Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 6 aprile 2010 - Ricorso n.2/2008 - CGIL e Cofferati c. Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata  dall’esperto linguistico Martina Scantamburlo

Abstract

CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO E DELLE LIBERTA' FONDAMENTALI  -   
ART. 6 § 1 DIRITTO DI ACCESSO A UN TRIBUNALE - DELIBERAZIONE DI INSINDACABILITÀ ADOTTATA DALLA CAMERA DEI DEPUTATI IN RAPPORTO A DICHIARAZIONI PRIVE DI UN LEGAME EVIDENTE CON UN’ATTIVITÀ PARLAMENTARE – CONSEGUENTE IMPOSSIBILITÀ DI ADIRE LA GIURISDIZIONE ORDINARIA – VIOLAZIONE.

PARLAMENTARI - GUARENTIGIE (IMMUNITÀ) - ART. 68, PRIMO COMMA, COST. - PREROGATIVA DELL'INSINDACABILITÀ - DELIBERAZIONE DELLA CAMERA D'APPARTENENZA - CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE – MANCATA PRONUNCIA SUL MERITO DA PARTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE – VIOLAZIONE DEL DIRITTO AD UN PROCESSO EQUO DI CUI ALL’ART. 6 CEDU – SUSSISTE.

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto che l’impossibilità di adire la giurisdizione ordinaria in conseguenza della deliberazione di insindacabilità adottata dalla Camera di appartenenza del parlamentare, con riferimento a dichiarazioni non legate all’esercizio di funzioni parlamentari, costituisca una ingerenza sproporzionata nel diritto di accesso ad un tribunale, integrando quindi la violazione dell’art. 6 della Convenzione.
Il ricorso, presentato dalla C.G.I.L. e da Cofferati, già segretario generale del predetto sindacato, trae origine da alcune dichiarazioni rilasciate all’agenzia di stampa ADN Kronos dall’on. Taormina, volte a sostenere che con la loro azione di contestazione delle riforme che il Governo aveva in programma di realizzare nel campo del diritto del lavoro, i ricorrenti erano almeno in parte responsabili del clima politico di tensione sociale che aveva condotto all’omicidio del prof. Biagi.

Ritenendo che le affermazioni dell’on. Taormina fossero diffamatorie, i ricorrenti lo citarono dinanzi al Tribunale civile di Roma per ottenere la riparazione dei danni subiti.

Tuttavia la Camera dei Deputati adottò una deliberazione che stabiliva che le affermazioni dell’on. Taormina costituivano opinioni espresse da un parlamentare nell’ambito delle sue funzioni, consentendo al predetto deputato di beneficiare dell’immunità prevista dall’articolo 68 comma 1 della Costituzione, che impediva di proseguire ogni procedimento penale o civile volto ad accertare la sua responsabilità e ad ottenere la riparazione dei danni subiti.
Il Tribunale di Roma sollevò dinanzi alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, chiedendo l’annullamento della suddetta delibera della Camera dei deputati in quanto non risultava che l’on. Taormina fosse intervenuto in Parlamento in merito all’omicidio del prof. Biagi sostenendo gli argomenti proposti nell’intervista in questione.

Con la sentenza n. 368 del 7 novembre 2007, la Corte costituzionale dichiarò inammissibile il conflitto in quanto le affermazioni presumibilmente diffamatorie dell’on. Taormina non erano state esplicitamente riportate dal Tribunale di Roma nella sua ordinanza; conseguentemente la mancanza di una compiuta esposizione dei presupposti di fatto precludeva alla Consulta di accertare se sussistesse un nesso funzionale tra le frasi pronunciate da un deputato e gli eventuali atti parlamentari.

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha richiamato la propria giurisprudenza secondo cui il diritto di accesso a un tribunale non è assoluto, e può andare incontro a limitazioni implicitamente ammesse. Nondimeno, queste ultime non possono limitare l’accesso offerto all’individuo in modo o in misura tali che il diritto ne risulti leso nella sua stessa sostanza. Inoltre, esse sono conformi all’articolo 6 § 1 solo se perseguono uno scopo legittimo e se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito. Il fatto che gli Stati concedano generalmente un’immunità più o meno ampia ai membri del Parlamento costituisce una prassi consolidata, volta a consentire la libera espressione dei rappresentanti del popolo e ad impedire che azioni giudiziarie faziose possano pregiudicare la funzione parlamentare.

Ciò premesso, la Corte europea ha ritenuto che l’ingerenza prevista dall’articolo 68, comma 1, della Costituzione, perseguisse scopi legittimi, vale a dire la tutela del libero dibattito parlamentare e il mantenimento della separazione dei poteri legislativo e giudiziario

Tuttavia, quanto alla proporzionalità dell’ingerenza, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha osservato che le dichiarazioni dell’on. Taormina non erano legate all’esercizio di funzioni parlamentari stricto sensu, poiché erano state pronunciate nell’ambito di interviste con la stampa, e quindi al di fuori di una camera del Parlamento.

