Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 16 novembre 2023 - Ricorso n. 47287/17 - Causa W.A. e altri c. Italia


© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC.
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA W.A. E ALTRI c ITALIA

(Ricorso n. 18787/17)

SENTENZA
 

Articolo 3 (procedurale) • Espulsione • Asserito rimpatrio di cinque cittadini sudanesi che facevano parte di un gruppo di quaranta migranti espulsi verso il loro Paese di origine • Valutazione della Corte per stabilire se i ricorrenti facessero parte del gruppo espulso, sulla base di una perizia relativa a una comparazione facciale elaborata dalla Divisione di coordinamento operativo della Polizia belga, richiesta ai sensi dell’articolo A1 §§ 1 e 2 del Regolamento della Corte • Elementi sufficienti per concludere che soltanto il primo ricorrente si trovava tra le persone espulse (ricevibile) ma non i rimanenti ricorrenti (manifestamente infondato) • Offerte al primo ricorrente effettive garanzie di protezione dal refoulement arbitrario verso il Sudan

STRASBURGO

16 novembre 2023

La presente sentenza diventerà definitiva alle condizioni stabilite dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa W.A. e altri c. Italia,

la Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in una Camera composta da:

Marko Bošnjak, Presidente,
Alena Poláčková,
Krzysztof Wojtyczek,
Péter Paczolay,
Ivana Jelić,
Erik Wennerström,
Raffaele Sabato, giudici,
e Liv Tigerstedt, cancelliere aggiunto di Sezione,

visto il ricorso (n. 18787/17) contro la Repubblica italiana con il quale, in data 13 febbraio 2017, i cinque cittadini sudanesi indicati nella tabella allegata (“i ricorrenti”), hanno adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”);

vista la decisione di comunicare al Governo italiano (“il Governo”) le doglianze ai sensi degli articoli 3, 13 e 14 della Convenzione e dell’articolo 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione;

vista la decisione di non rendere pubblici i nomi dei ricorrenti;

viste le osservazioni presentate dal Governo e le osservazioni di replica presentate dai ricorrenti;

visti i commenti presentati dal Governo belga e dalla CILD (Coalizione italiana per le libertà e i diritti civili, con l’esclusione dell’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione), una delle associazioni che costituiscono la CILD), autorizzati a intervenire dal Presidente della Sezione;

vista la relazione presentata dalla Polizia giudiziaria federale belga, alla quale era stato chiesto con decisione della Camera di fornire una perizia;

dopo avere deliberato in data 17 ottobre 2023,

pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

  1. Il presente ricorso concerne l’asserita espulsione dei ricorrenti, cittadini sudanesi, dall’Italia al Sudan e il rischio che essi fossero sottoposti nel loro Paese di origine a un trattamento inumano e degradante in violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
  2. I ricorrenti hanno lamentato anche di essere stati sottoposti a un’espulsione collettiva in violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione, di essere stati discriminati sulla base della loro origine nazionale in violazione dell’articolo 14 della Convenzione, e la violazione del loro diritto a un ricorso effettivo al fine di porre rimedio alle summenzionate violazioni, ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione.
  3. I fatti oggetto della causa sono accaduti in data 24 agosto 2016, il giorno dell’asserita espulsione dei ricorrenti, e dovrebbero essere interpretati unitamente a quelli relativi all’odierna sentenza pronunciata nella causa E. e altri c. Italia (n. 18911/17). In quest’ultima causa, il decreto di espulsione dei ricorrenti non è stato infine eseguito e ai ricorrenti è stato concesso l’asilo.

