Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 5 ottobre 2017 - Ricorso n. 32269/09 - Causa Mazzeo c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL' UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA MAZZEO c. ITALIA

(Ricorso n. 32269/09)

SENTENZA

STRASBURGO

5 ottobre 2017

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
.
Nella causa Mazzeo c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da
Kristina Pardalos, presidente,
Guido Raimondi,
Ksenija Turković,
Armen Harutyunyan,
Pauliine Koskelo,
Tim Eicke,
Jovan Ilievski, giudici,
e da Abel Campos, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 12 settembre 2017,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1 All'origine della causa vi è un ricorso (n. 32269/09) proposto contro la Repubblica italiana con cui tre cittadini di questo Stato, i sigg. Saverio Cosimo Mazzeo, Cosimo Damiano Mazzeo e Elmerindo Mazzeo («i ricorrenti»), hanno adito la Corte l'8 giugno 2009 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. I ricorrenti sono stati rappresentati dall'avv. G. Romano, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, P. Accardo.

3. I ricorrenti sostengono in particolare che la mancata esecuzione della sentenza definitiva emessa in loro favore in ragione dell'annullamento d'ufficio della decisione amministrativa che costituiva la base legale del loro credito ha comportato violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione e dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.

4. Il 6 giugno 2014 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5 Il primo dei ricorrenti (paragrafo 1 supra) è nato nel 1957 e risiede a Ceppaloni. Il secondo è nato nel 1961 e risiede a Arpaise. Il terzo è nato nel 1961 e risiede a Parma.

6. La madre dei ricorrenti, sig.ra Scocca, era insegnante di scuola materna. Con decreto n. 11830 del 15 luglio 1981, il presidente della regione Campania chiuse l’istituto in cui la sig.ra Scocca lavorava e decise che il personale in possesso di un contratto a tempo indeterminato sarebbe stato reimpiegato dal comune di Ceppaloni («il comune»). In base alla legge regionale n. 65 del 1980 («la legge n. 65»), l’amministrazione comunale doveva riassumere queste persone entro sessanta giorni a decorrere dal 30 luglio 1981 e, alla scadenza di questo termine, retribuirle conformemente al contratto collettivo nazionale di lavoro del personale degli enti locali.

7. Il 27 giugno 1988, con la delibera comunale n. 364/1988, il comune reimpiegò il suddetto personale, compresa la madre dei ricorrenti, sulla base di contratti di lavoro a tempo indeterminato. A decorrere da questa data, alla sig.ra Scocca venne riservato un trattamento più favorevole di quello da lei percepito tra il 1981 e il 1988, in applicazione del contratto collettivo nazionale sopra citato.

8. In seguito, con la delibera n. 44 del 25 giugno 1990, il comune licenziò la madre dei ricorrenti nell’ambito di un riordino del personale dell’amministrazione comunale.

9. Nel 1990 la sig.ra Scocca presentò un ricorso al tribunale amministrativo regionale di Napoli («il TAR») per ottenere l’annullamento del suo licenziamento e il versamento di un conguaglio corrispondente alla differenza retributiva che, secondo lei, avrebbe dovuto percepire a partire dalla data in cui, a suo dire, avrebbe dovuto essere reimpiegata dal comune e quella percepita a decorrere dal 27 giugno 1988, data del suo reimpiego.

10. Con sentenza del 28 gennaio 1997, il TAR respinse il ricorso della sig.ra Scocca poiché quest’ultima avrebbe dovuto preventivamente proporre un ricorso presso l’autorità amministrativa interessata. La sig.ra Scocca interpose appello avverso questa decisione. In pendenza del procedimento dinanzi al Consiglio di Stato, il 22 febbraio 2006, la sig.ra Scocca decedette e i ricorrenti si costituirono allora nel procedimento in qualità di eredi.

