Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 15 giugno 2023 (Definitiva 15 settembre 2023) - Ricorso n. 44764/16 - Causa Roccella c. Italia

 

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e rivista con la dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA ROCCELLA c. ITALIA

(Ricorso n. 44764/16)

SENTENZA

Art 6 § 1 (civile) • Procedimento in contraddittorio • Giudice penale d’appello che ha condannato il ricorrente agli effetti civili senza prima sentire i testimoni determinanti per la sua assoluzione in primo grado • Testimoni a carico e a discarico che sono stati tutti sentiti nel corso del dibattimento in primo grado • Equità del procedimento considerato nel suo complesso non compromessa

STRASBURGO

15 giugno 2023

DEFINITIVA

15/09/2023

Questa sentenza è divenuta definitiva ai sensi dell’articolo 44 § 2

della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Roccella c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:

Marko Bošnjak, presidente,
Péter Paczolay,
Alena Poláčková,
Lətif Hüseynov,
Gilberto Felici,
Erik Wennerström,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso (n. 44764/16) proposto contro la Repubblica italiana da un cittadino di questo Stato, il sig. Armando Giovanni Roccella («il ricorrente»), che il 27 luglio 2016 ha adito la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),

Vista la decisione di portare a conoscenza del governo italiano («il Governo») il ricorso riguardante l’equità del procedimento penale a carico del ricorrente,

Viste le osservazioni delle parti,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 23 maggio 2023,

Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

  1. Il ricorrente contesta al giudice d’appello di non aver sentito direttamente i testimoni prima di condannarlo per la prima volta agli effetti civili.

IN FATTO

  1. Il ricorrente è nato nel 1941 e risiede a Genova. È stato rappresentato dall’avv. A. Torri.
  2. Il Governo è stato rappresentato dal suo agente, L. D’Ascia.
  3. Il ricorrente, che esercita la professione di avvocato, fu rinviato a giudizio dinanzi al giudice di pace di Sestri Levante per rispondere del reato di ingiuria. Era accusato di aver insultato M., un dentista, durante l'esecuzione di un sequestro giudiziario effettuato presso lo studio medico di quest’ultimo.
  4. Il 2 maggio 2013, durante il dibattimento, il giudice di pace sentì due testimoni a carico, R.P. e M.P. (rispettivamente l'assistente e una paziente di M.), e due testimoni a discarico, B.P. e A.D. (rispettivamente un ufficiale giudiziario e un autista che avevano assistito il ricorrente durante il sequestro).
  5. Con sentenza emessa il 4 luglio 2013, il giudice di pace assolse il ricorrente perché gli elementi raccolti nel corso del dibattimento non erano tali da provare al di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità penale dell’interessato. In particolare, il giudice ritenne che la testimonianza del principale testimone a discarico, B.P., contraddicesse la versione dei fatti dei testimoni a carico. Inoltre, il dibattimento aveva fatto emergere, tra la versione dei fatti di M. e quella di uno dei testimoni a carico, R.P., alcune divergenze relative, in particolare, agli insulti che il ricorrente avrebbe profferito.
  6. La sentenza fu impugnata dinanzi al tribunale di Genova dal pubblico ministero e da M., che si era costituito parte civile nel processo. Sia il pubblico ministero che la parte civile contestavano le considerazioni del giudice di pace relative alla portata delle diverse testimonianze, e mettevano in dubbio la credibilità del principale testimone a discarico, B.P.
  7. Con sentenza emessa il 31 ottobre 2014, il tribunale di Genova dichiarò l'appello del pubblico ministero inammissibile ai sensi degli articoli 593 e 608 del codice di procedura penale, che dispongono che il pubblico ministero può impugnare una sentenza di assoluzione pronunciata dal giudice di pace soltanto mediante ricorso per cassazione.
  8. Il tribunale accolse, invece, l'appello della parte civile ai soli effetti civili e condannò il ricorrente a versare a M. un risarcimento danni il cui importo doveva essere determinato dal giudice civile competente. Il tribunale ritenne perfettamente credibili le dichiarazioni dei testimoni a carico, che, a suo parere, corroboravano la versione dei fatti della parte civile. Al contrario, ritenne che B.P. non potesse essere considerato un testimone totalmente imparziale, e che le dichiarazioni che aveva fatto a discarico non fossero quindi attendibili. In effetti, il tribunale considerò che il testimone in questione avesse un interesse personale a minimizzare i fatti di cui era accusato il ricorrente in ragione del ruolo che questa persona aveva svolto durante il sequestro, e del fatto che la stessa era parte in un procedimento civile avviato contro M.
  9. L'8 gennaio 2015 il ricorrente propose ricorso per cassazione, contestando la sua condanna sotto diversi profili. Il 17 novembre 2015 depositò delle osservazioni supplementari in cui, invocando l'articolo 6 della Convenzione e facendo specifico riferimento alla sentenza Dan c. Moldavia, contestava, tra l'altro, al tribunale di averlo condannato operando una nuova valutazione della credibilità dei testimoni senza aver ordinato una nuova audizione degli stessi, circostanza che, a suo avviso, costituiva motivo di cassazione ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e), del codice di procedura penale.
  10. Con sentenza emessa il 17 febbraio 2016, la Corte di cassazione respinse il ricorso del ricorrente. In particolare, per quanto riguarda l'asserita mancata audizione dei testimoni, ritenne che le doglianze del ricorrente fossero inammissibili in quanto implicavano una nuova valutazione delle prove e un nuovo accertamento dei fatti, punti di vista che, a suo avviso, non potevano essere esposti nelle osservazioni supplementari.

IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

I. L’APPELLO DELLA PARTE CIVILE NEL PROCESSO PENALE

  1. Per quanto riguarda il rapporto tra processo civile e processo penale, il sistema interno si basa sul principio dell’autonomia dell'azione di responsabilità civile dinanzi alla giurisdizione civile, e su quello dell'accessorietà dell'azione civile nel processo penale (Marinoni c. Italia, n. 27801/12, §§ 15 e segg., 18 novembre 2021).
  1. Le disposizioni del codice civile

13. Gli articoli pertinenti del codice civile recitano:

«Titolo IX – Dei fatti illeciti

Articolo 2043 – Risarcimento per fatto illecito

Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.

Articolo 2059 – Danni non patrimoniali

Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge.»

  1. Le disposizioni del codice di procedura penale<
  1. Ai sensi dell’articolo 573 del codice di procedura penale («il CPP»):

«1. L'impugnazione per gli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale. (...)»

  1. Secondo l’articolo 576 del CPP:

«La parte civile può proporre impugnazione, contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile e, ai soli effetti della responsabilità civile [dell’autore dei fatti], contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio. (...)»

  1. La giurisprudenza della Corte costituzionale
  1. La Corte costituzionale si è espressa sulla legittimità costituzionale dell’articolo 576 del CPP nella sua sentenza n. 176 del 2019, affermando che la possibilità per la parte civile di interporre appello ai soli effetti civili, come previsto da questa disposizione, è coerente con il sistema normativo che disciplina l’esercizio dell’azione civile nel processo penale. La Corte costituzionale, in particolare, ha rammentato quanto segue:

«L’azione civile assume carattere accessorio e subordinato rispetto all’azione penale, sicché è destinata a subire tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura del processo penale, cioè dalle esigenze, di interesse pubblico, connesse all’accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi» (ex plurimis, sentenza n. 12 del 2016) (...).

Tale connotazione di separatezza e accessorietà dell’azione civile secondo la sede, civile o penale, in cui è proposta, emerge dal complessivo sistema normativo che ne regola l’esercizio (...)».

Inoltre, la Corte costituzionale ha affermato che il fatto che la parte civile possa impugnare dinanzi al giudice penale una sentenza di assoluzione ai soli effetti civili non era irragionevole né dal punto di vista formale, né dal punto di vista sostanziale. In particolare, ha affermato quanto segue:

«(...) Che, del tutto coerentemente con il descritto impianto complessivo del regime dell’impugnazione della parte civile, il legislatore non ha derogato al criterio per cui, essendo stata la sentenza di primo grado pronunciata da un giudice penale con il rispetto delle regole processualpenalistiche, anche il giudizio d’appello è devoluto a un giudice penale (quello dell’impugnazione) secondo le norme dello stesso codice di rito.

E, infatti, il giudice dell’impugnazione, lungi dall’essere distolto da quella che è la finalità tipica e coessenziale dell’esercizio della sua giurisdizione penale, è innanzi tutto chiamato proprio a riesaminare il profilo della responsabilità penale dell’imputato, confermando o riformando, seppur solo agli effetti civili, la sentenza di proscioglimento pronunciata in primo grado (...)

La deviazione da questo paradigma nel caso del giudizio di rinvio a seguito dell’annullamento, pronunciato dalla Corte di cassazione, della sentenza ai soli effetti civili, secondo il disposto dell’art. 622 del CPP, trova la sua giustificazione nella particolarità della fase processuale collocata all’esito del giudizio di cassazione, dopo i gradi (o l’unico grado) di merito (...)».

  1. Nella sua recente sentenza n. 182 del 2021 relativa alle norme applicabili all'azione civile in un processo penale in caso di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione, la Corte costituzionale ha indicato, a proposito dell'articolo 576 del CPP, che l'appello della parte civile attribuisce al giudice d'appello, entro i limiti corrispondenti a tale domanda, vale a dire al solo scopo di accertare la responsabilità civile dell'autore del reato, il potere di confermare o riformare la decisione di assoluzione solo per quanto riguarda gli effetti civili del suddetto reato.

