Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 16 novembre 2023 - Ricorso n. 18911/17 e altri 2 - Causa A.E. e altri c. Italia


© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA A.E. E ALTRI c. ITALIA

(Ricorsi nn. 18911/17 e altri 2)

SENTENZA

Articolo 3 (sostanziale) • Condizioni materiali dell’arresto di cittadini sudanesi e del loro trasferimento in pullman al centro del punto di crisi per migranti e del ritorno, nel contesto di un tentativo delle autorità di rimpatriarli nel loro Paese di origine, costituivano un trattamento degradante • Assenza di motivi convincenti per costringere i ricorrenti a spogliarsi e a rimanere nudi durante l’arresto  • Insufficienza del vitto e dell’acqua e clima di violenza e minacce sul pullman del trasferimento • Ricorrenti non informati della loro destinazione o del motivo del trasferimento • Breve periodo di tempo tra i viaggi di trasferimento all’esterno e di ritorno, durato ciascuno quindici ore nella stagione calda
Articolo 3 (procedurale) • Assenza di indagini sulle accuse di un ricorrente di essere stato picchiato dagli agenti durante il tentativo di espellerlo • Il ricorrente ha dimostrato prima facie che le lesioni derivavano dall’uso della forza da parte della polizia
Articolo 5 §§ 1, lettera f), 2 e 4 • Arbitraria privazione della libertà di tre ricorrenti  durante l’arresto e il trasferimento • Trattenimento in assenza di una chiara e accessibile base giuridica • Ricorrenti non informati dei motivi giuridici del trattenimento  • Impossibilità di impugnare la legittimità del trattenimento de facto a causa della mancanza di informazioni sufficienti

STRASBURGO

16 novembre 2023

La presente sentenza diventerà definitiva alle condizioni stabilite dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa A.E. e altri c. Italia,

la Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in una Camera composta da:

Marko Bošnjak, Presidente,
Alena Poláčková,
Krzysztof Wojtyczek,
Péter Paczolay,
Ivana Jelić,
Erik Wennerström,
Raffaele Sabato, giudici,
Liv Tigerstedt, Cancelliere aggiunto di Sezione,

visti i ricorsi (nn. 18911/17, 18941/17 e 18959/17) presentati contro la Repubblica italiana con i quali quattro cittadini sudanesi, il Sig. A.E. e il Sig. T.B. (ricorso n. 18911/17), il Sig. A.D. (ricorso n. 18941/17) e il Sig. O.A. (ricorso n. 18959/17) (“i ricorrenti”), hanno adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”) nelle varie date indicate nella tabella allegata;

vista la decisione di comunicare al Governo italiano (“il Governo”) le doglianze relative all’articolo 3, all’articolo 5 §§ 1, 2, 3 e 4, all’articolo 8 e all’articolo 13 della Convenzione;

vista la decisione di non divulgare i nominativi dei ricorrenti;

viste le osservazioni formulate dalle parti;

dopo avere deliberato in camera di consiglio in data 17 ottobre 2023,

pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

  1. La causa concerne il trattenimento asseritamente illegale dei ricorrenti, cittadini sudanesi, e un tentativo delle autorità italiane di rimpatriarli nel loro Paese di origine.
  2. I ricorrenti hanno lamentato le condizioni materiali del loro trasferimento da Ventimiglia a Taranto e ritorno, le condizioni in cui sono stati alloggiati durante la loro permanenza nel punto di crisi di Taranto e gli asseriti maltrattamenti subiti dal Sig. T.B., il secondo ricorrente, durante l’esecuzione del suo decreto di espulsione. I ricorrenti hanno sollevato le loro doglianze ai sensi dell’articolo 3, dell’articolo 5 §§ 1, 2, 3 e 4, dell’articolo 8 e dell’articolo 13 della Convenzione.
  3. I fatti oggetto della causa avvenuti in data 24 agosto 2016, vale a dire il giorno del tentativo di espellere i ricorrenti, possono essere interpretati unitamente a quelli di cui all’odierna sentenza pronunciata nella causa A. e altri c. Italia (n. 18787/17), in cui l’espulsione del primo ricorrente è stata infine eseguita.

