Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 18 gennaio 2011 - Ricorso n.126/05 - Scoppola c. Italia (n.3)

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall'esperto linguistico C1 Dott.ssa Rita Pucci

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA SCOPPOLA c. Italia (n. 3)
(Ricorso n. 126/05)
SENTENZA
STRASBURGO - 18 gennaio 2011

La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni stabilite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire variazioni di forma.
Nella causa Scoppola c. Italia (n. 3),
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), costituita in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nona Tsotsoria, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 14 dicembre 2010,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDIMENTO

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 126/05) nei confronti della Repubblica italiana con cui un cittadino di quello Stato, il sig. F. Scoppola («il ricorrente»), ha adito la Corte il 16 dicembre 2004 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali («la Convenzione»).
2. Il ricorrente è rappresentato dall’Avv. N. Paoletti, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato successivamente dagli Agenti I.M. Braguglia, R. Adam e E. Spatafora e dai Co-Agenti V. Esposito e F. Crisafulli, nonché dai Co-Agenti aggiunti, N. Lettieri e P. Accardo.
3. Il ricorrente sosteneva che la perdita del diritto di elettorato conseguente alla sua condanna all’ergastolo era contraria all’articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.
4. Con decisione del 24 marzo 2009, la Corte ha dichiarato ricevibile il ricorso.
5. Entrambi il ricorrente e il Governo hanno depositato osservazioni scritte sul merito della causa (articolo 59 § 1 del regolamento).

IN FATTO


I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO

6. Il ricorrente è nato nel 1940 e risiede a Parma.

A. Il procedimento penale a cui è stato sottoposto il ricorrente


7. Il 2 settembre 1999, al termine di una lite con i due figli, il ricorrente uccise la moglie e ferì uno dei figli. Fu arrestato l’indomani.
8. Al termine dell’inchiesta, la procura di Roma chiese il rinvio a giudizio del ricorrente per omicidio, tentato omicidio, maltrattamenti in famiglia e detenzione abusiva di arma da fuoco.
9. Il 24 novembre 2000, nell’ambito di un giudizio abbreviato di cui il ricorrente aveva richiesto l’applicazione, il giudice dell’udienza preliminare (di seguito «il GUP») di Roma giudicò colpevole il ricorrente e lo condannò a trenta anni di reclusione.
10. La sentenza fu impugnata dalla procura generale presso la corte d’appello di Roma e dal ricorrente. Con sentenza del 10 gennaio 2002, la corte d’assise d’appello di Roma condannò il ricorrente all’ergastolo.
11. In seguito al ricorso per cassazione proposto dal ricorrente, la sentenza della corte d’assise fu confermata da una sentenza della Corte di cassazione depositata il 20 gennaio 2003.
12. La condanna all’ergastolo del ricorrente importò la sua interdizione perpetua dai pubblici uffici, ai sensi dell’articolo 29 del codice penale. A sua volta, l’interdizione dai pubblici uffici comportò la decadenza perpetua del ricorrente dal diritto di elettorato, conformemente all’articolo 2 del decreto del presidente della Repubblica n. 223 del 20 marzo 1967 (di seguito, «D.P.R. 223/1967»).
13. La perdita del diritto di elettorato del ricorrente non fu menzionata nelle sentenze con le quali egli fu condannato all’ergastolo (vale a dire quella della corte d’assise d’appello di Roma del 10 gennaio 2002 e quella della Corte di cassazione depositata il 20 gennaio 2003).