11. Con sentenza del 27 giugno 2006, depositata il 7 novembre 2006, il Consiglio di Stato accolse l’appello interposto dalla sig.ra Scocca ritenendo che il rapporto di lavoro tra quest’ultima e il comune rientrasse nei contratti di pubblico impiego, in quanto l’interessata aveva occupato un posto fisso e aveva lavorato come insegnante di scuola materna. Ritenne che, in applicazione della legge n. 65, il comune avrebbe dovuto reimpiegare la sig.ra Scocca entro sessanta giorni a decorrere dal 30 luglio 1981 e che, a decorrere dalla scadenza di questo termine, avrebbe dovuto versarle il trattamento previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro del personale degli enti locali. Condannò il comune a versare ai ricorrenti un conguaglio corrispondente alla differenza tra il trattamento al quale la sig.ra Scocca avrebbe avuto diritto e quello che quest’ultima aveva effettivamente percepito, maggiorato degli interessi legali e di una somma a titolo di compensazione per tener conto dell’inflazione. Infine, per quanto riguarda la legittimità del licenziamento della sig.ra Scocca, respinse la domanda dei ricorrenti relativa a questo punto, per mancanza di interesse ad agire, in ragione del suo decesso.

12. Il 18 ottobre 2007, un perito contabile designato dai ricorrenti stimò il credito di questi ultimi in 222.931,69 euro (EUR). Il 12 novembre 2007 i ricorrenti ingiunsero al comune di versare tale somma.

13. Poiché il comune non aveva ottemperato, il 30 gennaio 2008, i ricorrenti avviarono dinanzi al Consiglio di Stato un giudizio di ottemperanza.

14. Nel corso del procedimento di esecuzione, il 20 novembre 2008, il comune, avvalendosi dell’istituto dell’«autotutela», annullò d’ufficio la propria delibera n. 364/1988 con delibera n. 284 («la delibera comunale n. 284/2008»). A questo riguardo, indicò di essersi accorto, riesaminando il caso in vista dell’esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato, che la sig.ra Scocca avrebbe dovuto essere reimpiegata a titolo temporaneo e non sulla base di un contratto a tempo indeterminato. A suo parere, al fine di evitare il pagamento di una somma indebita a spese della collettività – cosa che, a suo avviso, avrebbe avuto gravi conseguenze sulla situazione economica dell’amministrazione –, risultava necessario annullare d’ufficio, a causa dell’illegittimità, la delibera comunale n. 364/1988 che prevedeva il reimpiego della sig.ra Scocca con un contratto a tempo indeterminato.

15. Di conseguenza, all’udienza del 21 novembre 2008, il comune chiese al Consiglio di Stato di respingere il giudizio di ottemperanza dei ricorrenti in quanto privo di fondamento giuridico.

16. Con l’ordinanza del 21 novembre 2008, depositata in cancelleria il 22 febbraio 2009, il Consiglio di Stato accolse la richiesta del comune osservando che il credito dei ricorrenti, riconosciuto dalla sua sentenza del 27 giugno 2006, era giuridicamente fondato sulla delibera comunale n. 364/1988 che assegnava alla sig.ra Scocca un posto a tempo indeterminato. Rilevò che la citata delibera era stata annullata d’ufficio dal comune in quanto la sig.ra Scocca avrebbe dovuto essere reimpiegata con un contratto a tempo determinato e non avrebbe pertanto dovuto beneficiare dell’applicazione della legge n. 65.

17. Ritenne pertanto che la delibera comunale n. 284/2008 aveva un impatto negativo sull’esistenza stessa del credito dei ricorrenti e che la legittimità di questa delibera non poteva essere messa in discussione in assenza di ricorso esercitato dagli interessati. Di conseguenza respinse il giudizio di ottemperanza dei ricorrenti in quanto privo di fondamento giuridico.

18. Il 22 gennaio 2009 i ricorrenti chiesero dinanzi al TAR l’annullamento della delibera comunale n. 284/2008. Il 1º aprile 2009 misero nuovamente in mora il comune, ingiungendogli di conformarsi alla sentenza del Consiglio di Stato del 27 giugno 2006.

19. Poiché il comune non aveva ancora ottemperato, i ricorrenti presentarono un secondo giudizio di ottemperanza dinanzi al Consiglio di Stato. Quest’ultimo, con ordinanza 30 marzo 2010, decise di sospendere il procedimento in attesa che il TAR decidesse sulla legittimità della delibera comunale n. 284/2008.

