Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 7 settembre 2017 - Ricorso n. 37189/05 - Causa Messana c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con Rita Carnevali, assistente linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA MESSANA c. ITALIA

(Ricorso n. 37189/05)

SENTENZA

STRASBURGO

7 settembre 2017

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Messana c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in un comitato composto da
Kristina Pardalos, presidente,
Pauliine Koskelo,
Tim Eicke, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio l’11 luglio 2017,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 37189/05) presentato contro la Repubblica italiana con cui tre cittadini di questo Stato, il sig. Calogero Messana e le sigg.re Rosa e Giuseppa Marianna Messana («i ricorrenti»), hanno adito la Corte l’11 agosto 2005 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. I ricorrenti sono stati rappresentati dall’avv. G. Ingrascì, del foro di Catania. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, dal suo ex co-agente. N. Lettieri, e dal suo co-agente P. Accardo.

3. Il 29 maggio 2007 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1946, 1944 e 1948 e risiedono a Caltanissetta.

5. I ricorrenti erano proprietari di un terreno di 1.500 metri quadrati situato a Canicattí, registrato in catasto al foglio 67, particella 14.

6. Con decreto del 3 luglio 1975, il comune di Canicattì autorizzò l’Istituto Autonomo Case Popolari («IACP») a occupare d’urgenza il terreno per un periodo di cinque anni, in vista della sua espropriazione, al fine di costruirvi delle case popolari.

7. Il terreno fu materialmente occupato il 30 luglio 1975. I lavori di costruzione terminarono il 18 luglio 1977.

8. Il 13 febbraio 1981 l’amministrazione offrì una somma a titolo di acconto sull’indennità di espropriazione, che fissò in 2.213.250 lire italiane (ITL) (circa 1.143 euro, «EUR»). Il 27 marzo 1985 la somma fu depositata presso la Cassa depositi e prestiti.

9. Con decreto del 14 gennaio 1986, il comune dichiarò l’espropriazione formale del terreno.

10. Con atto notificato l’11 gennaio 1991, i ricorrenti avviarono dinanzi al tribunale di Agrigento un’azione giudiziaria per risarcimento danni nei confronti del comune di Canicattí e dello IACP. Essi sostenevano che l’occupazione del terreno era illegittima e che i lavori di edificazione erano terminati senza procedura di espropriazione formale del terreno e senza il pagamento di un’indennità. Reclamavano una somma corrispondente al valore venale del terreno e un’indennità di occupazione.

11. Nel corso del procedimento, il tribunale richiese una perizia tecnica. Secondo il perito, il periodo di occupazione autorizzata era terminato il 30 luglio 1980 e, di conseguenza, l’espropriazione formale del terreno era tardiva. Il valore venale del terreno a questa data era di 60.000 ITL (circa 31 EUR) al metro quadrato.

12. Con sentenza del 23 gennaio 1997, depositata il 31 gennaio 1997, il tribunale di Agrigento constatò che la trasformazione del terreno era avvenuta durante il periodo di occupazione legittima e che la realizzazione delle case popolari aveva comportato il trasferimento della proprietà del terreno all’amministrazione, conformemente alla giurisprudenza della Corte di cassazione in materia di espropriazione indiretta. Tuttavia, il tribunale dichiarò che ai ricorrenti non era dovuto alcun indennizzo poiché l’azione per risarcimento danni era soggetta a un termine di prescrizione di cinque anni che iniziava a decorrere dalla data di scadenza del periodo di occupazione autorizzata, il 30 luglio 1980.

13. Il 17 marzo 1998 i ricorrenti adirono la corte d’appello di Palermo.

14. Con sentenza del 7 aprile 2000, depositata il 27 dicembre 2000, la corte rigettò l’appello dei ricorrenti affermando che la data a partire dalla quale il termine di prescrizione quinquennale aveva cominciato a decorrere era il 27 marzo 1985, vale a dire il giorno in cui l’amministrazione aveva versato l’acconto sull’indennità di espropriazione. La corte d’appello concluse pertanto che il diritto dei ricorrenti al risarcimento dei danni era prescritto.

