Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 24 maggio 2011 - Ricorso n.26218/06 - Onorato c. Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Martina Scantamburlo

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA ONORATO c. ITALIA
Ricorso n. 26218/06
SENTENZA
STRASBURGO - 24 maggio 2011

Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Potrà subire modifiche di forma.

Nella causa Onorato c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
Giorgio Malinverni,
Işıl Karakaş,
Guido Raimondi,
Paulo Pinto de Albuquerque, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 3 maggio 2011,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 26218/06) presentato contro la Repubblica italiana e con cui un cittadino di tale Stato, il sig. Pierluigi Onorato («il ricorrente»), ha adito la Corte il 20 giugno 2006 in applicazione dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Il ricorrente è rappresentato dall’avv. Sorrentino del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è rappresentato dal suo agente, la sig.ra E. Spatafora.

3. Il ricorrente sostiene che è stato violato il suo diritto di accesso a un tribunale.

4. Il 24 giugno 2008 il presidente della seconda sezione ha deciso di informare il Governo del ricorso. Come permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, ha inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata nel contempo sulla ricevibilità e sul merito.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. Il ricorrente è nato nel 1938 ed è residente a Fiesole.

6. È magistrato alla Corte di cassazione.

7. Con sentenza del 28 ottobre 1999 la Corte di cassazione aveva condannato l’on. Dell’Utri, deputato del Parlamento italiano, per reati di natura fiscale. Il ricorrente era giudice estensore nella causa.

8. Il 17 gennaio 2000 l’on. Dell’Utri depositò una denuncia contro il ricorrente, affermando che questi aveva omesso, in ragione delle sue idee politiche e al fine di nuocergli, di esaminare una domanda di indulto che aveva presentato nell’ambito del suo processo.

9. Fu avviato un procedimento nei confronti del ricorrente per omissione di atti d’ufficio.

10. Il 12 aprile 2002 il tribunale di Roma assolse il ricorrente perché il fatto non sussiste. Il tribunale stabilì in particolare che Dell’Utri aveva rinunciato spontaneamente all’indulto, decidendo di chiedere l’applicazione di una pena patteggiata con il pubblico ministero.

11. Nel frattempo Dell’Utri fece delle dichiarazioni a vari giornali nazionali.

12. Il 5 marzo 2002 il quotidiano Il Giornale pubblicò un’intervista con il titolo «Inchiesta sul giudice che ha condannato l’on. Dell’Utri». L’articolo conteneva il seguente passaggio: «Ritengo che questa mia vicenda sia l’ennesima dimostrazione dell’esistenza, nel nostro paese, di una parte della magistratura che usa il suo potere per colpire gli avversari politici».
Lo stesso giorno, in un articolo apparso nel Corriere della Sera, il deputato aveva dichiarato di avere subito un «giudizio speciale di matrice politica» e di essere stato vittima di un «un giudice militante, schierato in una formazione contrapposta alla mia».
Il 6 marzo 2002 il quotidiano Corriere della Sera pubblicò un’intervista in cui l’on. Dell’Utri affermava che la sentenza della Corte di cassazione nei suoi confronti era viziata da un «rifiuto doloso di rendermi giustizia. È la prova del complotto». Inoltre, il deputato aveva dichiarato: «la mia condanna è stata decisa da un giudice con un passato comunista che si è rifiutato di rispondere ad una mia domanda di giustizia».
Infine, il 15 marzo 2002 Dell’Utri dichiarò al Corriere della Sera che il ricorrente, «già parlamentare del partito comunista italiano, ha scritto una sentenza di condanna nei miei confronti, affermando falsamente di non aver letto nel mio ricorso la richiesta di indulto».

13. Ritenendo che le dichiarazioni di Dell’Utri avessero recato pregiudizio al suo onore e alla sua reputazione, il 31 maggio 2002 il ricorrente sporse querela nei suoi confronti per diffamazione aggravata a mezzo stampa.

14. Il 26 giugno 2003 il giudice dell’udienza preliminare («il GUP») presso il tribunale di Milano dispose il rinvio a giudizio di Dell’Utri relativamente alle dichiarazioni apparse il 5 marzo 2002 nei quotidiani Il Giornale e il Corriere della Sera. Il ricorrente si costituì parte civile nel procedimento dinanzi al tribunale di Milano.