IN FATTO

  1. I ricorrenti sono nati nelle date indicate nella tabella allegata. Il primo ricorrente vive nel Niger, il quarto ricorrente vive in Egitto e gli altri tre ricorrenti vivono nel Sudan. I ricorrenti sono stati rappresentati dagli avvocati S. Fachile e D. Belluccio, rispettivamente del Foro di Roma e di quello di Bari.
  2. Il Governo è stato rappresentato dal suo Agente, Sig. Lorenzo D’Ascia.
  3. I fatti oggetto della causa possono essere riassunti come segue.
  4. In data 3 agosto 2016 fu firmato un Memorandum d’intesa tra il Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno italiano e la Polizia nazionale del Ministero dell’Interno sudanese. Il Memorandum mirava a rafforzare la cooperazione tra le due forze di polizia al fine di impedire la tratta criminale di esseri umani migliorando, tra l’altro, i controlli alle frontiere, i flussi migratori e la gestione delle procedure di rimpatrio dei migranti sudanesi irregolari.
  5. In data 24 agosto 2016 un gruppo composto da quaranta cittadini sudanesi fu rimpatriato da Torino (Italia) a Khartoum (Sudan). I ricorrenti affermano di avere fatto parte di tale gruppo e di essere stati espulsi forzatamente e collettivamente verso il loro Paese di origine. Il Governo ha contestato tali informazioni e ha sostenuto che i ricorrenti non fossero mai stati sul territorio italiano.
  6. I rappresentanti dei ricorrenti hanno incontrato i ricorrenti a Khartoum in data 22 dicembre 2016.
  1. IL DISACCORDO DELLE PARTI RIGUARDO ALLE IDENTITÀ DEI RICORRENTI E ALLA PERIZIA BASATA SULLA COMPARAZIONE FACCIALE
  1. Il Governo ha contestato l’affermazione dei ricorrenti secondo la quale essi facevano parte del gruppo di quaranta migranti rimpatriati da Torino a Khartoum in data 24 agosto 2016. A seguito di richiesta della Corte, esso ha fornito le fotografie identificative delle persone rimpatriate nel Sudan in data 24 agosto 2016. Ha sostenuto che i nomi e le sembianze di tali persone non corrispondessero a quelli dei ricorrenti.
  2. Il Governo ha affermato che i risultati delle ricerche nella banca dati del Sistema investigativo interforze e delle indagini effettuate tramite le pertinenti Questure avevano dimostrato che nessun ricorrente fosse mai stato in Italia. Ha sostenuto che il ricorso costituiva quindi un abuso del diritto di ricorso e avrebbe dovuto essere cancellato dal ruolo o dichiarato irricevibile ratione personae in ragione del difetto, da parte dei ricorrenti, della qualità di vittime.
  3. I rappresentanti dei ricorrenti hanno presentato diverse fotografie dei loro assistiti, a eccezione del quinto ricorrente, per il quale non è stata presentata alcuna fotografia, e una video-intervista del primo ricorrente. Hanno dichiarato che i primi quattro ricorrenti erano tra i migranti rimpatriati in data 24 agosto 2016. Hanno inoltre affermato che le discrepanze nell’ortografia dei nomi dei ricorrenti che figuravano nei formulari di ricorso e nell’elenco del Governo indicante i migranti rimpatriati erano dovute alla traslitterazione dei nomi dei ricorrenti dall’alfabeto arabo a quello latino. I rappresentanti dei ricorrenti hanno anche insistito che le sembianze dei ricorrenti nelle fotografie e nella video-sequenza che avevano fornito corrispondevano alle pertinenti fotografie identificative fornite dal Governo.
  4. In considerazione del disaccordo delle parti riguardo a informazioni essenziali relative ai fatti oggetto della causa, in data 18 gennaio 2022 la Camera cui era stata assegnata la causa ha deciso di disporre dei provvedimenti istruttori e di nominare un esperto nella comparazione facciale (articolo A1 §§ 1 e 2 del Regolamento della Corte – Provvedimenti istruttori).
  5. È stata successivamente richiesta una perizia della Divisione di coordinamento operativo (DJT) della Polizia belga al fine di valutare se le sembianze delle persone ritratte nelle fotografie e nella video-sequenza fornite dai rappresentanti dei ricorrenti corrispondessero a quelle raffigurate nelle pertinenti fotografie identificative delle persone rimpatriate in data 24 agosto 2016, fornite dal Governo.
  6. In data 11 agosto 2022 la DJT accettò l’incarico e in data 5 ottobre 2022 il suo Servizio di identificazione biometrica presentò una relazione sia in inglese che in francese.
  7. La valutazione dell’esperto fu svolta utilizzando un software specialistico e un’analisi dettagliata delle caratteristiche morfologiche dei tratti facciali, tra cui la forma, la posizione, la simmetria e le proporzioni degli stessi. L’interpretazione dei risultati è stata basata sulla seguente scala:
  • -2: Esclusione della fonte. Notevole differenza nei tratti facciali e nelle caratteristiche individuali;
  • -1: A favore dell’esclusione. Differenze nei tratti facciali;
  • 0: Le somiglianze e le differenze nei tratti facciali e nelle caratteristiche individuali non sono sufficienti per l’eliminazione o per la conferma;
  • +1: A sostegno delle fonti comuni. Somiglianze nei tratti facciali;
  • +2: Il più forte sostegno per la fonte comune. Combinazione delle somiglianze nei tratti facciali e nelle caratteristiche individuali.
  1. Sulla base delle prove che erano di qualità tale da permettere una fruttuosa comparazione, l’esperto pervenne alle seguenti conclusioni:
    • W.A., primo ricorrente: +2
    • A.A.A., secondo ricorrente: -2
    • M.A.A., terzo ricorrente: +1
    • N.B.M., quarto ricorrente: +1
  2. Il Governo ha presentato i suoi commenti. Pur riconoscendo che la comparazione facciale fosse stata svolta utilizzando una metodologia tecnica conforme all’orientamento internazionale in tale campo, ha osservato che la comparazione facile, anche nei casi che producono un risultato di “forte sostegno” (+2), non costituiva un metodo di identificazione personale affidabile, e che soltanto una comparazione delle impronte digitali poteva assicurare un’identificazione affidabile.