15. I ricorrenti proposero ricorso per cassazione lamentando il difetto di motivazione della sentenza della corte d’appello sul calcolo del termine di prescrizione e contestando anche l’istituto della espropriazione indiretta che era, a loro parere, in contrasto con la Convenzione.

16. Con sentenza del 14 dicembre 2004, la Corte di cassazione annullò la sentenza di secondo grado e rinviò l’esame della causa ad un’altra sezione della corte d’appello di Palermo. Essa sostenne che la corte d’appello non aveva sufficientemente motivato la sua decisione per quanto riguarda il momento a partire dal quale il termine di prescrizione aveva iniziato a decorrere. Invece, per quanto riguarda l’istituto dell’espropriazione indiretta, la Corte di cassazione affermò che, secondo una lettura della giurisprudenza in materia, non era possibile dedurre che fosse in contrasto con la Convenzione.

17. Con sentenza del 22 giugno 2012, la corte d’appello di Palermo considerò che il diritto dei ricorrenti al risarcimento non poteva ritenersi prescritto, essendo, il 14 gennaio 1986, la data esatta in cui aveva iniziato a decorrere il termine di prescrizione per chiedere il risarcimento dei danni. Osservò, inoltre, che la somma dovuta ai ricorrenti doveva essere pari al valore venale del terreno espropriato.

18. Di conseguenza, basandosi sulla relazione peritale presentata durante il procedimento svoltosi dinanzi al tribunale di Agrigento (paragrafo 11 supra), la corte d’appello condannò lo IACP a versare ai ricorrenti 35.960 EUR a titolo di danno materiale per la perdita del terreno, e anche 8.500 EUR a titolo di danno subìto a causa della perdita di valore della restante parte di terreno, oltre a interessi e rivalutazione. La corte d’appello ritenne che non fosse dovuta alcuna somma a titolo di indennità di occupazione legittima in quanto una richiesta in tal senso era stata proposta per la prima volta nell’ambito della procedura di rinvio dopo cassazione.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

A. Il principio dell’espropriazione indiretta («occupazione acquisitiva» o «accessione invertita»)

19. Il diritto interno pertinente relativo all’espropriazione indiretta è descritto nella sentenza Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], §§ 18-48 n. 58858/00, 22 dicembre 2009.

B. Le sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 22 ottobre 2007

20. Con le sentenze nn. 348 e 349 del 22 ottobre 2007 (dette anche sentenze gemelle) la Corte costituzionale ha:

  1. rammentato che l’articolo 117 comma 1 della Costituzione afferma che «la potestà legislativa è esercitata (...) nel rispetto (...) dei vincoli derivanti (…) dagli obblighi internazionali»;
  2. affermato che il dovere di rispettare questi obblighi incide sul contenuto della legge statale;
  3. affermato che la Convenzione «concretizza la consistenza» di questi obblighi;
  4. ritenuto che ratificando la Convenzione, l’Italia si sia impegnata ad adeguare il suo sistema giuridico alle disposizioni di quest’ultima, come interpretate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo;
  5. considerato che, nel sistema italiano delle fonti del diritto, la Convenzione è una norma sub-costituzionale, avente un rango intermedio tra la legge e la Costituzione;
  6. affermato che, in caso di potenziale conflitto tra la Convenzione e la legge interna, il giudice deve innanzitutto verificare se quest’ultima possa essere interpretata in modo conforme alla Convenzione; in caso contrario, dovrà sollevare un incidente di costituzionalità, chiedendo alla Corte costituzionale di verificare se l’eventuale incompatibilità tra la legge interna e la norma interposta rappresentata dalla Convenzione abbia violato l’articolo 117 comma 1 della Costituzione.