B. I ricorsi presentati dal ricorrente in materia di diritti elettorali


14. In applicazione dell’articolo 32 del D.P.R. 223/1967, il 2 aprile 2003, la commissione elettorale del comune di Roma cancellò il nome del ricorrente dalle liste elettorali.
15. Il 30 giugno 2004, il ricorrente presentò un ricorso dinanzi alla Commissione elettorale circondariale di Roma. Facendo riferimento, tra l’altro, alla sentenza Hirst c. Regno Unito (n. 2) [GC] (n. 74025/01, CEDU 2005-IX), egli lamentò l’incompatibilità della privazione del diritto di elettorato da lui subita con l’articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.
16. Con decisione del 7 luglio 2004, la commissione rigettò la domanda del ricorrente ritenendo che «le motivazioni da questi esposte non rientrassero nel suo ambito di competenza».
17. Il 16 luglio 2004, il ricorrente presentò ricorso dinanzi alla corte d’appello di Roma. Osservò che l’automaticità della cancellazione del suo nome dalle liste elettorali in conseguenza della condanna all’ergastolo e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici pronunciata nei suoi confronti non era compatibile con il suo diritto di voto, come sancito dall’articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.
18. Con sentenza depositata il 29 novembre 2004, la corte d’appello rigettò la domanda. Essa osservò che, a differenza della situazione rappresentata nella causa Hirst, in cui la privazione del diritto elettorale si applicava a chiunque fosse stato condannato alla pena della reclusione, a prescindere dagli interessi concorrenti e dalla proporzionalità della perdita del diritto subita dai detenuti condannati, nel diritto italiano la misura controversa si applica solo per i delitti puniti in modo particolarmente severo, segnatamente, con l’ergastolo. A parere della corte, nel caso di specie, veniva quindi meno l’automaticità dell’applicazione della perdita del diritto elettorale a qualsiasi pena di reclusione.
19. Il ricorrente propose allora ricorso per cassazione adducendo, tra l’altro, che la privazione del diritto di elettorato era una conseguenza della condanna alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici (la quale deriva a sua volta dalla pena principale inflitta). Secondo lui, la privazione controversa non si riferiva quindi al delitto commesso e l’autorità giudiziaria non aveva alcun potere di decidere sull’applicazione di tale misura.
20. Con sentenza depositata il 17 gennaio 2006, la Corte di cassazione rigettò il ricorso del ricorrente. Essa rammentò innanzitutto la sentenza Hirst c. Regno Unito (n. 2) [GC] (n. 74025/01, § 77, CEDU 2005 IX), pronunciata dalla Grande Camera della Corte, nella parte in cui la Grande Camera ha ritenuto che la privazione del diritto elettorale nel Regno Unito «riguardi (...) una gran parte delle persone incarcerate e tutti i tipi di pene detentive, da quelle di un giorno a quella dell’ergastolo, e reati che vanno da atti relativamente secondari agli atti più gravi.». Essa rilevò poi che, ai sensi dell’articolo 29 del codice penale, la privazione del diritto di elettorato si applica, nel diritto italiano, solo nei casi di condanna alla pena della reclusione per un tempo non inferiore a tre anni. Nelle ipotesi di condanna alla pena della reclusione per un tempo inferiore a cinque anni, la privazione del diritto di elettorato è prevista solo per la durata di cinque anni. La privazione perpetua del diritto di elettorato è infatti prevista solo nei casi di condanna alla pena della reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni o all’ergastolo.

C. L’aggiornamento dei fatti della causa in seguito alla sentenza Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], n. 10249/03, CEDU 2009 ...) pronunciata dalla Grande Camera della Corte


21. Il 24 marzo 2003, il ricorrente presentò ricorso dinanzi alla Corte adducendo in particolare che la sua condanna all’ergastolo aveva violato gli articoli 6 e 7 della Convenzione.
22. Con sentenza del 17 settembre 2009, la Grande Camera della Corte concluse per la violazione di tali articoli.
23. Deliberando sull’articolo 46 della Convenzione, la Grande Camera indicò nel paragrafo 154: «Tenuto conto delle circostanze particolari della causa e dell’urgente necessità di porre fine alla violazione degli articoli 6 e 7 della Convenzione, la Corte ritiene quindi che spetti allo Stato convenuto garantire che la pena dell’ergastolo inflitta al ricorrente sia sostituita con una pena conforme ai principi enunciati nella presente sentenza, vale a dire una pena non superiore a trenta anni.»
24. Di conseguenza, con sentenza depositata il 28 aprile 2010, la Corte di cassazione revocò la sua sentenza depositata il 20 gennaio 2003, annullò la sentenza della corte d’assise d’appello di Roma del 10 gennaio 2002 (unicamente riguardo alla pena applicabile nel caso di specie) e fissò in trenta anni di reclusione la pena inflitta al ricorrente.