15. In compenso, con sentenza resa lo stesso giorno, il GUP dichiarò un non luogo a procedere per quanto riguarda le dichiarazioni del 6 e 15 marzo 2002. Affermò che queste ultime non erano di natura diffamatoria e costituivano la manifestazione di un esercizio legittimo del diritto di critica da parte di Dell’Utri nei confronti del contesto politico-culturale in cui la sua condanna era stata decisa. Secondo il GUP, le affermazioni controverse rientravano nel dibattito politico attuale.

16. Il procuratore della Repubblica presentò ricorso dinanzi alla corte d’appello di Milano chiedendo il rinvio a giudizio di Dell’Utri. Il ricorrente si costituì parte civile nel procedimento.

17. Con delibera in data 15 ottobre 2003, il Senato approvò a maggioranza una proposta della Giunta (...) delle immunità parlamentari volta a dichiarare che i fatti di cui Dell’Utri era accusato erano coperti dall’immunità prevista dall’articolo 68 c. 1 della Costituzione.

18. Il tribunale di Milano e la corte d’appello di Milano sollevarono dinanzi alla Corte costituzionale dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, osservando che non sussisteva alcuna connessione tra i fatti di cui Dell’Utri era accusato nei due procedimenti rispettivi e l’esercizio delle sue funzioni parlamentari.

19. La Corte costituzionale dichiarò ammissibili le questioni sollevate dal tribunale e dalla Corte d’appello di Milano.

20. Il 7 e il 13 luglio 2005 la Corte costituzionale dichiarò i conflitti tra poteri dello Stato inammissibili in quanto tardivi, poiché erano stati presentati oltre il termine, previsto dalla legge, di venti giorni a decorrere dalla data della delibera parlamentare in contestazione.

21. Nell’ambito del primo procedimento, con sentenza in data 23 novembre 2005 il tribunale di Milano pronunciò un non luogo a procedere nei confronti di Dell’Utri «in applicazione dell’articolo 68 c. 1 della Costituzione». Con la stessa sentenza, il tribunale dichiarò manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’articolo 3 della legge n. 140 del 20 giugno 2003, sollevata nel frattempo dal ricorrente e dal pubblico ministero.
Tale procedura è tuttora pendente dinanzi alla corte d’appello di Milano.

22. Il 24 ottobre 2005, nell’ambito del secondo procedimento, il ricorrente sollevò la questione della costituzionalità dell’articolo 3 della legge n. 140 del 20 giugno 2003.

23. Con sentenza dell’11 gennaio 2006, depositata in cancelleria il 26 gennaio 2006, la corte d’appello di Milano dichiarò inammissibile la questione di costituzionalità del ricorrente e assolse Dell’Utri in quanto non responsabile per i reati a lui ascritti ai sensi dell’articolo 68 c. 1 della Costituzione.
La corte d’appello affermò che, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 140 del 2003, l’immunità prevista dall’articolo 68 c. 1 della Costituzione copriva anche le opinioni espresse da un deputato al di fuori dei lavori parlamentari, nella misura in cui esiste un legame con l’attività parlamentare.
Tale decisione non fu impugnata e passò in giudicato.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

24. Il diritto e la prassi interni pertinenti sono descritti nelle sentenze Cordova c. Italia (nn. 1 e 2) (rispettivamente, n. 40877/98, §§ 22-27, CEDU 2003-I, e n. 45649/99, §§ 26-31, CEDU 2003-I) e C.G.I.L. e Cofferati c. Italia (n. 46967/07, §§ 24-26, 24 febbraio 2009).

IN DIRITTO

I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

25. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il ricorrente lamenta una violazione del suo diritto di accesso a un tribunale nell’ambito del secondo procedimento. Nelle sue parti pertinenti, tale disposizione recita:
«1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

26. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

1. L’eccezione del Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne

27. Il Governo afferma che il ricorrente ha omesso di impugnare la sentenza resa dalla corte d’appello di Milano l’11 gennaio 2006. Il procedimento di cassazione avrebbe offerto una seconda occasione per sollevare – in maniera corretta – un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato dinanzi alla Corte costituzionale. Il Governo ne deduce che il ricorrente ha omesso di esaurire le vie di ricorso interne che gli venivano offerte dal diritto italiano.

