Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 18 gennaio 2011 - Ricorso n.2555/03 - Guadagnino c. Italia e Francia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall'esperto linguistico Anna Aragona

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA GUADAGNINO c. ITALIA E FRANCIA
Ricorso n.2555/03
SENTENZA
STRASBURGO - 18 GENNAIO 2011

La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni stabilite dall’articolo  44 § 2 della Convenzione. Essa può subire modifiche nella forma.
 
Nella causa Guadagnino c. Italia e Francia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da :
Françoise Tulkens, presidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Jean-Paul Costa,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 14 dicembre 2010,
Emette la presente sentenza, adottata nella medesima data :

PROCEDURA

1.  La causa è stata promossa con ricorso (no 2555/03) contro la Repubblica francese e contro la Repubblica italiana, presentato alla Corte il 14 gennaio 2003 da una cittadina di quest’ultimo Stato, la sig.ra Marianna Guadagnino (« la ricorrente »), in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (« la Convenzione »).
2.  La ricorrente è rappresentata dall’avv. F. de Jorio, del foro di Roma. Il governo italiano è rappresentato dal suo agente, la sig.ra E. Spatafora, e dal suo coagente, il sig. N. Lettieri. Il governo francese è rappresentato dal suo agente, la sig.ra E. Belliard, direttrice degli affari giuridici al ministero degli Affari esteri.
3.  La ricorrente lamentava una violazione del diritto di accesso ad un tribunale a causa del rifiuto da parte delle autorità giudiziarie italiane e francesi di adottare una decisione sul merito della sua causa.
4.  Con decisione del 12 aprile 2007, la camera ha dichiarato ricevibile il ricorso ed ha deciso di esaminare congiuntamente il merito e le eccezioni preliminari sollevate dai governi italiano e francese.
5.  Sia la ricorrente, sia i governi convenuti hanno depositato per iscritto osservazioni complementari (articolo 59 § 1 del regolamento).

IN FATTO

I.  LE  CIRCOSTANZE  DEL  CASO  DI  SPECIE

6.  La ricorrente è nata nel 1936 e risiede a Roma.
7.  La ricorrente, attualmente in pensione, ha lavorato dal 1o luglio 1969 al 4 gennaio 1996 presso l'École française de Rome (« l'École ») in qualità di assistente al servizio delle pubblicazioni.
8.  Il rapporto di lavoro della ricorrente veniva disciplinato, durante la carriera, da contratti individuali stipulati con il ministère de l'Éducation Nationale, i quali prevedevano l’applicazione della legge italiana. 
9.  Frattanto, in data 11 luglio 1980, entrava in vigore la legge no 312 del 1980, la quale stabiliva nuovi criteri per il trattamento del personale civile dello Stato.
10.  In data imprecisata, la ricorrente chiedeva all'École la ricostruzione di carriera secondo i criteri introdotti dalla citata legge ed in particolare il suo inquadramento nell’ottava qualifica a partire da luglio 1978 e nella nona a partire da gennaio 1987.

1. La domanda di ricostruzione di carriera presentata alle autorità italiane

11.  Il 6 dicembre 1995, a seguito del mancato accoglimento della sua domanda da parte dell'École, la ricorrente proponeva un ricorso al tribunale di Roma, sezione del giudice del lavoro, volto ad ottenere il riconoscimento della qualifica corrispondente alle funzioni esercitate ed il pagamento della differenza tra le retribuzioni percepite e le retribuzioni cui ella riteneva di avere diritto.
12.  L'École eccepiva l’incompetenza del giudice italiano e presentava un ricorso alla Corte di cassazione, volto ad ottenere una decisione preventiva sulla questione della competenza (« Regolamento preventivo di giurisdizione »).
13.  L'École affermava di costituire una « articolazione » dello Stato francese, la cui attività era direttamente soggetta al controllo del ministero francese dell'Éducation nationale. L'École sosteneva che l’attività della ricorrente rientrava nei fini istituzionali dell’istituto e che le domande dell’interessata non concernevano esclusivamente l’aspetto patrimoniale, circostanza che avrebbe giustificato l’esame della fattispecie secondo il diritto italiano, bensì riguardavano la qualifica professionale della medesima. Essa rimandava inoltre agli accordi italo-francesi del 1949, in virtù dei quali i contenziosi concernenti il personale degli istituti culturali francesi in Italia non rientravano nella competenza delle autorità giudiziarie italiane. 
14.  Con decisione del 20 giugno 1997, depositata il 9 settembre 1997, la Corte di cassazione a sezioni unite dichiarava il difetto assoluto di competenza delle autorità giudiziarie italiane. Essa affermava che l’attività della ricorrente, attinente alla diffusione all’estero della cultura e della civiltà francesi mediante la pubblicazione di opere letterarie o scientifiche, rientrava nei fini istituzionali del ministero francese dell’Éducation nationale.
15.  Il fatto che il rapporto contrattuale fosse disciplinato dalle disposizioni del diritto privato italiano, in particolare per quanto attiene alla questione dell’applicabilità dei contratti collettivi di lavoro, non era significativo ai fini della determinazione della competenza giurisdizionale. Inoltre, le domande della ricorrente, aventi per oggetto il suo inquadramento professionale nell’istituto, non avevano carattere puramente patrimoniale. 

