Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 19 ottobre 2023 - Ricorso n. 13755/18 - Causa A.B. c. Italia


© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

QUINTA SEZIONE

CAUSA A.B. c. ITALIA

(Ricorso n. 13755/18)

SENTENZA

STRASBURGO

19 ottobre 2023

La presente sentenza è definitiva ma può subire modifiche di forma.

Nella causa A.B. c. Italia,

la Corte europea dei diritti dell’uomo (Quinta Sezione), riunita in un Comitato composto da:

Stéphanie Mourou-Vikström, Presidente,
Lado Chanturia,
Mattias Guyomar, giudici,
e Sophie Piquet, cancelliere aggiunto di Sezione facente funzioni,

visto il ricorso (n. 13755/18) presentato nei confronti della Repubblica italiana con il quale, in data 21 marzo 2018, un cittadino tunisino, il Sig. A.B. (“il ricorrente”), che è nato nel 1994 e vive in Tunisia, e che è stato rappresentato dall’avvocatessa L. Gennari, del Foro di Roma, ha adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”);

vista la decisione di comunicare al Governo italiano (“il Governo”), rappresentato dal suo Agente, Sig. L. D’Ascia, le doglianze relative all’articolo 3, all’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 e all’articolo 13 della Convenzione e agli articoli 2 e 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione, e di dichiarare il ricorso irricevibile per il resto;

vista la decisione di non divulgare il nome del ricorrente;

viste le osservazioni presentate dal Governo e le osservazioni di replica presentate dal ricorrente;

viste le osservazioni presentate da Avocats sans frontières e da L’altro diritto, che erano stati autorizzati a intervenire dal Presidente della Sezione;