28. Il Governo ricorda che, a differenza delle cause Cordova sopra citate, nella presente causa il giudice interno aveva ritenuto necessario sollevare un conflitto tra poteri dello Stato, che è stato dichiarato irricevibile solo a causa di un vizio di procedura. Di conseguenza, è molto probabile che la Corte di cassazione avrebbe anch’essa sollevato un tale conflitto prendendo cura di evitare lo stesso errore di procedura.
Infine, la giurisprudenza interna vieta di sollevare uno stesso conflitto nello stesso grado di giudizio, ma non in un grado successivo dello stesso procedimento.

29. Il ricorrente afferma che un ricorso per cassazione non avrebbe avuto alcuna possibilità di successo, poiché si sarebbe scontrato con la delibera parlamentare che accordava l’immunità a Dell’Utri. Peraltro, secondo la giurisprudenza interna pertinente, una sentenza della Corte costituzionale non può essere oggetto di alcun ricorso. Di conseguenza, non sarebbe stato possibile sollevare, dinanzi alla Corte di cassazione, un nuovo conflitto tra poteri dello Stato.

30. La Corte osserva che, secondo il Governo, il ricorrente avrebbe dovuto presentare ricorso per cassazione unicamente allo scopo di chiedere all’alta giurisdizione di sollevare un nuovo conflitto tra poteri dello Stato, nella speranza che essa considerasse necessario un tale approccio.

31. La Corte ha esaminato un’eccezione simile nella causa C.G.I.L. e Cofferati (già cit.). In tale occasione, essa ha affermato che obbligare i ricorrenti a riprendere un procedimento di primo grado per poi interporre appello avverso la sentenza, unicamente allo scopo di chiedere al giudice di secondo grado di sollevare un nuovo conflitto tra poteri dello Stato in presenza di una decisione negativa di un giudice supremo, equivaleva a imporre loro di ricorrere ad artifizi procedurali, le cui possibilità di successo sembravano inesistenti. Secondo la Corte, ciò è contrario all’uso «normale» dei ricorsi interni richiesto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione (ibidem, §§ 46-47; mutatis mutandis, Patrono, Cascini e Stefanelli c. Italia, n. 10180/04, § 42, 20 aprile 2006).

32. Poiché nessuna circostanza particolare permette di discostarsi da questa conclusione nel caso di specie, è opportuno rigettare l’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sollevata dal Governo.

2. Altri motivi di irricevibilità

33. La Corte constata che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte osserva peraltro che esso non incorre in nessun altro motivo di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

1. Argomenti delle parti

a) Il Governo

34. Il Governo afferma anzitutto che non vi è stata ingerenza nel diritto del ricorrente di avere accesso a un tribunale. In effetti, il GUP si era pronunciato sul merito della causa, il 26 giugno 2003, e aveva deciso di pronunciare un non luogo a procedere. Esso considera che il diritto di accesso alla giustizia non può estendersi fino a garantire a un individuo il diritto a che vari giudici si pronuncino sul merito delle sue allegazioni.

35. Secondo il Governo, anche a voler supporre che vi sia stata ingerenza in uno dei diritti sanciti dall’articolo 6, questa era prevista dalla legge e perseguiva gli scopi legittimi di garantire la separazione dei poteri dello Stato, l’indipendenza del potere legislativo, la libertà del dibattito parlamentare e la libera espressione dei rappresentanti del popolo. Inoltre, essa era proporzionata a tali scopi.

36. In quanto protagonisti del gioco politico, gli eletti del popolo devono godere di una maggior ampiezza nella libertà di espressione. In tal modo, un atto o una dichiarazione che non rientri nell’esercizio della funzione parlamentare propriamente detta, può comunque costituire un esercizio legittimo della libertà di espressione dell’eletto.