2. Il  ricorso per l’ annullamento del licenziamento

a)  Dinanzi alle giurisdizioni italiane

16.  Il 4 gennaio 1996, la ricorrente veniva licenziata, in quanto la medesima aveva raggiunto il limite di età di sessanta anni.
17.  Il 24 settembre 1997, ella citava l'École dinanzi al tribunale di Roma al fine di ottenere l’annullamento del licenziamento ed il reintegro nel suo posto di lavoro, nonché il pagamento delle differenze retributive derivanti dall’applicazione dei contratti collettivi. La ricorrente sosteneva che secondo il diritto italiano il limite di età per la pensione era di sessantacinque anni.
18.  La parte convenuta eccepiva l’incompetenza delle autorità giudiziarie italiane. 
19.  Con sentenza dell’8 ottobre 1998, depositata il 12 marzo 1999, la Corte di cassazione dichiarava il difetto di competenza del giudice italiano in relazione alle domande attinenti alla legittimità del licenziamento, in quanto essa comportava una valutazione dell’attività della ricorrente. La Corte faceva riferimento alla sua giurisprudenza consolidata, secondo la quale i contenziosi riguardanti il personale delle istituzioni culturali di Francia rientravano nella competenza giurisdizionale del medesimo Paese.
20.  L’alta corte riteneva invece che il giudice italiano fosse competente nel caso della domanda di pagamento delle differenze retributive, poiché tale questione aveva carattere puramente patrimoniale.
Risulta dal fascicolo che la ricorrente non ha proseguito il procedimento da lei promosso dinanzi al tribunale.

b)  Dinanzi al Consiglio di Stato francese

21.  Nel luglio 2001, la ricorrente presentava al Consiglio di Stato francese due domande, volte rispettivamente ad ottenere la ricostruzione di carriera e l’annullamento del licenziamento, nonché il pagamento delle differenze retributive. Ella era rappresentata da un avvocato francese.
22.  Con decisione del 29 luglio 2002, il Consiglio di Stato respingeva i ricorsi dell’interessata, dichiarando l’incompetenza delle giurisdizioni amministrative francesi.
23.  Esso sosteneva che, al momento dell’assunzione della ricorrente, era volontà comune delle parti che l’applicazione del contratto di lavoro fosse soggetta alle disposizioni della legge italiana e che, d’altronde, la situazione della ricorrente, nella sua qualità di assistente alle pubblicazioni, non era disciplinata da nessuna norma di diritto francese.

II.  IL  DIRITTO  E  LE  PRASSI  INTERNE  PERTINENTI

a.  La giurisprudenza interna italiana

24.  La Corte di cassazione italiana ha più volte affermato il difetto di competenza del giudice italiano nelle controversie di lavoro che coinvolgano istituti culturali francesi creati mediante accordi bilaterali, laddove le controversie riguardino direttamente l’esercizio dei fini istituzionali dell’istituto estero (sentenze no 979 del 1979, no 5126 del 1994, no 8768 del 1997 e no 12704 del 1998).
b.  La giurisprudenza interna francese
25.  La sentenza del 22 ottobre 2001 del Tribunal des conflits francese [competente in caso di conflitti di giurisdizione tra tribunali ordinari e amministrativi, N.d.T.] (TC, 22 ottobre 2001, Bollettino 2001 no 20), in materia di contratti conclusi da servizi dello Stato all’estero al fine di reclutare sul posto personale non statutario, ha sancito che
« il giudice amministrativo, che ha competenza in materia di contratti internazionali, non è competente a dirimere controversie nate dall’esecuzione e dalla rottura di contratti non disciplinati dalla legge francese, per le quali è competente il solo giudice ordinario in virtù delle norme sul conflitto di leggi e di giurisdizione ».
Nella sentenza del 9 luglio 1996, la sezione per le controversie di lavoro presso la Corte di cassazione (Cass. Soc. 9 luglio 1996, Bollettino 1996-V no 266), deliberando in materia di competenza internazionale delle autorità giudiziarie francesi, aveva affermato che, quando il contratto non contiene espressamente una clausola che attribuisca la competenza,
« a seguito della dichiarazione di incompetenza dell’autorità giudiziaria estera adita e della conseguente rinuncia di quest’ultima, il dipendente ha nuovamente la facoltà di esperire la medesima azione dinanzi ad un’autorità giudiziaria francese sulla base degli articoli 14 e 15 del Codice civile ».
Secondo l'articolo 14 del codice civile francese,
« lo straniero, anche non residente in Francia, potrà essere citato dinanzi ai tribunali francesi per l’esecuzione di obblighi dal medesimo contratti in Francia con un cittadino francese; egli potrà essere tradotto dinanzi ai tribunali francesi per gli obblighi dal medesimo contratti in un Paese estero nei confronti di cittadini francesi »
Ai sensi dell'articolo 15 del codice civile francese,
« un cittadino francese potrà essere tradotto dinanzi ad un tribunale francese per gli obblighi dal medesimo contratti in un Paese estero, anche nei confronti di un cittadino straniero ».
c.  Gli accordi culturali franco-italiani del 1949
L'Ecole française de Rome è stata istituita dall’Accordo culturale tra la Francia e l’Italia, firmato il 4 novembre 1949. Ai sensi dell'articolo 1 del citato Accordo