dopo avere deliberato in camera di consiglio in data 28 settembre 2023,

pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

L’OGGETTO DEL CASO DI SPECIE

  1. La causa concerne il trattenimento del ricorrente nel punto di crisi sito in Contrada Imbriacola sull’isola di Lampedusa, le inadeguate condizioni della sua permanenza in tale luogo e il suo rimpatrio forzato in Tunisia. Il Centro di soccorso e prima accoglienza (Centro di Soccorso e Prima Accoglienza – CSPA) di Lampedusa era stato individuato quale punto di crisi italiano ai sensi dell’articolo 17 del Decreto-Legge 17 febbraio 2017 n. 13.
  1. LA PERMANENZA DEL RICORRENTE NEL PUNTO DI CRISI LAMPEDUSA
  1. Il ricorrente raggiunse la costa italiana in data 30 ottobre 2017 a bordo di un’imbarcazione di fortuna e fu successivamente trasferito nel punto di crisi di Lampedusa. Fu sottoposto a verifiche dell’identità, asseritamente senza ricevere alcuna informazione in ordine alla possibilità di richiedere la protezione internazionale.
  2. In data imprecisata il ricorrente firmò un foglio notizie nel quale era verbalizzata la sua identità e l’informazione che egli era venuto in Italia per trovare lavoro. Nel foglio notizie i possibili motivi del viaggio in Italia di un migrante erano indicati nella forma di un elenco del quale dovevano essere spuntate le seguenti voci: “Lavoro”, “Ricongiungimento familiare”, “Uscita dalla povertà”, “Asilo” e “Altro”.
  1. IL RIMPATRIO DEL RICORRENTE IN TUNISIA, IL DECRETO DI RESPINGIMENTO E LA FUGA DEL RICORRENTE
  1. In data 21 novembre 2017 il ricorrente e altri migranti furono perquisiti e fu chiesto loro di firmare un documento del quale essi non avrebbero compreso il contenuto e del quale non ricevettero una copia; emerse successivamente che il documento era un decreto di respingimento emesso dalla Questura di Agrigento in data 20 novembre 2017. Il ricorrente fu successivamente trasferito per mezzo di un aereo all’aeroporto di Palermo. Durante il viaggio i suoi polsi erano legati con cinghie di Velcro.
  2. Una volta giunto all’aeroporto di Palermo, il ricorrente incontrò un rappresentante del Consolato tunisino, il quale registrò la sua identità. Poco dopo, mentre camminava verso l’aeroplano, il ricorrente tentò di fuggire dai due agenti che lo tenevano. Ha sostenuto di essere stato picchiato da quattro agenti. In pari data, il 21 novembre 2017, il ricorrente fu rimpatriato forzatamente in Tunisia in aereo.
  3. Alcuni mesi dopo, in data 10 marzo 2018, il ricorrente raggiunse nuovamente la costa di Lampedusa a bordo di un’imbarcazione di fortuna. Fu trasferito nuovamente nel punto di crisi di Lampedusa, dove, il giorno seguente, egli espresse l’intenzione di chiedere la protezione internazionale. Il ricorrente ha tuttavia dichiarato che non era stato possibile compilare un modulo di richiesta ufficiale.
  4. In data 18 marzo 2018 presentò una domanda alla Questura di Agrigento, chiedendo la concessione dell’asilo e il trasferimento in un’altra struttura di accoglienza. La sua domanda e diverse analoghe domande di altri migranti non ottennero risposta fino al 24 marzo 2018, data in cui il ricorrente fu trasferito nel centro per migranti di Villa Sikania a Siculiana (Agrigento) e successivamente in un’altra imprecisata struttura di accoglienza.
  5. Il Governo ha dichiarato che la Prefettura di Agrigento aveva successivamente sollecitato il direttore della struttura di accoglienza affinché contattasse l’Ufficio immigrazione per fissare un primo appuntamento con il ricorrente al fine di consentirgli di presentare una domanda di asilo. Tuttavia, in data 27 marzo 2018 il ricorrente fuggì dal centro, rendendosi in tal modo irreperibile. Il ricorrente, da parte sua, non ha contestato tale versione dei fatti.
  6. Nel corso delle sue due permanenze, il ricorrente era rimasto nel punto di crisi di Lampedusa per ventidue giorni e per diciassette giorni, durante i quali era stato asseritamente impossibile interagire con qualsiasi autorità. Nel corso di tali periodi aveva dormito all’esterno dell’edificio del centro a causa della mancanza di spazio e di letti all’interno. Ha dichiarato di non avere avuto la possibilità di lasciare il centro durante tali periodi. Il ricorrente ha definito le condizioni materiali del centro inumane e degradanti.
  7. Risulta dalle informazioni fornite dalla rappresentante del ricorrente in data 16 giugno 2021 che il ricorrente, in tale data, vivesse a Sfax (Tunisia).
  8. Il ricorrente ha lamentato di essere stato ospitato in condizioni inadeguate e di essere stato privato della libertà durante le sue permanenze nel punto di crisi di Lampedusa. Ha inoltre sostenuto di essere stato sottoposto a un’espulsione collettiva e di avere avuto difficoltà a presentare una domanda di asilo. Il ricorrente ha invocato l’articolo 3, l’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 e l’articolo 13 della Convenzione, nonché gli articoli 2 e 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione.