Secondo la Corte, l’assenza di un legame evidente con un’attività parlamentare esige un’interpretazione stretta del concetto di proporzionalità tra lo scopo prefissato e i mezzi impiegati. Ciò vale in particolar modo quando le restrizioni al diritto di accesso derivano da una deliberazione di un organo politico. Giungere ad una conclusione diversa equivarrebbe a limitare in modo incompatibile con l’articolo 6 § 1 della Convenzione il diritto di accesso a un tribunale dei privati ogni volta che le affermazioni criticate siano state pronunciate da un membro del Parlamento.

Ad avviso della Corte, la deliberazione della Camera dei deputati che, concedendo l’immunità all’on. Taormina, ha comportato la paralisi dell’azione dei ricorrenti volta a garantire la tutela della loro reputazione, non ha rispettato il giusto equilibrio tra l’interesse generale della comunità e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo.

La Corte europea ha attribuito importanza anche al fatto che, dopo la deliberazione della Camera e la sentenza della Coste costituzionale n. 368 del 2007, i ricorrenti non disponevano di altre vie di ricorso ragionevoli per tutelare efficacemente i loro diritti sanciti dalla Convenzione. Infatti la Consulta, rilevando l’esistenza di un ostacolo di natura procedurale posto dal testo dell’ordinanza del Tribunale di Roma, si era rifiutata di esaminare se le affermazioni di Taormina rientrassero nell’esercizio di «funzioni parlamentari» e fossero ricomprese nelle previsioni dell’articolo 68 comma 1 della Costituzione.

Secondo la valutazione della Corte, i ricorrenti, che avevano presentato dinanzi ad un tribunale interno un’azione per diffamazione non manifestamente infondata, non avevano potuto beneficiare di un accesso alla giustizia conforme alle esigenze della Convenzione. Si è quindi riscontrata la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.


L’impossibilità di adire la giurisdizione ordinaria in conseguenza della deliberazione di immunità parlamentare, seguita da una sentenza non di merito della Corte costituzionale, costituisce un ostacolo sproporzionato rispetto agli scopi perseguiti dagli istituti immunitari e pertanto integra la violazione dell’art. 6 CEDU, relativo al diritto ad un equo processo.

Fatto.

In un’intervista rilasciata al quotidiano all’agenzia ADNKronos il 20 marzo 2002, il deputato Taormina aveva accusato Cofferati di aver creato un clima socialmente propizio all’omicidio del giuslavorista Marco Biagi. Ne era seguita una causa civile, la quale però non era stata esaminata nel merito, poiché era tempestivamente intervenuta una deliberazione d’insindacabilità ex art. 68, primo comma, della Costituzione intervenuta il 30 luglio 2003.
Il tribunale di Roma aveva sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato ai sensi dell’art. 134 della Costituzione. La Camera si era costituita nel relativo giudizio ed erano intervenuti anche Sergio Cofferati e, per la CGIL, Guglielmo Epifani, in qualità di nuovo rappresentante pro tempore. La Corte costituzionale aveva dichiarato il ricorso inammissibile per mancanza del richiamo testuale alle frasi oggetto della controversia, circostanza che le aveva impedito di stabilire se vi fosse un nesso funzionale tra le dichiarazioni extra moenia del deputato ed eventuali suoi atti parlamentari tipici (sentenza n. 368 del 2007).

I ricorrenti avevano quindi promosso ricorso davanti alla Corte europea di Strasburgo lamentando di aver subito una lesione del loro diritto a un equo processo (art. 6, comma 1, CEDU) derivante dall’impossibilità di ottenere, tanto in sede civile quanto davanti alla Corte costituzionale, l’esame nel merito circa la lamentata portata lesiva delle frasi pronunciate da Carlo Taormina sull’omicidio di Marco Biagi.

Diritto.