21. Con queste due sentenze l’Alta giurisdizione ha dichiarato incostituzionali alcune disposizioni in materia di indennità di esproprio contenute nel decreto-legge n. 333 dell’11 luglio 1992, nella legge n. 662 del 1996 e nel decreto del Presidente della Repubblica n. 327 dell’8 giugno 2001. In particolare, nella sentenza n. 349 la Corte costituzionale ha rilevato che l’insufficiente livello di indennizzo previsto dalla legge del 1996 fosse in contrasto con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 e di conseguenza con l’articolo 117 comma 1 della Costituzione italiana, che prevede il rispetto degli obblighi internazionali.

22. In seguito alle sentenze della Corte costituzionale sono intervenute delle modifiche legislative nel diritto interno. L’articolo 2/89 e) della legge finanziaria n. 244 del 2007 ha stabilito che nei casi di espropriazione indiretta il risarcimento deve corrispondere al valore venale dei beni, non essendo ammessa alcuna riduzione.

23. Questa disposizione è stata applicata a tutti i procedimenti pendenti al 1º gennaio 2008, ad esclusione di quelli in cui la decisione sull’indennità di espropriazione o sul risarcimento era stata accettata o era divenuta definitiva.

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1

24. I ricorrenti sostengono di essere stati privati del loro terreno in maniera incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 a causa dell’applicazione del principio dell’espropriazione indiretta. Essi invocano anche l’articolo 13 della Convenzione, in combinato disposto con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 senza, tuttavia, argomenti a sostegno. La Corte esaminerà tale motivo di ricorso unicamente dal punto di vista dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, il quale è così formulato:

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

25. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

1. Sull’eccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne

26. Nelle sue osservazioni depositate nella cancelleria della Corte il 25 ottobre 2007, il Governo sollevava un’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in quanto il procedimento nazionale era pendente e non vi era ancora una sentenza interna definitiva. Con lettera del 3 marzo 2015, il Governo informò la Corte che il procedimento interno si era concluso con la sentenza della corte d’appello di Palermo del 22 giugno 2012. Pertanto, l’eccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne non può essere accolta.

2. Sull’eccezione relativa alla perdita della qualità di «vittima»

27. Il Governo afferma che i ricorrenti non possono più sostenere di essere «vittime» della violazione dedotta poiché hanno ottenuto dalla corte d’appello di Palermo un risarcimento corrispondente al valore venale del terreno espropriato, oltre interessi e rivalutazione.

28. La Corte osserva anzitutto che la questione di stabilire se un ricorrente possa sostenere di essere vittima della violazione dedotta si pone in ogni fase della procedura sul terreno della Convenzione (si veda, tra altre, Scordino c. Italia (n. 1) [GC], n. 36813/97, § 179, CEDU 2006 -V). Per stabilire se il ricorrente possa sostenere di essere effettivamente vittima di una presunta violazione, occorre tener conto non solo della situazione ufficiale al momento della presentazione del ricorso dinanzi alla Corte, ma anche di tutte le circostanze della causa in questione, in particolare di ogni fatto nuovo precedente la data dell’esame della causa da parte della Corte (Tănase c. Moldavia [GC], n. 7/08, § 105, CEDU 2010).

29. La Corte rammenta, inoltre, che una decisione o una misura favorevole al ricorrente è sufficiente in linea di principio a privarlo della sua qualità di «vittima» solo qualora le autorità nazionali abbiano riconosciuto, esplicitamente o sostanzialmente, e poi riparato la violazione della Convenzione (si vedano Guerrera e Fusco c. Italia, n. 40601/98, § 53, 3 aprile 2003; Amuur c. Francia, 25 giugno 1996, § 36, Recueil des arrêts et décisions 1996 III).

30. Da quanto sopra esposto deriva che spetta alla Corte verificare, da un lato, se le autorità abbiano riconosciuto, almeno in sostanza, la violazione di un diritto tutelato dalla Convenzione e, dall’altro, se la riparazione possa essere considerata adeguata e sufficiente (si veda Scordino c. Italia (n. 1), sopra citata).