In questo quadro, il giudice «deve accertare (...) se sia integrata la fattispecie civilistica dell’illecito aquiliano». Per quanto riguarda il «fatto», che l'imputazione penale considera «storicamente», la Corte costituzionale ha spiegato che il giudice è chiamato a determinare i suoi effetti giuridici cercando non se esso presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica (commissiva od omissiva) contestata all’imputato come reato, ma se la condotta in causa fosse tale da provocare un danno (danno ingiusto) ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, vale a dire, se, nel quadro del danno che ne è risultato per altri, tale condotta abbia arrecato a una situazione giuridica dei torti da cui deriverebbe per l'autore del danno un obbligo di risarcimento.

Essa ha anche indicato che la valutazione del nesso causale e dell’elemento soggettivo è effettuata secondo le regole della responsabilità civile. La Corte costituzionale ha spiegato che il sistema interno garantisce in tal modo un equilibrio tra il «principio di accessorietà» dell’azione civile e le esigenze di tutela dell’interesse del danneggiato, costituitosi parte civile. Inoltre, ha sottolineato la compatibilità di un tale approccio con la preoccupazione di preservare l'efficacia del sistema giuridico nel suo complesso.

In questo contesto, il giudice deve valutare il nesso causale tra il fatto e la condotta dell'imputato non secondo il criterio dell’«elevato grado di probabilità logica» propria del diritto penale, ma secondo il criterio del «più probabile che improbabile» o della «probabilità prevalente» caratteristica del diritto della responsabilità civile.

  1. La giurisprudenza della Corte di cassazione
  1. La Corte di cassazione, pronunciandosi a Sezioni Unite (sentenza n. 6509 dell’8 febbraio 2013, si veda anche la sentenza n. 27614/2007) ha affermato quanto segue:

«In presenza di specifica richiesta della parte civile, la pronuncia sulle domande di restituzione o di risarcimento del danno non può essere omessa per il solo fatto che la sentenza assolutoria dell'imputato non sia stata impugnata dal pubblico ministero, dovendo, in tal caso, il giudice effettuare, in via incidentale e ai soli fini civilistici, il giudizio di responsabilità; ma la pronuncia su tali domande non può che restare legata (e subordinata) all'accertamento (incidentale) della responsabilità penale. (...) Come si è detto, la parte civile, nonostante la modifica dell'articolo 576 del CPP (...), conserva il potere di impugnare le sentenze di proscioglimento ed il giudice dell'impugnazione ha, nei limiti del devoluto ed agli effetti della devoluzione, il potere di affermare la responsabilità dell'imputato agli effetti civili e di condannarlo al risarcimento o alle restituzioni (...)».

  1. Successivamente, la Corte di cassazione affinando questi principi (sentenza n. 10638 del 30 gennaio 2020) ha dichiarato che la parte civile era legittimata a interporre appello avverso una sentenza assolutoria di primo grado senza ledere, in tale ipotesi, il principio del giudicato (si veda anche la sentenza n. 22170/2019). In particolare, ha affermato quanto segue:

«Sussiste l'interesse della parte civile ad impugnare la decisione assolutoria (...), in quanto le limitazioni all'efficacia del giudicato previste dall'articolo 652 del CPP non incidono sull'estensione del diritto all'impugnazione ad essa riconosciuto in termini generali (...) dall'articolo 576 del CPP, imponendosi altrimenti alla parte civile di rinunciare agli esiti dell'accertamento compiuto nel processo penale e a riavviare «ab initio» l'accertamento della causa in questione dinanzi al giudice civile, con conseguente allungamento dei tempi processuali».

II. LA RIAPERTURA DELL'ISTRUZIONE IN APPELLO

  1. Le disposizioni del codice di procedura penale
  1. L’articolo 603, comma 3, del CPP dispone che la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale è disposta d’ufficio se il giudice la ritiene assolutamente necessaria.
  2. La legge n. 103 del 23 giugno 2017 ha aggiunto all'articolo 603 del CPP il comma 3 bis ai sensi del quale «nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice, (...) dispone la rinnovazione dell’istruzione».

Questa disposizione è stata poi modificata dal decreto legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022. L'articolo 603, comma 3 bis del CPP è ora così formulato:

«Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice (...) dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nei soli casi di prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado o all’esito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato».

  1. L’articolo 606 del CPP elenca i motivi per i quali può essere proposto il ricorso per cassazione avverso una decisione giudiziaria, tra i quali, nel comma 1, lett. e, detto articolo prevede: «mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame».
  1. La giurisprudenza della Corte di cassazione
  1. 23. La sentenza n. 27620 emessa dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, depositata in cancelleria il 6 luglio 2016, ha enunciato il principio secondo il quale il giudice d'appello non può riformare una sentenza di proscioglimento resa in ambito penale «senza avere proceduto, anche d'ufficio, a norma dell'articolo 603, comma 3, del CPP, a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado». L'alta corte italiana ha inoltre precisato che questo principio trova applicazione anche nel caso in cui la sentenza di proscioglimento di primo grado è divenuta definitiva ed è impugnata dalla parte civile solo ai fini delle statuizioni civili.

Inoltre, la Corte di cassazione ha affermato che il mancato rispetto da parte del giudice d'appello dell'obbligo di procedere a una nuova audizione dei testimoni prima di annullare un’assoluzione rientra nella «mancanza di motivazione» ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lett. e) del codice di procedura penale.