  1. I FATTI INIZIALI PRESENTATI DAI RICORRENTI
  1. Il primo ricorrente, Sig. W.A.
  1. In data 29 luglio 2016 il ricorrente fu soccorso dalla Marina italiana e raggiunse la costa italiana. Fu trasferito a Roma e successivamente a Ventimiglia, dove fu ospitato in un centro della Croce Rossa. Il ricorrente ha sostenuto di non avere ricevuto alcuna informazione in materia di protezione internazionale.
  2. In data 18 agosto 2016 il ricorrente fu arrestato all’esterno del Centro della Croce Rossa e sottoposto a una procedura di identificazione coattiva. Ha dichiarato di avere opposto resistenza agli agenti, di essere stato schiaffeggiato, e di essere stato sottoposto al rilievo forzato delle impronte digitali una per una.
  3. Il ricorrente fu trattenuto per cinque giorni in una stazione di polizia.
  4. Durante tale periodo, egli fu interrogato da qualcuno che egli identificò come un funzionario italiano, forse un Giudice di pace (il ricorrente non è stato in grado di fornire dettagli riguardo a tale parte dei fatti in conseguenza della propria difficoltà a comprendere gli eventi) con l’ausilio di un interprete che parlava una varietà di arabo nordafricana. Tuttavia, la comunicazione tra l’interprete e il ricorrente fu compromessa a causa del fatto che quest’ultimo parlava una differente varietà di arabo.
  5. In tale occasione, secondo quanto dichiarato dal ricorrente nel suo formulario di ricorso, egli non fu informato della possibilità di chiedere la protezione internazionale, ma egli indicò tuttavia chiaramente che non desiderava essere rimpatriato nel Sudan, da dove era fuggito a causa dell’asserita persecuzione e delle gravi violazioni dei diritti umani che aveva subito in quanto membro della popolazione non araba del Darfur.
  6. Il ricorrente ha dichiarato che non gli era stato notificato né consegnato alcun decreto di respingimento né copia di alcun altro documento. Ha dichiarato di non avere avuto accesso al fascicolo del Giudice di pace o di qualsiasi altra autorità amministrativa e di non avere ricevuto copia del verbale dell’udienza.
  1. Il secondo ricorrente, Sig. A.A.A.
  1. In data 31 luglio 2016 il ricorrente fu soccorso dalla Marina italiana e raggiunse Crotone. Fu successivamente trasferito per quattro giorni nel punto di crisi di Crotone, e durante tale periodo fu fotosegnalato e sottoposto a rilievi dattiloscopici. Il ricorrente giunse successivamente a Milano e, in seguito, a Ventimiglia, dove fu ospitato nel Centro della Croce Rossa. Il ricorrente ha sostenuto di non avere ricevuto informazioni riguardo alla protezione internazionale.
  2. In data 18 agosto 2016 il ricorrente tentò di varcare la frontiera francese. Fu tuttavia fermato dalla Polizia francese e, dopo avere trascorso un giorno in stato di fermo, fu consegnato alle autorità italiane senza alcuna formalità, in data 20 agosto 2016.
  1. Il terzo ricorrente, Sig. M.A.A.
  1. In data 6 agosto 2016 il ricorrente fu soccorso dalla Marina italiana e raggiunse la Sicilia. Fu successivamente trasferito in un punto di crisi per tre giorni, durante i quali non poté lasciare la struttura. Fu fotosegnalato e sottoposto a rilievi dattiloscopici durante il soggiorno nel punto di crisi. Il ricorrente ha sostenuto di non avere ricevuto informazioni riguardo alla protezione internazionale.
  2. In data 9 agosto 2016 egli giunse a Milano e, successivamente, a Ventimiglia, dove fu ospitato nel Centro della Croce Rossa.
  3. Tra il 16 e il 18 agosto 2016 il ricorrente tentò di varcare la frontiera francese. Fu tuttavia fermato dalla Polizia francese e consegnato alle autorità italiane senza alcuna formalità.
  4. In data 22 agosto 2016 il ricorrente fu arrestato all’esterno del Centro della Croce Rossa e sottoposto nuovamente a procedure di identificazione.
  5. Il ricorrente fu trattenuto per due giorni in una stazione di polizia.
  1. Il quarto ricorrente, Sig. N.B.M.
  1. In data 6 agosto 2016 il ricorrente fu soccorso dalla Marina italiana e raggiunse la Sicilia. Fu poi trasferito in un centro di crisi per due giorni, durante i quali non poté lasciare la struttura. In tale luogo egli fu fotosegnalato e sottoposto a rilievi dattiloscopici. Il ricorrente ha sostenuto di non avere ricevuto informazioni riguardo alla protezione internazionale.
  2. In data 1° agosto 2016 il ricorrente giunse a Roma, poi a Milano e, successivamente, a Ventimiglia, dove fu ospitato nel Centro della Croce Rossa.
  3. In data 20 agosto 2016 il ricorrente fu arrestato e sottoposto nuovamente a procedure di identificazione.
  4. Il ricorrente fu trattenuto per tre giorni in una stazione di polizia.
  1. Il quinto ricorrente, Sig. A.H.S.A.
  1. In data 6 luglio 2016 il ricorrente fu soccorso dalla Marina italiana e raggiunse la Sicilia. Fu successivamente trasferito in un punto di crisi, dove fu fotosegnalato e sottoposto a rilievi dattiloscopici. Il ricorrente ha sostenuto di non avere ricevuto informazioni riguardo alla protezione internazionale.
  2. Il ricorrente giunse poi a Milano e, successivamente, a Ventimiglia, dove fu ospitato nel Centro della Croce Rossa.
  3. In data 21 agosto 2016 il ricorrente fu arrestato all’esterno del Centro della Croce Rossa e sottoposto nuovamente a procedure di identificazione.
  4. Il ricorrente fu trattenuto per due giorni in una stazione di polizia.
  1. I FATTI SUCCESSIVI PRESENTATI DAI RICORRENTI