II. IL DIRITTO INTERNO ED I TESTI INTERNAZIONALI PERTINENTI

25. Il D.P.R. 223/1967 («Approvazione del testo unico delle leggi per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali») dispone così nelle parti pertinenti:

Articolo 2
« 1.Non sono elettori: (...)
d) i condannati a pena che importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici (...);
e) coloro i quali sono sottoposti all’interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo della sua durata.
2. Le sentenze penali producono la perdita del diritto elettorale solo quando sono passate in giudicato.»

Articolo 32

«Alle liste elettorali (…) non possono apportarsi (…) variazioni se non in conseguenza:
3) della perdita del diritto elettorale, che risulti da sentenza o da altro provvedimento dell’autorità giudiziaria. (...)
Avverso le deliberazioni di variazione delle liste elettorali è ammesso ricorso alla commissione elettorale mandamentale nel termine di dieci giorni. La commissione decide nel termine di quindici giorni (...)»

Articolo 42

«Contro le decisioni della commissione elettorale (...) qualsiasi cittadino può proporre impugnativa davanti alla Corte d’appello.»

26. Gli articoli pertinenti del codice penale recitano:

Articolo 28 (Interdizione dai pubblici uffici)

«L’interdizione dai pubblici uffici è perpetua o temporanea.
L’interdizione perpetua dai pubblici uffici, salvo che dalla legge sia altrimenti disposto, priva il condannato:
1) del diritto di elettorato o di eleggibilità in qualsiasi comizio elettorale, e di ogni altro diritto politico (...)»

Articolo 29 (Casi nei quali alla condanna consegue l’interdizione dai pubblici uffici)

«La condanna all’ergastolo e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni importano l’interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici; la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni importa l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. (...)»

27. Per quanto riguarda i testi internazionali pertinenti, la Corte rinvia ai paragrafi 26-39 della sentenza Hirst c. Regno Unito (n. 2) [GC], succitata.

IN DIRITTO


I. SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CONVENZIONE


28. Invocando l’articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, il ricorrente lamenta di essere stato privato del diritto di elettorato in conseguenza della sua condanna all’ergastolo. L’articolo recita:
«Le Alte Parti contraenti si impegnano ad indire, a intervalli regolari, libere elezioni a scrutinio segreto, in condizioni che assicurino la libera manifestazione dell’opinione pubblica sulla scelta del corpo legislativo.»