20. Il 19 novembre 2010 i ricorrenti depositarono al Consiglio di Stato una memoria con la quale, invocando tra l’altro l’articolo 6 della Convenzione, chiedevano alla alta giurisdizione amministrativa di riprendere l’esame della causa e di condannare il comune a versare in loro favore la somma corrispondente all’importo del loro credito, affermando che quest’ultimo era certo ed esigibile.

21. Con sentenza del 13 aprile 2012, depositata in cancelleria il 9 aprile 2013, il Consiglio di Stato dichiarò inammissibile il giudizio di ottemperanza dei ricorrenti. Espose che la situazione non era cambiata dopo la sua ordinanza del 21 novembre 2008, dal momento che il TAR non si era ancora pronunciato sulla legittimità della delibera comunale n. 284/2008.

22. Con sentenza del 13 dicembre 2012, depositata il 1º marzo 2013, il TAR respinse il ricorso di annullamento dei ricorrenti rilevando, innanzitutto, che la sentenza del Consiglio di Stato del 27 giugno 2006 non aveva definito la questione della legittimità della delibera comunale n. 364/1988. Di conseguenza ritenne che il comune era libero di pronunciarsi sulla legittimità dell’atto amministrativo in questione senza tuttavia ostacolare una decisione giudiziaria definitiva. A suo parere, la decisione del comune di annullare d’ufficio la delibera n. 364/1988 rispondeva ad un interesse pubblico attuale e concreto dal momento che evitava una perdita economica considerevole per il Tesoro pubblico che sarebbe derivata da un reimpiego illegittimo. Infine, considerò che il termine impiegato dall’amministrazione per annullare la delibera in questione non era sproporzionato, in quanto il rischio di danno per il Tesoro pubblico era apparso soltanto quando la sentenza del Consiglio di Stato del 27 giugno 2006 era passata in giudicato, ovvero il 7 novembre 2006.

23.Il 4 aprile 2013 i ricorrenti presentarono un ricorso contro questa sentenza. Il procedimento è ancora pendente dinanzi al Consiglio di Stato.

II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

24. Nell’ambito del suo potere di «autotutela» l’amministrazione pubblica può annullare o revocare, senza intervento dell’autorità giudiziaria delle decisioni amministrative già adottate.
Ai sensi dell’articolo 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, un atto amministrativo illegittimo può essere annullato d’ufficio dall’organo che lo ha emanato, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, sussistendone le ragioni di interesse pubblico.

IN DIRITTO

I. OBIEZIONE PRELIMINARE

25. Il Governo chiede alla Corte di rigettare il ricorso in quanto i ricorrenti non hanno rispettato il termine impartito per presentare osservazioni sulla sua ricevibilità e fondatezza, fissato al 27 novembre 2014.

26. La Corte osserva che i ricorrenti hanno inviato le loro osservazioni il 24 novembre 2014, ossia prima della scadenza del termine fissato a tale scopo. È dunque opportuno rigettare l’obiezione del Governo.

II. SULLE DEDOTTE VIOLAZIONI DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE E DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CONVENZIONE

27. I ricorrenti affermano che il rifiuto delle autorità nazionali di conformarsi alla sentenza del Consiglio di Stato del 27 giugno 2006 ha violato il principio della certezza del diritto e ha comportato una violazione del loro diritto di accesso a un tribunale. Invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione, che nei suoi passaggi pertinenti al caso di specie, recita:

«1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole, da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti (...)»

28. I ricorrenti considerano anche che la mancata esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato del 27 giugno 2006 abbia leso il loro diritto al rispetto dei beni sancito dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, che recita:

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

A. Sulla ricevibilità

29. Il Governo eccepisce anzitutto il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. Espone che la questione dell’esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato del 27 giugno 2006 è strettamente legata alla sorte della deliberazione municipale n. 284/2008 – atto amministrativo con il quale il comune ha esercitato il proprio potere di «autotutela» ed ha annullato la decisione amministrativa che costituiva il diritto di credito dei ricorrenti. Il Governo indica poi che il procedimento avviato dagli interessati per ottenere l’annullamento della deliberazione municipale n. 284/2008 è ancora pendente dinanzi ai giudici amministrativi (paragrafo 23 supra).