« Il governo francese e il governo italiano accorderanno reciprocamente ogni facilitazione alla creazione e al funzionamento di quattro Istituti di alta cultura, che avranno il compito di diffondere la mutua conoscenza delle civiltà dei due Paesi e di sviluppare le relazioni nel campo delle lettere, delle scienze e delle arti. »

Nel 1954 e nel 1965, l’Accordo veniva integrato da accordi bilaterali concernenti specificamente la disciplina delle esenzioni fiscali a favore degli istituti culturali.  
Né l’Accordo, né gli accordi complementari contengono clausole relative alla competenza giurisdizionale in caso di controversie.

III.  IL DIRITTO E  LA PRASSI  INTERNAZIONALI  PERTINENTI

26.  Il diritto e la prassi internazionali pertinenti sono descritti nella causa Cudak c. Lituania ([GC], no 15869/02, §§ 25-33, 23 marzo 2010).

IN  DIRITTO

I.  SULLE ECCEZIONI PRELIMINARI DEI GOVERNI  CONVENUTI

a)  Sulle eccezioni sollevate dal governo francese

27.  In primo luogo, il governo francese solleva un’eccezione preliminare, affermando che il ricorso non è conforme all’articolo 34 della Convenzione in quanto è stato proposto avverso due Stati membri e non già avverso « una delle Altri Parti contraenti ». Esso afferma che la Francia non può essere ritenuta responsabile del modo in cui l’Italia rispetta la Convenzione.
28.  Il governo francese eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. Secondo il governo, la ricorrente, limitandosi ad adire la più alta corte amministrativa, avrebbe omesso di rivolgersi al giudice che il diritto interno indica come giudice competente in materia di esecuzione di contratti di lavoro internazionali, ossia il giudice ordinario.
29.  Esso ricorda che il Consiglio di Stato ha dichiarato la competenza  dei tribunali amministrativi in ragione del fatto che la ricorrente non esercitava funzioni pubbliche e che quindi la sua situazione non era disciplinata da alcuna norma di diritto francese. Al riguardo, esso afferma che l'École française de Rome non è un organo dello Stato, bensì un istituto pubblico dotato di personalità giuridica, i cui dipendenti sono soggetti alla legge dell’Italia, luogo di reclutamento. 
30.  Il giudice ordinario francese avrebbe tuttavia potuto, secondo i criteri stabiliti dal diritto e dalla giurisprudenza interni, esaminare la controversia e decidere ai sensi delle disposizioni del diritto italiano. In effetti, nel 2001 il Tribunal des conflits ha affermato in modo esplicito la competenza dei tribunali ordinari in materia di lavoro internazionale. Inoltre, già prima di tale data, le giurisdizioni del lavoro sarebbero state competenti a decidere sulla causa a norma dell’articolo 15 del codice civile francese, tenuto conto della nazionalità della parte convenuta, ossia l'Ecole française de Rome, e dell’assenza di una giurisdizione straniera che potesse dirimere la controversia.
31.  Il Governo sostiene che la ricorrente ha usufruito del diritto all’accesso ad un tribunale e che la medesima aveva la possibilità di presentare la controversia al giudice competente secondo il diritto interno. Al riguardo, esso afferma che l’interessata ha erroneamente interpretato la sentenza del Consiglio di Stato, ritenendo che questo avesse dichiarato l’incompetenza di tutti i tribunali francesi, ciò che evidentemente la giurisdizione amministrativa non aveva il potere di fare. 
32.  La ricorrente ribatte in primo luogo che impedire agli individui di proporre un ricorso avverso più Stati membri equivarrebbe a privarli del diritto ad un ricorso individuale garantito dalla Convenzione.
Inoltre, l'interessata contesta l’argomento del governo francese, secondo il quale ella avrebbe commesso un errore, rivolgendosi al giudice amministrativo. Ella sostiene che l'École française de Rome è un organo amministrativo pubblico, la cui attività è gestita dal ministero francese dell’Éducation nationale, ragion per cui il Consiglio di Stato sarebbe il solo tribunale francese competente per la sua causa.
33.  Ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, la Corte « può essere investita di un ricorso da parte di una persona fisica (...) che sostenga di essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli (...) ». A parere della Corte, tale disposizione non può essere interpretata, come sostenuto dal governo francese, in modo tale da escludere la possibilità di una responsabilità solidale di più Stati rispetto alla medesima violazione della Convenzione. La giurisprudenza degli organi della Convenzione è sufficiente a dimostrare il contrario (si vedano, tra le altre, la sentenza Ilaşcu e altri c. Moldova e Russia [GC], no 48787/99, CEDU 2004-VII).
34.  Ne consegue che l’eccezione preliminare relativa all’impossibilità di presentare il ricorso avverso Francia ed Italia non può essere accolta.