IN FATTO

  1. Le generalità dei ricorrenti e dei loro rappresentanti sono indicate nella tabella allegata.
  2. Il Governo è stato rappresentato dal suo Agente, Sig. Lorenzo D’Ascia.
  3. I fatti oggetto della causa possono essere riassunti come segue.
  1. FATTI OGGETTO DELLA CAUSA COME PRESENTATI DAI RICORRENTI
  1. L’arrivo dei ricorrenti in Italia e la loro identificazione
  1. Tra il luglio e l’agosto del 2016 i ricorrenti giunsero sulla costa italiana per mezzo di un’imbarcazione. Le date e i luoghi dei loro arrivi sono indicati nella tabella allegata. Essi furono sottoposti a procedure di identificazione e a rilievi dattiloscopici.
  2. Il nome del secondo ricorrente fu verbalizzato inizialmente come Sig. G.A. Il suo vero nome, che risulta dal formulario di ricorso, fu comunicato durante il procedimento relativo alla protezione internazionale (si vedano i paragrafi 50 e ss. infra). Gli errori nella trascrizione delle sue generalità possono essere attribuiti al basso livello di alfabetizzazione e alle difficoltà linguistiche del secondo ricorrente.
  3. I ricorrenti furono trasferiti successivamente a Ventimiglia, dove furono ospitati in un centro della Croce Rossa. Sulla carta di identità fornita in tale luogo, il nome del secondo ricorrente era indicato come Sig. A.T.
  4. Durante tale periodo i ricorrenti non furono informati della possibilità di chiedere la protezione internazionale.
  5. Nel frattempo, in data 3 agosto 2016, fu firmato un Memorandum d’intesa tra il Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno italiano e la Polizia nazionale del Ministero dell’Interno sudanese per facilitare la gestione dei migranti sudanesi irregolari e il loro rimpatrio in Sudan.
  1. L’arresto dei ricorrenti a Ventimiglia e il loro trasferimento a Taranto
  1. In data 17 agosto 2016 (nel caso del quarto ricorrente) e in data 19 agosto 2016 (nel caso degli altri ricorrenti), i ricorrenti furono arrestati, costretti a salire su un furgone della Polizia e condotti a quello che essi compresero fosse un posto di polizia, dove si trovavano molti altri migranti, in particolare cittadini sudanesi.
  2. I ricorrenti furono perquisiti, furono privati dei loro telefoni, dei lacci delle scarpe e delle cinture, e fu chiesto a essi di spogliarsi, dopodiché furono lasciati senza indumenti per circa dieci minuti. Furono successivamente sottoposti a rilievi dattiloscopici; i ricorrenti non opposero resistenza in quanto avevano visto che altri migranti erano stati colpiti alla nuca per averlo fatto.
  3. Non furono fornite informazioni né ai ricorrenti né ad alcun altro migrante del loro gruppo riguardo al motivo o alla durata del loro trattenimento. Essi non ebbero la possibilità di nominare un avvocato e non fu loro fornito un interprete in nessuna fase del loro trattenimento.
  4. In data 19 agosto 2016 i ricorrenti e approssimativamente venti altri migranti furono costretti a salire su un pullman e iniziarono un viaggio scortati da numerosi agenti. Le autorità non fornirono loro alcun documento o altre informazioni, quindi essi erano completamente ignari di quale fosse la loro destinazione e dei motivi del trasferimento. Sul pullman i migranti non furono liberi di lasciare i sedili o il veicolo, e pertanto furono costretti a rimanere in posizione seduta per l’intero viaggio. Chi desiderava accedere ai servizi igienici era accompagnato da due agenti. Le porte del gabinetto furono lasciate aperte cosicché i migranti erano esposti alla vista degli agenti e degli altri migranti.
  5. Durante l’intero viaggio ai ricorrenti fu offerto un panino e l’acqua fu distribuita soltanto su richiesta e dopo una lunga attesa. Hanno affermato che durante il viaggio non era presente alcun avvocato e alcun interprete.
  6. In data 20 agosto 2016 il pullman giunse al punto di crisi di Taranto, a circa 1.150 chilometri da Ventimiglia.
  1. La permanenza dei ricorrenti nel punto di crisi di Taranto e i loro decreti di espulsione
  1. Una volta giunti nel punto di crisi di Taranto ai ricorrenti non fu permesso di allontanarsi dalla struttura. A quel punto la forciblyolizia di Taranto registrò il nominativo del secondo ricorrente quale Sig. T.A.
  2. I ricorrenti furono sistemati in tende situate nel cortile del centro, sotto il sole. A causa dell’assenza di ombra, i ricorrenti furono esposti a temperature molto elevate, dato il periodo dell’anno. Essi non potevano muoversi liberamente per accedere ai servizi igienici; al contrario, dovevano essere scortati da quattro agenti a persona e le porte dei gabinetti erano ancora una volta lasciate aperte. Non vi era alcuna possibilità di fare una doccia e il vitto e l’acqua erano insufficienti.
  3. I ricorrenti furono sottoposti nuovamente a rilievi dattiloscopici. Come precedentemente, non opposero resistenza in quanto hanno affermato di avere visto degli agenti malmenare i migranti per ottenere forzatamente le loro impronte digitali. A tale riguardo, i ricorrenti hanno presentato un rapporto di Amnesty International del 2016 che criticava la Polizia italiana per la sua prassi di ottenere forzatamente le impronte digitali. Il rapporto descriveva l’utilizzo di strategie aggressive nei confronti di chi si rifiutava di collaborare, compreso l’uso della forza fisica e del prolungamento del trattenimento, e concludeva che le strategie comportavano gravi violazioni dei diritti umani.
  4. In data 22 agosto 2016 i ricorrenti furono obbligati a firmare dei documenti – dei quali non compresero il contenuto – che si rivelarono essere dei decreti di espulsione emessi dal Prefetto di Taranto. I decreti furono convalidati dal Giudice di Pace di Taranto il medesimo giorno. Durante l’udienza di convalida i ricorrenti furono assistiti da un interprete; tuttavia, essi non furono in grado di seguire l’udienza in quanto parlavano un dialetto arabo diverso da quello dell’interprete. I ricorrenti pertanto non compresero le domande loro poste.
  5. Ciascuna decisione di convalida emessa dal Giudice di Pace conteneva la seguente frase scritta a mano in italiano “[il ricorrente dichiara] di non avere l’intenzione di chiedere la protezione internazionale”. I ricorrenti hanno sostenuto di essere stati obbligati a firmare il documento, del quale non avevano compreso il contenuto e hanno affermato che, al contrario, essi avevano espresso il desiderio di non essere rimpatriati in Sudan perché temevano per le loro vite se fossero tornati in tale luogo.
  1. Il viaggio di ritorno dei ricorrenti a Ventimiglia e il loro trasferimento a Torino
  1. Nelle prime ore del mattino del 23 agosto 2016 i ricorrenti e altri connazionali furono trasferiti nuovamente in pullman a Ventimiglia. Le condizioni che vissero nel viaggio di quindici ore furono più o meno le stesse che avevano vissuto nel loro viaggio verso Taranto, come descritto precedentemente. Una volta a Ventimiglia, i ricorrenti incontrarono un rappresentante del Consolato sudanese, che riconobbe che erano cittadini sudanesi.
  2. Il giorno seguente i ricorrenti furono trasferiti all’aeroporto di Torino, dove furono ammanettati, al fine di imbarcarli su un volo per il Sudan. Tuttavia, le autorità italiane li informarono infine del fatto che, a causa dell’insufficiente numero di posti a sedere disponibili sull’aereo, l’espulsione dei ricorrenti e di alcuni altri cittadini sudanesi (in tutto sette migranti) avrebbe dovuto essere rinviata fino a quando non fosse stato trovato un altro volo disponibile. I connazionali dei ricorrenti per i quali era stato trovato posto nell’aereo furono rimpatriati in Sudan il medesimo giorno. Tra tali migranti vi erano, asseritamente, i ricorrenti del ricorso A. e altri c. Italia (sopra citata).
  3. I ricorrenti furono successivamente trasferiti nel CIE di Torino (Centro di identificazione ed espulsione) e il Questore emise un decreto di trattenimento nei loro confronti.
  4. Durante l’udienza di convalida, i ricorrenti dichiararono che non desideravano tornare in Sudan a causa del rischio per le loro vite.
  5. I decreti che disponevano il trattenimento dei ricorrenti nel centro furono convalidati con decisioni del Tribunale di Torino tra il 1° e il 7 settembre 2016.
  1. Il tentativo di espulsione del Sig. T.B., il secondo ricorrente
  1. Nel frattempo, nelle prime ore del mattino del 1° settembre 2016, il Sig. T.B. (il secondo ricorrente) e un altro cittadino sudanese, il Sig. A.M.A., furono svegliati dalla Polizia, ammanettati, costretti a entrare in un furgone della polizia e trasferiti all’aeroporto, dove attendevano altri agenti.
  2. Gli agenti tentarono poi di costringere il secondo ricorrente e il suo compatriota a imbarcarsi sull’aereo, ma essi protestarono e si agitarono molto. Come reazione, la Polizia li picchiò; il secondo ricorrente fu colpito al volto e allo stomaco.