  1. Recentemente, la Corte di cassazione ha confermato questa giurisprudenza nella sentenza delle Sezioni Unite n. 22065 emessa il 4 giugno 2021, nella quale ha precisato che la riapertura dell’istruzione deve essere disposta dal giudice sia in caso di appello interposto dalla parte civile che in caso di appello del pubblico ministero.

Nella stessa sentenza ha anche enunciato il principio di diritto secondo il quale l’annullamento, per mancanza di audizione diretta dei testimoni a carico, di una sentenza di condanna emessa a seguito di appello interposto dalla parte civile contro un’assoluzione pronunciata in primo grado, comporta il rinvio della causa dinanzi al giudice civile competente.

IN DIRITTO

I. OBIEZIONE PRELIMINARE

  1. Il ricorrente chiede alla Corte di non tener conto delle osservazioni del Governo, che, a suo parere, sono state presentate oltre il termine previsto per il loro deposito. Egli afferma che il Governo è venuto meno agli obblighi di cooperazione impostigli dall'articolo 38 della Convenzione.
  2. La Corte osserva che il Governo ha trasmesso le sue osservazioni sulla ricevibilità e sul merito del ricorso tramite il sistema di comunicazione elettronica della Corte («eComms») il 5 marzo 2020, data corrispondente all'ultimo giorno del termine fissato dalla Corte a tal fine. Inoltre, non vi sono elementi che permettano di ritenere che il Governo non abbia adempiuto ai suoi obblighi previsti dall'articolo 38 della Convenzione.
  3. Pertanto, l'obiezione del ricorrente deve essere respinta.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

  1. Il ricorrente lamenta che il giudice penale d'appello lo ha condannato agli effetti civili senza prima sentire i testimoni le cui dichiarazioni erano state determinanti nella decisione di assoluzione pronunciata a suo favore in primo grado. Egli invoca l'articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (...) da un tribunale (...) il quale sia chiamato a pronunciarsi (...) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti.»

  1. Sulla ricevibilità
  1. Sull'applicabilità del profilo penale dell'articolo 6
  1. Il Governo contesta l'applicabilità del profilo penale dell'articolo 6. Sostiene che la causa in esame non rientrava nell’ambito del diritto penale, in quanto il procedimento d'appello non riguardava, a suo parere, la fondatezza di un'accusa penale diretta contro il ricorrente, ma la determinazione dell'obbligo di natura civile al quale quest’ultimo era tenuto nei confronti della vittima che si era costituita parte civile. Il Governo spiega che la condanna del ricorrente ai soli effetti civili, pur essendo stata pronunciata dal giudice penale secondo le disposizioni del codice di procedura penale, non ha effetto sulla natura della posta in gioco del procedimento.
  2. Da parte sua, il ricorrente afferma che il procedimento a suo carico era di natura penale sia in appello che in primo grado. A riprova di quanto affermato sostiene che l'appello è stato deciso dal giudice penale, conformemente all'articolo 573, comma 1, del CPP, il quale prevede che i procedimenti che attengono agli effetti civili della condanna siano regolati secondo le disposizioni del codice di procedura penale. Il ricorrente aggiunge che è rimasto formalmente imputato per tutta la durata del procedimento. Infine, sostiene che il ragionamento su cui si basa la condanna agli effetti civili non può essere dissociato dall'imputazione che gli era stata rivolta.
  3. La Corte rammenta che le modalità di applicazione dell’articolo 6 § 1 dipendono dalle caratteristiche del procedimento in questione e che, a tal fine, si deve tenere conto del procedimento interno nel suo complesso e del ruolo svolto dalla giurisdizione di appello (Botten c. Norvegia, 19 febbraio 1996, § 39, Recueil des arrêts et décisions 1996‑I). A tale riguardo la Corte ribadisce che poiché l’«accusa in materia penale», così come concepita nell’articolo 6 § 1, è una nozione autonoma (tra altre Ramos Nunes de Carvalho e Sá c. Portogallo [GC], nn. 55391/13 e altri 2, § 122, 6 novembre 2018), la Corte non è vincolata dalle qualificazioni che vengono attribuite dal diritto interno, in quanto queste ultime hanno solo un valore relativo (Meftah e altri c. Francia [GC], nn. 32911/96 e altri 2, § 40, CEDU 2002-VII).
  4. Per quanto riguarda, in particolare, il sistema italiano, la Corte ha già avuto occasione di esaminare la natura dell’appello della parte civile nell’ambito del processo penale (Marinoni c. Italia, n. 27801/12, 18 novembre 2021).