35.  Riguardo alla seconda eccezione sollevata dal governo francese, la Corte ricorda che la regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne, sancita dall’articolo 35 § 1 della Convenzione, è volta a fornire agli Stati contraenti l’occasione di prevenire o riparare le violazioni addotte a loro carico, prima che venga adita la Corte. Detta regola impone dunque ai ricorrenti l’obbligo di esperire dapprima i ricorsi previsti dal sistema giuridico del loro paese, esentando così gli Stati dal rispondere dei loro atti dinanzi alla Corte europea. La regola dell'articolo 35 § 1 si basa tuttavia sull’ipotesi che l’ordinamento interno offra un ricorso effettivo per la violazione contestata (si vedano, ad esempio, Kudła c. Polonia [GC], no 30210/96, § 152, CEDU 2000-XI ; Charzyński c. Polonia, ricorso no 15212/03, § 31 ; Tadeusz Michalak c. Polonia, ricorso no 24549/03, § 32, decisione del 1o marzo 2005).
36.  D’altronde, la Corte ricorda che, ai sensi del secondo periodo dell’articolo 35 § 4 della Convenzione, essa può dichiarare irricevibile un ricorso ad ogni stadio del procedimento, anche dopo la dichiarazione di ricevibilità (Medeanu c. Romania (dec.), no 29958/96, 8 aprile 2003, e Paşa e Erkan Erol c. Turchia, no 51358/99, § 22, 12 dicembre 2006). D’altronde, detta disposizione autorizza la Corte a ritornare su una sua decisione, quando essa constata che il ricorso avrebbe dovuto essere considerato irricevibile per una delle ragioni elencate nei paragrafi 1 – 3 dell’articolo 35 (Azinas c. Cipro [GC], no 56679/00, § 32, CEDU 2004-III).
37.  Nel caso di specie, al momento della decisione sulla ricevibilità del ricorso, la Corte aveva deciso di esaminare l’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, sollevata dal governo francese, unitamente al merito. 
38.  La Corte osserva che il Consiglio di Stato ha dichiarato il difetto di competenza dei tribunali amministrativi francesi constatando, da un lato, che il rapporto di lavoro della ricorrente era disciplinato dal diritto italiano e, dall’altro, che all’interessata non si applicava il diritto pubblico francese.
39.  Essa rileva che il Tribunal des conflits francese ha espressamente affermato, in un caso analogo a quello della ricorrente, che il giudice ordinario è il solo giudice competente, in materia di contratti di lavoro internazionali conclusi da servizi dello Stato, a decidere sulle controversie sorte durante l’esecuzione e la rottura di contratti non disciplinati dalla legge francese, circostanza che non è stata contestata dalle parti del presente caso. Essa constata, al pari del governo francese, che anche prima della citata sentenza la competenza delle giurisdizioni del lavoro in materia era sancita dall’articolo 15 del codice civile ed era stata affermata dalla Corte di cassazione in una sentenza del 1996.
40.  La Corte ricorda che è compito degli Stati determinare, interpretare ed applicare le disposizioni normative in materia di deferimento ad un tribunale. 
41.  A parere della Corte, sebbene sia increscioso che né il contratto di lavoro della ricorrente, né gli accordi bilaterali del 1949 contengano clausole specifiche sulla questione della competenza giurisdizionale in caso di controversie tra l’Ecole ed i suoi dipendenti, nulla avrebbe impedito alla ricorrente, che era assistita da un avvocato francese, di adire il giudice ordinario e di ottenere in tal modo una decisione basata sul diritto materiale italiano.  
Di conseguenza, essa ritiene che la ricorrente disponesse di una via di ricorso efficace per porre rimedio alla violazione della Convenzione, dalla medesima contestata. Ella era dunque tenuta ad esperire tale via di ricorso, prima di rivolgersi alla Corte. In mancanza di ciò, la Corte non può esaminare nel merito i motivi di ricorso addotti contro la Francia.
42.  Ne consegue che l’eccezione preliminare del governo francese, relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, deve essere accolta e che il ricorso deve essere rigettato nella parte presentata contro la Francia, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
b)  Sull’eccezione del governo italiano
43.  Il Governo italiano eccepisce la tardività del ricorso per quanto attiene alla responsabilità dell’Italia. Esso afferma al riguardo che le decisioni definitive interne, per le quali l’Italia potrebbe essere chiamata a rispondere dinanzi alla Corte, sono le sentenze della Corte di cassazione, emesse rispettivamente nel 1997 e nel 1999.
44.  La ricorrente risponde al governo italiano che la data a partire dalla quale comincia a decorrere il termine di sei mesi è quella della sentenza del Consiglio di Stato francese, ossia il 29 luglio 2002. Da tale data ella ha effettivamente visto scomparire ogni possibilità di ottenere una decisione sul merito della causa, dando così luogo ad una violazione dell’articolo 6 § 1.
45.  La Corte ricorda di aver stabilito, nella decisione sulla ricevibilità, di unire all’esame del merito l’esame dell’eventuale tardività del ricorso. Essa conferma quanto stabilito.