  3. Questa parte dei fatti è stata descritta parzialmente dal primo e dal quarto ricorrente durante il procedimento relativo alla loro domanda di protezione internazionale.
  4. I due migranti furono poi costretti fisicamente a salire sull’aereo e furono legati. Tuttavia, il pilota e un assistente di volo ritennero che la situazione e lo stato di agitazione delle due persone non fosse compatibile con le norme di sicurezza aerea, e chiesero alla polizia di fare scendere le persone dall’aereo, cosa che essa infine fece.
  5. Il secondo ricorrente fu ricondotto al CIE di Torino. Giunto in tale luogo egli ribadì la sua intenzione di ottenere la protezione internazionale e il suo nominativo fu infine aggiunto all’elenco dei richiedenti asilo.
  6. Il Tribunale di Torino convalidò nuovamente il trattenimento del secondo ricorrente.
  1. I procedimenti relativi alla protezione internazionale dei ricorrenti
  1. Il Sig. A.D., il terzo ricorrente
  1. In data 6 settembre 2016 il terzo ricorrente fu interrogato dalla Commissione territoriale di Torino per il riconoscimento dello status di rifugiato (in prosieguo “la Commissione territoriale”) e gli fu concesso l’asilo sulla base delle sue vicende personali a causa del rischio per la sua vita se fosse stato rimpatriato in Sudan.
  1. Il Sig. A.E., il primo ricorrente
  1. In data 8 settembre 2016 il primo ricorrente fu interrogato dalla Commissione territoriale.
  2. Egli descrisse il viaggio da Ventimiglia a Taranto e ritorno, e riferì i fatti come delineato sopra (si vedano i paragrafi 7 e ss.). Aggiunse che durante l’intero viaggio i migranti erano stati maltrattati ed era stata usata la violenza fisica nei confronti di alcune persone.
  3. Il primo ricorrente espresse le sue preoccupazioni riguardo al rimpatrio di alcuni connazionali che erano considerati nemici del Governo del Sudan e dovevano quindi affrontare un rischio per la loro vita una volta tornati nel paese di origine. Spiegò che un gruppo di migranti sudanesi era già stato rimpatriato dall’Italia in Sudan. Nel corso della procedura di espulsione svolta in Italia, le persone erano state legate e ammanettate e ciascuna di esse era stata scortata da due agenti.
  4. Il primo ricorrente descrisse anche le modalità in cui aveva conosciuto due connazionali, uno dei quali era denominato Sig. A.A. Riferì che tali persone erano state picchiate duramente dalle autorità all’aeroporto in Italia.
  5. Fu chiesto al primo ricorrente se fosse stato informato della possibilità di chiedere la protezione internazionale a Ventimiglia, nel corso del viaggio verso Taranto, o a Taranto. Rispose che nessun cittadino sudanese del gruppo aveva incontrato un avvocato o un giudice durante tale periodo e che i migranti non avevano compreso quanto stesse accadendo intorno a loro.
  6. A Taranto era stato fornito loro un interprete il quale, tuttavia, parlava abissino, un dialetto della regione compresa tra l’Eritrea, la Somalia e l’Etiopia, che essi non erano in grado di comprendere. Il primo ricorrente ribadì che egli e i suoi connazionali non erano stati in grado di comunicare o di comprendere quanto stesse avvenendo.
  7. Fu chiesto al primo ricorrente se egli e gli altri migranti, in tale occasione, avessero firmato i documenti sulla base della traduzione dall’italiano eseguita dal summenzionato interprete. Egli rispose che, senza avere ricevuto alcuna informazione, egli e i suoi connazionali erano stati costretti a firmare i documenti e che egli aveva visto che delle persone erano picchiate per avere rifiutato di firmare dei documenti che esse non erano in grado di comprendere.
  8. Fu chiesto al primo ricorrente se, quando avevano firmato i documenti a Taranto, qualcuno dei suoi connazionali avesse compreso che cosa sarebbe successo successivamente alla loro firma. Il ricorrente rispose che, in tale contesto, i migranti non erano minimamente in grado di comprendere che cosa stesse succedendo e che, se qualcuno avesse tentato di leggere i documenti in questione, gli avrebbero portato via i documenti prima di costringere la persona a firmarli comunque.
  9. Fu chiesto al primo ricorrente in quale preciso momento avesse compreso di avere il diritto di chiedere la protezione internazionale. Rispose di avere appreso per la prima volta di tale diritto nel CIE di Torino, quando altri migranti presenti nel centro lo avevano informato della possibilità di farlo.
  10. Quanto alle sue vicende personali, il primo ricorrente spiegò che suo zio lavorava per il partito “Giustizia e uguaglianza per il Darfur”. A causa di tale legame familiare, da quando era adolescente, il primo ricorrente era stato sequestrato e arrestato diverse volte, minacciato mediante delle armi, e interrogato circa il luogo in cui si trovava suo zio e le attività dello stesso.
  11. Riguardo al suo livello di alfabetizzazione, il primo ricorrente dichiarò di essere in grado di leggere lettere e parole scritte nel dialetto arabo del Darfur e di sapere scrivere un po’.
  12. Il medesimo giorno fu concessa al primo ricorrente la protezione internazionale.
  1. Il Sig. O.A., il quarto ricorrente
  1. In data 15 settembre 2016 il quarto ricorrente fu interrogato dalla Commissione territoriale. Descrisse il viaggio da Ventimiglia a Taranto e ritorno e riferì i fatti come descritto sopra (si vedano i paragrafi 7 e ss.).
  2. Tra l’altro, dichiarò che era tra i sette cittadini sudanesi che non erano stati rimpatriati a causa della mancanza di spazio nell’aereo diretto a Khartoum. Dichiarò che alle ore 5 di un giorno imprecisato nel corso del suo trattenimento nel CIE di Torino, la Polizia aveva preso due suoi connazionali e li aveva condotti all’aeroporto. Quando erano tornati avevano i volti tumefatti e dissero di essere stati picchiati dalla Polizia. Dichiararono di avere pianto e gridato che non volevano essere rimpatriati e che, una volta sull’aereo, il pilota si era rifiutato di decollare, così essi erano stati picchiati.
  3. Il quarto ricorrente continuò a raccontare le sue vicende personali in Sudan. Il medesimo giorno gli fu concesso l’asilo a causa del rischio per la sua vita in caso di rimpatrio nel suo Paese di origine.
  1. Il Sig. T.B., il secondo ricorrente
  1. In data 27 settembre 2016 il secondo ricorrente fu interrogato dalla Commissione territoriale.
  2. Dichiarò che il suo nome era Sig. T.B. e descrisse il suo arrivo in Italia, il suo trasferimento da Ventimiglia a Taranto, il suo trasferimento di ritorno a Ventimiglia e poi a Torino, come descritto sopra (si vedano i paragrafi 7 e ss.). Riferì anche i fatti avvenuti asseritamente in data 1° settembre 2016 (si vedano i paragrafi 28 e ss. supra).
  3. Il secondo ricorrente dichiarò che, una volta ricondotto nel CIE dopo il tentativo di rimpatrio, egli aveva incontrato un interprete il quale, tuttavia, non parlava il suo dialetto. Dichiarò inoltre che, infine, un altro migrante gli aveva spiegato i suoi diritti di asilo e così il suo nominativo era stato aggiunto all’elenco dei richiedenti asilo.
  4. Fu chiesto al secondo ricorrente se sapesse chi erano le persone che lo avevano picchiato, ed egli rispose che erano degli agenti, uno dei quali lavorava al CIE, e gli altri due che lavoravano all’aeroporto.
  5. Fu chiesto al secondo ricorrente anche se avesse sentito della possibilità di chiedere la protezione internazionale prima di essere informato di ciò dall’altro migrante nel CIE ed egli rispose negativamente.
  6. Il secondo ricorrente descrisse poi le sue vicende personali, la sua campagna contro il Governo e il conseguente rischio per la sua vita se fosse stato rimpatriato in Sudan.
  7. Quanto al suo livello di alfabetizzazione, dichiarò di non avere mai frequentato la scuola e di non essere in grado di leggere o di scrivere.
  8. In data 28 settembre 2016 fu concessa al secondo ricorrente la protezione internazionale.
  1. I FATTI OGGETTO DELLA CAUSA COME PRESENTATI DAL GOVERNO
  1. In relazione al primo ricorrente, il Sig. A.E., il Governo dichiarò che in data 1° agosto 2016 il Prefetto di Cagliari aveva emesso un decreto di espulsione e accompagnamento alla frontiera e lo aveva notificato al ricorrente il medesimo giorno. Il Governo ha fornito una copia di tale documento.
  2. Riguardo al secondo ricorrente, il Sig. T.B., il Governo ha confermato che egli aveva fornito il nome di Sig. G.A. al suo arrivo a Reggio Calabria.
  3. Il Governo ha inoltre sottolineato che il secondo e il quarto ricorrente (il Sig. T.B. e il Sig. O.A.) avevano firmato il “foglio notizie”. Il Governo ha fornito copie di tali documenti, che comprendevano un elenco dei possibili motivi del viaggio dei migranti in Italia, con le seguenti opzioni: “Lavoro”, “Motivi familiari”, “Sottrarsi alla povertà”, “Altro” e “Asilo”. Il secondo e il quarto ricorrente non avevano contrassegnato alcuna opzione.

IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI PERTINENTI

IL GARANTE NAZIONALE DEI DIRITTI DELLE PERSONE DETENUTE O PRIVATE DELLA LIBERTÀ PERSONALE

“Rapporto sulle visite nei Centri di identificazione ed espulsione e negli hotspot (2016-17: primo anno di attività)”

  1. Le parti pertinenti del rapporto, redatto a seguito di una visita di una delegazione del Garante nel punto di crisi di Taranto in data 16 giugno 2016, recitano come segue:

“[L’arrivo migranti]

I migranti arrivano regolarmente nell’hotspot in pullman a gruppi di cinquanta. Se arrivano da altre regioni o altre città (...), i migranti sono sottoposti a viaggi molto lunghi, che a volte durano tutta la notte, sempre in pullman (...)

[Libertà di movimento]

Dopo l’identificazione gli ospiti sono liberi di uscire dalla struttura dalle 9 alle 20. (...)

Il Garante nazionale rileva un vuoto di carattere legislativo dovuto alla mancanza di una normativa specifica relativa agli hotspots (…) Gli ospiti dell’hotspot, infatti, non possono lasciare il Centro fino al loro fotosegnalamento. Ciò comporta una sostanziale restrizione della libertà di movimento, sia pure per il tempo limitato che precede l’identificazione, in assenza di un ordine di detenzione.”

IN DIRITTO

  1. OSSERVAZIONI PRELIMINARI RIGUARDO ALLE ECCEZIONI SOLLEVATE DAL GOVERNO
  1. Senza sollevare esplicitamente un’eccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, nelle sue osservazioni relative alla ricevibilità dei ricorsi il Governo ha sostenuto che i ricorrenti disponessero di ricorsi effettivi nell’ordinamento interno per sollevare le doglianze di cui avevano investito la Corte.
  2. Ha sottolineato che i ricorrenti avrebbero potuto impugnare i loro decreti di espulsione ai sensi dell’articolo 13 § 8 del Decreto legislativo n. 286 del 1998. Essi avrebbero inoltre potuto avvalersi del mezzo di ricorso di cui all’articolo 5 del Decreto legislativo n. 150/2011 o presentare una domanda tesa a ottenere un provvedimento d’urgenza ai sensi dell’articolo 700 del Codice di procedura civile. Infine, qualsiasi doglianza in materia di violazione di diritti umani avrebbe potuto essere presentata ai tribunali interni mediante un procedimento civile o penale.
  3. I ricorrenti hanno replicato che l’eccezione del Governo ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione avrebbe dovuto essere rigettata, in quanto i ricorrenti non erano stati sottoposti ad alcuna misura relativa alla loro espulsione fino al 22 agosto 2016. Pertanto, essi non avevano avuto alcuna concreta possibilità di impugnare la restrizione della loro libertà dal 19 agosto 2022 a tale data.
  4. In relazione ai decreti di espulsione, i ricorrenti hanno sostenuto di non avere avuto alcuna reale possibilità di presentare un ricorso tempestivo avverso le misure in questione in quanto non avevano avuto alcun contatto con un avvocato che avrebbe potuto aiutarli con le informazioni necessarie. Hanno osservato anche di non avere avuto alcuna reale possibilità di impugnare i decreti di espulsione dinanzi al Giudice di Pace.
  5. Il Governo ha inoltre osservato in termini molto generali che i ricorrenti avevano perso la qualità di vittime in quanto le loro doglianze erano manifestamente infondate.
  6. La Corte ritiene che le osservazioni del Governo possano essere interpretate come un’eccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. La Corte ritiene tuttavia che esse siano strettamente connesse al merito delle doglianze dei ricorrenti ai sensi degli articoli 3 e 5 della Convenzione, e che dovrebbero pertanto essere unite al merito della causa. Riguardo all’eccezione del Governo relativa alla perdita della qualità di vittime, la Corte rinvia alle sue conclusioni in prosieguo (si veda il paragrafo 71).
  1. SULLA RIUNIONE DEI RICORSI
  1. Data la similitudine dei ricorsi relativamente all’oggetto delle cause, la Corte ritiene opportuno esaminarli congiuntamente in un’unica sentenza.
  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
  1. I ricorrenti hanno lamentato di essere stati sottoposti a un trattamento inumano o degradante nel corso del loro arresto, del loro trasporto e del loro trattenimento, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione. Hanno inoltre sostenuto che, prima di decidere in merito alla loro espulsione, le autorità nazionali non avevano esaminato debitamente l’affermazione dei ricorrenti secondo la quale, in caso di rimpatrio in Sudan, essi sarebbero stati esposti a un rischio reale di essere sottoposti a un trattamento inumano in violazione della medesima disposizione. Il secondo ricorrente ha infine lamentato di essere stato picchiato durante il tentativo di espellerlo in data 1° settembre 2016, come è emerso, tra l’altro, dalle dichiarazioni del primo ricorrente nel corso dell’intervista nell’ambito del procedimento relativo alla protezione internazionale. L’articolo 3 della Convenzione recita come segue:

“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.”

  1. Sulla ricevibilità
  1. Quanto alle affermazioni dei ricorrenti secondo le quali essi erano stati sottoposti a maltrattamenti durante il trattenimento nel punto di crisi di Taranto, la Corte osserva che essi non hanno fornito prove sufficienti per comprovare la loro doglianza. Questa parte del ricorso dovrebbe essere pertanto dichiarata irricevibile in quanto manifestamente infondata, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
  2. Riguardo all’affermazione dei ricorrenti secondo la quale le autorità nazionali non avevano tenuto debitamente conto del fatto che, in caso di rimpatrio in Sudan, essi sarebbero stati esposti a un rischio reale di essere sottoposti a un trattamento inumano, la Corte osserva che ai ricorrenti è stata infine concessa la protezione internazionale. Poiché non rischiano più di essere espulsi verso il Sudan, non possono più affermare di essere vittime di una violazione del loro diritto di cui all’articolo 3 della Convenzione ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione (si veda A. c. Cipro, n. 41872/10, §§ 109-10, CEDU 2013 (estratti)). Segue che questa parte del ricorso deve essere rigettata in quanto incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3, lettera a) e 4 della Convenzione.
  3. Quanto ai rimanenti aspetti delle doglianze dei ricorrenti ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione, la Corte osserva che essi non sono manifestamente infondati e non incorrono in alcun altro motivo di irricevibilità elencato nell’articolo 35 della Convenzione. Devono pertanto essere dichiarati ricevibili.
  1. Sul merito
  1. Le osservazioni delle parti
  1. I ricorrenti hanno ribadito le loro doglianze.
  2. Il Governo ha sottolineato il più ampio contesto in cui avevano avuto luogo i fatti della causa, che esso ha definito cruciale. Ha dichiarato che i ricorrenti erano stati trasferiti da Ventimiglia a Taranto ed erano poi tornati indietro per la necessità di procedere alla loro identificazione a Taranto e permettere ai ricorrenti la possibilità di presentare le domande di protezione internazionale con maggiore cognizione e tempo.
  3. Riguardo alle condizioni che i ricorrenti avevano dovuto affrontare durante l’arresto, il Governo ha sottolineato che la richiesta di spogliarsi era basata su motivi medici, e ha allegato referti medici relativi a migranti diversi dai ricorrenti. Quanto alle condizioni di trasferimento dei ricorrenti, ha osservato che erano stati loro forniti cibo e bevande.
  4. In tal senso, il Governo ha fornito una copia della richiesta della Questura di Imperia a una società di ristorazione di Milano, firmata in data 23 agosto 2016, con la quale erano ordinati pasti confezionati per i migranti che avevano ricevuto dei decreti di espulsione.
  5. Ha sostenuto anche che i migranti si erano dovuti spogliare per motivi medici.
  6. Il Governo ha inoltre sostenuto che l’affermazione dei ricorrenti secondo la quale essi avevano avuto difficoltà ad accedere ai servizi igienici era priva di fondamento, considerando il numero di soste effettuate durante il viaggio.
  7. Quanto alla permanenza dei ricorrenti nel punto di crisi di Taranto, il Governo ha sostenuto che i ricorrenti avevano beneficiato della presenza del personale di varie organizzazioni non governative per i diritti umani, del personale sanitario e di consulenti legali, e che le condizioni materiali della loro permanenza erano state buone.
  8. Secondo il Governo, non sembra che le affermazioni dei ricorrenti raggiungano il livello minimo di gravità richiesto per l’applicazione dell’articolo 3 della Convenzione. Inoltre, le asserite csrenze avrebbero avuto luogo per un breve periodo di tempo, vale a dire cinque giorni.
  1. La valutazione della Corte
  1. La Corte ribadisce che se una persona è privata della libertà, o, più in generale, deve affrontare le forze dell’ordine, il ricorso alla forza fisica che non sia stato reso rigorosamente necessario dal comportamento della persona sminuisce la dignità umana ed è in linea di principio una violazione del diritto sancito nell’articolo 3 della Convenzione. Essa sottolinea anche che le parole “in linea di principio” non possono essere intese come se significhino che potrebbero esservi situazioni in cui tale constatazione di violazione non è necessaria perché non è stata raggiunta la pertinente soglia di gravità (si veda Bouyid c. Belgio [GC], n. 23380/09 §§ 86-87, CEDU 2015). Un’ingerenza nella dignità umana colpisce l’essenza stessa della Convenzione. Per tale motivo, la condotta delle forze dell’ordine nei confronti di un individuo che sminuisca la dignità umana costituisce violazione dell’articolo 3 della Convenzione (ibid., §§ 100-01).