37. Del resto, l’immunità parlamentare entra in gioco solo se gli atti incriminati sono deplorevoli; se, invece, costituiscono una manifestazione legittima della libertà di espressione, l’immunità non ha alcun ruolo da svolgere. In quest’ultimo caso, non si può riconoscere a colui che si ritiene a torto diffamato un diritto di accesso a un tribunale per invocare dei diritti che non sono, in maniera difendibile, riconosciuti dalla legislazione interna. Peraltro, quando un deputato esercita, anche al di fuori del suo mandato parlamentare, la propria libertà di espressione in maniera legittima, la sua condanna violerebbe l’articolo 10 della Convenzione. Quest’ultima disposizione e la giurisprudenza che ne fa applicazione svolgono dunque un ruolo fondamentale nella valutazione di un’ingerenza nel diritto di accesso a un tribunale. Se non esiste alcun diritto sostanziale, o se la controversia non è idonea ad assicurarne direttamente la realizzazione, l’articolo 6 della Convenzione non si applica.

38. Perché venga accolta una azione in diffamazione, è necessario che le espressioni in contestazione siano intrinsecamente diffamatorie e che non costituiscano in alcun modo un esercizio legittimo del diritto alla libertà di espressione. Ora, nella fattispecie, per valutare le dichiarazioni di Dell’Utri del 6 e 15 marzo 2002, la Corte non può che tenere conto della decisione di non luogo del GUP, secondo la quale esse non erano in alcun modo diffamatorie.

b) Il ricorrente

39. Il ricorrente sostiene che la delibera del Senato del 15 ottobre 2003, che accorda l’immunità a Dell’Utri, ha comportato l’impossibilità di proseguire il suo ricorso per diffamazione relativamente alle affermazioni del 6 e 15 marzo 2002.

40. Il ricorrente ricorda che il suo ricorso verte sulla questione di stabilire se vi è stata ingerenza nel suo diritto di accesso a un tribunale e se tale ingerenza fosse proporzionata. La questione di stabilire se vi sia stato un giusto equilibrio tra la libertà di espressione di un parlamentare e la tutela del diritto all’onore delle persone che si ritengono da lui offese potrebbe porsi unicamente se vi fosse stata une decisione sul merito dell’azione per diffamazione. Il ricorrente non ha avuto l’opportunità di convincere i giudici d’appello che le dichiarazioni di Dell’Utri oltrepassavano i limiti di una critica legittima e si traducevano in offese gratuite.

41. Peraltro, il ricorrente contesta l’argomentazione del Governo secondo cui Dell’Utri godrebbe di un margine più ampio nella sua libertà di espressione per il solo fatto di essere un politico. Bisognerebbe dimostrare anche che le affermazioni in contestazione hanno un rapporto funzionale con l’esercizio del mandato parlamentare. Ora, le dichiarazioni in questione non hanno un legame con l’attività parlamentare di Dell’Utri e non rientrano in un dibattito politico generale.

2. Valutazione della Corte

42. La Corte osserva che, con la delibera del 15 ottobre 2003, il Senato ha dichiarato che le affermazioni di Dell’Utri messe in discussione dal ricorrente, erano coperte dall’immunità sancita dall’articolo 68 c. 1 della Costituzione, il che impediva di continuare qualsiasi procedimento penale o civile volto ad accertare la responsabilità del senatore in questione e a ottenere riparazione per i danni subiti.

43. Se è vero che il GUP si era pronunciato in via preliminare sulla causa e aveva deciso che non era opportuno rinviare a giudizio Dell’Utri per le affermazioni fatte il 6 e 15 marzo 2002, si deve necessariamente constatare che il procuratore della Repubblica aveva interposto appello avverso tale decisione dinanzi alla corte d’appello, chiedendo il rinvio a giudizio e la condanna dell’imputato, e che il ricorrente si era costituito parte civile nel procedimento (paragrafo 16 supra).

44. La Corte ricorda che, secondo una giurisprudenza costante, l’articolo 6 § 1 non obbliga gli Stati a creare delle corti d’appello o di cassazione. Tuttavia, quando esistono delle giurisdizioni di questo tipo, le garanzie previste dall’articolo 6 devono essere rispettate, in particolare assicurando un accesso effettivo ai tribunali in modo che i richiedenti ottengano una decisione relativa ai loro «diritti e doveri di natura civile» e le persone perseguite sulla fondatezza delle accuse in materia penale mosse nei loro confronti (v., mutatis mutandis, Delcourt c. Belgio, sentenza del 17 gennaio 1970, § 25, serie A n. 11, e Sommerfeld c. Germania, n. 31871/96, § 64, 11 ottobre 2001).