II.  SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

46.  La ricorrente lamenta un diniego di giustizia, dal momento che nessun giudice avrebbe emesso una decisione nel merito della sua causa. Ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione,
« Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (...) da un tribunale indipendente ed imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi  (...) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di  carattere civile (...) ».

A.  Sull'applicabilità dell'articolo 6 § 1

47.  Il governo italiano eccepisce l’inapplicabilità dell’articolo 6  § 1 ai fatti di causa, in ragione della natura pubblica delle funzioni esercitate dalla ricorrente. 
48.  La Corte ritiene che la questione dello status di pubblico impiegato della ricorrente non sia pertinente ai fini della presente causa. D’altronde, i diritti rivendicati dall’interessata erano essenzialmente di natura patrimoniale e rivestivano dunque « carattere civile » ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, e non implicavano altresì nessuna prerogativa discrezionale della pubblica amministrazione italiana (Vilho Eskelinen e altri c. Finlandia [GC], no 63235/00, § 62, CEDU 2007-IV, Janusz Białas c. Polonia, no 29761/03, § 29, 28 luglio 2009). Dunque l’articolo 6 § 1 è applicabile al caso di specie.
49.  Ne consegue che l’eccezione preliminare del governo italiano, relativa all’applicabilità dell’articolo 6 nel caso di specie, deve essere rigettata.

B.  Sull'osservazione dell'articolo 6 § 1

1.  Argomenti delle parti

a)  Il governo italiano

50.  Il governo italiano afferma innanzi tutto che la circostanza che il contratto di lavoro della ricorrente fosse disciplinato dalla legge italiana non produceva alcun effetto sulla determinazione della competenza giurisdizionale, la quale non era peraltro oggetto di una clausola esplicita.
51.  Esso afferma che il difetto di competenza del giudice italiano nelle controversie fra privati ed istituti culturali stranieri costituisce un principio sancito dalla giurisprudenza interna da diversi anni. La sua applicazione non si limita alle relazioni con la Francia e non ha alcun rapporto con gli accordi culturali del 1949.
52.  Detto principio, che si basa sulla dottrina dell’immunità degli Stati, è stato applicato dalla Corte di cassazione nella causa della ricorrente al fine di rispettare la sovranità dello Stato francese nell’ambito di un contenzioso che coinvolgeva i diritti e gli obblighi di un’istituzione, la quale a buon diritto può essere considerata un’emanazione pubblica del citato paese.
53.  Riconoscendo che gli accordi del 1949 non disciplinano in modo esplicito la questione della competenza giurisdizionale in caso di controversie, il governo italiano fa osservare che una clausola eventualmente contenuta nei citati accordi non avrebbe potuto derogare al principio generale di diritto internazionale dell’immunità giurisdizionale degli Stati esteri.  

b)  La ricorrente

54.  La ricorrente ribatte al governo italiano che il principio dell’immunità degli Stati non può essere applicato al caso di specie, né giustifica la violazione del suo diritto di accesso ad un tribunale, da parte delle autorità dei due paesi.