A. Le argomentazioni delle parti


1. Il Governo

29. Preliminarmente, il Governo rappresenta che, nell’ordinamento giuridico italiano, l’interdizione dai pubblici uffici è una pena accessoria prevista per una serie di delitti, specificamente indicati dalla legge, che comportano «un atteggiamento di rottura del contratto sociale da parte dell’autore » (quali i delitti di peculato, malversazione, concussione, favoreggiamento dell’evasione, aggiotaggio, alcuni delitti contro l’amministrazione della giustizia e alcuni delitti commessi con abuso di poteri e con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione) nonché per qualsiasi delitto o crimine che importi una pena privativa della libertà. In quest’ultimo caso, l’interdizione dai pubblici uffici è temporanea (se la pena ha una durata superiore a tre anni) o perpetua (in caso di pena di durata superiore a cinque anni e in caso di ergastolo).
30. Il Governo osserva poi che l’ergastolo è previsto solo nei casi dei delitti più gravi e sostiene che, al momento della determinazione della pena, il giudice del merito fissa una pena base applicando poi le riduzioni o gli aumenti eventualmente derivanti dalle circostanze attenuanti o aggravanti. Il Governo convenuto rileva anche che l’esecuzione di una pena raramente si protrae fino al termine del periodo originariamente fissato dal giudice del merito: può accadere che il condannato ottenga la liberazione condizionale e che, alla scadenza del periodo dato, vi sia estinzione della pena, in seguito alla quale può essere ottenuta la riabilitazione e, con essa, il venire meno di tutte le pene accessorie.
31. Secondo il Governo, contrariamente al sistema giuridico oggetto della valutazione della Grande Camera nella causa Hirst c. Regno Unito (n. 2) [GC] (succitata), nell’ordinamento giuridico italiano nessuna perdita automatica e generalizzata del diritto di elettorato colpisce chiunque sia incarcerato in conseguenza di una condanna: la disciplina della materia è sfumata e solo i reati più gravi, puniti più duramente, implicano la perdita del diritto di elettorato.
32. Stando al Governo, lo scopo perseguito da questa misura, vale a dire la punizione e la dissuasione, non può che essere considerato legittimo e la misura controversa, prevista per una serie di delitti ben precisi, caratterizzati da un certo livello di gravità, è proporzionata a tali obiettivi.
33. Il governo convenuto rammenta infine che, nella causa M.D.U. c. Italia (dec., n. 58540/00, 28 gennaio 2003), la Corte ha ritenuto che il motivo di ricorso del ricorrente, privato del diritto di elettorato in conseguenza della sua condanna con sentenza penale, fosse manifestamente infondato.

2. Il ricorrente

34. Il ricorrente osserva innanzitutto che, nel diritto italiano, la perdita del diritto di elettorato si applica automaticamente ad ogni condannato a pena superiore a tre anni, indipendentemente dal delitto commesso e da qualsiasi valutazione del giudice del merito sull’opportunità di una tale misura.
35. Osserva poi che la perdita del diritto di elettorato consegue automaticamente dall’interdizione dai pubblici uffici (la quale, a sua volta, deriva automaticamente dall’applicazione della pena principale).
36. Il ricorrente sostiene anche che la misura controversa non è stata menzionata nelle sentenze interne di condanna.