(a) Le condizioni materiali dei ricorrenti durante l’arresto e il trasferimento in pullman

  1. Riguardo alla doglianza dei ricorrenti concernente le loro condizioni materiali durante l’arresto, la Corte osserva che i ricorrenti hanno dichiarato che era stato chiesto loro di spogliarsi, dopodiché essi erano stati lasciati senza indumenti per circa dieci minuti (si veda il paragrafo 13 supra). Il Governo, da parte sua, ha replicato che i ricorrenti si erano dovuti spogliare per motivi medici, e ha prodotto dei referti medici attestanti le visite mediche di migranti, che tuttavia non erano i ricorrenti.
  2. A tale riguardo, la Corte ricorda di avere già constatato che la procedura della polizia di costringere le persone a spogliarsi con la forza possa costituire una misura talmente invasiva e potenzialmente degradante che essa non dovrebbe essere applicata in assenza di un motivo imperativo (si vedano, mutatis mutandis, Wieser c. Austria, n. 2293/03, § 40, 22 febbraio 2007, ed El-Masri c. Ex Repubblica jugoslava di Macedonia [GC], n. 39630/09, § 208, CEDU 2012). Il Governo non ha addotto alcun rilievo in grado di dimostrare che la misura applicata nei confronti dei ricorrenti, che si trovavano già in una situazione vulnerabile, fosse necessaria (quanto alla vulnerabilità dei ricorrenti, si veda Khlaifia e altri c. Italia [GC], n. 16483/12, §§ 160-61, 15 dicembre 2016).
  3. Pertanto, benché la Corte sia sensibile alla posizione del Governo secondo la quale i ricorrenti avrebbero potuto essersi dovuti spogliare per motivi medici, nel caso di specie il Governo non ha fornito alcun motivo convincente per il quale i ricorrenti, insieme a molti altri migranti, avevano dovuto spogliarsi e attendere nudi per circa dieci minuti prima di essere visitati da un medico, senza che fosse assicurata alcuna privacy e sotto la sorveglianza della polizia.
  4. Secondo la Corte, tale situazione dei ricorrenti dovrebbe essere esaminata alla luce di una valutazione globale del tempo durante il quale essi sono stati nelle mani delle autorità italiane.
  5. In tale contesto, la Corte esaminerà anche le doglianze dei ricorrenti relative alle difficili condizioni durante il trasferimento in pullman da Ventimiglia a Taranto e ritorno. Essa osserva che queste doglianze erano state espresse in vari momenti, compreso durante i colloqui dei ricorrenti nell’ambito del procedimento relativo alla protezione internazionale. In tale occasione, il primo, il secondo e il quarto ricorrente hanno fornito la medesima descrizione delle condizioni del loro trasferimento, sottolineando in particolare il costante controllo esercitato dalla polizia e il clima di violenza e di minacce, che deve essere stato anch’esso fonte di sofferenza.
  6. Inoltre, dalle dichiarazioni dei ricorrenti risulta che il vitto e, in particolare, l’acqua forniti fossero insufficienti per le loro necessità, considerata la durata del viaggio e la stagione calda in cui esso aveva avuto luogo. A tale proposito, la Corte ritiene che i rilievi del Governo non siano sufficienti a confutare quanto affermato dai ricorrenti e che la copia delle richieste della Questura di Imperia a una società di ristorazione cui erano stati ordinati dei pasti confezionati concernesse migranti diversi dai ricorrenti. La Corte ritiene che tale situazione, benché non considerata isolatamente bensì nel contesto generale dei fatti, fosse chiaramente di natura tale da provocare uno stress mentale.
  7. La Corte tiene inoltre conto della durata del viaggio dei ricorrenti, che ha avuto luogo in un periodo dell’anno particolarmente caldo, del fatto che essi non siano stati informati della loro destinazione o dei motivi del loro trasferimento, e del fatto che il loro trasferimento da Ventimiglia a Taranto in data 19 agosto 2016 e il loro ritorno a Ventimiglia in data 23 agosto 2016 siano stati svolti in breve tempo.
  8. Date le particolari circostanze del caso di specie, la Corte ritiene che tali condizioni materiali, mentre i ricorrenti erano sotto il controllo delle autorità, considerate nell’insieme, abbiano causato ai ricorrenti una notevole sofferenza e una sensazione di umiliazione in misura tale da costituire un trattamento degradante proibito dall’articolo 3 della Convenzione (si vedano, mutatis mutandis, Mubilanzila Mayeka e Kaniki Mitunga c. Belgio, n. 13178/03, § 58, CEDU 2006-XI, e Akkad c. Turchia, n. 1557/19, § 115, 21 giugno 2022).
  9. La Corte ritiene quindi che l’eccezione sollevata dal Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, che era molto generica riguardo a questo argomento e non era accompagnata da alcun esempio pertinente (si veda il paragrafo 63 supra in fine) debba essere rigettata ed essa conclude che vi sia stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione in relazione alle condizioni cui sono stati sottoposti i ricorrenti durante l’arresto e il trasferimento in pullman.