31. La Corte rammenta di aver già esaminato delle eccezioni simili in altri cause concernenti delle espropriazioni indirette. In queste cause, era giunta alla conclusione che il semplice fatto che il ricorrente abbia ricevuto un indennizzo corrispondente al valore venale del terreno espropriato non è di per sé sufficiente a privarlo della qualità di «vittima», sebbene ciò possa giocare un ruolo nell’ambito dell’articolo 41 (si veda Armando Iannelli c. Italia, n. 24818/03, § 31, 12 febbraio 2013 e la giurisprudenza citata).

32. Nel caso di specie la Corte osserva che la Corte di cassazione annullò la sentenza di secondo grado e rinviò la causa alla corte d’appello di Palermo affermando che la corte d’appello non aveva sufficientemente motivato la sua decisione per quanto riguarda il momento a partire dal quale il termine di prescrizione aveva iniziato a decorrere. Essa dichiarò tuttavia che non poteva concludere che vi fosse una incompatibilità tra l’istituto dell’espropriazione indiretta e la Convenzione (paragrafo 16 supra).

33. Di conseguenza, la Corte non ritiene che vi sia stato il riconoscimento, né esplicitamente né sostanzialmente, della violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 nell’ambito del procedimento nazionale (si veda, a contrario, Armando Iannelli c. Italia, sopra citata, § 35).

34. In queste circostanze, e in mancanza di un simile riconoscimento, anche supponendo che il risarcimento accordato sia stato sufficiente e adeguato, la Corte ritiene che i ricorrenti possano ancora sostenere di essere vittime della violazione dedotta. Di conseguenza, la Corte respinge l’eccezione del Governo.

35. La Corte constata che il motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione rilevando, peraltro, che esso non incorre in altri motivi di irricevibilità. E’ dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Nel merito

1. Argomenti delle parti

36. I ricorrenti rammentano che sono stati privati del loro bene in virtù del principio dell’espropriazione indiretta, un meccanismo che consente all’autorità pubblica di acquisire un bene illegittimamente, fatto inammissibile in uno Stato di diritto.

37. Il Governo prende atto del fatto che la giurisprudenza della Corte, ormai consolidata, conclude che vi è una incompatibilità del meccanismo dell’espropriazione indiretta con il principio di legalità. Tuttavia, alla luce delle sentenze dei giudici interni che dichiarano che vi era stato un trasferimento di proprietà, e che secondo il Governo è assimilabile ad un atto formale di espropriazione, l’espropriazione in questione non potrebbe più considerarsi incompatibile con il rispetto dei beni e il principio della preminenza del diritto.

2. Valutazione della Corte

a) Sulla esistenza di una ingerenza

38. La Corte fa riferimento alla sua giurisprudenza costante relativa all’articolo 1 del Protocollo n. 1 e alle tre norme distinte che questa disposizione contiene (si vedano, fra molte altre, Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 61, serie A n. 52, Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 55, CEDU 1999 II, Immobiliare Saffi c. Italia [GC], n. 22774/93, § 44, CEDU 1999 V, Broniowski c. Polonia [GC], n. 31443/96, § 134, CEDU 2004 V, e Vistiņš e Perepjolkins c. Lettonia [GC], n. 71243/01, § 93, 25 ottobre 2012).

39. La Corte constata che le parti concordano nel dichiarare che vi è stata una «privazione» della proprietà ai sensi della seconda frase del primo comma dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

40. La Corte deve quindi accertare se la privazione denunciata si giustifichi dal punto di vista di questa disposizione.

b) Sul rispetto del principio di legalità

41. La Corte rammenta che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 esige, prima di tutto e soprattutto, che un’ingerenza della pubblica autorità nel godimento del diritto al rispetto dei beni sia legittima: la seconda frase del primo comma di questo articolo autorizza una privazione di proprietà soltanto «nelle condizioni previste dalla legge»; il secondo comma riconosce agli Stati il diritto di disciplinare l’uso dei beni mettendo in vigore delle «leggi». Inoltre, la preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, è insita in tutti gli articoli della Convenzione (Amuur c. Francia, 25 giugno 1996, § 50, Recueil des arrêts et décisions 1996 III, Iatridis c. Grecia [GC], sopra citata, § 58).