45. Nella presente causa, a seguito delle delibere del Senato del 15 ottobre 2003, Dell’Utri è stato assolto dalla corte d’appello e il ricorrente, che si era costituito parte civile, è stato privato della possibilità di ottenere una qualsiasi forma di riparazione per il danno addotto.

46. In queste condizioni, la Corte considera che il ricorrente ha subito un’ingerenza nel suo diritto di accesso a un tribunale (si vedano, mutatis mutandis, Cordova (nn. 1 e 2), già cit., rispettivamente §§ 52-53 e §§ 53-54; De Jorio c. Italia, n. 73936/01, §§ 45-47, 3 giugno 2004; Patrono, Cascini e Stefanelli c. Italia, già cit., §§ 55-58; C.G.I.L. e Cofferati c. Italia, già cit., § 67).

47. La Corte ricorda poi che questo diritto non è assoluto, ma può dare luogo a delle limitazioni implicitamente ammesse. Tuttavia, tali restrizioni non possono limitare l’accesso aperto all’individuo in modo tale o a tal punto che il diritto ne venga compromesso nella sua stessa sostanza. Inoltre, esse si conciliano con l’articolo 6 § 1 solo se perseguono uno scopo legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (v. Kart c. Turchia [GC], n. 8917/05, §§ 79-80, 3 dicembre 2009).

48. La Corte ha già affermato che il fatto, per gli Stati, di accordare un’immunità più o meno ampia ai membri del Parlamento costituisce una pratica di lunga data, che mira a permettere la libera espressione dei rappresentanti del popolo e ad impedire che dei procedimenti di parte possano pregiudicare la funzione parlamentare. In queste condizioni, la Corte ritiene che nella presente causa l’ingerenza in questione, che era prevista dall’articolo 68 c. 1 della Costituzione, perseguiva degli scopi legittimi, ossia la tutela del libero dibattito parlamentare e il mantenimento della separazione dei poteri legislativo e giudiziario (C.G.I.L. e Cofferati c. Italia, già cit., § 69).

49. Quanto alla proporzionalità delle ingerenze in materia di immunità parlamentare, la Corte rinvia anzitutto alla giurisprudenza prodotta nelle cause Cordova c. Italia (Cordova (nn. 1 e 2), già cit., rispettivamente §§ 57-61 e §§ 58-62).

50. Nella fattispecie, la Corte osserva che, pronunciate nell’ambito di interviste con la stampa, e quindi fuori da una camera legislativa, le dichiarazioni controverse di Dell’Utri non erano legate all’esercizio di funzioni parlamentari. Il Governo, del resto, non le contesta, limitandosi ad affermare il carattere non diffamatorio delle dichiarazioni in questione e sostenendo la grande ampiezza nella libertà di espressione degli eletti dal popolo.

51. La Corte osserva che i commenti del senatore del 6 e 15 marzo 2002 riguardavano il modo in cui il ricorrente aveva esercitato la sua attività giudiziaria e mettevano in dubbio le qualità di imparzialità e di obiettività proprie della funzione di magistrato, a causa delle sue convinzioni politiche. In questo modo, Dell’Utri non ha espresso delle opinioni di natura politica per quanto riguarda i rapporti tra la magistratura e il potere esecutivo, ma ha attribuito dei comportamenti precisi e colpevoli al ricorrente (mutatis mutandis, Patrono, Cascini e Stefanelli già cit., § 62). In un caso come questo, non si può giustificare un diniego di accesso alla giustizia per il solo motivo che la controversia potrebbe essere di natura politica o legata ad un’attività politica (v., mutatis mutandis, Cordova (n. 2) già cit., § 63, e De Jorio già cit., § 53).

52. Secondo la Corte, l’assenza di un legame evidente con un’attività parlamentare richiede una interpretazione stretta della nozione di proporzionalità tra lo scopo perseguito e i mezzi utilizzati. Ciò vale particolarmente quando le restrizioni al diritto di accesso derivano da una deliberazione di un organo politico. Concludere diversamente equivarrebbe a restringere in maniera incompatibile con l’articolo 6 § 1 della Convenzione il diritto di accesso a un tribunale dei privati ogni volta che le affermazioni oggetto di critica sono state fatte da un membro del Parlamento (Cordova (nn. 1 e 2) già cit., rispettivamente § 63 e § 64, e De Jorio già cit., § 54).

