Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 19 ottobre 2023 - Ricorso n. 35648/10 - Causa Locascia e altri c. Italia


© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla dott.ssa Silvia Canullo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA LOCASCIA E ALTRI c. ITALIA

(Ricorso n. 35648/10)

SENTENZA
 

Art. 8 • Obblighi positivi • Protratta incapacità delle autorità interne di garantire il corretto funzionamento dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti durante lo stato di emergenza in vigore per oltre quindici anni, a causa della crisi della gestione dei rifiuti che aveva colpito la regione Campania dove risiedevano i ricorrenti • Maggiore vulnerabilità dei ricorrenti alle malattie, poiché risiedevano in un’area caratterizzata da una forte esposizione ai rifiuti in violazione delle norme di sicurezza applicabili • Il disturbo ambientale aveva inciso negativamente e in misura sufficiente sulla vita privata dei ricorrenti durante tutto il periodo • Mancata adozione di tutte le misure necessarie a garantire l’effettiva protezione del diritto dei ricorrenti al rispetto del proprio domicilio e della propria vita privata • I ricorrenti non hanno dimostrato di aver personalmente subito gravi effetti derivanti dall’inquinamento da rifiuti dopo la cessazione dello stato di emergenza a causa delle carenze della gestione dei servizi di trattamento e smaltimento dei rifiuti

 Art. 8 • Obblighi positivi • Mancata adozione da parte delle autorità di tutte le misure necessarie a garantire l’effettiva protezione del diritto dei ricorrenti al rispetto della vita privata in relazione all’inquinamento ambientale causato da una discarica situata tra i comuni ove essi risiedevano • Perdurare di una situazione di inquinamento ambientale che mette in pericolo la salute dei ricorrenti • Compromesso il giusto equilibrio tra interessi concorrenti • Le autorità hanno adempito al loro obbligo di informare gli interessati, compresi i ricorrenti, dei rischi potenziali cui si esponevano continuando a vivere nell’area colpita

Art. 13 (+ Art. 1 Prot. 1) • Ricorso effettivo • Impossibilità di ottenere la completa restituzione delle tasse versate per i servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti,

rientrante nell’ampio margine di discrezionalità goduto dagli Stati contraenti nel formulare e attuare una politica fiscale • Manifesta infondatezza

STRASBURGO

19 ottobre 2023

La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni stabilite dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Locascia e altri c. Italia,

la Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in una Camera composta da:

Marko Bošnjak, Presidente,
Alena Poláčková,
Lətif Hüseynov,
Péter Paczolay,
Gilberto Felici,
Erik Wennerström,
Raffaele Sabato, giudici,
e Renata Degener, cancelliere di sezione,

visto il ricorso (n. 35648/10) proposto contro la Repubblica italiana con il quale, in data 23 giugno 2010, diciannove cittadini italiani (“i ricorrenti”, si veda l’appendice) hanno adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”);

vista la decisione di comunicare al Governo italiano (“il Governo”) le doglianze relative agli articoli 2 e 8 della Convenzione;

vista la decisione di concedere priorità al ricorso (articolo 41 del Regolamento della Corte);

viste le osservazioni delle parti;

dopo aver deliberato in camera di consiglio in data 26 settembre 2023,

pronuncia la seguente sentenza adottata in tale data:

INTRODUZIONE

  1. Nella presente causa si tratta principalmente di stabilire se (i) la carente gestione dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e se (ii) la mancata adozione da parte della stessa di misure di tutela volte a minimizzare o eliminare gli effetti inquinanti di una discarica situata tra i comuni di Caserta e San Nicola La Strada abbiano violato i diritti dei ricorrenti ai sensi degli articoli 2 e 8 della Convenzione.