B. La valutazione della Corte


1. Principi generali

37. La Corte osserva che i diritti sanciti dall’articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione sono decisivi per porre e mantenere le basi di una vera democrazia retta dallo stato di diritto (Hirst c. Regno Unito (n. 2) [GC], succitata, § 58).
38. Essa rammenta anche che il diritto di elettorato non costituisce un privilegio e il suffragio universale è ormai il principio di riferimento (Mathieu-Mohin e Clerfayt c. Belgio, sentenza del 2 marzo 1987, §§ 51, serie A n. 113, che cita X c. Germania, n. 2728/66, decisione della Commissione del 6 ottobre 1967, Annuario della Convenzione, vol. 10, p. 339).
39. Tuttavia, i diritti sanciti dall’articolo 3 del Protocollo n. 1 non sono assoluti: vi è spazio per implicite limitazioni e gli Stati contraenti devono poter godere di un margine di apprezzamento in materia. La Corte ha affermato in più occasioni che il margine di apprezzamento in questo campo è ampio (Mathieu-Mohin e Clerfayt, succitata, § 52, Matthews c. Regno Unito [GC], n. 24833/94, § 63, CEDU 1999-I, Labita c. Italia [GC], n. 26772/95, § 201, CEDU 2000-IV, e Podkolzina c. Lettonia, n. 46726/99, § 33, CEDU 2002-II). Esistono molti modi di organizzare e far funzionare i sistemi elettorali e una serie di differenze all’interno dell’Europa, in particolare nell’evoluzione storica, nella diversità culturale e nel pensiero politico. Spetta ad ogni Stato contraente incorporarli nella propria visione della democrazia (Hirst c. Regno Unito (n. 2) [GC], succitata, § 61).
40. E’ tuttavia compito della Corte deliberare in ultimo grado sull’osservanza delle esigenze dell’articolo 3 del Protocollo n. 1; essa deve accertarsi che le limitazioni non riducano i diritti in questione al punto di lederli nella loro stessa sostanza e di privarli della loro effettività, che esse perseguano uno scopo legittimo e che i mezzi utilizzati non siano sproporzionati (Mathieu-Mohin e Clerfayt, § 52). In particolare, nessuna delle condizioni eventualmente imposte deve ostacolare la libera espressione del popolo sulla scelta del corpo legislativo – in altre parole, esse devono riflettere, o non contrastare, la preoccupazione di mantenere l’integrità e l’effettività di una procedura elettorale volta a determinare la volontà del popolo attraverso il suffragio elettorale (Hirst c. Regno Unito (n. 2) [GC], succitata, § 62).
41. Per quanto riguarda il diritto di elettorato dei detenuti, la Corte ricorda che, a suo giudizio, la legislazione del Regno Unito, la quale prevede la restrizione del diritto elettorale per qualsiasi detenuto durante la detenzione, è «uno strumento senza sfumature, che priva del diritto elettorale, sancito dalla Convenzione, un gran numero di individui, e lo fa in modo indifferenziato. Tale disposizione infligge una restrizione globale a tutti i detenuti condannati che scontano la pena e si applica loro automaticamente, indipendentemente dalla durata della pena e dalla natura o gravità del reato da essi commesso e dalla loro situazione personale. E’ giocoforza ritenere che una simile restrizione generale, automatica ed indifferenziata ad un diritto sancito dalla Convenzione e di fondamentale importanza vada ben oltre un margine di apprezzamento accettabile, per quanto ampio, e sia incompatibile con l’articolo 3 del Protocollo n. 1» (Hirst c. Regno Unito (n. 2) [GC], succitata, § 82).
42. Nella stessa sentenza, la Corte ha osservato che «(...) quando pronunciano una condanna, gli organi giudiziari penali dell’Inghilterra e del Galles non menzionano affatto la privazione del diritto elettorale; inoltre, non sembra esistere un legame diretto tra gli atti commessi da un individuo e la perdita del diritto elettorale da questi subita, se si eccettua il fatto che un tribunale ha ritenuto di dovere irrogare una pena privativa della libertà» (Hirst c. Regno Unito (n. 2) [GC], succitata, § 77).
43. La Corte rammenta infine di avere ritenuto nella sua recente giurisprudenza che, in applicazione dei criteri stabiliti nella causa Hirst c. Regno Unito (n. 2) ([GC], succitata), è essenziale che la decisione relativa alla privazione del diritto di elettorato sia adottata da un giudice e debitamente motivata. In particolare, tale decisione deve spiegare i motivi che rendono necessaria, alla luce delle circostanze particolari di ogni causa, la privazione controversa (Frodl c. Austria, n. 20201/04, §§ 34 e 35, 8 aprile 2010).