La Corte ha constatato che la persona che ritiene di essere stata lesa da un reato può scegliere, per ottenere un risarcimento o una restituzione, tra l’azione di responsabilità civile dinanzi al giudice civile e la costituzione di parte civile nel processo penale. La vittima, quando sceglie di partecipare al processo penale in qualità di parte civile, può, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione, interporre appello ai soli effetti civili avverso la decisione di assoluzione pronunciata in primo grado. Il procedimento continua dunque in appello dinanzi al «giudice penale», ma soltanto per gli effetti civili del reato. In tal caso, il giudice di appello è tenuto a stabilire la responsabilità civile riesaminando gli elementi del reato. Inoltre, la Corte ha osservato che l’appello della parte civile non può avere un significato diverso da quello di una constatazione incidentale e limitata agli effetti civili, e che la domanda della parte civile non pregiudica la parte penale della decisione di assoluzione che è passata in giudicato (ibidem, §§ 34-38).

  1. È vero che l'accertamento degli elementi costitutivi del reato è un prerequisito per la determinazione della responsabilità civile del suo autore. Tuttavia, la Corte ha già affermato che il fatto che un atto che può dar luogo a una richiesta di risarcimento in base al diritto della responsabilità civile integri anche gli elementi costitutivi oggettivi di un reato non è, nonostante la gravità dell'atto in questione, un motivo sufficiente per ritenere che la persona presentata come responsabile nell'ambito della causa civile sia «accusata di un reato». Neanche il fatto che gli elementi di prova presentati nel corso del processo penale siano utilizzati per determinare le conseguenze dell'atto in ambito civile giustifica tale conclusione (Ringvold c. Norvegia, n. 34964/97, § 38, CEDU 2003-II).
  2. Nel caso di specie non viene contestato che, a causa dell'inammissibilità dell'appello interposto dal pubblico ministero, la decisione di assoluzione pronunciata in primo grado dal giudice di pace era passata in giudicato per quanto riguarda l'aspetto penale del procedimento. Di conseguenza, poiché il ricorrente non correva più alcun rischio di essere condannato in ambito penale, dinanzi al giudice d'appello era in gioco soltanto la questione della sua responsabilità civile.
  3. Esaminando le argomentazioni del ricorrente, la Corte ritiene anzitutto che il fatto che l'azione civile fosse proseguita dinanzi al giudice penale, vale a dire dinanzi al giudice che aveva dovuto esaminare la causa fin dall’inizio, non costituisce di per sé un elemento determinante per valutare la natura del procedimento (si veda, mutatis mutandis, Pasquini c. San Marino (n. 2), n. 23349/17, § 38, 20 ottobre 2020). Quanto all'argomentazione che il ricorrente deduce dal fatto che il giudice ha applicato le disposizioni del codice di procedura penale, la Corte osserva che il giudice è comunque tenuto, in tal caso, a rispettare i principi propri del diritto della responsabilità civile per quanto riguarda la valutazione del nesso causale e dell'elemento soggettivo. Inoltre, la Corte fa osservare che, mentre la produzione delle prove è disciplinata dal codice di procedura penale, la responsabilità civile dell'imputato è stabilita sulla base di prove valutate secondo criteri meno rigorosi di quelli applicabili in sede penale (paragrafo 17 supra).
  4. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che il ricorrente non fosse oggetto di un'accusa in materia penale dinanzi al tribunale di Genova. Ne consegue che nel caso di specie è applicabile soltanto il profilo civile dell’articolo 6 della Convenzione.
  1. Sul mancato esaurimento delle vie di ricorso interne
  1. Il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. Ritiene che il ricorrente, nel suo ricorso per cassazione, non abbia lamentato la mancata audizione dei testimoni da parte del tribunale di Genova e, a questo riguardo, non abbia invocato l’articolo 6 della Convenzione, ma abbia, in termini piuttosto generali, contestato la valutazione delle prove e tentato di ottenere un nuovo giudizio sulla fondatezza dell'accusa. Inoltre, il Governo spiega, per quanto riguarda le osservazioni supplementari del 17 novembre 2015, che il ricorrente non ha dimostrato che queste ultime erano ammissibili ai sensi del codice di procedura penale, e che la Corte di cassazione le avesse quindi indebitamente respinte.