  1. I ricorrenti hanno sostenuto che, durante il trattenimento, avevano dichiarato esplicitamente che il loro rimpatrio nel Sudan, da dove erano fuggiti a causa della persecuzione e delle violazioni dei diritti umani alle quali erano stati sottoposti nel Darfur, avrebbe comportato un rischio per la loro vita a causa della loro origine etnica (in quanto membri della popolazione non araba del Darfur) e del genocidio effettuato da molti anni da gruppi armati governativi.
  2. Ai ricorrenti non fu fornito alcun documento scritto. Furono poi condotti all’ambasciata sudanese, dove fu riconosciuto che fossero cittadini sudanesi.
  3. Nonostante il loro esplicito desiderio di non essere rimpatriati in Sudan, i ricorrenti non hanno avuto la possibilità di incontrare un avvocato o di interagire con i rappresentanti di qualsiasi altra organizzazione per i diritti umani.
  4. In data 24 agosto 2016 la Polizia condusse i ricorrenti, insieme ad altri cittadini sudanesi, a Torino ed essi furono rimpatriati forzatamente nel Sudan. Durante la procedura i ricorrenti e altri connazionali tentarono di opporsi fisicamente al rimpatrio, ma la Polizia glielo impedì, ammanettandoli utilizzando strisce di Velcro.
  5. Una volta nel Sudan fu disposto nei loro confronti il divieto di lasciare il Paese per cinque anni.
  6. A degli altri connazionali, che erano riusciti a evitare il rimpatrio perché avevano opposto una maggiore resistenza fisica o perché avevano ricevuto aiuto da associazioni per i diritti umani, fu infine concessa la protezione internazionale (si veda E. e altri c. Italia, sopra citata).
  7. I rappresentanti dei ricorrenti hanno inoltre dichiarato che il primo ricorrente si era infine trasferito nel Niger, dove viveva nel campo profughi di Agadez e dove aveva ottenuto la protezione internazionale. Il primo ricorrente ha fornito una copia del pertinente certificato emesso dal Ministero dell’Interno nigeriano e dall’UNHCR [d.t. Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati]che confermava il suo status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra.
  8. Il primo ricorrente registrò una video-intervista con un giornalista ad Agadez in data 19 agosto 2018. Sintetizzò i fatti relativi al suo caso (esposti nei paragrafi 19 e ss. supra). In relazione ai rischi per la sua sicurezza nel Sudan, il primo ricorrente dichiarò di appartenere alla tribù degli Zaghawa, che era perseguitata dal Governo sudanese, e che egli era pertanto minacciato dalle autorità locali quando era nel Sudan.
  1. LE INFORMAZIONI FORNITE DAL GOVERNO RIGUARDO ALLA PROCEDURA DI RIMPATRIO DEI QUARANTA MIGRANTI
  1. Nelle sue osservazioni, il Governo ha fornito la documentazione relativa alla procedura di rimpatrio dei quaranta migranti avvenuto in data 24 agosto 2016, che conteneva la documentazione relativa al Sig. A.A.
  2. La Corte non ha la necessità di esaminare la documentazione relativa agli altri migranti del gruppo e analizzerà soltanto la posizione del Sig. A.A., in quanto la fotografia di tale persona è stata individuata nella perizia come quella che sosteneva maggiormente una fonte comune con quelle del primo ricorrente (si vedano i paragrafi 16 supra e le conclusioni della Corte circa la ricevibilità del ricorso nei paragrafi 65 e 66 infra).
  3. In data 22 agosto 2016, il Sig. A.A. firmò un foglio notizie nella Questura di Imperia. Il documento conteneva informazioni generali su di lui e sul suo arrivo in Italia. Riguardo ai “Motivi di ingresso”, erano offerte tre possibilità: “Ricerca di un lavoro”, “Turismo” e “Altri motivi”. Il Sig. A.A. spuntò l’ultima possibilità, indicando che desiderava trasferirsi in Germania.
  4. Nella parte “Riguardo al rimpatrio nel mio Paese di origine” il Sig. A.A. spuntò l’opzione che “non desiderava tornare nel [suo] Paese di origine”.
  5. Alla fine del documento, nella parte “Altre informazioni”, vi era una dichiarazione scritta a mano sia in italiano che in arabo nella quale era affermato “Non desidero richiedere la protezione internazionale”.
  6. In data 23 agosto 2016 il Prefetto di Imperia emise un provvedimento di respingimento. La Questura di Imperia notificò la decisione al Sig. A.A. il giorno stesso[1].
  7. Lo stesso giorno, il Sig. A.A. fu sentito dal Giudice di pace di Imperia per la convalida del decreto di respingimento. Il suo rappresentante si oppose alla convalida del decreto, invocando l’articolo 19 del Decreto legislativo n. 286/1998 (la Legge sull’immigrazione), che prevede che non sia eseguita l’espulsione se vi è un fondato timore che nel Paese di destinazione la persona possa essere sottoposta a un trattamento inumano o degradante. Il rappresentante invocò anche la giurisprudenza della Corte (vale a dire A. c. Francia, n. 18039/11, 15 gennaio 2015, e A.F. c. Francia, n. 80086/13, 15 gennaio 2015, in cui la Corte ha concluso che l’espulsione dei ricorrenti verso il Sudan li avrebbe esposti al rischio di violazione dell’articolo 3 della Convenzione, considerando, tra l’altro, i rischi personali che avrebbero corso e che avevano sollevato dinanzi alle autorità nazionali).
  8. Il Giudice di pace ritenne che il Sig. A.A. avesse dichiarato che egli stava semplicemente transitando nel territorio italiano mentre si recava in un altro Paese europeo e che non avesse l’intenzione di chiedere un permesso di soggiorno o l’asilo. Il Giudice di pace tenne conto anche dei rilievi della Questura di Imperia secondo i quali il Sig. A.A., durante un colloquio svolto nella sua lingua materna alla presenza di tre mediatori culturali che parlavano l’arabo, aveva rifiutato di chiedere la protezione internazionale.
  9. Il Giudice di pace rinviò, tra l’altro, al Memorandum d’intesa (si veda il paragrafo 7 supra) e convalidò il decreto di respingimento.
  10. Il Sig. A.A. fu rimpatriato nel Sudan in data 24 agosto 2016.