30. I ricorrenti affermano di avere già compiuto vari atti di procedura volti a ottenere l’esecuzione della sentenza definitiva del Consiglio di Stato del 27 giugno 2006. A loro avviso, non è ragionevole esigere che essi moltiplichino le procedure allo scopo di ottenere il recupero di un credito nei confronti dello Stato.

31. La Corte considera che l’eccezione preliminare sollevata dal Governo sia così strettamente legata alla sostanza delle doglianze dei ricorrenti che sia opportuno unirla al merito.

32. Constatando peraltro che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Argomenti delle parti

33. I ricorrenti affermano che, decidendo di annullare la decisione amministrativa che costituiva a loro avviso la base giuridica del credito da essi vantato verso lo Stato, l’amministrazione ha contravvenuto al principio della certezza del diritto, e argomentano che l’amministrazione ha usato il proprio potere di «autotutela» al solo scopo di impedire loro di ottenere la riscossione del credito, e questo, a quanto dicono, senza verificare se sussistano le garanzie previste dalla legge, ossia se sia stato rispettato un termine ragionevole, se si sia tenuto conto degli interessi delle persone coinvolte e se sussistano motivi di interesse pubblico.

34. Il Governo replica che il credito rivendicato dai ricorrenti, benché riconosciuto in un primo tempo dal Consiglio di Stato, non aveva una base giuridica nel diritto interno in quanto sarebbe stato fondato su una decisione amministrativa illegittima. Espone che il Consiglio di Stato si è limitato a esaminare la domanda formulata dalla madre dei ricorrenti, che verte su un conguaglio, senza esaminare previamente la legittimità della deliberazione municipale n. 364/1988, e che ha dunque erroneamente considerato che l’interessato fosse titolare di un contratto a tempo indeterminato. Di conseguenza, a suo parere, non si può considerare che vi sia stata violazione del principio della certezza del diritto e/o del diritto al rispetto dei beni dei ricorrenti.

2. Valutazione della Corte

a) Sulla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione

35. La Corte rammenta anzitutto che il diritto a un processo equo deve essere interpretato alla luce del preambolo della Convenzione, che enuncia la preminenza del diritto come elemento del patrimonio comune degli Stati contraenti. Ora, uno degli elementi fondamentali della preminenza del diritto è il principio della certezza dei rapporti giuridici (Brumărescu c. Romania [GC], n. 28342/95, § 61, CEDU 1999 VII), che tende soprattutto a garantire alle persone soggette alla giustizia una certa stabilità delle situazioni giuridiche e a favorire la fiducia del pubblico nella giustizia (Nejdet Şahin e Perihan Şahin c. Turchia [GC], n. 13279/05, § 57, 20 ottobre 2011,e Agrokompleks c. Ucraina, n. 23465/03, § 144, 6 ottobre 2011).

36. Questo principio è implicito in tutti gli articoli della Convenzione e costituisce uno degli elementi fondamentali dello Stato di diritto (si vedano, tra altre, Beian c. Romania (n. 1), n. 30658/05, § 39, CEDU 2007-XIII (estratti); Iordan Iordanov e altri c. Bulgaria, n. 23530/02, § 47, 2 luglio 2009; e Ştefănică e altri c. Romania, n. 38155/02, § 31, 2 novembre 2010). In effetti, l’incertezza – che sia legislativa, amministrativa o attinente alle pratiche applicate dalle autorità – è un fattore di cui si deve tenere conto per valutare la condotta dello Stato (Păduraru c. Romania, n. 63252/00, § 92, CEDU 2005-XII (estratti); Beian (n. 1), sopra citata, § 33; e Nejdet Şahin e Perihan Şahin, sopra citata, § 56).

37. Perciò, la certezza del diritto presuppone il rispetto del principio dell’autorità della cosa giudicata (Brumărescu, sopra citata, § 62), ossia del carattere definitivo delle decisioni giudiziarie. In effetti, un sistema giudiziario caratterizzato dalla possibilità di rimettere continuamente in causa e di annullare ripetutamente delle sentenze definitive viola l’articolo 6 § 1 della Convenzione (Sovtransavto Holding c. Ucraina, n. 48553/99, §§ 74, 77 e 82, CEDU 2002 VII). Queste continue rimesse in causa sono inammissibili sia se provengono da giudici che da membri dell’esecutivo (Tregoubenko c. Ucraina, n. 61333/00, § 36, 2 novembre 2004) o da autorità non giudiziarie (Agrokompleks, sopra citata, §§ 150-151). Non si può derogare a questo principio se non in presenza di motivi sostanziali e imperiosi (Riabykh c. Russia, n. 52854/99, § 52, CEDU 2003 IX).