  2. Il ricorrente, da parte sua, sostiene di aver espressamente lamentato dinanzi alla Corte di cassazione una violazione del suo diritto a un processo equo e, a tal proposito, invocato l'articolo 6 della Convenzione come interpretato dalla giurisprudenza pertinente della Corte. Il ricorrente spiega di aver rispettato, così facendo, i termini dell'articolo 606, comma 1, lett. e) del codice di procedura penale, il quale, conformemente alla giurisprudenza della Corte di cassazione, costituisce la base privilegiata per contestare il mancato rispetto, da parte del giudice d'appello, dell’obbligo, cui è tenuto, di sentire direttamente i testimoni.
  3. La Corte non può che constatare che il ricorrente, nei motivi di appello supplementari che ha presentato per contestare la sentenza del tribunale di Genova, ha espressamente lamentato dinanzi alla Corte di cassazione una violazione dell'articolo 6 della Convenzione derivante, a suo parere, dalla mancata audizione dei testimoni da parte del tribunale. Inoltre, dall'esame della giurisprudenza della Corte di cassazione effettuato dalla Corte risulta che un’omissione di questo tipo costituisce una mancanza di motivazione delle decisioni giudiziarie rispetto all'articolo 606, comma 1, lett e) del CPP, vale a dire della disposizione in base alla quale il ricorrente ha formulato il suo motivo di appello (paragrafo 23 supra). Infine, la Corte non ha rilevato né negli atti inseriti nel fascicolo né nelle osservazioni del Governo alcun elemento che possa indurre a ritenere che il ricorrente non avrebbe rispettato le norme procedurali interne quando ha presentato dinanzi all'alta giurisdizione nazionale la sua doglianza relativa a una mancanza di equità del procedimento penale.
  4. Pertanto, l'eccezione del Governo relativa a un mancato esaurimento delle vie di ricorso interne non può essere accolta.
  5. Constatando che questa doglianza non è manifestamente infondata né irricevibile per uno degli altri motivi di cui all’articolo 35 della Convenzione, la Corte la dichiara ricevibile.
  1. Sul merito
  1. Osservazioni delle parti
  1. Il ricorrente sostiene che i principi che emanano dalla consolidata giurisprudenza della Corte in materia di reformatio in pejus devono essere applicati a tutti i procedimenti che si svolgono dinanzi al giudice penale italiano, anche quando questi ultimi si concludono con una condanna ai soli effetti civili. A tale riguardo, il ricorrente sostiene che la Corte di cassazione ha espressamente riconosciuto che l'articolo 603 del CPP si applica a questo tipo di procedimenti, e ha precisato che il giudice d'appello è tenuto a ordinare una nuova audizione dei testimoni anche se è in gioco solo la responsabilità civile dell'imputato.
  2. Il Governo, da parte sua, rileva che tutti i precedenti della Corte in materia riguardano dei processi che si sono conclusi con la condanna dei ricorrenti in ambito penale, e afferma che la giurisprudenza della Corte citata dal ricorrente non è pertinente nel caso di specie.
  3. A tale riguardo, il Governo sostiene che la giurisprudenza della Corte di cassazione italiana, che stabilisce l'applicabilità dell'articolo 603 del CPP ai procedimenti relativi a una sentenza di assoluzione impugnata dalla sola parte civile (paragrafo 23 supra), non dovrebbe indurre la Corte a discostarsi dai suoi precedenti, in quanto tale giurisprudenza ha soltanto lo scopo, a suo avviso, di imporre, ai fini dell'armonizzazione, che tutti i procedimenti condotti dinanzi al giudice penale – ivi compresi, quindi, quelli che riguardano solo gli aspetti civili della responsabilità – rispettino le stesse norme procedurali.
  1. Valutazione della Corte
  1. La Corte rammenta che gli imperativi inerenti alla nozione di «processo equo» nelle controversie relative a diritti e obblighi di carattere civile e nelle cause che riguardano delle accuse in materia penale non sono necessariamente gli stessi. Ciò è dimostrato dall’assenza, per le prime, di clausole dettagliate simili a quelle enunciate nei paragrafi 2 e 3 dell'articolo 6 della Convenzione. Pertanto, sebbene queste disposizioni abbiano una certa pertinenza al di fuori degli stretti ambiti del diritto penale, gli Stati contraenti godono di una maggiore libertà nell’ambito del contenzioso civile rispetto a quello dell'azione penale. L'articolo 6 § 1 della Convenzione risulta quindi meno esigente per le contestazioni relative ai diritti di carattere civile che per le accuse in materia penale (König c. Germania, 28 giugno 1978, § 96, serie A n. 27).
  2. Tuttavia, quando esamina un procedimento in base al profilo civile dell'articolo 6 della Convenzione, la Corte può ritenere necessario ispirarsi all'approccio da essa applicato in materia penale (Moreira Ferreira c. Portogallo (n. 2) [GC], n. 19867/12, § 67, 11 luglio 2017; Peleki c. Grecia, n. 69291/12, § 55, 5 marzo 2020; Jokela c. Finlandia, n. 28856/95, § 68, ECHR 2002-IV; e Pitkänen c. Finlandia, n. 30508/96, § 59, 9 marzo 2004). In questo modo i principi del contraddittorio e della parità delle armi, strettamente connessi tra loro, sono degli elementi fondamentali della nozione di «processo equo» ai sensi dell'articolo 6 § 1 della Convenzione e valgono, in linea di principio, sia in ambito civile che in quello penale (Regner c. Repubblica ceca [GC], n. 35289/11, § 146, 19 settembre 2017).