2.  La valutazione della Corte

55.  La Corte ricorda che le garanzie procedurali sancite dall’articolo 6 in relazione all’equità, alla pubblicità ed alla celerità risulterebbero prive di senso, qualora non fosse tutelato il presupposto di tali garanzie, ossia l’accesso ad un tribunale. La Corte lo ritiene un elemento inerente alle garanzie sancite dall’articolo 6 in riferimento ai principi della preminenza del diritto e dell’assenza di arbitrarietà che informano la maggior parte della Convenzione. L'articolo 6 § 1 garantisce a ciascuno il diritto a che un tribunale sia chiamato a pronunciarsi su ogni controversia relativa ai suoi diritti e doveri di carattere civile (Golder c. Regno Unito del 21 febbraio 1975, §§ 28-36, serie A no 18).
56.  Il diritto di accesso ai tribunali non è tuttavia assoluto: esso può presentare dei limiti implicitamente ammessi, dal momento che la sua stessa natura richiede una regolamentazione da parte dello Stato. Gli Stati contraenti dispongono in materia di un certo margine di valutazione. E’ tuttavia compito della Corte deliberare in ultima istanza sul rispetto delle esigenze della Convenzione; essa deve pervenire al convincimento che le limitazioni apportate non restringano l’accesso offerto all’individuo in modo o fino ad un punto tale da pregiudicare in maniera sostanziale il diritto stesso. Inoltre, tali limitazioni si conciliano con l’articolo 6 § 1 solo quando perseguono un fine legittimo ed in presenza di un rapporto ragionevole e proporzionato tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (Waite e Kennedy c. Germania [GC], no 26083/94, § 59, CEDU 1999-I).
57.  Nel caso di specie, le rivendicazioni della ricorrente riguardavano, da un lato, la ricostruzione della sua carriera presso l’Ecole française de Rome e, dall’altro, la legittimità del licenziamento ed il pagamento delle differenze retributive. Al fine di ottenere soddisfazione, ella promuoveva due diversi procedimenti dinanzi alle autorità italiane, che si concludevano con le decisioni della Corte di cassazione, concernenti la questione della competenza. 
58.  La Corte deve verificare se dette decisioni dell’alta corte italiana, che hanno condotto la ricorrente a rivolgersi al giudice francese, abbiano pregiudicato il diritto della medesima all’accesso ad un tribunale, garantito dall’articolo 6 § 1.
59.  Al riguardo essa osserva innanzi tutto che la Corte di cassazione ha dichiarato il difetto di competenza delle autorità giudiziarie italiane solo in relazione alla ricostruzione di carriera ed alla legittimità del licenziamento della ricorrente, tenuto conto della qualità della parte convenuta che è un istituto straniero, la cui prerogativa istituzionale è quella di diffondere la cultura francese in Italia, e considerate altresì le mansioni svolte dalla ricorrente in seno all’istituto. L’alta corte ha affermato invece la competenza dei tribunali ordinari italiani in relazione alla richiesta avanzata dalla ricorrente per il pagamento delle differenze retributive, il cui esame comporta la valutazione del giudice su questioni puramente patrimoniali (precedente paragrafo 20).
60.  Orbene, la ricorrente non ha esposto dinanzi alla Corte nessun argomento concernente tale specifica questione. D’altronde, si evince dal fascicolo che la medesima non si è avvalsa della possibilità indicata dalla Cassazione e non ha ripreso il procedimento promosso dinanzi al giudice di merito per la parte concernente il pagamento delle differenze retributive (ibidem).
61.  Di conseguenza, anche volendo presupporre che il ricorso riguardi detta questione, la Corte osserva che la ricorrente non può lamentare dinanzi alla Corte l’impossibilità di avere accesso ad un tribunale, al fine di ottenere il riconoscimento delle differenze retributive.
62.  Quanto alle questioni relative alla ricostruzione di carriera ed alla legittimità del licenziamento della ricorrente, il governo italiano invoca la dottrina dell’immunità giurisdizionale degli Stati, sulla base del principio par in parem non habet imperium.
63.  Al riguardo, la Corte ricorda che, in linea generale, non è possibile considerare come una restrizione sproporzionata al diritto di accesso ad un tribunale, come sancito dall’articolo 6 § 1, le misure adottate da un’Alta Parte contraente secondo regole di diritto internazionale generalmente riconosciute in materia di immunità degli Stati. Così come il diritto di accesso ad un tribunale è inerente alla garanzia di un processo equo prevista da detto articolo, allo stesso modo alcune restrizioni all’accesso devono essere considerate inerenti al medesimo; se ne trova un esempio nelle limitazioni generalmente ammesse dalla comunità delle nazioni, in quanto derivanti dalla dottrina dell’immunità degli Stati (Kalogeropoulou e altri c. Grecia e Germania, (dec.), no 59021/00, CEDU 2002-X).
64.  D'altro canto, sarebbe incompatibile con la preminenza del diritto in una società democratica e con il principio fondamentale contenuto nell’articolo 6 § 1, ossia che le rivendicazioni civili devono poter essere presentate ad un giudice, se uno Stato potesse, senza riserve e senza controllo da parte degli organi della Convenzione, sottrarre alla competenza dei tribunali tutta una serie di azioni civili ovvero esonerare da ogni responsabilità alcune categorie di persone  (Fayed c. Regno Unito, sentenza del 21 settembre 1994, § 65, serie A no 294-B).