IN DIRITTO

  1. SULL’ECCEZIONE PRELIMINARE RIGUARDO ALLA RICEVIBILITÀ DEL RICORSO
  1. La Corte osserva innanzitutto che le parti erano in disaccordo su un punto essenziale dei fatti oggetto della causa, vale a dire sul fatto che i ricorrenti fossero stati effettivamente rimpatriati nel Sudan in data 24 agosto 2016 o, da un altro punto di vista, che i ricorrenti, come denominati nei formulari di ricorso e raffigurati nelle fotografie e nel materiale video fornito dai loro rappresentanti, fossero tra i cittadini sudanesi raffigurati nelle pertinenti fotografie identificative dei quaranta migranti espulsi e che i loro nomi corrispondessero ai nomi indicati nell’elenco fornito dal Governo.
  2. A tale riguardo, la Corte ha esaminato il materiale fornito dalle parti alla luce della perizia presentata in data 5 ottobre 2022 dal Servizio di identificazione biometrica della DJT. Essa rileva che, per quanto riguarda il primo ricorrente, l’esperto ha stabilito al massimo livello di affidabilità una corrispondenza tra le due persone raffigurate nelle rispettive fonti (si veda il paragrafo 16 supra).
  3. La Corte osserva che il Governo non ha contestato i risultati tecnici della perizia o fornito una perizia alternativa che consenta alla Corte di pervenire a una differente conclusione.
  4. Osserva inoltre la forte somiglianza tra il nome fornito dal primo ricorrente nel suo formulario di ricorso e quello corrispondente alla pertinente fotografia identificativa del Sig. A.A. presentata dal Governo.
  5. Date le circostanze, la Corte ritiene che la documentazione in esame sia sufficiente per concludere che il primo ricorrente sia effettivamente il Sig. A.A., vale a dire, il cittadino sudanese indicato dal Governo con la corrispondente fotografia identificativa n. 22, e che il primo ricorrente si trovasse pertanto tra i cittadini sudanesi rimpatriati nel Sudan in data 24 agosto 2016 (si veda, mutatis mutandis, Messina c. Italia, 26 febbraio 1993, § 31 in fine, Serie A n. 257-H).
  6. Quanto al terzo e al quarto ricorrente, la Corte ritiene che il materiale di cui dispone non sia adeguato per concludere, con un sufficiente grado di certezza, che tali ricorrenti corrispondano alle persone rimpatriate. Quanto al secondo ricorrente, la Corte riconosce che l’esperto abbia escluso una corrispondenza tra le due persone raffigurate, a causa della notevole differenza tra i tratti facciali e le caratteristiche individuali.
  7. Quanto al quinto ricorrente, non è stata valutata alcuna corrispondenza con le persone espulse, in quanto non è stata fornita alla Corte alcuna fotografia comparabile.
  8. La Corte ritiene pertanto che la parte del ricorso depositata dal secondo, dal terzo, dal quarto e dal quinto ricorrente non sia stata sufficientemente motivata e debba essere dichiarata irricevibile in quanto manifestamente infondata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
  9. Quanto al primo ricorrente, cui la Corte continuerà a rinviare in prosieguo come il “Sig. W.A.” (come indicato nel suo formulario di ricorso), la Corte ritiene che egli abbia dimostrato di essere stato in Italia e di essere stato espulso in data 24 agosto 2016. Rigetta pertanto l’eccezione sollevata dal Governo a tale riguardo.
  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
  1. Il primo ricorrente ha lamentato che le autorità non avessero considerato debitamente la sua affermazione secondo la quale egli sarebbe stato esposto a un reale rischio di essere sottoposto a un trattamento inumano in caso di rimpatrio nel Sudan, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione. Sulla base dei medesimi rilievi, ha lamentato anche di essere stato sottoposto a un’espulsione collettiva in violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione. La Corte, essendo libera di qualificare giuridicamente i fatti oggetto della causa (si veda Radomilja e altri Croazia [GC], nn. 37685/10 e 22768/12, § 114, 20 marzo 2018), esaminerà la doglianza soltanto sotto il profilo dell’articolo 3. L’articolo 3 recita come segue:

    “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.”
  1. Sulla ricevibilità
  1. La Corte osserva che questa doglianza non è manifestamente infondata e non incorre in alcun altro motivo di irricevibilità elencato nell’articolo 35 § 3 e 4 della Convenzione. Deve pertanto essere dichiarata ricevibile.
  1. Sul merito
  1. Le osservazioni delle parti

(a) Il primo ricorrente, Sig. W.A.

  1. il primo ricorrente ha dichiarato di avere espresso il desiderio di non essere rimpatriato nel Sudan, ma inutilmente. In tale contesto, ha rinviato ai fatti oggetto della causa E. e altri c. Italia (sopra citata) emersi dai colloqui dei ricorrenti di tale causa nell’ambito delle loro domande di asilo (ibid., §§ 35 e ss. e 47 e ss.). Tali ricorrenti avevano effettivamente dichiarato che, contrariamente alla loro situazione, un altro gruppo di connazionali, compreso il primo ricorrente, erano stati rimpatriati nel Sudan nella medesima occasione. Il primo ricorrente ha inoltre sottolineato che la situazione critica relativa ai diritti umani nel Sudan era risaputa all’epoca dei fatti e che, come aveva dichiarato nella video-intervista del 19 agosto 2018 – che era stata presentata alla Corte – egli apparteneva alla popolazione non araba del Darfur, gruppo che era vittima di maltrattamenti e di persecuzioni.
  2. Quanto alla possibilità di chiedere asilo, il primo ricorrente ha dichiarato di non essere stato messo in condizione di comprendere che cosa significasse una richiesta di protezione internazionale. In particolare, le autorità italiane non avevano spiegato a lui e ai suoi connazionali che nella loro situazione fosse consigliabile una domanda di asilo e che, se non avesse presentato tale domanda, avrebbe potuto essere rimpatriato in Sudan.
  3. Benché non avesse utilizzato l’esatta formulazione che indicava una domanda di protezione internazionale, il primo ricorrente, insieme ai suoi connazionali, aveva espresso chiaramente il desiderio di non essere rimpatriato nel Sudan, specialmente quando era diventato chiaro che il Governo italiano intendesse rimpatriarlo. A differenza dei suoi connazionali, il primo ricorrente non aveva, tuttavia, opposto una sufficiente resistenza fisica per impedire il suo rimpatrio (il primo ricorrente ha confrontato il suo caso con la causa E. e altri, sopra citata).
  4. Il fatto che non siano state fornite informazioni al primo ricorrente e ai suoi connazionali in relazione alle procedure di protezione internazionale è stato illustrato dal contrasto della sua situazione con quella dei ricorrenti interrogati nei procedimenti di asilo nella causa E. e altri (ibid.), le cui dichiarazioni erano state esaminate debitamente dalla competente Commissione territoriale, che aveva infine concesso loro l’asilo. Inoltre, il fatto che il primo ricorrente avesse successivamente chiesto e ottenuto la protezione internazionale nel Niger era una prova del fatto che egli necessitasse della protezione internazionale anche quando si trovava in territorio italiano.
  5. Il primo ricorrente ha infine sostenuto che il Governo non avesse fornito alcuna prova del suo rilievo secondo il quale al gruppo di cittadini sudanesi fossero state date informazioni chiare riguardo all’asilo.

