Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 12 luglio 2011 - Ricorso n.14130/02 - Macrì e altri c. Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall'esperto linguistico Rita Pucci

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA MACRÌ ED ALTRI c. ITALIA
Ricorso n. 14130/02
SENTENZA
STRASBURGO - 12 luglio 2011

La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni stabilite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire variazioni di forma.

Nella causa Macrì ed altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), costituita in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
David Thór Björgvinsson,
Dragoljub Popović,
Giorgio Malinverni,
András Sajó,
Guido Raimondi,
Paulo Pinto de Albuquerque, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 21 giugno 2011,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDIMENTO

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 14130/02) nei confronti della Repubblica italiana con cui quattro cittadini di quello Stato, i sigg. Irma Macrì, Giuseppe Macrì, Margherita Macrì e Alessandra Macrì («i ricorrenti»), hanno adito la Corte il 14 marzo 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. I ricorrenti sono rappresentati dall’Avv. M. de Stefano, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato successivamente dai suoi Agenti, sigg. U. Leanza e I.M. Braguglia, sig.ra E. Spatafora, e dai suoi Co-Agenti, sigg. F. Crisafulli e N. Lettieri.

3. Il 24 giugno 2004, la Corte ha dichiarato il ricorso parzialmente irricevibile e ha deciso di comunicare al Governo i motivi di ricorso relativi agli articoli 6 § 1 e 1 del Protocollo n. 1. Come consentito dall’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata contestualmente su ricevibilità e merito.

4. In seguito alla ricomposizione delle sezioni, la causa è stata assegnata alla seconda sezione della Corte.

 

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1943, 1968, 1972 e 1975 e risiedono a Roma.

6. I ricorrenti hanno ereditato alcuni terreni siti in Siderno.

7. Con decreto del 16 gennaio 1975, il prefetto di Reggio Calabria autorizzò l’amministrazione comunale di Siderno ad occupare d’urgenza un terreno del de cujus dei ricorrenti per un periodo di due anni al fine di costruirvi una strada.

8. Con decreto dell’11 ottobre 1976, l’amministrazione comunale fissò l’indennità provvisoria di espropriazione in 3.258.900 lire italiane (ITL).

9. Il de cujus dei ricorrenti accettò detta indennità.

10. Con atto notificato il 16 aprile 1980, il de cujus notificò al comune di Siderno un atto di revoca dell’accettazione dell’indennità in considerazione della mancata emissione di un decreto di espropriazione.

11. Con atto notificato il 17 ottobre 1980, il de cujus dei ricorrenti citò il comune di Siderno a comparire dinanzi al tribunale civile di Locri. Egli adduceva l’illegittimità dell’occupazione del suo terreno per il protrarsi della stessa oltre il termine autorizzato senza che si fosse proceduto all’espropriazione. In conseguenza del completamento dell’opera pubblica, egli riteneva di non essere più proprietario del terreno controverso e, quindi, di non poterne chiedere la restituzione, ma solo l’indennizzo. Chiedeva una somma corrispondente al valore venale del terreno.

12. Con sentenza del 21 luglio 1982, il tribunale di Locri rigettò l’azione del de cujus dei ricorrenti. In particolare, esso ritenne che il de cujus dei ricorrenti non avesse provato il suo diritto di proprietà.

13. Il 20 settembre 1982, il de cujus dei ricorrenti interpose appello avverso tale sentenza dinanzi alla corte d’appello di Reggio Calabria.

14. Il 28 luglio 1983, il de cujus dei ricorrenti morì. I ricorrenti si costituirono nel procedimento in qualità di eredi.

15. Con sentenza non definitiva del 6 giugno 1985, la corte d’appello dichiarò il passaggio di proprietà del terreno al comune per effetto della costruzione dell’opera pubblica e condannò quest’ultimo a risarcire integralmente i ricorrenti. La corte decise di proseguire il procedimento al fine di stimare il danno.

16. Nel frattempo, il comune propose ricorso per cassazione avverso la sentenza non definitiva della corte d’appello. Il 12 aprile 1988, la Corte di cassazione rigettò il ricorso proposto dal comune.

17. Con sentenza definitiva del 17 aprile 1987, la corte d’appello di Reggio Calabria dichiarò che la proprietà del terreno era passata al comune per effetto della costruzione dell’opera pubblica. Essa condannò il comune a pagare ai ricorrenti 666.400.000 ITL oltre agli interessi a decorrere dal marzo del 1977 per la perdita di proprietà del terreno.

18. In seguito al mancato pagamento da parte del comune di Siderno, il 3 giugno 1987, i ricorrenti notificarono allo stesso un atto di precetto per l’importo di 1.101.107.765 ITL.