Circa il diritto ad un equo processo (art. 6 CEDU) la Corte ha ricordato che esso non è assoluto ma può subire – nell’ambito delle legislazioni nazionali – delle limitazioni. Tali limitazioni non violano l’art. 6 CEDU se: a) perseguono un fine legittimo; b) tra i mezzi impiegati e il fine perseguito esiste un rapporto di ragionevole proporzionalità. Con riguardo al requisito della legittimità del fine, la Corte ha osservato che la restrizione dell’accesso a un giudice derivava – nel caso specifico – dall’istituto dell’immunità parlamentare, sub specie dell’insindacabilità delle opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni. Quest’ultima a sua volta è finalizzata a prevenire pretestuose e persecutorie azioni giudiziarie nei confronti di rappresentanti eletti dal popolo. L’istituto immunitario applicato dall’Italia nel caso concreto era dunque volto a salvaguardare la genuinità e la libertà dello svolgimento del dibattito parlamentare oltre che la separazione del potere legislativo da quello giudiziario, perseguendo così sicuramente un fine legittimo.
In riferimento al rispetto del principio di proporzione, i giudici di Strasburgo hanno rilevato che le dichiarazioni rese alla stampa non presentavano un legame evidente con l’attività parlamentare tipica del deputato Taormina e pertanto richiedevano un giudizio rigoroso circa tale requisito di proporzionalità. Nel caso di specie, la derivata impossibilità di adire la giurisdizione ordinaria costituiva quindi un ostacolo sproporzionato rispetto agli obiettivi perseguiti.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Strasburgo si è pronunciata, con i voti favorevoli di cinque giudici su sette, ritenendo che vi fosse stata violazione dell’art. 6, comma 1, CEDU, conformemente al caso CGIL e Cofferati 1 del 2009, e complessivamente ha accordato a ciascun ricorrente 8.000,00 euro a titolo di danni morali, respingendo invece la richiesta di risarcimento dei danni materiali, in quanto non provati.

Opinioni dissenzienti:
Giudici Sajó e Karakaş (opinione comune).

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA CGIL e Cofferati n.2 c. ITALIA
(Ricorso n. 2/2008)
SENTENZA
STRASBURGO - 6 aprile 2010

Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Potrà subire alcune lievi modifiche formali.
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 16 marzo 2010,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