LA VALUTAZIONE DELLA CORTE

  1. SULLE ECCEZIONI PRELIMINARI
  1. Il Governo ha sostenuto che il ricorrente non potesse proclamarsi vittima, in quanto nel caso di specie non era avvenuta alcuna violazione delle disposizioni della Convenzione. In particolare, esso ha osservato che il ricorrente non era stato detenuto in violazione dell’articolo 5 della Convenzione, in quanto le misure di accoglienza cui era stato sottoposto nel punto di crisi di Lampedusa erano disciplinate dalla legge, vale a dire dagli articoli 8, 9, 10 e 12 del Decreto legislativo n. 142 del 2015. Inoltre, secondo il Governo, il ricorrente non era stato sottoposto ad alcun trattamento contrario all’articolo 3 della Convenzione.
  2. Il Governo ha inoltre sostenuto che il ricorrente non avesse esaurito le vie di ricorso interne disponibili. A suo avviso, ai sensi dell’articolo 10 § 2 del Decreto legislativo n. 142 del 2015, il ricorrente avrebbe potuto rivolgersi al prefetto per ottenere un permesso temporaneo per allontanarsi dal centro. In caso di rigetto della domanda, egli avrebbe potuto impugnare la decisione pertinente dinanzi a un giudice civile. Il ricorrente avrebbe anche potuto chiedere un provvedimento d’urgenza ai sensi dell’articolo 700 del Codice di procedura civile. In aggiunta, egli avrebbe potuto presentare ricorso ai tribunali amministrativi, qualora la sua domanda al prefetto non avesse ricevuto risposta.
  3. Il ricorrente ha dissentito dalle eccezioni sollevate dal Governo. Quanto all’eccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, il ricorrente ha sottolineato di non avere avuto accesso all’assistenza legale.
  4. La Corte ritiene che l’eccezione del Governo relativa al difetto della qualità di vittima da parte del ricorrente attenga alla sostanza delle doglianze del ricorrente. Decide pertanto di unire tale eccezione al merito della causa.
  5. Quanto all’eccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, la Corte riconosce che, benché ai sensi dell’articolo 10 § 2 del Decreto legislativo n. 142 del 2015, i richiedenti asilo potessero chiedere al prefetto un permesso temporaneo per allontanarsi dal centro, all’epoca dei fatti il Governo non aveva fornito alcuna informazione riguardo all’accesso pratico da parte del ricorrente all’assistenza legale al fine di presentare tale domanda. Date le circostanze, l’eccezione del Governo deve essere respinta.
  6. La Corte osserva che il presente ricorso non è manifestamente infondato e non incorre in alcun altro motivo di irricevibilità elencato nell’articolo 35 della Convenzione. Deve pertanto essere dichiarato ricevibile, fatte salve le conclusioni della Corte relative alla qualità di vittima del ricorrente (si vedano i paragrafi 28 e 34 infra).
  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE IN RAGIONE DELLE DIFFICOLTÀ DEL RICORRENTE A PRESENTARE UNA DOMANDA DI ASILO
  1. Il ricorrente ha lamentato di avere avuto difficoltà a presentare una domanda di asilo. Ha invocato l’articolo 3 della Convenzione.
  2. Il Governo ha osservato che il ricorrente aveva espresso l’intenzione di chiedere l’asilo durante la sua seconda permanenza nel punto di crisi di Tuttavia, l’Ufficio della Polizia scientifica del posto non era all’epoca operativo a causa di un incendio divampato in data 8 marzo 2018. In aggiunta, il trasferimento del ricorrente sul continente aveva dovuto essere rinviato diverse volte a causa delle avverse condizioni meteorologiche.
  3. Ha inoltre dichiarato che il ricorrente era stato infine trasferito in un centro di accoglienza dell’interno; tuttavia, era stato impossibile ultimare la sua domanda di asilo, in quanto egli era fuggito dal centro, rendendosi irreperibile. Il ricorrente, da parte sua, non ha contestato tale versione dei fatti.
  4. In considerazione delle informazioni di cui sopra, la Corte conclude che questa parte della doglianza del ricorrente debba essere rigettata in quanto manifestamente infondata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
  1. SULLA RICEVIBILITÀ DEL RESTO DEL RICORSO
  1. Quanto al resto del ricorso, la Corte osserva che esso non è manifestamente infondato e non incorre in alcun altro motivo di irricevibilità elencato nell’articolo 35 della Convenzione. Deve pertanto essere dichiarato ricevibile.
  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE RELATIVA ALLE CONDIZIONI MATERIALI DELLA SISTEMAZIONE
  1. Il ricorrente ha lamentato le inadeguate condizioni materiali della sua permanenza nel punto di crisi di Lampedusa. Ha invocato l’articolo 3 della Convenzione.
  2. Le osservazioni delle parti relative alla presente doglianza sono simili a quelle presentate nella causa A. e altri. Italia (n. 21329/18, 30 giugno 2023).
  3. Avocats sans frontières, terzo interveniente, la sottolineato le condizioni di detenzione inumane e degradanti in Tunisia per gli aspiranti migranti e i rimpatriati.