(b) La denuncia di maltrattamenti del secondo ricorrente

  1. In relazione alla denuncia del secondo ricorrente di essere stato picchiato durante il tentativo di espellerlo in data 1° settembre 2016, la Corte osserva che, oltre al proprio resoconto dei fatti, che egli ha ribadito alle autorità che trattavano la sua domanda di asilo (si vedano i paragrafi 29 e 51 e ss. supra), il primo ricorrente ha dichiarato, durante l’intervista svolta nell’ambito del procedimento relativo alla protezione internazionale (si veda il paragrafo 38 supra), di avere conosciuto due connazionali durante la sua permanenza a Torino, uno dei quali si chiamava Sig. A.A., e che tale persona, insieme a un altro migrante, era stato pestato dalle autorità all’aeroporto (si veda la dichiarazione dei ricorrenti su questo argomento, paragrafo 69, in fine, supra). A tale riguardo, la Corte rileva la similitudine del nome della persona asseritamente picchiata, fornito dal primo ricorrente durante l’intervista svolta nell’ambito del procedimento relativo alla protezione internazionale, con il nome del secondo ricorrente, fornito alla Corte e nelle differenti versioni durante la sua permanenza in Italia (si vedano i paragrafi 8, 9 e 18 supra). La Corte osserva inoltre che il Governo non ha fornito alcuna informazione a tale riguardo. Il quarto ricorrente ha inoltre dichiarato alla Commissione territoriale che, nel corso della sua detenzione nel CIE di Torino, la Polizia aveva condotto due suoi connazionali all’aerroporto; quando erano ritornati i loro volti erano tumefatti ed essi avevano detto di essere stati pestati dalla Polizia.
  2. In tale contesto, dovrebbe essere inoltre sottolineato che nel corso dell’interrogatorio svolto dalle autorità responsabili della sua domanda di protezione internazionale, il secondo ricorrente ha dichiarato di sapere chi fossero gli autori dei suoi maltrattamenti, vale a dire tre agenti della Polizia, uno dei quali lavorava al CIE mentre gli altri due lavoravano all’aeroporto (si veda il paragrafo 53 supra). Sembrerebbe, tuttavia, che tali informazioni non abbiano dato luogo ad alcuna successiva indagine da parte delle autorità nazionali (si veda Membri della Congregazione dei Testimoni di Geova di Gldani e altri c. Georgia, n. 71156/01, § 97, 3 maggio 2007). Il ricorrente ha quindi dimostrato prima facie che le lesioni erano state provocate dall’uso della forza da parte della Polizia (si veda Muradova c. Azerbaigian, n. 22684/05, §§ 107-08, 2 aprile 2009).
  3. Deve essere ricordato che i procedimenti ai sensi della Convenzione non si prestano in tutti i casi a una rigorosa applicazione del principio affirmanti incumbit probatio. Ai sensi degli articoli 2 e 3 della Convenzione, se i fatti in questione sono conosciuti esclusivamente dalle autorità, come nel caso di persone che si trovano in custodia sotto il loro controllo, sorgeranno forti presunzioni semplici riguardo alle lesioni e alla morte avvenute durante tale detenzione. Si può ritenere che in un simile caso l’onere della prova spetti alle autorità, che devono fornire una spiegazione soddisfacente e convincente. In assenza di tale spiegazione, la Corte può trarre conclusioni che possono essere sfavorevoli per il Governo (si vedano El-Masri, sopra citata, § 152, e Salman c. Turchia [GC], n. 21986/93, § 100, CEDU 2000-VII).
  4. Alla luce di tali considerazioni e tenendo conto del fatto che il Governo non ha formulato alcuna osservazione a tale proposito, la Corte conclude che vi sia stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione in relazione al secondo ricorrente a tale riguardo.
  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 5 §§ 1, 2 E 4 DELLA CONVENZIONE
  1. I ricorrenti hanno lamentato di essere stati privati illegittimamente della loro libertà a decorrere dal loro arresto a Ventimiglia all’udienza per la convalida dei decreti di espulsione nei loro confronti, in violazione dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione. Nelle parti pertinenti l’articolo 5 recita come segue:

“1. Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge:

(...)

(f) se si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare illegalmente nel territorio, oppure di una persona contro la quale è in corso un procedimento di espulsione o di estradizione.

  1. Ogni persona arrestata deve essere informata, al più presto e in una lingua a lei comprensibile, dei motivi dell’arresto e di ogni accusa formulata a suo carico.

(...)

  1. Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso ad un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima.

(...)”

  1. Sulla ricevibilità
  1. Il Governo ha sostenuto che la presente doglianza avrebbe dovuto essere rigettata in quanto manifestamente infondata.
  2. I ricorrenti hanno ribadito le loro doglianze.
  3. Quanto al primo ricorrente, il Sig. A.E., la Corte osserva che in data 1° agosto 2016 gli è stato notificato un decreto di espulsione e accompagnamento alla frontiera. Dichiara pertanto irricevibili le sue doglianze in tal senso in quanto manifestamente infondate in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
  4. In relazione al resto della doglianza, la Corte osserva che esso non è manifestamente infondato e non incorre in alcun altro motivo di irricevibilità elencato nell’articolo 35 della Convenzione. Deve pertanto essere dichiarato ricevibile.
  1. Sul merito
  1. Il secondo, il terzo e il quarto ricorrente hanno ribadito le loro doglianze.
  2. Il Governo ha sostenuto che i ricorrenti, che erano stati semplicemente sottoposti a procedure di identificazione e a preliminari attività amministrative, non sono mai stati trattenuti illegalmente in alcuna fase in violazione dell’articolo 5 § 1 della Convenzione.
  3. Esso ha dichiarato che, in ogni caso, erano stati emessi dei decreti di espulsione nei confronti dei ricorrenti, tradotti in arabo, nei quali erano stati enumerati tutti i loro diritti. I ricorrenti erano stati inoltre condotti dinanzi al Giudice di Pace appena erano tornati da Taranto.
  4. La Corte osserva che i principi generali relativi alla restrizione della libertà sono stati ribaditi nella sentenza Saadi c. Regno Unito ([GC], n. 13229/03, §§ 61-74, CEDU 2008). La Corte rinvia anche alle sentenze Khlaifia e altri, sopra citata, §§ 88-92) e A. e altri c. Italia (n. 21329/18, §§ 79-83, 30 marzo 2023), quest’ultima concernente, in particolare, la restrizione della libertà che comporta la permanenza dei migranti nei punti di crisi.
  5. Essa osserva che in data 17 agosto 2016, per quanto riguarda il quarto ricorrente, e in data 19 agosto 2016, per quanto riguarda il secondo e il terzo ricorrente, essi sono stati arrestati e trasferiti in quellp che essi hanno ritenuto essere un posto di polizia. In data 19 agosto 2016, essi sono stati costretti a salire su un pullman e hanno iniziato un viaggio, scortati da numerosi agenti, senza conoscere la loro destinazione. Secondo quanto emerso, essi sono stati trasferiti da Ventimiglia a Taranto. I ricorrenti hanno affermato di non avere ricevuto alcun documento relativo ai motivi per cui erano stati privati della libertà e il Governo, da parte sua, non ha presentato alcun rilievo in grado di dimostrare il contrario.
  6. Il giorno successivo, i ricorrenti sono giunti nel punto di crisi di Taranto, che non sono stati autorizzati a lasciare. Soltanto in data 22 agosto 2016 è stato loro notificato un decreto di espulsione e accompagnamento alla frontiera, che è stato convalidato dal Giudice di Pace il medesimo giorno.
  7. La Corte ritiene che la prima parte dell’articolo 5 § 1, lettera f) della Convenzione (“se si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare illegalmente nel territorio”) si applichi ai fatti oggetto della causa. Alla luce delle circostanze descritte dai ricorrenti e non contestate dal Governo – vale a dire l’arresto e il trasferimento dei ricorrenti, la mancata fornitura a essi di documenti, e il fatto che fosse a essi impedito di lasciare la struttura – la Corte conclude che i ricorrenti siano stati privati arbitrariamente della libertà, in violazione della summenzionata disposizione.
  8. La Corte rileva inoltre l’esistenza di un vuoto legislativo dovuto all’assenza di una legislazione specifica relativa ai punti di crisi, come riferito nel 2016 dal Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà. Le parti pertinenti del rapporto, che è stato elaborato a seguito di una visita di una delegazione dell’Ufficio del Garante nel punto di crisi di Taranto in data 16 giugno 2016, dichiarano che le persone ospitate nel punto di crisi non potevano uscire dalla struttura fino al loro fotosegnalamento. Ciò, secondo il Garante, comportava una sostanziale restrizione della loro libertà di movimento (sia pure per un tempo limitato che precedeva l’identificazione dei migranti) in assenza di un decreto di detenzione individuale.
  9. In considerazione della constatazione di cui sopra relativa all’assenza di una chiara e accessibile base giuridica per il trattenimento dei ricorrenti, la Corte non vede come le autorità avrebbero potuto informare i ricorrenti dei motivi giuridici per i quali essi erano stati privati della libertà, o avrebbe potuto fornire loro sufficienti informazioni, o permesso a essi di impugnare in un tribunale i motivi del loro trattenimento de facto (si veda Khlaifia e altri, sopra citata, §§ 117 e 132 e ss.).
  10. La Corte rigetta pertanto l’eccezione del Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne da parte dei ricorrenti e conclude che vi sia stata violazione dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione nei confronti del secondo, del terzo e del quarto ricorrente.
  1. SULLE ALTRE DEDOTTE VIOLAZIONI DELLA CONVENZIONE
  1. I ricorrenti hanno inoltre lamentato, ai sensi degli articoli 8 e 13 della Convenzione, la violazione del loro diritti al rispetto della loro vita privata, della loro vita familiare e del loro domicilio, e di non avere avuto a disposizione un ricorso interno effettivo per le loro doglianze ai sensi degli articoli 3, 5 e 8 della Convenzione. Hanno inoltre invocato l’articolo 5 § 3 della Convenzione per lamentare di non essere stati tradotti al più presto dinanzi a un giudice o a un altro magistrato autorizzato dalla legge a esercitare funzioni giudiziarie.
  2. Visti i fatti oggetto della causa, viste le osservazioni formulate dalle parti, e le sue conclusioni di cui sopra, la Corte ritiene di avere trattato le principali questioni giuridiche sollevate dalla causa e che non vi sia la necessità di esaminare la ricevibilità e il merito delle rimanenti doglianze (si veda Centro per le risorse giuridiche nell’interesse di Valentin Câmpeanu c. Romania [GC], n. 47848/08, § 156, CEDU 2014).
  1. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
  1. L’articolo 41 della Convenzione prevede:

“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”

  1. Il danno
  1. I ricorrenti hanno chiesto 10.000 euro (EUR) ciascuno per il danno non patrimoniale derivante dalla violazione dell’articolo 3 della Convenzione. In aggiunta, al medesimo titolo, i ricorrenti hanno chiesto EUR 10.000 ciascuno per la violazione dell’articolo 5 §§ 1, 2, 3 e 4 della Convenzione, EUR 2.000 ciascuno per la violazione dell’articolo 8 della Convenzione, ed EUR 5.000 ciascuno per la violazione dell’articolo 13 della Convenzione.
  2. Il Governo ha contestato tali pretese.
  3. La Corte accorda al primo ricorrente EUR 8.000, al secondo ricorrente EUR 10.000, e al terzo e al quarto ricorrente EUR 9.000 ciascuno per il danno non patrimoniale, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta.
  1. Le spese
  1. I ricorrenti hanno inoltre chiesto EUR 33.583,98 per le spese sostenute dinanzi alla Corte.
  2. Il Governo ha contestato tale richiesta.
  3. Secondo la giurisprudenza della Corte, il ricorrente ha diritto al rimborso delle spese soltanto nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, visti i documenti di cui è in possesso e i criteri di cui sopra, la Corte ritiene ragionevole accordare la somma di EUR 4.000, congiuntamente, per il procedimento dinanzi alla Corte, oltre l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Decide di riunire i ricorsi;
  2. Decide di unire al merito l’eccezione preliminare sollevata dal Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne e la rigetta;
  3. Dichiara ricevibili le doglianze relative all’articolo 3 della Convenzione (concernenti le condizioni materiali durante l’arresto e il trasferimento dei ricorrenti, nonché i maltrattamenti inflitti al secondo ricorrente) e all’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione (nei confronti del secondo, del terzo e del quarto ricorrente), e irricevibili la doglianza dei ricorrenti ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione (concernente le condizioni della loro permanenza nel punto di crisi di Taranto) e la doglianza del primo ricorrente ai sensi dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione;
  4. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione in relazione alle condizioni materiali durante l’arresto e il trasferimento dei ricorrenti;
  5. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione in relazione al maltrattamento del secondo ricorrente;
  6. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione nei confronti del secondo, del terzo e del quarto ricorrente;
  7. Ritiene che non vi sia la necessità di esaminare la ricevibilità e il merito delle doglianze ai sensi dell’articolo 5 § 3 e degli articoli 8 e 13 della Convenzione;
  8. Ritiene
    1. che lo Stato convenuto debba versare ai ricorrenti, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza sarà diventata definitiva in applicazione dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. EUR 8.000 (ottomila euro) al primo ricorrente, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno non patrimoniale;
      2. EUR 10.000 (diecimila euro) al secondo ricorrente, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno non patrimoniale;
      3. EUR 9.000 (novemila euro) ciascuno al terzo e al quarto ricorrente, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno non patrimoniale;
      4. EUR 4.000 (quattromila euro) congiuntamente ai ricorrenti, oltre l’importo eventualmente dovuto da essi a titolo di imposta, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza dei summenzionati tre mesi e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
  9. Respinge la domanda di equa soddisfazione formulata dai ricorrenti, per il resto.

Fatta in inglese e notificata per iscritto in data 16 novembre 2023, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Marko Bošnjak
Presidente

Liv Tigerstedt
Cancelliere aggiunto

APPENDICE

Elenco delle cause

N.

Ricorso n.

Nome della causa

Dta di deposito

Ricorrente
Anno di nascita
Luogo di residenza
Cittadinanza

Rappresentato da

Data e luogo dell’arrivo del ricorrente in Italia

1.

18911/17

A.E. e T.B. c. Italia

17/02/2017

A.E.
1993
Torino
sudanese

T.B.
1994
Torino
sudanese

Nicoletta MASUELLI

Giorno imprecisato del luglio del 2016, Cagliari

6 agosto 2016, Reggio Calabria

2.

18941/17

A.D. c. Italia

17/02/2017

A.D.
1980
Germania
sudanese

Gianluca VITALE

8 agosto 2016, luogo imprecisato della costa siciliana

3.

18959/17

O.A. c. Italia

17/02/2017

O.A.
1989
Torino
sudanese

Donatella BAVA

14 luglio 2016, Reggio Calabria