65.  Così, nei casi in cui l’applicazione del principio dell’immunità giurisdizionale dello Stato ostacoli l’esercizio del diritto di accesso alla giustizia, la Corte deve appurare se le circostanze della causa giustifichino tale ostacolo (Cudak c. Lituania [GC], no 15869/02, § 59, 23 marzo 2010).
66.  La Corte deve dapprima verificare se la limitazione perseguisse uno scopo legittimo. Al riguardo, essa ha già affermato, nell’ambito di cause concernenti il reclutamento ed il licenziamento di personale locale delle ambasciate, che il riconoscimento dell’immunità sovrana ad uno Stato, nelle cause civili promosse dagli interessati, perseguiva lo scopo legittimo di rispettare il diritto internazionale, al fine di agevolare la cortesia e le buone relazioni tra Stati mediante il rispetto della sovranità di un altro Stato (Fogarty c. Regno Unito [GC], no 37112/97, CEDU 2001-XI, § 34 ; Cudak, cit., § 62).
67.  Poiché i procedimenti in questione riguardano il licenziamento e la ricostruzione di carriera di un membro del personale locale di un istituto culturale estero, la Corte ritiene che la medesima conclusione possa essere applicata al caso di specie, nel quale la restrizione del diritto di accesso della ricorrente risulta perseguire uno scopo legittimo. 
68.  Adesso occorre appurare se la limitazione in questione fosse proporzionata allo scopo perseguito.
69. Nella causa Cudak, la Corte ha preso atto di una costante evoluzione del diritto internazionale indirizzata a limitare l’immunità giurisdizionale degli Stati nelle controversie relative all’impiego di personale. Detta tendenza, nata nella prassi legislativa e convenzionale di un numero crescente di Stati, è stata elaborata in primo luogo nell’ambito di un progetto della Commissione del diritto internazionale, adottato nel 1991. Nel 2004, i principi sviluppati nel citato progetto sono stati codificati dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nella Convenzione sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni.
70.  Poiché i principi sanciti dall’articolo 11 della Convenzione del 2004 sono parte integrante del diritto consuetudinario internazionale, essi impegnano l’Italia, sebbene questo paese non abbia ratificato detta Convenzione. La Corte ne deve tener conto, nel momento in cui appura se il diritto di accesso ad un tribunale sia stato rispettato (Cudak, cit., §§ 64-67).
71.  Secondo l'articolo 11 della Convenzione del 2004, direttamente ispirato dall’articolo 11 del progetto del 1991, non si applica la norma dell’immunità degli Stati ai procedimenti concernenti contratti di lavoro tra uno Stato e delle persone fisiche per un lavoro eseguito sul territorio di un altro Stato.
Tuttavia, sussistono delle eccezioni a tale principio, elencate nello stesso articolo 11, secondo le quali l’immunità si applica comunque quando in sostanza siano in gioco il potere pubblico e la sicurezza nazionale dello Stato datore di lavoro; nei confronti di agenti diplomatici e consolari ; nei casi in cui l’oggetto della controversia riguardi l’assunzione, il rinnovo del contratto di lavoro o il reintegro di un candidato ; quando si tratta di un cittadino dello Stato datore di lavoro; o, infine, se l’impiegato e lo Stato datore di lavoro hanno convenuto diversamente per iscritto.
72.  A parere della Corte, alla ricorrente, assistente al servizio pubblicazioni dell'École française de Rome, non si applica nessuna delle eccezioni elencate all’articolo 11.
Essa osserva che l’interessata non è cittadina dello Stato datore di lavoro e niente fa presumere che le funzioni esercitate dalla medesima fossero attinenti al potere pubblico o agli interessi superiori della Francia. Al riguardo, è giocoforza constatare che né la Corte di cassazione italiana, né il governo convenuto hanno fornito precisazioni, che potessero indurre a ritenere che le mansioni svolte dalla ricorrente derivassero dalla sovranità dello Stato datore di lavoro.
73.  D’altronde, i procedimenti promossi dalla ricorrente riguardavano il suo status economico ed il licenziamento per sopraggiunti limiti di età. Orbene, l'esame di tali questioni non può mettere in causa i superiori interessi dello Stato francese. 
74.  In tali condizioni, la Corte ritiene che, dichiarando il difetto di competenza dei tribunali interni in relazione alle domande della ricorrente, aventi per oggetto la ricostruzione di carriera e la legittimità del licenziamento, l’Italia non abbia mantenuto un rapporto ragionevole di proporzionalità ed abbia travalicato il margine di valutazione riconosciuto agli Stati in caso di limitazione del diritto di accesso dell’individuo ad un tribunale. 
75.  D'altronde, la Corte non dimentica che la ricorrente ha dovuto adire il giudice francese a seguito delle sentenze della Corte di cassazione, che hanno dichiarato per due volte la competenza della Francia. Orbene, tenuto conto delle circostanze del caso di specie, non è possibile rimproverare all’interessata di aver tentato, prima di adire la Corte, di ottenere una decisione sul merito delle sue richieste, rivolgendosi ai tribunali dello Stato, di cui l’alta corte italiana aveva affermato la competenza.
76.  Di conseguenza, la Corte rigetta l’eccezione preliminare relativa alla tardività del ricorso, poiché quest’ultimo è stato promosso entro il termine di sei mesi a partire dalla  sentenza del Consiglio di Stato francese del  29 luglio 2002.
77.  Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione da parte dell'Italia.