53. La Corte ritiene che, nella fattispecie, l’assoluzione di Dell’Utri, avendo impedito al ricorrente di avere accesso a un tribunale, non ha rispettato il giusto equilibrio che deve regnare in materia tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo.

54. La Corte attribuisce anche importanza al fatto che, dopo la delibera del Senato in data 15 ottobre 2003 e la sentenza di assoluzione, il ricorrente non disponeva di altre vie ragionevoli per tutelare efficacemente i suoi diritti sanciti dalla Convenzione (si veda, a contrario, Waite e Kennedy già cit., §§ 68-70, e A. c. Regno Unito già cit., § 86).

55. A tale riguardo, la Corte ricorda che, nelle cause Cordova e De Jorio, aveva osservato che la giurisprudenza della Corte costituzionale aveva conosciuto una certa evoluzione e che l’alta giurisdizione italiana considerava ormai illegittimo che l’immunità fosse estesa ad affermazioni non in rapporto sostanziale con precedenti atti parlamentari di cui il rappresentante interessato potrebbe sembrare volersi fare portavoce (Cordova (nn. 1 e 2) già cit., rispettivamente § 65 e § 66, e De Jorio già cit., § 56). Rimane comunque il fatto che, nella presente causa, la corte d’appello ha ritenuto che delle affermazioni fatte fuori dalle camere legislative e non strettamente legate a un precedente atto parlamentare rientravano nell’esercizio di «funzioni parlamentari» ed erano coperte dall’articolo 68 c. 1 della Costituzione.

56. Non spetta alla Corte – come sottolinea giustamente il Governo – esaminare l’esattezza di tale interpretazione del diritto interno. In effetti, è in primo luogo alle autorità nazionali, e in particolare alle corti e ai tribunali, che spetta l’interpretazione della legislazione interna (Edificaciones March Gallego S.A. c. Spagna, sentenza del 19 febbraio 1998, § 33, Recueil 1998-I, e Pérez de Rada Cavanilles c. Spagna, sentenza del 28 ottobre 1998, § 43, Recueil 1998-VIII). In compenso, il ruolo della Corte è quello di verificare la compatibilità con la Convenzione degli effetti di tale interpretazione (Cordova (n. 1) già cit., § 57, Kaufmann c. Italia, n. 14021/02, § 33, 19 maggio 2005, e Ielo c. Italia, n. 23053/02, § 55, 6 dicembre 2005). Senza esaminare in abstracto la legislazione e la pratica pertinenti, essa deve cercare di stabilire se il modo in cui queste hanno interessato i ricorrenti ha violato la Convenzione (v., mutatis mutandis, Padovani c. Italia, sentenza del 26 febbraio 1993, § 24, serie A n. 257-B). Ora, come la Corte ha appena constatato (paragrafo 53 supra), l’ostacolo al diritto di accesso alla giustizia del ricorrente non è stato, nella fattispecie, proporzionato agli scopi legittimi perseguiti.

57. Alla luce d i quanto sopra esposto, la Corte conclude che vi è stata violazione del diritto di accesso a un tribunale garantito al ricorrente dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.

II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

58. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

59. Il ricorrente chiede la somma di 50.000 euro (EUR) per i danni materiale e morale che avrebbe subito. Per il danno materiale, chiede il rimborso delle spese sostenute dinanzi ai giudici nazionali. Quanto al danno morale, ricorda che le dichiarazioni in contestazione gli hanno attribuito dei comportamenti illeciti, il che avrebbe recato grave pregiudizio al suo onore e alla sua reputazione di magistrato.
Infine, chiede l’introduzione, nell’ordinamento italiano, di un rimedio giudiziario che possa riparare la diffamazione che avrebbe subito.

60. Il Governo si oppone alle pretese del ricorrente.

61. Per quanto riguarda le misure generali richieste dal ricorrente, è in primo luogo lo Stato in causa, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, a scegliere i mezzi da attuare nel proprio ordinamento giuridico interno per adempiere all’obbligo ad esso derivante dall’articolo 46 della Convenzione (si veda, tra le altre, Öcalan c. Turchia [GC], n. 46221/99, § 210, CEDU 2005-IV).