IL PROCEDIMENTO

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 2/08) presentato contro la Repubblica italiana e con cui un cittadino di tale Stato, il sig. Sergio Cofferati, ed una associazione sindacale, la Confederazione Generale Italiana del Lavoro («la C.G.I.L.», di seguito «i ricorrenti»), hanno adito la Corte il 30 novembre 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. I ricorrenti sono rappresentati dall’avv. F. Coccia, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, N. Lettieri.
3. I ricorrenti sostengono di avere subìto una violazione del loro diritto di accesso a un tribunale
4. Il 10 settembre 2008 il presidente della seconda sezione della Corte ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata nel contempo sulla ricevibilità e sul merito della causa.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. Nel 2002 il ricorrente era segretario generale della C.G.I.L.
6. Il 19 marzo 2002 il sig. Marco Biagi, un professore di diritto che era il consulente del ministro del Lavoro, fu assassinato dalle brigate rosse. Il prof. Biagi aveva sostenuto la necessità di introdurre una maggiore flessibilità nei contratti di lavoro. Le sue idee erano state contestate dai ricorrenti, che sostenevano che avrebbero portato alla precarietà e ad una diminuzione dei salari per i lavoratori.
7. Il 20 marzo 2002 una seduta della Camera dei deputati fu dedicata alle dichiarazioni del ministro degli Interni sull’omicidio del prof. Biagi. Ne seguì un dibattito parlamentare. Vari interventi si riferirono al legame presumibilmente esistente tra terrorismo, questioni sociali e lotte sindacali per quanto riguarda la riforma del diritto del lavoro.
8. Il 23 marzo 2002 a Roma si tenne una manifestazione organizzata dalla C.G.I.L. e volta a protestare contro l’intenzione del Governo di abrogare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, disposizione ai sensi della quale se un licenziamento è ritenuto ingiustificato, il lavoratore può chiedere di essere reintegrato nel suo posto.
9. Il 20 marzo 2002 l’on. Taormina, deputato, fece delle dichiarazioni all’agenzia di stampa ADNKronos. Pubblicato con il titolo «Biagi: Taormina, responsabilità oggettiva di Cofferati: assassini si propongono come braccio armato di leader Cgil)», il testo dell’intervista era il seguente:
«Gli italiani vogliono il cambiamento. Il governo vuole attuare il cambiamento. La riforma dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è elemento essenziale del cambiamento. Biagi era uomo chiave del cambiamento. Cofferati e i comunisti sono contro il cambiamento. Biagi è stato assassinato contro il cambiamento. Gli assassini di Biagi si propongono come braccio armato di Cofferati e dei comunisti. Cofferati e i comunisti hanno creato le condizioni perché i terroristi si mettessero a disposizione.
Gli assassini di Biagi sono gli stessi che hanno assassinato D'Antona (un consulente del Ministero del Lavoro che era stato assassinato dalle brigate rosse nel 1999). Gli assassini di D'Antona non sono stati arrestati dalla magistratura. Chi non ha arrestato gli assassini di D'Antona ha creato oggettivamente, pur se involontariamente, le condizioni perché gli assassini di D'Antona trucidassero Biagi. Chi non ha arrestato gli assassini di D'Antona è oggettivamente, pur se non volontariamente, responsabile dell'azione terroristica ed altrettanto oggettivamente ed involontariamente allineato a “quei Cofferati e a quei comunisti” contrari al cambiamento».
10. Durante la seduta del 26 marzo 2002 il Governo informò la Camera dei deputati di alcune dichiarazioni dei suoi membri riguardo alla manifestazione sindacale organizzata dalla C.G.I.L. La seduta del 26 giugno 2002 fu dedicata alle risposte del Governo riguardanti una interrogazione di un deputato relativa alle dichiarazioni di alcuni ministri nei confronti della C.G.I.L. Infine, delle riflessioni analoghe a quelle svolte dall’on. Taormina nell’intervista sopra citata furono fatte dal alcuni deputati durante la seduta del 3 luglio 2002.
11. Ritenendo che le affermazioni dell’on. Taormina fossero diffamatorie, il 15 maggio 2002 i ricorrenti citarono quest’ultimo dinanzi al tribunale civile di Roma per ottenere la riparazione dei danni subiti. I ricorrenti sostenevano che l’articolo in questione tendeva a suggerire che c’era una relazione di causa ad effetto tra l’attività di difesa dei lavoratori condotta dal sindacato e dal suo segretario generale e l’omicidio del prof. Biagi, e che il sindacato costituiva l’ambiente da cui provenivano i terroristi.
12. Il 30 luglio 2003 la Camera dei Deputati, confermando una proposta formulata dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, giudicò che le affermazioni in questione dell’on. Taormina costituivano delle opinioni espresse da un parlamentare nell’ambito delle sue funzioni. Di conseguenza, Taormina beneficiava al riguardo dell’immunità prevista dall’articolo 68 comma 1 della Costituzione.
13 Con ordinanza in data 10 febbraio 2005 il tribunale di Roma sollevò dinanzi alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Esso chiese l’annullamento della delibera della Camera dei deputati del 30 luglio 2003.
14. Agli occhi del tribunale le opinioni di Taormina non erano state espresse nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari, come previsto dall’articolo 68 comma 1 della Costituzione, letto anche alla luce della legge n. 140 del 20 giugno 2003 (v., di seguito, «Il diritto e la prassi interni pertinenti»). Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, l'immunità poteva essere accordata solo se vi era una «corrispondenza sostanziale» tra un atto parlamentare e le dichiarazioni controverse.
15. Nella fattispecie, dal fascicolo non risultava che l’on. Taormina fosse intervenuto in Parlamento in merito all’omicidio del prof. Biagi e sostenendo gli argomenti proposti nell’intervista in questione.
16. Il ricorrente intervenne nel procedimento dinanzi alla Corte Costituzionale e depositò due memorie.
17. Con la sentenza n. 368, il cui testo fu depositato in cancelleria il 7 novembre 2007, la Corte costituzionale dichiarò inammissibile il ricorso del tribunale di Roma.
18. Essa osservò che la Camera dei deputati aveva eccepito l’inammissibilità del ricorso in quanto le affermazioni presumibilmente diffamatorie di Taormina non erano state esplicitamente riportate dal tribunale di Roma nella sua ordinanza del 10 febbraio 2005. Tale eccezione meritava di essere accolta in quanto, secondo la giurisprudenza costituzionale, la mancanza di una compiuta esposizione dei presupposti di fatto precludeva alla Corte di accertare se sussistesse il nesso funzionale tra le frasi pronunciate da un deputato e gli eventuali atti parlamentari. Nel caso di specie, il tribunale si era limitato a riportare solo alcuni passaggi dell’atto di citazione degli attori del giudizio, il che non permetteva di colmare la lacuna.
19. Ai sensi dell’articolo 297 del codice di procedura civile («il CPC»), quando un procedimento civile viene sospeso, le parti devono chiedere la fissazione di una nuova udienza per la ripresa del procedimento entro sei mesi a decorrere dal giorno della cessazione della causa di sospensione. Secondo le informazioni fornite dal Governo il 18 febbraio 2009, in tale data non era pervenuta alla cancelleria del tribunale di Roma alcuna richiesta di fissazione di udienza.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

20. Il diritto e la prassi interni pertinenti sono descritti nelle sentenze Cordova c. Italia (nn. 1 e 2) (rispettivamente, n. 40877/98, §§ 22-27, CEDU 2003-I, e n. 45649/99, §§ 26-31, CEDU 2003-I) e C.G.I.L. e Cofferati c. Italia (n. 46967/07, §§ 24-26, 24 febbraio 2009).