III.  SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

78.  Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
« Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione,  la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa. »

A.  Danni

79.  La ricorrente chiede la somma di 222.653,87 euro per il danno materiale subito. A titolo di risarcimento del danno morale, la medesima chiede 40.000 euro.
80.  Il governo italiano afferma che le richieste di risarcimento danni presentate della ricorrente sono eccessive, ingiustificate e prive di nesso di causalità con l’addotta violazione della Convenzione.
81.  La Corte ritiene in primo luogo che quando un individuo, come nel presente caso, sia stato vittima di un procedimento nel quale non siano state rispettate le esigenze dell’articolo 6 della Convenzione, un nuovo processo ovvero la riapertura del procedimento a richiesta dell’interessato costituiscano in linea di principio un mezzo appropriato per porre rimedio alla constatata violazione (Sejdovic c. Italia [GC], no 56581/00, § 126, CEDU 2006-II ; Cudak, cit., § 79).
82.  Essa rileva in seguito che, ai fini della concessione di un’equa soddisfazione, il solo elemento da tener presente nel caso di specie consiste nel fatto che la ricorrente non ha potuto usufruire delle garanzie dell’articolo 6.  La Corte non può certo formulare ipotesi su quale sarebbe stato l’esito del procedimento nel caso contrario, ma ritiene ragionevole ipotizzare che l’interessata abbia subito una perdita di chances (Colozza c. Italia, sentenza del 12 febbraio 1985, § 38, serie A no 89; Pélissier e Sassi c. Francia [GC], no 25444/94, § 80, CEDU 1999-II). A ciò si aggiunge un danno morale, che la constatazione di violazione della Convenzione, riconosciuta nella presente sentenza, non è sufficiente ad indennizzare. Deliberando in via equitativa, come previsto dall’articolo 41, essa riconosce alla ricorrente la somma di 15.000 euro, per tutte le richieste di risarcimento danni.

B.  Spese

83.  La ricorrente chiede 10.000 euro per le « spese della procedura ».
84.  Il Governo si oppone.
85.  Secondo la giurisprudenza della Corte, il ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute, solo qualora esse risultino certe, necessarie ed il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, tenuto conto dell’assenza di documenti giustificativi, la Corte rigetta la domanda relativa al rimborso delle spese.

C.  Interessi di mora

86.  La Corte reputa opportuno calcolare il tasso degli interessi di mora in base al tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, aumentato di tre punti percentuali. 

PER QUESTI  MOTIVI, LA  CORTE, ALL’UNANIMITA’,

  1. Accoglie l'eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, sollevata dal governo francese e dichiara irricevibile il ricorso nella parte relativa alla Francia;
  2. Rigetta le eccezioni preliminari del governo italiano relative all’inapplicabilità dell’articolo 6 § 1 ed alla tardività del ricorso ;
  3. Afferma che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione da parte dell’Italia ;
  4. Afferma
    1. che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi dal giorno in cui la presente sentenza diverrà definitiva ai sensi dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, 15.000 (quindicimila) euro, unitamente ad ogni altra somma eventualmente dovuta a titolo di imposta, per il risarcimento del danno materiale e morale ;
    2. che, a partire dalla scadenza del suddetto termine e fino al versamento, la predetta somma  sarà maggiorata da un interesse semplice, il cui tasso sarà pari a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, applicato nel periodo in questione, aumentato di tre punti percentuali ;
  5. 5.  Rigetta la domanda di equa soddisfazione per le restanti parti.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 18 gennaio 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Stanley Naismith   
Cancelliere

Françoise Tulkens   
Presidente