38. La Corte ha anche considerato in varie cause che, anche in assenza di annullamento di una sentenza, il fatto di rimettere in discussione la soluzione apportata a una controversia per mezzo di una decisione giudiziaria definitiva nell’ambito di un altro procedimento giudiziario poteva violare l’articolo 6 della Convenzione in quanto poteva rendere illusorio il diritto a un tribunale e violare il principio della certezza del diritto (Kehaya e altri c. Bulgaria, nn. 47797/99 e 68698/01, §§ 67-70, 12 gennaio 2006, Gök e altri c. Turchia, nn. 71867/01, 71869/01, 73319/01 e 74858/01, §§ 57-62, 27 luglio 2006, e Esertas c. Lituania, n. 50208/06, §§ 23-32, 31 maggio 2012).

39. Peraltro, la Corte ha detto molte volte che il diritto all’esecuzione di una decisione giudiziaria era uno degli aspetti del diritto a un tribunale (Hornsby c. Grecia, 19 marzo 1997, § 40, Recueil des arrêts et décisions 1997-II, e Simaldone c. Italia, n. 22644/03, § 42, 31 marzo 2009). Se così non fosse, le garanzie dell’articolo 6 § 1 della Convenzione sarebbero private di ogni effetto utile. La protezione effettiva della persona sottoposta alla giustizia implica l’obbligo per lo Stato o uno dei suoi organi di eseguire la sentenza. Se lo Stato rifiuta o omette di dare esecuzione, o tarda a farlo, le garanzie dell’articolo 6 di cui ha beneficiato tale persona nella fase giudiziaria della procedura perderebbero ogni ragione di essere (Hornsby, sopra citata, § 41). L’esecuzione, inoltre, deve essere completa, perfetta e non parziale (Matheus c. Francia, n. 62740/00, § 58, 31 marzo 2005, e Sabin Popescu c. Romania, n. 48102/99, §§ 68-76, 2 marzo 2004).

40. Nella fattispecie, la Corte osserva che i ricorrenti lamentano l’impossibilità di ottenere l’esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato del 27 giugno 2006 a causa dell’annullamento da parte del Comune della decisione amministrativa che costituiva la base giuridica del loro credito. Essa è chiamata ad esaminare se la situazione denunciata presenti un’apparenza di violazione del principio della certezza giuridica nonché del diritto a un tribunale, come enunciati nella sua giurisprudenza sopra citata.

41. La Corte osserva anzitutto che non viene contestato che la sentenza del Consiglio di Stato del 27 giugno 2006 avesse un carattere definitivo.

42. Essa osserva inoltre che, nel caso di specie, le autorità non hanno direttamente annullato o rimesso in discussione la sentenza controversa (si vedano, a contrario, Brumărescu, sopra citata, e le cause citate al paragrafo 37 supra). Tuttavia, annullando d’ufficio l’atto amministrativo che disponeva la riassunzione della madre dei ricorrenti a tempo indeterminato, adottato venti anni prima, il comune a de facto privato la sentenza del Consiglio di Stato della sua sostanza e ne ha impedito l’esecuzione.

43. Certamente, il comune ha giustificato la sua decisione adducendo la necessità di riparare a un errore commesso al momento della riassunzione della sig.ra Scocca. In ogni caso, la Corte non può che constatare che il comune ha atteso che i ricorrenti avviassero un’azione di esecuzione forzata per rilevare il presunto errore. Poiché il comune non ha eccepito nulla a questo proposito per tutta la durata del procedimento giudiziario principale, che ha avuto una durata di sedici anni, gli interessati potevano aspettarsi in buona fede che la questione della natura dell’assunzione in causa e quella del riconoscimento del loro credito fossero regolate in maniera definitiva. A questo proposito, la Corte rammenta che non possono essere i ricorrenti a dover sostenere l’onere di eventuali lacune delle autorità (si vedano, mutatis mutandis, Gashi c. Croazia, n. 32457/05, § 40, 13 dicembre 2007, e Lungu e altri c. Romania, n. 25129/06, § 45, 21 ottobre 2014). Essa rammenta inoltre che solo gli errori di fatto che siano divenuti evidenti soltanto dopo la fine di un procedimento giudiziario possono giustificare una deroga al principio della certezza del diritto (Stanca Popescu c. Romania, n. 8727/03, § 104, 7 luglio 2009).