IN DIRITTO

I. SULLA PRETESA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

21. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, i ricorrenti lamentano una violazione del loro diritto di accesso a un tribunale. Nelle sue parti pertinenti, tale disposizione recita:
«1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…)»
22. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

1. L’eccezione del Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne
23. Il Governo afferma che il procedimento dinanzi al tribunale di Roma è ancora pendente, poiché i ricorrenti hanno omesso di chiederne la riapertura a seguito dell’ordinanza della Corte costituzionale del 24 ottobre 2007. La ripresa del processo principale e la pronuncia di una sentenza di primo grado avrebbero permesso ai ricorrenti di interporre appello avverso quest’ultima.
24. Come si evince dalla giurisprudenza interna in materia, il procedimento di appello avrebbe offerto una seconda occasione per sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato dinanzi alla Corte costituzionale. Il Governo fa osservare che il giudice interno di primo grado aveva ritenuto necessario sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, che è stato dichiarato inammissibile solo a causa di un vizio di procedura. Di conseguenza, è molto probabile che anche il giudice di appello avrebbe sollevato un simile conflitto facendo attenzione ad evitare lo stesso errore di procedura.
Il Governo ne deduce che i ricorrenti hanno omesso di esaurire le vie di ricorso che erano loro offerte nel diritto italiano.
25. I ricorrenti rispondono che dopo la sentenza con cui la Corte costituzionale ha deciso di non annullare la deliberazione con cui veniva accordata l’immunità parlamentare, il procedimento civile per riparazione non aveva alcuna possibilità di successo. Era dunque inutile chiederne la ripresa. Peraltro, tale sentenza della Corte costituzionale non poteva essere oggetto di alcun ricorso.
26. La Corte osserva che, secondo il Governo, i ricorrenti avrebbero dovuto chiedere la ripresa di un procedimento di primo grado che era destinato all’insuccesso al solo scopo di spingere il giudice di secondo grado a sollevare un nuovo conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, nella speranza che, nonostante la sentenza della Corte costituzionale n. 305 del 10 luglio 2007 (recte n. 368 del 7 novembre 2007) e il contenuto dell’articolo 137 § 3 della Costituzione, i giudici di appello avrebbero ritenuto tale atto necessario.
27. Essa ricorda di avere già esaminato un’eccezione simile nella causa C.G.I.L. e Cofferati c. Italia (n. 46967/07, §§ 43-49, 24 febbraio 2009). In tale occasione, ha affermato che obbligare i ricorrenti ad avviare un simile iter in presenza di una decisione negativa di una giurisdizione Suprema equivale ad imporre loro di ricorrere ad artifizi processuali, le cui possibilità di successo sembrano inesistenti, il che è contrario all’uso «normale» dei ricorsi interni richiesto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione.
28. Poiché non vi sono circostanze particolari che permettano di discostarsi da questa conclusione nella presente causa, è opportuno rigettare l’eccezione di mancato esaurimento sollevata dal Governo.
2. L’eccezione sollevata dal Governo relativa alla infondatezza manifesta del ricorso
29. Secondo il Governo, il ricorso dovrebbe essere rigettato in quanto manifestamente infondato (articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione) dal momento che le doglianze dei ricorrenti dinanzi ai giudici interni non erano né reali né serie, ed erano pertanto prive di qualsiasi possibilità di successo.
30. Egli afferma che i ricorrenti avrebbero dovuto avviare un procedimento per risarcimento danni anche nei confronti dell’ADNKronos, l'agenzia di stampa che aveva manipolato e diffuso le dichiarazioni di Taormina. Il Governo sostiene che gli attacchi di cui sono stati oggetto i ricorrenti non hanno oltrepassato i limiti della critica ammissibile. Inoltre, le dichiarazioni controverse rientravano nel contesto del dibattito politico parlamentare riguardante una questione di interesse generale.
31. In queste circostanze, anche in assenza di una immunità parlamentare, il procedimento nel merito avrebbe potuto portare solo a una decisione di rigetto della domanda dei ricorrenti.
32. I ricorrenti si oppongono agli argomenti del Governo.
33. La Corte considera che questa eccezione sia strettamente legata alla fondatezza del motivo di ricorso dei ricorrenti. Nondimeno, il Governo solleva, tra l’altro, questi argomenti nell’ambito delle proprie osservazioni sul merito. Di conseguenza, la Corte unisce al merito l’eccezione di irricevibilità del Governo relativa alla manifesta infondatezza del ricorso. La Corte rileva peraltro che il ricorso non si scontra con nessun altro motivo di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