2. Applicazione al caso di specie


44. La Corte rammenta che il ricorrente, condannato alla pena dell’ergastolo per omicidio, tentato omicidio, maltrattamenti in famiglia e detenzione abusiva di arma da fuoco, è stato privato in perpetuo del diritto di elettorato conformemente agli articoli 28 e 29 del codice penale e 2 del D.P.R. 223/1967.
45. L’ingerenza dello Stato nel diritto di elettorato del ricorrente era quindi prevista dalla legge. Anche ammettendo che la misura controversa possa essere tesa al raggiungimento di scopi legittimi quali la prevenzione del crimine e il rispetto dello stato di diritto (Hirst c. Regno Unito (n. 2) [GC], succitata, § 75, in fine e Calmanovici c. Romania, n. 42250/02, § 150, 1° luglio 2008), è opportuno valutare se, nel caso di specie, tale misura sia proporzionata agli obiettivi perseguiti.
46. Preliminarmente, la Corte rammenta che i detenuti conservano i loro diritti sanciti dalla Convenzione. Pertanto, ogni restrizione a tali diritti deve essere giustificata in una determinata causa (si veda, mutatis mutandis, Dickson c. Regno Unito [GC], no 44362/04, § 68, CEDU 2007 XIII).
47. Nel caso di specie, si tratta di verificare se la privazione del diritto di elettorato del ricorrente presenti i caratteri di generalità ed automaticità enumerati dalla Grande Camera della Corte nella causa Hirst c. Regno Unito (n. 2) ([GC], succitata, § 82, in fine).
48. Nel caso specifico, la perdita in perpetuo del diritto di elettorato subita dal ricorrente era una conseguenza dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Quest’ultima derivava automaticamente dall’applicazione della pena principale consistente nella condanna del ricorrente all’ergastolo. E’ quindi giocoforza constatare che l’applicazione della misura controversa era di natura automatica. Al riguardo, va osservato, sulla scia del ricorrente, che le sentenze di condanna pronunciate nei confronti del ricorrente non fanno alcuna menzione di tale misura.
49. Quanto ai caratteri di generalità e di applicazione indifferenziata, la Corte osserva che, nel caso di specie, il criterio stabilito dalla legge è solo di natura temporale. Il ricorrente è stato infatti privato del suo diritto di elettorato tenendo conto della durata della pena privativa della libertà inflittagli, indipendentemente dal delitto commesso e al di là di qualsiasi esame del giudice del merito sulla natura e gravità di tale delitto (Frodl c. Austria, succitata, §§ 34 e 35). A giudizio della Corte, in questo contesto, la valutazione effettuata dal giudice del merito al momento della determinazione della pena e la possibilità per la persona condannata di ottenere un giorno la sua riabilitazione, come menzionate dal Governo (si veda il precedente § 30), non tolgono niente a questa constatazione.
50. La Corte osserva infine di avere rigettato, nella causa M.D.U. c. Italia (dec., succitata), a cui ha accennato il Governo, il motivo di ricorso relativo all’impossibilità di votare che colpisce un deputato in conseguenza della condanna di questi all’interdizione dai pubblici uffici per due anni pronunciata da un giudice come pena accessoria alla condanna ad una pena di tre anni di reclusione per reati fiscali. Ora, va osservato che, contrariamente alla presente causa, nel caso M.D.U. la privazione del diritto di elettorato aveva durata limitata (due anni). La Corte aveva del resto concluso per la manifesta infondatezza del motivo di ricorso sollevato dal ricorrente sotto il profilo dell’articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione tenuto conto, tra l’altro, di tale circostanza.
51. Alla luce di quanto precede, la Corte conclude che nel caso di specie vi è stata violazione dell’articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.

II. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

52. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
« Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di riparare solo in parte alle conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa. »

A. Danni


53. Il ricorrente chiede alla Corte di concedergli 26.000 euro (EUR) a titolo di risarcimento morale.
54. Il Governo si oppone a tale richiesta.
55.& La Corte ritiene che la constatazione di violazione contenuta nella presente sentenza fornisca di per sé un’equa soddisfazione sufficiente.

B.  Spese

56. Il ricorrente chiede 10.000 EUR a titolo di rimborso delle spese, senza tuttavia specificare se si tratti di spese sostenute dinanzi alla Corte o dinanzi ai giudici interni e in assenza di note di onorari.
57. Il Governo contesta tale richiesta.
58. Secondo la giurisprudenza della Corte, il rimborso delle spese sostenute dal ricorrente può essere concesso solo se siano accertate la loro realtà, la loro necessità e la ragionevolezza del loro tasso. Nel caso di specie, tenuto conto di questi criteri e del fatto che il ricorrente non ha prodotto note di onorari a sostegno, la Corte rigetta la domanda presentata dall’interessato a titolo di rimborso delle spese.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITA’,


1. Afferma che vi è stata violazione dell’articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione;

2. Afferma che la constatazione di violazione contenuta nella presente sentenza fornisce di per sé un’equa soddisfazione sufficiente per il danno morale;
 
3. Rigetta la domanda di equa soddisfazione nel resto.


Redatta in francese, poi comunicata per iscritto il 18 gennaio 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Stanley Naismith
Cancelliere

Françoise Tulkens
Presidente