19. Il 30 settembre 1987, il comune pagò la somma dovuta ai ricorrenti.

20. Nel frattempo, il 7 agosto 1987, il comune di Siderno propose ricorso per cassazione avverso la sentenza definitiva emessa dalla corte d’appello il 17 aprile 1987.

21. Con sentenza del 18 luglio 1989, la Corte di cassazione accolse il ricorso del comune relativo all’importo del risarcimento e rinviò il caso dinanzi alla corte d’appello di Messina al fine di stimare la somma da concedere ai ricorrenti.

22. La corte d’appello di Messina dispose una perizia per calcolare la somma da concedere ai ricorrenti in funzione della legge n. 662 del 1996, nel frattempo entrata in vigore.

23. Con sentenza del 9 giugno 1999, la corte d’appello di Messina, facendo applicazione della legge n. 662 del 1996, condannò il comune a pagare ai ricorrenti la somma di 103.716.400 ITL, da indicizzare a partire dal mese di marzo del 1977. Tenuto conto del fatto che i ricorrenti avevano ottenuto dal comune 1.005.153.333 ITL, la corte d’appello li condannò a restituire al comune la somma di 380.894.273 ITL, oltre agli interessi fino al giorno del pagamento.

24. Il 29 ottobre 1999, i ricorrenti proposero ricorso per cassazione.

25. Il 28 settembre 2001, la Corte di cassazione rigettò il ricorso proposto dai ricorrenti.

26. Nell’ottobre del 2002, i ricorrenti restituirono al comune la somma di 365.135,03 EUR.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

27. Il diritto interno pertinente è descritto nella sentenza Guiso Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009.

 

IN DIRITTO

I. SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 DELLA CONVENZIONE

28. I ricorrenti adducono di essere stati privati del loro terreno in maniera incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1, così redatto:
 «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei propri beni. Nessuno può essere privato della proprietà se non per causa di pubblica utilità e alle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

29. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

30. Il Governo eccepisce che il ricorso è tardivo in quanto è stato presentato oltre sei mesi dopo la decisione interna definitiva.

31. I ricorrenti si oppongono e sostengono che il ricorso è stato presentato nel termine di sei mesi, ossia il 14 marzo 2002.

32. La Corte osserva che la decisione interna definitiva è la sentenza della Corte di cassazione depositata in cancelleria il 28 settembre 2001. Di conseguenza, il ricorso, presentato il 14 marzo 2002, non è tardivo. L’eccezione del Governo non può quindi essere accolta.

33. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non contrasta con nessun altro motivo d’irricevibilità. E’ quindi opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

34. I ricorrenti ricordano di essere stati privati del loro bene in virtù del principio dell’espropriazione indiretta e chiedono alla Corte di dichiarare che l’espropriazione del loro terreno non è conforme al principio di legalità. Facendo riferimento alle sentenze Belvedere Alberghiera c. Italia (n. 31524/96, CEDU 2000-VI) e Carbonara e Ventura c. Italia (n. 24638/94, 30 maggio 2000, CEDU 2000-VI), essi osservano che l’espropriazione indiretta è un mezzo in base al quale l’autorità pubblica acquisisce un bene in totale illegalità, cosa inammissibile in uno Stato di diritto.

35. Infine, quanto all’indennizzo, i ricorrenti osservano che non vi è stata alcuna «riparazione» del danno subito in conseguenza dell’applicazione della legge n. 662 del 1996. Per giunta, essi hanno dovuto restituire all’amministrazione la somma di 365.135,03 EUR.

36. Il Governo fa notare che, nel caso di specie, l’occupazione del terreno è intervenuta nell’ambito di una procedura amministrativa alla cui base vi era una dichiarazione di pubblica utilità. Tuttavia, ammette che la procedura di espropriazione non è stata attuata nei termini previsti dalla legge, non essendo stato adottato alcun decreto espropriativo. In primo luogo, vi sarebbe pubblica utilità, la qual cosa non è stata rimessa in discussione dai giudici nazionali. In secondo luogo, la privazione del bene quale risulta dall’espropriazione indiretta sarebbe «prevista dalla legge».

37. Secondo il Governo, il principio dell’espropriazione indiretta deve essere considerato come facente parte del diritto positivo a decorrere, al più tardi, dalla sentenza della Corte di cassazione n. 1464 del 1983. La giurisprudenza successiva avrebbe confermato questo principio e precisato alcuni aspetti dell’applicazione dello stesso. Inoltre, il principio sarebbe stato riconosciuto dalla legge n. 458 del 27 ottobre 1988 e dalla legge finanziaria n. 662 del 1996. Il Governo ne conclude che, a partire dal 1983, le regole dell’espropriazione indiretta erano perfettamente prevedibili, chiare ed accessibili a tutti i proprietari. Tuttavia, la trasformazione irreversibile del terreno a seguito della costruzione di un’opera di pubblica utilità, ha reso impossibile la restituzione dello stesso.