1. Argomenti delle parti

a) Il Governo

34. Secondo il Governo, anche a voler supporre che vi sia stata ingerenza in uno dei diritti sanciti dall’articolo 6, questa era prevista dalla legge e perseguiva gli scopi legittimi di garantire la separazione dei poteri dello Stato, l’indipendenza del potere legislativo, la libertà del dibattito parlamentare e la libera espressione dei rappresentanti del popolo. Per di più, era proporzionata a questi scopi.
35. Esso sostiene che l’immunità dei membri del Parlamento per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni, prevista dall’articolo 3 della legge n. 140 del 2003, non è di per sé contraria alla Convenzione.
36. L’immunità parlamentare entra in gioco solo se gli atti in questione sono deprecabili; se, invece, essi costituiscono una legittima manifestazione della libertà di espressione, l’immunità non ha da svolgere alcun ruolo. In quest’ultimo caso, non si può riconoscere a colui che si ritiene a torto diffamato un diritto di accesso a un tribunale per invocare dei diritti che non sono, in modo difendibile, riconosciuti dalla legislazione interna. Peraltro, quando un deputato esercita, anche al di fuori del suo mandato parlamentare, la propria libertà di espressione in modo legittimo, una sua eventuale condanna violerebbe l’articolo 10 della Convenzione. Quest’ultima disposizione e la giurisprudenza che ne fa applicazione svolgono quindi un ruolo cruciale nella valutazione di un’ingerenza nel diritto di accesso a un tribunale. Se non esiste alcun diritto sostanziale, o se la controversia non è atta a garantirne direttamente la realizzazione, l’articolo 6 della Convenzione non trova applicazione.
37. Nella fattispecie, le dichiarazioni controverse si inseriscono nel contesto di un dibattito politico tra un deputato del parlamento italiano e alcuni protagonisti della scena politica nazionale. Il Governo sostiene che le dichiarazioni di Taormina erano legate ad una attività parlamentare precedente, ossia i dibattiti che si sono svolti nella camera del Parlamento nel corso del 2002.
38. Qualunque fosse il loro legame con una specifica attività parlamentare, le dichiarazioni controverse si inserivano nel dibattito pubblico provocato dall’omicidio del prof. Biagi da parte di un gruppo terroristico. Tale crimine era motivato dalle posizioni assunte e dal lavoro svolto dalla vittima nel campo del diritto del lavoro. In tale dibattito di interesse pubblico alcuni sostenevano che le posizioni del sindacato e la critica violenta delle idee della vittima avessero contribuito a creare il clima che aveva favorito la nascita del progetto criminale dei terroristi. Tale era, in sostanza, la tesi che Taormina sosteneva, ricorrendo ad una certa dose di esagerazione e di veemenza polemica. In queste circostanze, e anche in assenza di immunità parlamentare, il procedimento nel merito avrebbe potuto portare unicamente a una decisione di rigetto della domanda dei ricorrenti.

b) I ricorrenti

39. I ricorrenti osservano che a causa della delibera della Camera dei deputati e della sentenza della Corte costituzionale, il procedimento civile da essi avviato nei confronti di Taormina dovrà essere interrotto. Pertanto, essi non avranno alcuna possibilità di ottenere una decisione nel merito del loro ricorso per diffamazione.
40. Peraltro, pronunciate nell’ambito di interviste con la stampa, le dichiarazioni controverse non erano legate all’esercizio di funzioni parlamentari. Infatti, Taormina non è mai intervenuto, per iscritto o oralmente, in seno ad una camera del Parlamento in merito all’assassinio del prof. Biagi.