42. La Corte rinvia poi alla sua giurisprudenza in materia di espropriazione indiretta (si vedano, tra le altre, Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, n.31524/96, CEDU 2000-VI; Scordino c. Italia (n. 3), n. 43662/98, 17 maggio 2005, e Velocci c. Italia, n. 1717/03, 18 marzo 2008) per un riepilogo dei principi pertinenti e per una sintesi della sua giurisprudenza in materia, in particolare per quanto riguarda la questione del rispetto del principio di legalità in questa tipologia di cause.

43. Nella presente causa, la Corte rileva che, applicando il principio dell’espropriazione indiretta, i giudici interni hanno ritenuto che i ricorrenti erano stati privati del loro bene a decorrere dalla data della cessazione del periodo di occupazione legittima. Ora, in assenza di un atto formale di espropriazione, la Corte ritiene che questa situazione non possa essere considerata «prevedibile», poiché è solo con la decisione giudiziaria definitiva che si può considerare il principio dell’espropriazione indiretta come effettivamente applicato e l’acquisizione del terreno da parte delle autorità pubbliche sancita. Di conseguenza, i ricorrenti hanno avuto la certezza giuridica per quanto riguarda la privazione del terreno solo dalla data in cui la sentenza della corte d’appello di Palermo è divenuta definitiva.

44. La Corte osserva poi che la situazione in causa ha consentito all’amministrazione di trarre vantaggio da una occupazione di terreno illegittima. In altre parole, l’amministrazione ha potuto appropriarsi del terreno in spregio delle regole che disciplinano l’espropriazione in buona e debita forma.

45. Alla luce di queste considerazioni, la Corte ritiene che l’ingerenza controversa sia incompatibile con il principio di legalità e che abbia quindi violato il diritto al rispetto dei beni dei ricorrenti.

46. Di conseguenza, vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

47. I ricorrenti lamentavano la mancanza di equità del procedimento temendo l’applicazione della legge n. 662 del 1996, fatto che avrebbe potuto privarli di un indennizzo corrispondente al valore venale del terreno. Essi invocavano l’articolo 6 § 1 della Convenzione, che, nei suoi passaggi pertinenti, dispone:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (...) da un tribunale (...), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

48. La Corte osserva che, nel caso di specie, la somma riconosciuta ai ricorrenti dalla corte d’appello di Palermo non è stata assoggettata alla riduzione prevista dalla legge n. 662 del 1996.

49. Ne consegue che questo motivo di ricorso è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3, e deve essere respinto in virtù dell’articolo 35 § 4, dal momento che i ricorrenti non possono avvalersi della qualità di vittima.

III. SULLE ALTRE VIOLAZIONI DEDOTTE

50. I ricorrenti invocano anche l’articolo 17 della Convenzione, senza tuttavia produrre prove a sostegno di questo motivo di ricorso.

51. La Corte rileva che, non essendo suffragato da elementi di prova, questo motivo di ricorso deve essere dichiarato irricevibile in quanto manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

52. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno materiale

53. Nelle loro osservazioni del 4 dicembre 2007, i ricorrenti chiedevano un risarcimento danni corrispondente al valore venale del terreno alla data della sentenza della Corte, oltre interessi e rivalutazione. Chiedevano inoltre il versamento di una somma per il mancato godimento del terreno, di una somma a titolo di plusvalenza derivante dalla costruzione dell’opera pubblica, e di una somma per il mancato godimento degli immobili edificati sul terreno da parte dell’amministrazione.