(b) Il Governo

  1. Il Governo ha sostenuto che l’affermazione del primo ricorrente di rischiare nel Sudan un trattamento inumano e degradante fosse vaga e priva di riferimenti alla sua situazione personale. Inoltre, egli non aveva addotto alcuna prova a sostegno delle sue affermazioni.
  2. Pur ribadendo l’affermazione secondo la quale il primo ricorrente non si trovava tra i quaranta migranti espulsi in data 24 agosto 2016, il Governo ha dichiarato che, in ogni caso, in tali casi erano state applicate le disposizioni interne pertinenti in materia di procedure di espulsione, rispetto dei diritti umani e principio di non-refoulement.
  3. Ha inoltre sostenuto che tutti i quaranta cittadini sudanesi rimpatriati in data 24 agosto 2016 avevano ricevuto assistenza, erano stati aiutati da mediatori culturali e da interpreti, e avevano ricevuto le informazioni necessarie riguardo alla possibilità di chiedere la protezione internazionale. Inoltre, le loro situazioni individuali erano state esaminate caso per caso e diversi cittadini sudanesi che avevano fatto parte del medesimo gruppo di persone del primo ricorrente avevano infine presentato delle domande di asilo che erano state successivamente accolte. Il Governo ha sottolineato la presenza di una nota firmata e scritta a mano nel foglio notizie del primo ricorrente che indicava che egli non desiderava chiedere la protezione internazionale. 
  4. Ha inoltre affermato che il primo ricorrente non aveva fornito informazioni specifiche riguardo al rischio individuale di essere sottoposto a un trattamento inumano e degradante una volta rimpatriato nel Sudan.
  5. Il Governo ha infine sostenuto che il Memorandum d’intesa costituiva meramente un mezzo per semplificare le procedure relative agli stranieri irregolari, ma esso non era uno strumento di espulsione collettiva.
  1. I terzi intervenienti

(a) Il Governo belga

  1. Il Governo belga ha osservato che le informazioni relative al possibile rischio che un migrante fosse sottoposto a un trattamento inumano o degradante in caso di rimpatrio nel Paese di origine avrebbero dovuto essere espresse nell’ambito di una domanda di asilo. Pertanto, una semplice dichiarazione di temere il rimpatrio nel Paese di origine senza una valutazione da parte dell’autorità nazionale riguardo alle dichiarazioni effettuate nel contesto di una domanda di asilo non costituiva una prova sufficiente per dimostrare che vi fossero gravi motivi per temere che il migrante avrebbe potuto essere esposto a un rischio di violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
  2. Benché il Governo convenuto abbia approvato tali osservazioni, il primo ricorrente ha osservato che non gli era stata data alcuna concreta possibilità di chiedere la protezione internazionale, in quanto lo scambio con le autorità italiane era durato un paio di minuti, la comunicazione con l’interprete era stata difficile e la sua esplicita richiesta di non essere rimandato nel Sudan era rimasta inascoltata.
  3. Il primo ricorrente ha inoltre sostenuto che l’articolo 3 della Convenzione si applicava a prescindere dal fatto che fosse stata effettivamente presentata una domanda di asilo o meno. Egli ha inoltre affermato che spettasse al Governo anche l’onere di provare la legittimità della procedura di rimpatrio.

(b) La CILD

  1. Tale terzo interveniente ha osservato che il rimpatrio dei ricorrenti aveva avuto luogo sulla base di un Memorandum d’intesa, firmato dai Capi della Polizia dei due Paesi, che non era stato approvato dal Parlamento o dal Governo italiano. Inoltre, nel Memorandum non vi era alcun rinvio al principio di non-refoulement o alla situazione relativa ai diritti umani nel Darfur, luogo di destinazione dei ricorrenti.
  2. Il Governo convenuto ha sottolineato che il Memorandum d’intesa era uno strumento di cooperazione di polizia tra i due Paesi al fine di rafforzare la lotta contro la criminalità organizzata transnazionale, in particolare la tratta di esseri umani, il traffico di sostanze stupefacenti e il terrorismo. Il Memorandum era quindi un mero strumento tecnico e operativo che poteva essere firmato a livello intergovernativo, in quanto non comportava scelte politiche ma si limitava a semplificare procedure che avevano già una base legale nell’ordinamento giuridico nazionale.
  3. Nella causa in esame, le specifiche situazioni di ciascun ricorrente sono state valutate individualmente, i ricorrenti erano stati assistiti da mediatori culturali e da interpreti ed erano state fornite loro informazioni specifiche sulla possibilità di chiedere la protezione internazionale.
  1. La valutazione della Corte