2. Valutazione della Corte

41. La Corte osserva che, con la deliberazione del 30 luglio 2003, la Camera dei deputati ha dichiarato che le affermazioni di Taormina erano coperte dall’immunità sancita dall’articolo 68 comma 1 della Costituzione, il che impediva di proseguire ogni procedimento penale o civile volto ad accertare la responsabilità del deputato in questione e ad ottenere la riparazione dei danni subiti.
42. Tenuto conto delle circostanze della presente causa, essa ritiene che i ricorrenti abbiano subìto un’ingerenza nel loro diritto di accesso a un tribunale (v., mutatis mutandis, Cordova (nn. 1 e 2), già cit., rispettivamente §§ 52-53 e §§ 53-54; De Jorio già cit., §§ 45-47; Patrono, Cascini e Stefanelli c. Italia, n. 10180/04, §§ 55-58, 20 aprile 2006; C.G.I.L. e Cofferati c. Italia, già cit., § 67).
43. La Corte ricorda tuttavia che tale diritto non è assoluto, ma può dare luogo a limitazioni implicitamente ammesse. Nondimeno, queste ultime non possono limitare l’accesso offerto all’individuo in modo o in misura tali che il diritto ne risulti leso nella sua stessa sostanza. Inoltre, esse sono conformi all’articolo 6 § 1 solo se perseguono uno scopo legittimo e se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (v., tra molte altre, Khalfaoui c. Francia, n. 34791/97, §§ 35-36, CEDU 1999-IX, e Papon c. Francia, n. 54210/00, § 90, 25 luglio 2002; v. anche il richiamo dei principi pertinenti in Fayed c. Regno Unito, 21 settembre 1994, § 65, serie A n. 294-B).
44. La Corte ha già affermato che il fatto che gli Stati concedano generalmente un’immunità più o meno ampia ai membri del Parlamento costituisce una prassi consolidata, volta a consentire la libera espressione dei rappresentanti del popolo e ad impedire che azioni giudiziarie faziose possano pregiudicare la funzione parlamentare. In queste condizioni, la Corte ritiene che l’ingerenza in questione, la quale era prevista dall’articolo 68 comma 1 della Costituzione, perseguisse scopi legittimi, vale a dire la tutela del libero dibattito parlamentare e il mantenimento della separazione dei poteri legislativo e giudiziario (C.G.I.L. e Cofferati c. Italia, già cit., § 69).
45. Per quanto riguarda la proporzionalità delle ingerenze in materia di immunità parlamentare, la Corte rinvia anzitutto alla propria giurisprudenza resa nelle cause Cordova c. Italia (Cordova (nn. 1 e 2), già cit., rispettivamente §§ 57-61 e §§ 58-62).
46. Nella fattispecie la Corte osserva che le dichiarazioni controverse di Taormina non erano legate all’esercizio di funzioni parlamentari stricto sensu, poiché erano state pronunciate nell’ambito di interviste con la stampa, e quindi al di fuori di una camera del Parlamento. È vero che nel corso delle sedute dei giorni 20 e 26 marzo, 26 giugno e 3 luglio 2002, in seno alla Camera dei deputati si è tenuto un dibattito parlamentare in merito all’omicidio del prof. Biagi. Resta comunque il fatto che dal fascicolo non risulta che Taormina sia intervenuto, per iscritto o oralmente, in una camera del Parlamento, a tale proposito o abbia citato una responsabilità morale o politica dei ricorrenti per l’assassinio in questione (C.G.I.L. e Cofferati c. Italia, già cit., § 72).
47. La C Corte ha esaminato le dichiarazioni di quest’ultimo, come riferite dall’agenzia di stampa ADNKronos. Essa ritiene che fossero volte a sostenere, in sostanza, che con la loro azione di contestazione delle riforme che il Governo aveva in programma di realizzare nel campo del diritto del lavoro, i ricorrenti erano almeno in parte responsabili del clima politico di tensione sociale che aveva condotto all’omicidio del prof. Biagi. Tuttavia, in tale caso, non si può giustificare un diniego di accesso alla giustizia con il solo motivo che la disputa potrebbe essere di natura politica o legata ad un’attività politica.
48. Secondo la Corte, l’assenza di un legame evidente con un’attività parlamentare esige un’interpretazione stretta del concetto di proporzionalità tra lo scopo prefissato e i mezzi impiegati. Ciò vale in particolar modo quando le restrizioni al diritto di accesso derivano da una deliberazione di un organo politico. Giungere ad una conclusione diversa equivarrebbe a limitare in modo incompatibile con l’articolo 6 § 1 della Convenzione il diritto di accesso a un tribunale dei privati ogni volta che le affermazioni criticate siano state pronunciate da un membro del Parlamento (Cordova (nn. 1 e 2), già cit., rispettivamente § 63 e § 64, e De Jorio, già cit., § 54).
49. La Corte ritiene che, nella fattispecie, la deliberazione della Camera dei deputati del 30 luglio 2003 concedendo l’immunità all’on. Taormina, la quale ha comportato la paralisi dell’azione dei ricorrenti volta a garantire la tutela della loro reputazione, non abbia rispettato il giusto equilibrio che deve sussistere in materia tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo.
50. La Corte attribuisce importanza anche al fatto che, dopo la deliberazione in questione e la sentenza della Coste costituzionale n. 368 del 2007, i ricorrenti non disponevano di altre vie di ricorso ragionevoli per tutelare efficacemente i loro diritti sanciti dalla Convenzione (v. Patrono, Cascini e Stefanelli già cit., § 65, e, a contrario, Waite e Kennedy, già cit., §§ 68-70, e A. c. Regno Unito, già cit., § 86).
51. Al riguardo, la Corte osserva che, nella presente causa, la Corte costituzionale, rilevando l’esistenza di un ostacolo di natura procedurale posto dal testo dell’ordinanza del tribunale di Roma, si è rifiutata di esaminare se le affermazioni di Taormina rientrassero nell’esercizio di «funzioni parlamentari» e fossero ricomprese nelle previsioni dell’articolo 68 comma 1 della Costituzione (v., mutatis mutandis, Jelo, già cit., § 54).
52. Non spetta alla Corte esaminare l’esattezza di questa interpretazione nel diritto interno. Infatti, sono in primo luogo le autorità nazionali, e in particolare le corti e i tribunali, a dover interpretare la legislazione interna (Edificaciones March Gallego S.A. c. Spagna, Recueil 1998-I, § 33, 19 febbraio 1998, e Pérez de Rada Cavanilles c. Spagna, 28 ottobre 1998, § 43, Recueil 1998-VIII). In compenso, la Corte ha il compito di verificare la compatibilità con la Convenzione degli effetti di una simile interpretazione (Cordova (n. 1), già cit., § 57, Kaufmann c. Italia, n. 14021/02, § 33, 19 maggio 2005, e Ielo, già cit., § 55). Senza esaminare in abstracto la legislazione e la prassi pertinenti, deve accertare se il modo in cui esse hanno interessato i ricorrenti abbia violato la Convenzione (v., mutatis mutandis, Padovani c. Italia, 26 febbraio 1993, § 24, serie A n. 257-B). Come la Corte ha appena constatato (paragrafo 49 supra), l’ostacolo al diritto di accesso alla giustizia dei ricorrenti non è stato, nel caso di specie, proporzionato agli scopi legittimi perseguiti.
53. Infine, per quanto riguarda l’argomento del Governo secondo cui, dato che le affermazioni di Taormina si traducevano in un esercizio legittimo della sua libertà di espressione, il procedimento nel merito avrebbe potuto concludersi solo con una decisione di rigetto della domanda dei ricorrenti, la Corte osserva che non è chiamata a pronunciarsi sulla questione di stabilire se, nella fattispecie, vi sia stata diffamazione. Nell’ambito del presente ricorso, la questione che le viene sottoposta è quella di valutare se i ricorrenti, che avevano presentato dinanzi ad un tribunale interno un’azione per diffamazione non manifestamente infondata, abbiano potuto beneficiare di un accesso alla giustizia conforme alle esigenze della Convenzione. Nel caso di specie, invece, ciò non è avvenuto.
54. Di conseguenza, l’eccezione del Governo relativa alla manifesta infondatezza va respinta, e si deve concludere che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

55. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

56. I ricorrenti chiedono la somma di 466.517 euro (EUR) per il danno materiale e morale che avrebbero subìto. Essi ricordano che le dichiarazioni controverse hanno attribuito loro dei comportamenti illeciti, il che avrebbe pregiudicato gravemente il loro onore e la loro reputazione.
57. Il Governo afferma che i ricorrenti non hanno dimostrato di avere subito un danno materiale. Inoltre, ritiene eccessivo l’importo richiesto per il danno morale.
58. La Corte rileva che i ricorrenti non hanno fornito alcuna prova del danno materiale che sostengono di avere subìto. Pertanto, nessuna somma può essere concessa a tale titolo. Essa ritiene invece che gli interessati abbiano subito un torto morale certo. Tenuto conto delle circostanze della causa e deliberando equamente conformemente all’articolo 41 della Convenzione, essa decide di accordare a ciascun ricorrente la somma di 8.000 EUR.

B. Spese

59. Producendo i necessari documenti giustificativi, i ricorrenti chiedono anche la somma di 20.115,51 EUR per le spese sostenute dinanzi al tribunale civile di Roma e dinanzi alla Corte costituzionale, nonché la somma di 18.311,69 EUR per quelle sostenute dinanzi alla Corte.
60. Il Governo si oppone e considera eccessive le somme richieste.
61. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne sono dimostrate la realtà, la necessità e l’importo ragionevole. Inoltre, le spese di giustizia sono rimborsabili solo nella misura in cui si riferiscono alla violazione constatata (v., ad esempio, Beyeler c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 33202/96, § 27, 28 maggio 2002; Sahin c. Germania [GC], n. 30943/96, § 105, CEDU 2003-VIII).
62. Nella fattispecie, e tenuto conto dei documenti di cui dispone e dei criteri sopra menzionati, la Corte giudica ragionevole la somma di 5.000 EUR per le spese relative ai procedimenti nazionali e la accorda congiuntamente ai ricorrenti. Per quanto riguarda le spese che si riferiscono al presente procedimento, la Corte ritiene eccessiva la somma richiesta ai ricorrenti e decide di accordare loro, congiuntamente, 3.000 EUR a questo titolo.

C. Interessi moratori

63. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,

  1. Dichiara, all’unanimità, il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara, con cinque voti contro due, che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  3. Dichiara, con cinque voti contro due,
    1. che lo Stato convenuto deve versare, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
      1. 8.000 EUR (ottomila euro), a ciascun ricorrente, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      2. 8.000 EUR (ottomila euro), ai ricorrenti, congiuntamente, per le spese, più l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta;
    2. che a decorrere dallo scadere di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4.  Rigetta, all’unanimità, la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 6 aprile 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Sally Dollé Françoise Tulkens
Cancelliere Presidente

Alla presente sentenza è allegato, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l'esposizione dell’opinione separata dei giudici A. Sajó e I. Karakaş.
F.T.
S.D.

OPINIONE DISSENZIENTE COMUNE
AI GIUDICI SAJÓ E KARAKAŞ
Non condividiamo l’opinione della maggioranza secondo cui nella presente causa vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Per il nostro ragionamento rinviamo all’opinione dissenziente comune già formulata nella causa C.G.I.L. e Cofferati contro Italia (n. 46967/07, 24 febbraio 2009).