62. La Corte ritiene poi che si debba considerare la domanda relativa al danno materiale come una richiesta di rimborso di spese giudiziarie. Pertanto, non può essere accordata alcuna somma per il danno materiale. La domanda in questione sarà presa in considerazione nella sua parte relativa alle spese (paragrafi 63-65 infra).
La Corte ritiene in compenso che l’interessato abbia subito un torto morale certo. Considerate le circostanze della causa e deliberando equamente come indicato nell’articolo 41 della Convenzione, decide di accordare al ricorrente la somma di 8.000 EUR.

B. Spese

63. Il ricorrente quantifica le spese sostenute dinanzi ai giudici nazionali in 15.000 EUR. Egli chiede anche il rimborso delle spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte, che quantifica in 18.555 EUR.

64. Il Governo considera che le spese relative ai procedimenti interni non sono dovute al ricorrente, in quanto non legate alla violazione addotta. Inoltre, ritiene eccessive le spese relative al procedimento dinanzi alla Corte.

65. La Corte osserva che il ricorrente, prima di rivolgersi ad essa, si è costituito parte civile nel procedimento penale ed ha sollevato la questione della legittimità dell’immunità parlamentare dinanzi ai giudici interni competenti, esaurendo le vie di ricorso che gli erano offerte nel penale. La Corte accetta di conseguenza che l’interessato ha sostenuto delle spese per far correggere la violazione della Convenzione sia nell’ordinamento giuridico interno che a livello europeo (v. De Jorio, già cit., § 67). Essa ritiene tuttavia eccessive le spese totali rivendicate a questo titolo. La Corte considera pertanto che sia opportuno rimborsare solo una parte delle spese sostenute dal ricorrente dinanzi ad essa e dinanzi ai giudici nazionali (si veda, mutatis mutandis, Sakkopoulos c. Grecia, n. 61828/00, § 59, 15 gennaio 2004). Tenuto conto degli elementi in suo possesso e della sua pratica in materia, e deliberando equamente, essa considera ragionevole accordargli la somma totale di 8.000 EUR.

C. Interessi moratori

66. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

  1. Dichiara, all’unanimità, il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara, con sei voti contro uno, che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  3. Dichiara, con sei coti contro uno,
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione,
      1. 8.000 EUR (ottomila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      2. 8.000 EUR (ottomila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dal ricorrente, per le spese;
    2. che a decorrere dallo scadere di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta, all’unanimità, la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 24 maggio 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Stanley Naismith
Cancelliere

Françoise Tulkens
Presidente

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione separata del giudice Karakaş.

F.T.
S.H.N.

OPINIONE DIVERGENTE DEL GIUDICE KARAKAŞ

Non condivido il parere della maggioranza secondo cui vi è stata, nel caso di specie, violazione dell’articolo 6 della Convenzione.
L’immunità riconosciuta ai membri del Parlamento per i voti e le opinioni da loro espressi ha lo scopo di assicurare agli interessati, nell’esercizio delle loro funzioni, la più ampia libertà di espressione affinché essi possano discutere liberamente di ogni questione riguardante la vita pubblica, senza dover temere persecuzioni o eventuali conseguenze giudiziarie. Dall’entrata in vigore della legge n. 140 del 2003, applicabile nel caso di specie, l’immunità prevista dall’articolo 68 c. 1 della Costituzione italiana copre anche le opinioni espresse da un deputato fuori dai lavori parlamentari.

La Corte ha già riconosciuto che il fatto, per gli Stati, di accordare in generale un’immunità più o meno ampia ai Parlamentari costituisce una pratica di lunga data, che persegue gli scopi legittimi costituiti dalla tutela della libertà di espressione in Parlamento e il mantenimento della separazione dei poteri legislativo e giudiziario (A. c. Regno Unito, n. 35373/97, §§ 75 78, CEDU 2002-X, 17 dicembre 2002, Cordova c. Italia (n. 1), n. 40877/98, § 55, CEDU 2003-I, 30 gennaio 2003, Cordova c. Italia (n. 2), n. 45649/99, § 56, CEDU 2003-I, 30 gennaio 2003, e De Jorio c. Italia, n. 73936/01, § 49, 3 giugno 2004).
Le forme diverse che può assumere l’immunità parlamentare possono infatti servire alla tutela di una democrazia politica effettiva, pietra angolare del sistema della Convenzione, in particolare nella misura in cui esse mirano a tutelare l’autonomia legislativa e l’opposizione parlamentare (Kart c. Turchia, 8917/05, 3 dicembre 2009, § 81).