44. Inoltre, nella misura in cui il comune ha addotto motivi di ordine economico per giustificare l’annullamento d’ufficio della sua precedente decisione (paragrafo 14 supra), si deve rammentare che le autorità dello Stato non possono giustificare con la mancanza di fondi il fatto di non onorare un debito basato su una decisione giudiziaria (si vedano, tra molte altre, Bourdov c. Russia, n. 59498/00, § 35, CEDU 2002-III, Cocchiarella c. Italia [GC], n. 64886/01, § 90, CEDU 2006 V, e Pennino c. Italia, n. 43892/04, § 89, 24 settembre 2013).

45. Infine, la Corte non può condividere l’argomento del Governo secondo il quale i ricorrenti dovrebbero attendere l’esito del procedimento da loro intentato al fine di ottenere l’annullamento della deliberazione municipale n. 284/2008. Essa osserva che detto procedimento è pendente dinanzi ai giudici amministrativi da quasi nove anni e costituisce solo una delle azioni giudiziarie intentate dai ricorrenti per far riconoscere l’autorità della cosa giudicata della sentenza del 27 giugno 2006. La Corte ritiene che sarebbe irragionevole, nelle particolari condizioni del caso di specie, esigere che i ricorrenti ne attendano l’esito.

46. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte conclude che la decisione del comune di annullare d’ufficio l’atto che dispone la riassunzione della madre dei ricorrenti ha, nelle circostanze del caso di specie, contravvenuto al principio della certezza del diritto e ha comportato una violazione del diritto di accesso degli interessati a un tribunale, sancito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.

b) Sulla violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione

47. La Corte rammenta che un «credito» può costituire un «bene» ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 se è sufficientemente provato per essere esigibile (Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 59, serie A n. 301-B). Essa rammenta anche che la preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, è insita in tutti gli articoli della Convenzione (Amuur c. Francia, 25 giugno 1996, § 50, Recueil 1996-III) e implica il dovere dello Stato o di una autorità pubblica di conformarsi a una decisione o una sentenza emessa nei suoi confronti (si veda, mutatis mutandis, Hornsby, sopra citata, § 41). Ne consegue che la necessità di cercare di stabilire se sia stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 69, serie A n. 52) può farsi sentire solo quando è dimostrato che l’ingerenza controversa ha rispettato il principio della legalità e non era arbitraria (Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 58, CEDU 1999–II).

48. La Corte rammenta poi che un organo amministrativo non può legittimamente rifiutare di dare esecuzione a una sentenza definitiva in quanto quest’ultima è erronea o contraria a una disposizione di legge (si vedano, mutatis mutandis, Mancheva c. Bulgaria, n. 39609/98, § 59, 30 settembre 2004, e Petkov e altri c. Bulgaria, nn. 77568/01, 178/02 e 505/02, § 64 in fine, 11 giugno 2009). Essa rammenta ancora che il principio della certezza dei rapporti giuridici esige che la soluzione data in maniera definitiva a qualsiasi controversia da parte dei tribunali non sia più rimessa in causa (Brumărescu, sopra citata, § 61, e Kehaya e altri, sopra citata, §§ 68-70 e 74), salvo se lo impongono motivi sostanziali e imperiosi (Riabykh, sopra citata, § 52).

49. Nella fattispecie, la Corte osserva che la presente causa non riguarda l’annullamento o la modifica della sentenza controversa, ma l’inosservanza dell’autorità della cosa giudicata di una decisione giudiziaria definitiva emessa all’esito di un contenzioso giudiziario. A questo proposito, essa rammenta che ha appena concluso che, annullando l’atto che disponeva la riassunzione della sig.ra Scocca, le autorità hanno privato de facto la sentenza definitiva del Consiglio di Stato del 27 giugno 2006 di qualsiasi effetto legale violando in tal modo il principio della certezza del diritto inerente all’articolo 6 della Convenzione (paragrafo 46 supra).