(a) Principi generali

  1. La Corte ha riconosciuto in numerose occasioni l’importanza del principio di non-refoulement (si vedano, per esempio, S.S. c. Belgio e Grecia [GC], n. 30696/09, § 286, CEDU 2011, e M.A. c. Cipro, n. 41872/10, § 133, CEDU 2013 (estratti)). La principale preoccupazione della Corte in casi concernenti l’espulsione di un richiedente asilo è stabilire “se esistano garanzie effettive che proteggono il ricorrente dal refoulement arbitrario, sia diretto che indiretto, verso il Paese dal quale è fuggito” (si veda, tra altri precedenti, M.S.S. c. Belgio e Grecia, sopra citata, § 286).
  2. Quanto alla responsabilità degli Stati contraenti ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione in relazione all’espulsione di stranieri, la Corte rinvia ai principi generali sintetizzati nella causa Khasanov e Rakhmanov c. Russia ([GC], nn. 28492/15 e 49975/15, §§ 93-101, 29 aprile 2022) e D c. Bulgaria (n. 29447/17, §§ 108-13, 20 luglio 2021).
  3. In ordine alla ripartizione dell’onere della prova, la Corte ribadisce che la valutazione dell’esistenza di un rischio reale deve essere necessariamente meticolosa. Spetta in via di principio al ricorrente addurre prove in grado di dimostrare che vi siano motivi concreti per ritenere che, in caso di esecuzione della misura lamentata, egli sarebbe esposto a un rischio reale di essere sottoposto a un trattamento contrario all’articolo 3 (si vedano, per esempio, Saadi c. Italia [GC], n. 37201/06, § 129, CEDU 2008, e  c. Finlandia, n. 38885/02, § 167, 26 luglio 2005). Se tali prove sono state addotte, spetta al Governo dissipare i dubbi sollevati da esse (si veda F.G. c. Svezia [GC], n. 43611/11, § 120, 23 marzo 2016).
  4. In relazione alle domande basate su un rischio individuale reale, spetta alle persone che affermano che il loro rimpatrio costituirebbe violazione dell’articolo 3 addurre, nella massima misura praticamente possibile, materiale e informazioni che permettano alle autorità dello Stato contraente, nonché alla Corte, di valutare il rischio che può comportare un rimpatrio (si veda Said c. Paesi Bassi, n. 2345/02, § 49, CEDU 2005‑VI). Benché diversi fattori individuali non possano costituire un rischio reale, se considerati separatamente, i medesimi fattori possono dare luogo a un rischio reale se considerati cumulativamente e in una situazione di violenza generale e di maggiore sicurezza (si veda c. Regno Unito, n. 25904/07, § 130, 17 luglio 2008).
  5. Analogamente, se un ricorrente sostiene che la situazione generale nel Paese sia tale da precludere qualsiasi rimpatrio, spetta in via di principio a lui addurre le prove necessarie. Tuttavia, per le richieste basate su un rischio generale noto, quando le informazioni relative a tale rischio sono accertabili liberamente da un’ampia gamma di fonti, gli obblighi incombenti sugli Stati ai sensi degli articoli 2 e 3 della Convenzione comportano che tali autorità debbano svolgere d’ufficio una valutazione di tale rischio (si veda G. c. Svezia, sopra citata, §§ 126-27, con ulteriori rinvii).