38. Il Governo definisce l’espropriazione indiretta come il risultato di un’interpretazione sistematica da parte dei giudici di principi esistenti, volta a garantire che l’interesse generale prevalga sull’interesse dei privati quando l’opera pubblica sia stata realizzata (trasformazione del terreno) e risponda a criteri di pubblica utilità. Quanto all’esigenza di garantire un giusto equilibrio tra il sacrificio imposto ai privati e la compensazione loro concessa, il Governo riconosce che l’amministrazione è tenuta a risarcire gli interessati.

39. Il Governo conclude che il giusto equilibrio è stato rispettato e che la situazione denunciata è compatibile sotto ogni profilo con l’articolo 1 del Protocollo n. 1.

40. La Corte osserva innanzitutto che le parti convengono nell’affermare che vi è stata «privazione della proprietà».

41. La Corte rinvia alla sua giurisprudenza in materia di espropriazione indiretta (Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, n. 31524/96, CEDU 2000 VI; Carbonara e Ventura c. Italia, n. 24638/94, CEDU 2000-VI; tra le sentenze più recenti, si vedano Acciardi e Campagna c. Italia, n. 41040/98, 19 maggio 2005; Pasculli c. Italia, n. 36818/97, 17 maggio 2005; Scordino c. Italia (n. 3), n. 43662/98, 17 maggio 2005; Serrao c. Italia, n. 67198/01, 13 ottobre 2005; La Rosa e Alba c. Italia (n. 1), n. 58119/00, 11 ottobre 2005; Chirò c. Italia (n. 4), n. 67196/01, 11 ottobre 2005; Velocci c. Italia, n. 1717/03, 18 marzo 2008; Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009) per il riepilogo dei principi pertinenti e per un riassunto della sua giurisprudenza in materia.

42. Nella presente causa, la Corte rileva che, applicando il principio dell’espropriazione indiretta, i giudici interni hanno ritenuto che i ricorrenti fossero stati privati del loro bene a partire dalla data della realizzazione dell’opera pubblica. Ora, in assenza di un atto formale di espropriazione, a giudizio della Corte, questa situazione non può essere ritenuta «prevedibile», in quanto è solo con la decisione giudiziaria definitiva che il principio dell’espropriazione indiretta può considerarsi effettivamente applicato e l’acquisizione del terreno da parte dell’autorità pubblica sancita. Di conseguenza, i ricorrenti hanno avuto la «sicurezza giuridica» relativa alla privazione del terreno, al più tardi, il 28 settembre 2001, data del deposito in cancelleria della sentenza della Corte di cassazione.

43. La Corte osserva poi che la situazione in questione ha consentito all’amministrazione di trarre giovamento da un’occupazione di terreno illegale. In altri termini, l’amministrazione ha potuto appropriarsi il terreno ignorando le regole che governano l’espropriazione nella debita forma.

44. Alla luce di queste considerazioni, a giudizio della Corte, l’ingerenza controversa non è compatibile con il principio di legalità ed ha quindi violato il diritto al rispetto dei beni dei ricorrenti.

45. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

II. SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

A. Sulla ricevibilità

46. I ricorrenti affermano di avere subito un danno a causa dell’applicazione della legge n. 662 del 23 dicembre 1996 al loro procedimento.

47. La Corte ricorda di avere ritenuto, al momento della comunicazione della causa, che i ricorrenti lamentassero sostanzialmente una violazione del loro diritto ad un equo processo come sancito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, il quale, nei brani pertinenti, dispone:
 «Ogni persona ha diritto che la propria causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…), il quale deciderà (…) le controversie sui diritti ed obblighi di natura civile della stessa (…)»

48. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non contrasta con nessun altro motivo d’irricevibilità. E’ quindi opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

49. La Corte ha appena constatato, sotto il profilo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, che la situazione denunciata dai ricorrenti non è conforme al principio di legalità. Tenuto conto dei motivi che l’hanno condotta alla constatazione di violazione (precedenti paragrafi 40-45), la Corte ritiene di non dovere accertare separatamente se vi sia stata, nella fattispecie, violazione dell’articolo 6 § 1 (si vedano, a contrario, Scordino c. Italia (n. 1) [GC], n. 36813/97, §§ 103 104 e §§ 132-133, CEDU 2006; Velocci c. Italia, n. 1717/03, § 50, 18 marzo 2008).

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

50. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di riparare solo in parte alle conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danni materiali

51. I ricorrenti chiedono il versamento della somma di 365.165,03 EUR per la perdita del terreno, oltre agli interessi e alla rivalutazione a partire dal 4 ottobre 2002.