54. Il Governo si opponeva a tali pretese.

55. La Corte ricorda che una sentenza che constata una violazione comporta per lo Stato convenuto l’obbligo di porre fine alla violazione e di eliminarne le conseguenze in modo da ripristinare per quanto possibile la situazione precedente (Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 31107/96, § 32, CEDU 2000-XI).

56. Essa rammenta che, nella causa Guiso-Gallisay c. Italia (sopra citata), la Grande Camera ha modificato la giurisprudenza della Corte sui criteri di indennizzo nei casi di espropriazione indiretta. In particolare, ha deciso di respingere le pretese dei ricorrenti se fondate sul valore dei terreni alla data della sentenza della Corte e di non tenere più conto, per valutare il danno materiale, del costo di costruzione degli immobili edificati dallo Stato sui terreni.

57. L’indennizzo deve pertanto corrispondere al valore integrale del terreno al momento della perdita della proprietà, come accertata dalla perizia disposta dal giudice competente nel corso della procedura interna. Inoltre, una volta che sarà dedotta la somma eventualmente concessa a livello nazionale, questo importo deve essere attualizzato per compensare gli effetti dell’inflazione. Occorre anche aggiungere interessi tali da compensare, almeno in parte, il lungo lasso di tempo trascorso dallo spossessamento del terreno.

58. La Corte osserva che i ricorrenti hanno ricevuto a livello nazionale una somma corrispondente al valore venale del terreno, rivalutata e maggiorata di interessi, a decorrere dalla data della perdita della proprietà, vale a dire il 30 luglio 1980 (paragrafi 17-18 supra).

59. La Corte ritiene pertanto che gli interessati abbiano già ottenuto una somma sufficiente a soddisfare i criteri di indennizzo sopra citati.

60. Per quanto riguarda la perdita di opportunità subita a seguito dell’espropriazione, la Corte rammenta che, nella sua sentenza del 22 giugno 2012, la corte d’appello di Palermo constatò che la domanda dei ricorrenti a titolo di indennità di occupazione legittima era stata proposta per la prima volta nel procedimento di rinvio dopo cassazione e, per tale motivo, la rigettò (paragrafo 18 supra). Di conseguenza, la Corte ritiene che ai ricorrenti non sia dovuta alcuna somma a tale titolo.

B. Danno morale

61. I ricorrenti chiedono la somma di 50.000 EUR ciascuno a titolo di risarcimento del danno morale.

62. Il governo vi si oppone.

63. La Corte ritiene che il senso di impotenza e di frustrazione per lo spossessamento illegittimo del loro bene abbia causato ai ricorrenti un danno morale che occorre riparare in maniera adeguata.

64. Conformemente alla giurisprudenza Guiso-Gallisay c. Italia (sopra citata) e decidendo in via equitativa, la Corte assegna ai ricorrenti, congiuntamente, 5.000 EUR a titolo di danno morale.

C. Spese

65. I ricorrenti presentano note di onorari e chiedono anche, congiuntamente, 50.000 EUR per le spese sostenute dinanzi ai giudici interni e 40.000 EUR per quelle affrontate dinanzi alla Corte.

66. Il Governo vi si oppone.

67. La Corte non dubita della necessità di sostenere delle spese, ma trova eccessivi gli onorari totali richiesti a questo titolo. Ritiene pertanto che sia opportuno rimborsarle solo in parte.

68. Tenuto conto delle circostanze del caso di specie, la Corte ritiene ragionevole accordare un importo di 5.000 EUR per tutte le spese sostenute.

D. Interessi moratori

69. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda la doglianza relativa all’articolo 1 del Protocollo n. 1, e irricevibile per il resto;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1;
  3. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, entro tre mesi, le seguenti somme:
      1. 5.000 EUR (cinquemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      2. 5 000 EUR (cinquemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 7 settembre 2017, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Kristina Pardalos
Presidente

Renata Degener
Cancelliere aggiunto