaggio di denaro. Dopo aver analizzato la situazione finanziaria dei ricorrenti, hanno concluso che l'acquisizione dei beni confiscati era stata possibile soltanto attraverso l'impiego dei profitti illeciti di questi ultimi.
32. Peraltro, in appello e nel ricorso per cassazione, i ricorrenti avevano contestato la confisca dei loro beni. I loro argomenti sono stati dunque esaminati anche dai giudici nazionali. Secondo la Corte, il procedimento in contraddittorio che si è svolto innanzi alle autorità giudiziarie italiane aveva offerto ai ricorrenti un'occasione adeguata per esporre le loro ragioni.  
33. In queste circostanze, tenuto conto del margine di valutazione conferito agli Stati quando regolamentano "l'uso dei beni conformemente all'interesse generale", in particolare nell'ambito di una politica criminale volta a combattere il fenomeno della grave criminalità, la Corte conclude che l'ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto dei loro beni non sia stata sproporzionata in rapporto allo scopo legittimo perseguito.
34. Ne consegue che questo motivo di ricorso deve essere rigettato in quanto manifestamente infondato, in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
35. Infine, per quanto riguarda l'ultimo motivo di ricorso dei ricorrenti, la Corte ricorda che le misure di prevenzione previste dalle leggi italiane del 1956 e del 1965 non implicano un giudizio di colpevolezza, ma mirano a prevenire il compimento di atti criminali (vedere la decisione della Corte nella causa Arcuri, succitata, nonché, mutatis mutandis, la sentenza Raimondo, succitata, p. 20, § 43). Inoltre, la loro imposizione non dipende dalla preventiva pronuncia di una condanna per una infrazione penale (vedere, a contrario e dal punto di vista dell’articolo 7 della Convenzione, la sentenza Welch c. Regno Unito del 9 febbraio 1995, §§ 28-29, serie A no 307-A). Esse non possono dunque essere paragonate ad una pena.
36. Di conseguenza, i ricorrenti non possono affermare di essere stati "perseguiti o puniti penalmente" nell'ambito della procedura controversa.
37. Ne consegue che questa parte di ricorso è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell'articolo 35 § 3.

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

40. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di riparare solo in parte alle conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

Danno

38. Per il pregiudizio materiale, i ricorrenti reclamano il rimborso del valore dei beni confiscati. Inoltre, rimettendosi alla saggezza della Corte, domandano una somma a titolo di danno morale.
39. Il Governo contesta queste pretese.
40. La Corte non scorge il nesso di causalità tra la violazione constatata ed il danno materiale allegato e rigetta questa domanda. Per quanto riguarda il pregiudizio morale subito dai ricorrenti, la Corte ritiene che, nelle particolari circostanze del caso di specie, esso sia sufficientemente riparato dalla constatazione di violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione alla quale essa perviene (vedere, fra molte altre, Leone c. Italia, succitata, § 42).

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda il motivo di ricorso basato sull'articolo 6 § 1 e irricevibile per il resto;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione;
  3. Dichiara che la constatazione di violazione fornisce di per sé una equa soddisfazione sufficiente per il danno morale subito dai ricorrenti;
  4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 17 maggio 2011, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Stanley Naismith
Cancelliere

Françoise Tulkens
Presidente