  4. La Corte osserva che, nel caso di specie, il ricorrente era rimasto nel punto di crisi di Lampedusa per due periodi, uno di ventidue giorni (dal 30 ottobre 2017 al 20 novembre 2017) e l’altro di diciassette giorni (dal 10 marzo 2018 al 27 marzo 2018). Durante tali periodi, il ricorrente era rimasto in un centro che era inadeguato e nel quale le condizioni igieniche erano scadenti. Inoltre, mancavano i servizi e gli spazi, in particolare per quanto riguarda i letti, il ricorrente aveva dovuto in verità dormire su dei materassi all’esterno del centro.
  5. A tale riguardo, la Corte rinvia alla relazione del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà del 2016-17 e alla relazione del Senato della Repubblica del 2017 sui centri di identificazione ed espulsione in Italia, che dichiaravano che le condizioni generali del punto di crisi di Lampedusa erano peggiorate e vi era sporcizia e sottolineava la mancanza di servizi e di spazi, in particolare in relazione ai letti, nonché la generale scarsa igiene e l’inadeguatezza del centro (si veda A. e altri (ibid.) § 62). Inoltre, la relazione del Garante del 2020 attestava che nel 2019 nel punto di crisi di Lampedusa vi erano soltanto due bagni, che dovevano essere condivisi da quaranta persone, alcuni migranti avevano dovuto dormire su dei materassi all’esterno del centro e le stanze erano o eccessivamente fredde o eccessivamente calde. Nella sua relazione, il Garante aveva espresso il rammarico che, benché le persone che si trovavano nel punto di crisi di Lampedusa avrebbero dovuto rimanervi soltanto per il tempo necessario a identificarle, esse avevano solitamente trascorso nel centro diversi giorni o diverse settimane (si veda J.A. e altri (ibid.) § 53).
  6. Alla luce delle considerazioni di cui sopra, nonché delle sue conclusioni nella causa A. e altri (ibid.), la Corte rigetta l’eccezione del Governo relativa alla qualità di vittima del ricorrente e conclude che egli fosse stato sottoposto a un trattamento inumano e degradante durante la sua permanenza nel punto di crisi di Lampedusa, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 5 §§ 1, 2 E 4 DELLA CONVENZIONE
  1. Il ricorrente ha lamentato di essere stato privato della libertà durante la sua permanenza nel punto di crisi di Lampedusa, in assenza di una chiara e accessibile base giuridica, e che era stato pertanto impossibile contestare la legittimità della privazione della libertà cui era stato sottoposto. Ha invocato l’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione.
  2. Le osservazioni delle parti relative alla presente doglianza sono simili a quelle presentate nella causa A. e altri (ibid., §§ 73-76).
  3. L’altro diritto, terzo interveniente, ha osservato che i centri di accoglienza per i migranti, in particolare i punti di crisi, erano spesso, in realtà, delle strutture di detenzione prive di qualsiasi base giuridica.
  4. Tenendo presente che le autorità italiane avevano collocato il ricorrente nel punto di crisi di Lampedusa e che egli vi era rimasto per due periodi, uno di ventidue giorni e l’altro di diciassette giorni, senza una chiara e accessibile base giuridica e in assenza di un provvedimento motivato che disponesse il trattenimento, la Corte ritiene che il ricorrente fosse stato privato arbitrariamente della libertà, in violazione della prima parte dell’articolo 5 § 1, lettera f) della Convenzione.
  5. In considerazione della conclusione di cui sopra relativa all’assenza di una chiara e accessibile base giuridica per il trattenimento, la Corte non vede come le autorità avrebbero potuto informare il ricorrente dei motivi giuridici della sua privazione della libertà, o fornirgli informazioni sufficienti a permettergli di impugnare in tribunale i motivi del suo trattenimento de facto (si veda Khlaifia e altri c. Italia [GC], n. 16483/12, §§ 117 e 132 e ss., 15 dicembre 2016).
  6. La Corte rigetta conseguentemente l’eccezione del Governo relativa al difetto della qualità di vittima da parte del ricorrente e conclude che l’articolo 5 della Convenzione sia applicabile e che vi sia stata violazione dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4.
  1. SULLE ALTRE DOGLIANZE
  1. Il ricorrente ha sostenuto di essere stato sottoposto a una restrizione della sua libertà di circolazione, in violazione dell’articolo 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione, e di essere stato sottoposto a un’espulsione collettiva, in violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 4. Ha inoltre lamentato la violazione dell’articolo 13 in combinato disposto con l’articolo 3 della Convenzione nonché degli articoli 2 e 4 del Protocollo n. 4.
  2. Visti i fatti oggetto della causa, le osservazioni delle parti e le sue conclusioni di cui sopra, la Corte ritiene di avere esaminato le principali questioni giuridiche sollevate nel presente ricorso. Ritiene quindi che non vi sia la necessità di proseguire l’esame delle rimanenti doglianze del ricorrente (si veda Centro per le risorse giuridiche nell’interesse di Valentin Câmpeanu c. Romania [GC], n. 47848/08, § 156, CEDU 2014; si veda altresì Khlaifia e altri, sopra citata, §§ 248-54).

SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

  1. Il ricorrente ha chiesto 20.000 euro (EUR) per il danno non patrimoniale ed EUR 6.432 per le spese sostenute dinanzi alla Corte.
  2. Il Governo ha sostenuto che la domanda del ricorrente avrebbe dovuto essere rigettata. Ha inoltre affermato che, se la Corte avesse accordato una somma per il danno non patrimoniale, essa avrebbe dovuto corrispondere alla somma accordata a ciascun migrante nella causa Khlaifia e altri (sopra citata – approssimativamente EUR 2.500 a ricorrente).
  3. La Corte accorda al ricorrente EUR 5.000 per il danno non patrimoniale, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta.
  4. Vista la documentazione di cui è in possesso, la Corte ritiene ragionevole accordare EUR 4.000 per il procedimento dinanzi a essa, oltre l’importo eventualmente dovuto dal ricorrente a titolo di imposta.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Unisce al merito le eccezioni preliminari del Governo relative al difetto della qualità di vittima da parte del ricorrente in ordine alle sue doglianze ai sensi dell’articolo 3 e dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione e all’applicabilità dell’articolo 5, e le rigetta;
  2. Dichiara ricevibili le doglianze relative all’articolo 3 e all’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione e all’articolo 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione;
  3. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione;
  4. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione;
  5. Ritiene che non vi sia la necessità di esaminare le doglianze ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione e degli articoli 2 e 4 del Protocollo n. 4;
  6. Ritiene
    1. che lo Stato convenuto debba versare al ricorrente, entro tre mesi, le seguenti somme:
      1. EUR 5.000 (euro cinquemila), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno non patrimoniale;
      2. EUR 4.000 (euro quattromila), oltre l’importo eventualmente dovuto dal ricorrente a titolo di imposta, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza dei summenzionati tre mesi e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
  7. Rigetta la domanda di equa soddisfazione formulata dal ricorrente, per il resto.

Fatta in inglese e notificata per iscritto in data 19 ottobre 2023, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Stéphanie Mourou-Vikström
Presidente

Sophie Piquet
Cancelliere aggiunto facente funzioni