52. Il Governo si oppone a queste richieste.

53. La Corte rammenta che una sentenza di constatazione di una violazione comporta per lo Stato convenuto l’obbligo di porre fine alla violazione e di rimuoverne le conseguenze in modo da ripristinare per quanto possibile la situazione ad essa precedente (Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 31107/96, § 32, CEDU 2000-XI).

54. Essa rammenta che nella causa Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009), la Grande Camera ha modificato la giurisprudenza della Corte riguardante i criteri di indennizzo nelle cause di espropriazione indiretta. In particolare, la Grande Camera ha deciso di respingere le richieste dei ricorrenti in quanto fondate sul valore dei terreni alla data della sentenza della Corte e di non tenere più conto, ai fini della stima del danno materiale, del costo di costruzione degli edifici costruiti dallo Stato sui terreni.

55. Stando ai nuovi criteri fissati dalla Grande Camera, il risarcimento deve corrispondere al valore pieno ed intero del terreno al momento della perdita della proprietà, quale stabilito dalla perizia disposta dal giudice competente durante il procedimento interno. Poi, una volta detratta la somma eventualmente concessa a livello nazionale, l’importo deve essere aggiornato per compensare gli effetti dell’inflazione. E’ altresì opportuno maggiorare tale importo di interessi tali da compensare, almeno in parte, il lungo lasso di tempo trascorso dall’esproprio dei terreni. Tali interessi devono corrispondere all’interesse legale semplice applicato al capitale progressivamente rivalutato.

56. Nel caso di specie, i ricorrenti hanno perso la proprietà del loro terreno nel 1977. Dalla perizia disposta dai giudici interni durante il procedimento nazionale emerge che il valore del terreno nel 1977 era di 666.400.000 ITL.

57. Tenuto conto di questi elementi e del fatto che i ricorrenti hanno dovuto restituire all’amministrazione nell’ottobre del 2002 la somma di 365.135,03 EUR, deliberando secondo equità, la Corte ritiene ragionevole concedere congiuntamente ai ricorrenti 514.000 EUR per il danno materiale, oltre ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta su tale somma.
Rimane da valutare la perdita di opportunità subita in conseguenza dell’espropriazione controversa (Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC] succitata, § 107). Deliberando secondo equità, la Corte assegna congiuntamente ai ricorrenti 40.000 EUR.

B. Danni morali

58. I ricorrenti chiedono congiuntamente 110.000 EUR per danni morali.

59. Il Governo si oppone a tale richiesta e ritiene che non sia dovuta alcuna somma a titolo di risarcimento del danno morale. Questo tipo di danno non può infatti derivare dalla violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, bensì unicamente dalla violazione del «termine ragionevole».

60. A giudizio della Corte, il sentimento d’impotenza e di frustrazione di fronte all’esproprio illegale del loro bene ha causato ai ricorrenti un danno morale considerevole, che deve essere riparato in modo adeguato.

61. Deliberando secondo equità, la Corte concede congiuntamente ai ricorrenti 10.000 EUR a tale titolo.

C. Spese

62. Giustificativi alla mano, i ricorrenti chiedono inoltre 44.797,86 EUR per le spese sostenute dinanzi ai giudici interni e 15.000 EUR per quelle sostenute dinanzi alla Corte.

63. Il Governo si oppone alla richiesta.

64. Stando alla giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese solo quando siano accertate la loro realtà, la loro necessità e la ragionevolezza del loro tasso.

65. La Corte non dubita della necessità di sostenere quelle spese, ma trova eccessivi gli onorari complessivi rivendicati a tale titolo. A suo avviso, quindi, essi vanno rimborsati solo in parte. Tenuto conto delle circostanze della causa, la Corte giudica ragionevole attribuire l’importo di 20.000 EUR per l’insieme delle spese sostenute e lo concede congiuntamente ai ricorrenti.

D. Interessi moratori

66. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

 

PER QUESTI  MOTIVI, LA  CORTE, ALL’UNANIMITA’,

  1. Dichiara il resto del ricorso ricevibile;
  2. Afferma che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione;
  3. Afferma non doversi prendere in esame il motivo di ricorso relativo all’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  4. Afferma
    1. che lo Stato convenuto deve versare congiuntamente ai ricorrenti, entro tre mesi a partire dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. 554.000 EUR (cinquecentocinquantaquattromila euro), oltre ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta, per il danno materiale;
      2. 10.000 EUR (diecimila euro), oltre ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta, per il danno morale;
      3. 20.000 EUR (ventimila euro), oltre ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta dai ricorrenti, per spese;
    2. che, a partire dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione nel resto.

Fatto in francese e successivamente comunicato in forma scritta il  12 luglio 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Stanley Naismith
Cancelliere

Françoise Tulkens
Presidente