Nella fattispecie, si deve anzitutto sottolineare che il Tribunale di Milano ha assolto Dell’Utri in applicazione dell’articolo 68 della Costituzione e dell’articolo 3 della legge n. 140/2003. Il ricorrente ha presentato ricorso per cassazione, e il suo ricorso è stato tramutato in appello. Il procedimento è ancora pendente.
Per quanto riguarda le dichiarazioni del 6 e 16 marzo 2002, il GUP ha pronunciato un non luogo a procedere in quanto esse non erano di natura diffamatoria e costituivano una forma legittima di esercizio del diritto di critica di Dell’Utri visto il contesto politico e culturale in cui la sua condanna era stata pronunciata. Secondo il GUP, le affermazioni in contestazione rientravano in un dibattito politico di attualità (§ 15 della sentenza).

La differenza tra questa causa e le cause italiane precedenti in materia di immunità parlamentare in cui la Corte ha constatato la violazione dell’articolo 6 (ad esempio Cordova (n. 2)) emerge chiaramente dalla sentenza del GUP. Qui le dichiarazioni non sembrano «inserirsi nell’ambito di una disputa tra privati» (De Jorio § 53) e, ad ogni modo, a mio parere si doveva evitare una concezione troppo ampia della nozione di «disputa tra privati» con riguardo alla tutela offerta dall’articolo 10 della Convenzione.
Nella fattispecie, la maggioranza conclude che le dichiarazioni di Dell’Utri in questione sono state pronunciate nell’ambito di interviste con la stampa, e quindi al di fuori di una camera legislativa, e che non erano legate all’esercizio di funzioni parlamentari (§ 50). Questa conclusione, che non tiene per niente conto della grande libertà degli eletti dal popolo in materia di libertà di espressione, è ben più rigida (e retrograda) della legislazione nazionale, che estende l’immunità alle opinioni espresse da un eletto del popolo fuori dalle camere legislative.

La maggioranza ha considerato che Dell’Utri non aveva espresso opinioni di natura politica per quanto riguarda i rapporti tra la magistratura e il potere esecutivo, ed ha attribuito dei comportamenti precisi e colpevoli al ricorrente (§ 51). È difficile comprendere come la maggioranza abbia potuto constatare che le dichiarazioni contenevano delle imputazioni colpevoli quando invece non esisteva alcuna sentenza di un tribunale interno in tal senso.

È chiaro che le corti e i tribunali interni si trovano in una posizione che permette di valutare meglio il contesto politico e sociale interno con riguardo alle dichiarazioni in questione. In merito a questo punto, la sentenza di non luogo a procedere con cui il GUP ha constatato che le dichiarazioni in contestazione non erano costitutive del reato di diffamazione ma rientravano nei limiti della critica legittima e dell’esercizio della libertà di espressione, rispondeva chiaramente alle argomentazioni del ricorrente, anche se tale decisione è stata appellata dal pubblico ministero e, in definitiva, la corte d’appello ha applicato l’articolo 68 del la Costituzione e l’articolo 3 della legge n. 140/2003.
Dato che il diritto di accesso a un tribunale, riconosciuto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, non è assoluto e si presta a limitazioni implicitamente ammesse, esso non poteva garantire al ricorrente il diritto di ottenere che varie giurisdizioni deliberino sul merito nella stessa causa. Inoltre, non si deve perdere di vista che gli Stati contraenti godono in materia di un certo margine discrezionale.
Nel caso di specie, per valutare la proporzionalità dell’ingerenza nel diritto di accesso a un tribunale (in materia di diffamazione), la Corte avrebbe dovuto tenere conto di tutti gli elementi pertinenti della causa e non ignorarli limitandosi all’esame formale del legame esistente tra le dichiarazioni in questione e l’esercizio della funzione parlamentare stricto sensu.
Nelle circostanze del caso di specie, la restrizione del diritto di accesso a un tribunale era proporzionata e non violava il giusto equilibrio richiesto.