  3. Nelle controversie nelle quali vi sono interessi privati contrapposti, il principio della «parità delle armi» implica l'obbligo di offrire a ciascuna parte una ragionevole possibilità di presentare la propria causa – comprese le prove – in condizioni che non la pongano in una situazione di netto svantaggio rispetto al suo avversario (Dombo Beheer B.V. c. Paesi Bassi, 27 ottobre 1993, serie A n. 274, §§ 32-33; De Haes e Gijsels c. Belgio, 24 febbraio 1997, § 58; Recueil des arrêts et décisions 1997-I; Wiebicrzki c. Polonia, n. 24541/94, § 39, 18 giugno 2002). In particolare, per quanto riguarda la valutazione delle testimonianze nei procedimenti civili, la Corte ha affermato che il rifiuto del giudice di citare un testimone deve essere sufficientemente motivato e privo di arbitrarietà, il che implica che tale rifiuto non restringe in modo sproporzionato il diritto per le parti di presentare le argomentazioni che ritengono necessarie per il buon esito delle loro richieste (Dombo Beheer B.V., sopra citata, § 35; Wierzbicki, sopra citata, § 45). Infatti, una disparità di trattamento per quanto riguarda l'audizione dei testimoni delle parti può essere tale da violare il principio della parità delle armi (Ankerl c. Svizzera, 23 ottobre 1996, § 38, Recueil des arrêts et décisions 1996-V).
  4. Nel caso di specie il ricorrente sostiene che il giudice d'appello avrebbe dovuto ordinare una nuova audizione dei testimoni prima di condannarlo per la prima volta. A tale riguardo fa riferimento alla giurisprudenza della Corte, secondo la quale quando un giudice di appello deve esaminare una causa in fatto e in diritto e considerare, nel complesso, la questione della colpevolezza o dell'innocenza della persona in causa, tale giudice non può, per motivi di equità del procedimento, decidere in merito alle suddette questioni senza una valutazione diretta delle testimonianze decisive che sono state rese oralmente dinanzi al giudice di primo grado, e che si appresta a interpretare per la prima volta in modo sfavorevole per l'imputato (si vedano, tra altre, Dan c. Moldavia, n. 8999/07, 5 luglio 2011; Hanu c. Romania, n. 10890/04, 4 giugno 2013; Lorefice c. Italia, n. 63446/13, § 36, 29 giugno 2017; Di Martino e Molinari c. Italia, n. 15931/15 e 16459/15, 25 marzo 2021).
  5. La Corte fa osservare, innanzitutto, che la suddetta giurisprudenza è stata sviluppata nel contesto di cause relative ad accuse in materia penale. Nei ricorsi sopra citati e in altri precedenti simili, ha enunciato il principio secondo il quale coloro che hanno la responsabilità di decidere sulla colpevolezza o sull’innocenza dell’imputato devono sentire di persona i testimoni e valutarne l’attendibilità (Dan, sopra citata, § 33, e Lorefice, sopra citata, § 43). La Corte precisa che questo principio giurisprudenziale è strettamente legato al principio secondo cui uno dei requisiti per un processo penale equo è che l’imputato abbia la possibilità di mettere a confronto i testimoni alla presenza di un giudice chiamato, alla fine, a decidere la causa, in quanto l’osservazione diretta da parte del giudice dell’atteggiamento e della credibilità di un determinato testimone può avere conseguenze per l’imputato (Hanu, sopra citata, § 40; Dan Repubblica di Moldavia (n. 2), n. 57575/14, § 51, 10 novembre 2020). La Corte, tuttavia, ha sottolineato che questa non è una regola automatica la cui applicazione porta a concludere che il processo è iniquo soltanto perché il giudice in questione non ha sentito un testimone di cui ha dovuto valutare la credibilità. In effetti, è opportuno anche tenere conto del valore probante delle testimonianze in questione (si veda, fra altre, Chiper c. Romania, n. 22036/10, § 63, 27 giugno 2017), e le prove sulle quali si basa il processo contestato a questo titolo devono essere orali e non documentali (si vedano Di Martino e Molinari, sopra citata, §§ 36 e 37, per la rinuncia alle prove orali nell’ambito di un procedimento con rito abbreviato, e Tripodo c. Italia (dec.), n. 2715/15, § 29, 25 gennaio 2022, per l’utilizzo degli elementi di prova raccolti nel corso di un incidente probatorio durante le indagini preliminari).
  6. La Corte ritiene che i principi stabiliti nella giurisprudenza sopra citata non siano esattamente pertinenti nel contesto dei procedimenti civili, nei quali i giudici non sono chiamati a valutare la colpevolezza dell'imputato «al di là di ogni ragionevole dubbio», ma devono stabilire l'esistenza di una responsabilità civile sulla base di criteri di valutazione delle prove meno rigorosi.