(b) L’applicazione dei summenzionati principi nel caso di specie

  1. La Corte rileva preliminarmente che alcune informazioni fornite dal primo ricorrente nel suo formulario di ricorso sembrano inesatte alla luce delle osservazioni del Governo e della documentazione presentata da esso.
  2. Dal materiale contenuto nel fascicolo emerge che il decreto di respingimento del 23 agosto 2016 fosse stato notificato al primo ricorrente che lo aveva firmato, mentre egli aveva indicato nelle sue osservazioni alla Corte che non gli era stato notificato alcun documento scritto, neanche un decreto di respingimento (si veda il paragrafo 24 supra). Inoltre, e diversamente da quanto dichiarato dal primo ricorrente nel suo formulario di ricorso, sembra che durante il procedimento di convalida del suo decreto di respingimento da parte del Giudice di pace il primo ricorrente fosse stato assistito sia da un rappresentante legale che da un interprete (si vedano, mutatis mutandis, S.S. c. Belgio e Grecia, sopra citata, § 301, e, mutatis mutandis, S.H. c. Malta, n. 37241/21, § 80, 20 dicembre 2022).
  3. Dovrebbe essere osservato anche che, prima dell’udienza di convalida, il primo ricorrente ha dichiarato esplicitamente mediante una dichiarazione scritta a mano nel suo foglio notizie del 22 agosto 2016 che non desiderava chiedere la protezione internazionale. A differenza da quanto avvenuto nella causa E. e altri c. Italia (sopra citata), la dichiarazione era scritta sia in italiano che in arabo, e il fascicolo non contiene alcun elemento che indichi che il livello di istruzione del primo ricorrente fosse tale che egli potrebbe non avere compreso il contenuto della dichiarazione.
  4. In aggiunta, è chiaro dalla decisione di convalida del Giudice di pace di Imperia del 23 agosto 2016 che il primo ricorrente avesse dichiarato che egli stava meramente transitando nel territorio italiano, mentre si recava in un altro Paese europeo. Il primo ricorrente aveva inoltre dichiarato in tale occasione di non avere l’intenzione di chiedere un permesso di soggiorno o l’asilo. Il Giudice di pace ha tenuto conto a tale riguardo dei rilievi della Questura di Imperia, nel senso che il primo ricorrente era consapevole della possibilità di chiedere la protezione internazionale e che, tuttavia, egli aveva rifiutato di chiederla.
  5. Il primo ricorrente non ha contestato tali informazioni, ma ha sostenuto che non gli fosse stata offerta la possibilità di comprendere quali sarebbero state nel suo caso le conseguenze del fatto di non avere chiesto l’asilo, vale a dire il suo rimpatrio nel Sudan.
  6. Comunque sia, la Corte non può che osservare che durante il procedimento di convalida dinanzi al Giudice di pace il primo ricorrente era stato rappresentato da un avvocato. Quest’ultimo aveva rinviato alle disposizioni della Legge sull’immigrazione in base alle quali non è possibile procedere all’esecuzione di un’espulsione se vi è un fondato timore che la persona potrebbe essere sottoposta a un trattamento inumano e degradante nel Paese di destinazione. Tuttavia, in tale occasione il difensore del primo ricorrente non ha sollevato alcun rilievo dinanzi alle autorità nazionali che avrebbe potuto avere maggiore peso del rifiuto precedentemente espresso dal primo ricorrente di chiedere l’asilo, sottolineando i rischi personali che il primo ricorrente avrebbe corso in caso di rimpatrio (si raffrontino D c. Bulgaria, sopra citata, § 125; A. e altri c. Lituania, n. 59793/17, § 105, 11 dicembre 2018; M.K. e altri c. Polonia, nn. 40503/17 e altri 2 , §§ 166-73, 23 luglio 2020; M.A. e altri c. Lettonia (dec.), n. 25564/18, §§ 53-54, 29 marzo 2022; e A.A. c. Francia e A.F. c. Francia, entrambe sopra citate, che sono state menzionate dal difensore del primo ricorrente durante l’udienza di convalida).
  7. A tale riguardo, la Corte sottolinea anche che nella causa E. e altri c. Italia (sopra citata), le autorità avevano concesso ai ricorrenti lo status di rifugiati soltanto sulla base delle loro esperienze personali.
  8. In tale contesto, il fatto che il primo ricorrente abbia infine ottenuto lo status di rifugiato nel Niger non è una prova della mancata offerta di garanzie da parte delle autorità italiane per proteggerlo dal refoulement arbitrario. Sembra, infatti, che il primo ricorrente abbia rinviato, soltanto successivamente al deposito del ricorso presso la Corte, alla sua appartenenza a una tribù perseguitata dal Governo sudanese e al suo timore di essere sottoposto a minacce (si veda il contenuto della sua video-intervista del 19 agosto 2018). All’epoca dei fatti tuttavia le autorità italiane non disponevano di tali informazioni.
  9. Le suesposte considerazioni sono sufficienti a permettere alla Corte di concludere che, date le circostanze del caso di specie, il Governo convenuto non abbia violato il suo dovere di offrire garanzie effettive per proteggere il primo ricorrente dal refoulement arbitrario verso il suo Paese di origine. Non vi è pertanto stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
  1. SULLE ALTRE DEDOTTE VIOLAZIONI DELLA CONVENZIONE
  1. Il primo ricorrente ha lamentato anche di non avere avuto a sua disposizione un ricorso interno effettivo per le sue doglianze ai sensi della Convenzione a norma dell’articolo 3 della Convenzione, come previsto dall’articolo 13 della Convenzione. Ha sostenuto che non gli fosse stato notificato un decreto di respingimento e che egli non fosse stato pertanto messo in condizione di impugnarlo. Tenendo conto del fatto che il decreto di respingimento del 23 agosto 2016 era stato effettivamente notificato al primo ricorrente, il quale lo aveva firmato (si veda il paragrafo 91 supra), tale doglianza è manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
  2. Il primo ricorrente ha infine invocato l’articolo 14 della Convenzione, letto unitamente all’articolo 4 del Protocollo n. 4, sostenendo di essere stato discriminato nel godimento dei suoi diritti di cui alla Convenzione in ragione della sua origine nazionale. La Corte rileva che tale doglianza non sia stata sufficientemente motivata e deve pertanto essere dichiarata manifestamente infondata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara ricevibile la doglianza sollevata dal primo ricorrente, Sig. W.A., ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione, e irricevibili le rimanenti doglianze;
  2. Ritiene che non vi sia stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione nei confronti del primo ricorrente.

Fatta in inglese e notificata per iscritto in data 16 novembre 2023, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Marko Bošnjak
Presidente

Cancelliere aggiunto
Liv Tigerstedt

APPENDICE
 

Elenco dei ricorrenti

N.

Nome e anno di nascita del ricorrente

Nomi delle persone espulse in data

24 agosto 2016 secondo le informazioni del Governo

Materiale fornito dal Governo. Elenco delle fotografie identificative delle persone espulse in data 24 agosto 2016

Materiale fornito dai rappresentanti dei ricorrenti

1.

W.A.

1990

A.A.

Fotografia identificativa n. 22

 Video-intervista del ricorrente di 13 minuti;

 Fotografia con un rappresentante dei ricorrenti. Il ricorrente è la seconda persona da destra.

2.

A.A.A.

1993

J.M.B.

Fotografia identificativa n. 6

 3 fotografie identificative;

 Fotografia con il rappresentante dei ricorrenti. Il ricorrente è la persona in piedi, vicino a un rappresentante dei ricorrenti. Il rappresentante è la persona che indossa l’abito grigio.

3.

M.A.A.

1992

E.A.

Fotografia identificativa n. 2

 Fotografia con un rappresentante dei ricorrenti. Il ricorrente è la prima persona da sinistra.

4.

N.B.M.

1996

B.N.

 Fotografia identificativa n. 16

 Fotografia con un rappresentante dei ricorrenti. Il ricorrente è la prima persona da destra;

 Altre fotografie inviate dai rappresentanti dei ricorrenti.

5.

A.H.S.A.

1989

-

Nessuna fotografia da comparare

Nessuna fotografia da comparare.


[1] Sono state fornite alla Corte due copie identiche della notifica firmata della decisione con la medesima data (23 agosto 2016) e orari differenti (15.33 e 15.35).