50. Ne consegue che l’ingerenza nel diritto di proprietà dei ricorrenti contravviene al principio della preminenza del diritto inerente alla Convenzione (Kehaya e altri, sopra citata, § 76, Decheva e altri c. Bulgaria, n. 43071/06, § 57, 26 giugno 2012, e Solomun c. Croazia, n. 679/11, § 62, 2 aprile 2015). La Corte ritiene che tale conclusione la dispensi dal cercare di stabilire se sia stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi di salvaguardia dei diritti individuali.

51. Pertanto, la Corte conclude che l’ingerenza controversa non era compatibile con il principio di legalità e ha dunque comportato una violazione del diritto dei ricorrenti al rispetto dei loro beni.

c) Conclusione

52. Pertanto, la Corte rigetta l’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sollevata dal Governo e conclude che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

53. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

54. I ricorrenti chiedono la somma di 224.825,38 EUR per il danno materiale che affermano di avere subito, somma che corrisponde all’importo stabilito dal perito contabile nell’ambito del procedimento di esecuzione forzata della sentenza del Consiglio di Stato del 27 giugno 2006 (paragrafo 12 supra) maggiorato degli interessi e di una somma a titolo di compensazione per tenere conto dell’inflazione. Chiedono inoltre la somma di 10.000 EUR per il danno morale che ritengono di avere subito.

55. Il Governo considera che ai ricorrenti non sia dovuta alcuna equa soddisfazione.

56. La Corte rammenta che una sentenza che constata una violazione comporta per lo Stato convenuto l’obbligo giuridico rispetto alla Convenzione di porre fine alla violazione e di eliminarne le conseguenze in modo da ripristinare per quanto possibile la situazione precedente (Metaxas, sopra citata, § 35, e Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 31107/96, § 32, CEDU 2000-XI).

57. Essa rammenta di avere concluso nel caso di specie che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione a causa dell’impossibilità per i ricorrenti di ottenere la riscossione del loro credito riconosciuto dalla sentenza definitiva del Consiglio di Stato del 27 giugno 2006.

58. Di conseguenza, si deve dedurre che i ricorrenti hanno subito un danno materiale e un danno morale a causa del senso di impotenza e frustrazione provocato dal mancato pagamento in questione.

59. Per quanto riguarda il fatto che uno dei procedimenti intentati dai ricorrenti sia ancora pendente dinanzi ai giudici nazionali, la Corte ha già concluso che sarebbe irragionevole attenderne l’esito (paragrafo 46 supra), e considera peraltro improbabile che i ricorrenti ricevano un doppio risarcimento, dato che i giudici nazionali, quando delibereranno in merito alla causa, terranno inevitabilmente conto di tutte le somme accordate a un ricorrente da questa Corte (Serghides e Christoforou c. Cipro (equa soddisfazione), n. 44730/98, § 29, 12 giugno 2003; Serrilli c. Italia (equa soddisfazione), n. 77822/01, § 17, 17 luglio 2008; Vassallo c. Malta (equa soddisfazione), n. 57862/09, § 13, 11 ottobre 2011).

60. Tenuto conto complessivamente di questi elementi e deliberando in via equitativa, la Corte ritiene ragionevole accordare ai ricorrenti una somma complessiva di 245.000 EUR per tutti i danni, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma.

B. Spese

61. I ricorrenti chiedono anche la somma di 26.686,80 EUR a rimborso delle spese sostenute dinanzi alla Corte.

62. Il governo si oppone a questa richiesta.

63. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti di cui dispone e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole la somma di 2.500 EUR per il procedimento dinanzi ad essa e la accorda ai ricorrenti.

C. Interessi moratori

64. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL' UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione
  4. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. 245.000 EUR (duecentoquarantacinquemila euro), più l'importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno materiale e il danno morale,
      2. 2.500 EUR (duemilacinquecento euro), più l'importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta, per le spese
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 5 ottobre 2017, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Kristina Pardalos
Presidente

Abel Campos
Cancelliere