Dalla giurisprudenza della Corte risulta che, nel caso di specie, il compito di quest’ultima è piuttosto quello di esaminare se i principi del contraddittorio e della parità delle armi siano stati violati nella loro sostanza. Tale esame deve tener conto del procedimento considerato nel suo complesso, e deve stabilire se i suddetti principi, come applicabili nel procedimento civile, siano stati o meno sufficientemente rispettati (paragrafi 46 e 47 supra).

  1. La Corte osserva che tutti i testimoni a carico e a discarico del ricorrente sono stati sentiti durante il dibattimento in primo grado. Constata che il ricorrente era rappresentato da un avvocato, e che ha avuto la possibilità di interrogarli e di essere interrogato a sua volta. Quest'ultimo non lamenta alcuna disparità di trattamento per quanto riguarda l'audizione dei testimoni delle parti.

Inoltre, la Corte rileva che l'appello della parte civile verteva precisamente sulla questione della credibilità del testimone a discarico, B.P., e sulla valutazione di tutte le testimonianze rese in primo grado. Il ricorrente ha quindi potuto presentare, su questi punti, le sue argomentazioni di replica dinanzi al giudice di secondo grado.

  1. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che il ricorrente abbia beneficiato di un procedimento in contraddittorio, e che il suo diritto di presentare le argomentazioni a sostegno della sua causa non sia stato limitato. Infatti, il ricorrente ha potuto produrre dinanzi ai giudici che hanno esaminato la sua causa, gli elementi che riteneva pertinenti per il buon esito delle sue richieste, e non è stato posto in una posizione di netto svantaggio rispetto al suo avversario. In tali circostanze, il fatto che il giudice d'appello abbia esaminato il profilo civile del contenzioso sulla base della trascrizione delle testimonianze rese durante il dibattimento in primo grado non può essere considerato contrario al diritto del ricorrente a un processo equo.
  2. In conclusione, la Corte ritiene che, tenuto conto della sua giurisprudenza secondo la quale gli Stati contraenti godono di una maggiore libertà nell’ambito del contenzioso civile piuttosto che in materia di azione penale, l'equità del procedimento in causa, considerato nel suo complesso, non sia stata pregiudicata.
  3. La Corte osserva che la Corte di cassazione italiana ha ritenuto che l'articolo 603 del CPP obblighi i giudici d'appello a ordinare l'audizione di testimoni anche quando la decisione in questione è una sentenza di assoluzione di cui la parte civile contesta solo le statuizioni civili (paragrafi 23 e 24 supra). A tale riguardo la Corte sottolinea che la Convenzione non impedisce agli Stati parte di accordare ai diritti e alle libertà che essa garantisce una protezione giuridica più ampia di quella che essa stessa attua attraverso il diritto interno, altri trattati internazionali o il diritto dell'Unione europea. Come la Corte ha già avuto occasione di sottolineare, con il suo sistema di garanzia collettiva dei diritti che essa sancisce, la Convenzione rafforza, conformemente al principio di sussidiarietà, la protezione di cui tali diritti beneficiano a livello nazionale. Nulla impedisce agli Stati contraenti di adottare un'interpretazione più ampia che garantisca nei loro rispettivi ordinamenti giuridici interni una protezione rafforzata dei diritti e delle libertà in questione (articolo 53 della Convenzione) (si veda, mutatis mutandis, Di Martino e Molinari, sopra citata, § 39).
  4. Pertanto, non vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

III. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE

  1. Il ricorrente lamenta di non aver avuto a disposizione un ricorso effettivo per eccepire la violazione dell’articolo 6 § 1. Invoca l’articolo 13 della Convenzione, che è così formulato:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (...) Convenzione siano stati violati, (...) ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

  1. La Corte rammenta innanzitutto che l'articolo 6 § 1 è la lex specialis rispetto all'articolo 13; in altre parole, le esigenze dell'articolo 6 § 1, che implicano tutte le garanzie proprie dei procedimenti giudiziari, sono più rigorose di quelle dell'articolo 13, che sono assorbite da esse (Kudła c. Polonia [GC], n. 30210/96, § 146, CEDU 2000-XI, con altri riferimenti alla giurisprudenza della Corte). Le uniche eccezioni a questo principio sono costituite dalle doglianze relative all’articolo 13 che riguardano una mancanza dell’esigenza del «termine ragionevole». (Kudła, sopra citata, § 147, e Menecheva c. Russia, n. 59261/00, § 105, CEDU 2006 III). La Corte constata che il ricorrente ha avuto la possibilità di adire la Corte di cassazione con la sua doglianza relativa alla dedotta mancanza di equità del procedimento che era stato condotto contro di lui, e di presentare le argomentazioni che riteneva utili per la sua difesa. Essa osserva che la Corte di cassazione ha respinto il ricorso con una decisione motivata. La mancanza di un ricorso contro presunte violazioni ascrivibili direttamente alla Corte di cassazione non può, in linea di principio, porre problemi rispetto all'articolo 13 della Convenzione, dal momento che è proprio la decisione dell'alta giurisdizione italiana, ultimo grado a livello interno, a costituire la «decisione interna definitiva» ai sensi dell'articolo 35 § 1 della Convenzione (si veda, mutatis mutandis, Ferré Gisbert c. Spagna, n. 39590/05, § 39, 13 ottobre 2009).
  2. Ne consegue che questa doglianza è manifestamente infondata e deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara le doglianze relative alla violazione dell’articolo 6 § 1 ricevibili, e il ricorso irricevibile per il resto;
  2. Dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;

Fatta in francese, e poi comunicata per iscritto il 15 giugno 2023, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Marko Bošnjak
Presidente

Renata Degener
Cancelliere