IN FATTO

  1. I ricorrenti, le cui generalità sono indicate nell’appendice, risiedono nei comuni di Caserta e San Nicola La Strada (Campania). Sono stati rappresentati dall’avvocato A. Imparato, del foro di San Prisco.
  2. Il Governo è stato inizialmente rappresentato dal suo ex co-agente, la sig.ra P. Accardo, e successivamente dal dott. L. D’Ascia, Avvocato dello Stato.
  3. I fatti della causa si possono riassumere come segue.
  1. LA GESTIONE DEI RIFIUTI IN CAMPANIA E NEI COMUNI DI CASERTA E SAN NICOLA LA STRADA
  1. Il periodo compreso tra il 1994 e il 2009
  1. Con decisione del Presidente del Consiglio, dall’11 febbraio 1994 al 31 dicembre 2009 nella regione Campania fu disposto lo stato di emergenza, a causa di gravi problemi nello smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
  2. Nel periodo compreso tra l’11 febbraio 1994 e il 23 maggio 2008 la gestione della crisi fu affidata a commissari delegati nominati dal Presidente del Consiglio che furono assistiti da sub-commissari. Nove alti funzionari, compresi i quattro presidenti della regione Campania in carica durante tale periodo e il capo del Dipartimento di pianificazione civile di emergenza della Presidenza del Consiglio dei ministri, furono nominati commissari delegati.
  3. Nel periodo compreso tra il 23 maggio 2008 e il 31 dicembre 2009 la gestione della crisi venne affidata a un sottosegretariato della Presidenza del Consiglio dei ministri diretto dal capo del Dipartimento di pianificazione civile di emergenza.
  4. I principali fatti relativi alla gestione dei rifiuti in Campania durante il periodo compreso tra il 1994 e il 2009 sono descritti nella sentenza Di Sarno e altri c. Italia (n. 30765/08, §§ 10-18, 20-34 e 36-51, 10 gennaio 2012).
  5. Con specifico riguardo agli effetti della crisi dei rifiuti nei comuni di Caserta e San Nicola La Strada, diverse ordinanze del sindaco di Caserta, emesse tra il 2 e il 9 gennaio 2008, denunciavano la “grave situazione” provocata da “enormi cumuli di rifiuti ammucchiati nelle strade” a seguito di un’interruzione della raccolta dei rifiuti cominciata oltre venti giorni prima. Denunciavano anche l’accensione di fuochi per bruciare i rifiuti con conseguente rilascio di diossina. Dichiaravano inoltre che l’accumulo di una mole impressionante di rifiuti nelle strade ostacolava il traffico pedonale e veicolare producendo miasmi intollerabili che si diffondevano per tutto il comune. Denunciavano che tale situazione aveva prodotto un’emergenza sanitaria pubblica che dava origine a notevoli disagi e a potenziali rischi per la sicurezza dei cittadini. Per tutelare la salute pubblica il sindaco aveva posticipato la ripresa di tutte le attività didattiche di asili, scuole e università, aveva chiuso temporaneamente diversi mercati locali e aveva ordinato lo spostamento dei rifiuti dalle strade ad aree di stoccaggio temporaneo.
  6. Quanto al comune di San Nicola La Strada, in diverse ordinanze emesse nel periodo compreso tra il 6 aprile 2007 e il 12 maggio 2008, il sindaco aveva denunciato la “interruzione della raccolta di rifiuti provocata dalla chiusura dei siti di smaltimento” e il conseguente accumulo dei rifiuti su “tutte le strade pubbliche” che costituiva un pericolo per la salute pubblica. Aveva ordinato la chiusura temporanea di un asilo e di una scuola elementare, aveva sospeso la fiera settimanale che si teneva nel comune e aveva ordinato lo spostamento dei rifiuti dalle strade ad aree di stoccaggio
  1. Il periodo compreso tra il 2010 e il 2020
  1. 11. Il decreto-legge 30 dicembre 2009 n. 195 convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2010 n. 26 recava disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza. A decorrere dal 1° gennaio 2010 la gestione dei rifiuti fu affidata ai presidenti delle province. Il decreto-legge inoltre prevedeva disposizioni miranti ad accelerare la costruzione di centrali elettriche alimentate da combustibile derivato da rifiuti (“CDR”) e ad assicurare il funzionamento di altri centri di trattamento e smaltimento dei rifiuti.
  2. 12. Il decreto-legge 25 gennaio 2012 n. 2, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012 n. 28 recava disposizioni aggiuntive concernenti la costruzione e l’autorizzazione di nuovi centri di trattamento e smaltimento. Stabiliva che il Ministero dell’ambiente doveva presentare una relazione annuale al Parlamento concernente gli esiti e le questioni della gestione dei rifiuti.
  3. 13. Il decreto-legge 10 dicembre 2013 n. 136, convertito con modificazioni dalla legge 6 febbraio 2014 n. 6, recava disposizioni urgenti dirette, inter alia, a garantire la sicurezza agroalimentare e ad aumentare la tutela ambientale e la trasparenza delle gare di appalto riguardanti le attività di monitoraggio e di bonifica dei terreni nella regione Campania. Stabiliva che in tale regione si dovessero svolgere indagini al fine di individuare le zone colpite da grave inquinamento ambientale dovuto a sversamenti e a smaltimenti illeciti dei rifiuti, anche mediante combustione (la cosiddetta “Terra dei fuochi”).
  4. 14. La direttiva ministeriale del 23 dicembre 2013 definiva l’area compresa nella “Terra dei fuochi”, elencando cinquantasette comuni in provincia di Napoli e di Caserta che erano colpiti dal fenomeno, tra i quali figurava il comune di Caserta.
  5. 15. La direttiva interministeriale del 16 aprile 2014 elencava altri comuni posti “sotto osservazione”, tra i quali figurava il comune di San Nicola La Strada.
  6. 16. Con risoluzione del 16 dicembre 2016, il Consiglio regionale della Campania approvò un aggiornamento del Piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani della regione Campania (“PRGRU”), che fu pubblicato sul Bollettino ufficiale della regione Campania (“BURC”) n. 88/2016. Il PRGRU stabiliva gli obiettivi della raccolta differenziata, del trattamento e della capacità di smaltimento della regione Campania, e prevedeva anche un piano di azione di emergenza per lo smaltimento dei rifiuti imballati (le cosiddette “ecoballe”) stoccati nella regione.
  7. 17. Secondo una dichiarazione del Consiglio regionale della Campania del 6 luglio 2020, alla data del 24 giugno 2019 nella regione erano ancora presenti oltre quattro milioni di tonnellate di ecoballe. Il Consiglio regionale progettava di trasferire parte di tali rifiuti in impianti di trattamento situati in altre regioni italiane o all’estero (circa un terzo del totale), mentre il quantitativo restante avrebbe dovuto essere trattato nei due nuovi impianti di trattamento dei rifiuti situati in Campania, a Caivano e Giugliano (provincia di Napoli).
  1. Le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea
  1. Un riassunto delle sentenze del 26 aprile 2007 e 4 marzo 2010 della Corte di giustizia dell’Unione europea (“CGUE”) è reperibile nella sentenza
  2. In data 16 aprile e 10 dicembre 2013 la Commissione promosse due cause dinanzi alla CGUE ai sensi dell’articolo 260(2) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) asserendo che l’Italia non aveva adottato le misure necessarie a ottemperare alle suddette sentenze.
  3. Con sentenza del 2 dicembre 2014 (causa C-196/13), la CGUE esaminò le misure adottate dall’Italia per adempiere agli obblighi derivanti dalla sua sentenza del 26 aprile 2007 concernenti l’esistenza di numerose discariche illegali nel paese. Osservò quanto segue:

“È pacifico che, in certi siti, lavori di bonifica erano ancora in corso o non erano stati iniziati alla scadenza del (…) termine [30 settembre 2009]. Per altri siti, la Repubblica italiana non fornisce alcuna indicazione utile a determinare la data in cui le operazioni di bonifica sarebbero state eventualmente attuate.”

Osservò inoltre che la semplice chiusura delle discariche in questione era insufficiente ad adempiere all’obbligo di assicurare che i rifiuti fossero recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che avrebbero potuto recare pregiudizio all’ambiente.

  1. Con sentenza del 16 luglio 2015 (causa C‑653/13), la CGUE esaminò le misure adottate dall’Italia per adempiere agli obblighi derivanti dalla sua sentenza del 4 marzo 2010 concernente la mancata creazione da parte delle autorità nazionali di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento dei rifiuti nella regione Campania. La CGUE constatò che, alla data di riferimento per la constatazione dell’inadempimento (15 gennaio 2012), le autorità non avevano ancora caratterizzato e smaltito circa sei milioni di tonnellate di “ecoballe”, e che tale processo avrebbe richiesto un periodo di tempo di circa quindici anni a partire dalla data di costruzione degli impianti necessari a tal fine. Osservò, inoltre, che alla stessa data gli impianti con la capacità necessaria a trattare i rifiuti urbani della Campania erano in numero insufficiente. Infatti, secondo la Commissione nel 2012 il 22% dei rifiuti urbani non differenziati prodotti nella regione Campania (il 40% prendendo in considerazione anche la quota di rifiuti organici) veniva ancora inviato al di fuori della regione per il trattamento e il recupero. La CGUE concluse che l’Italia non aveva adempiuto agli obblighi derivanti dalla sentenza del 4 marzo 2010, poiché non aveva adottato le misure necessarie ad adempiere agli obblighi di cui agli articoli 4 e 5 della direttiva 2006/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2006 relativa ai rifiuti.
  1. La Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti
  1. Una breve illustrazione delle conclusioni delle relazioni predisposte dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti è reperibile nella sentenza Di Sarno e altri (sopra citata, §§ 57-59).
  2. Nella sua relazione del 5 febbraio 2013, la Commissione parlamentare affermò quanto segue:

“In questo preciso momento storico il problema dei rifiuti in Campania non è più un problema regionale (…) è un problema nazionale che sta esponendo l’Italia a sanzioni gravissime da parte dell’Unione europea (…) La vicenda concernente le ecoballe, costituite da 6 milioni di tonnellate di rifiuti in siti di stoccaggio che avrebbero dovuto essere provvisori e che hanno finito per trasformarsi in discariche a cielo aperto, è emblematica della proporzione di ingestibilità delle problematiche dei rifiuti nella regione. Quanto l’inquinamento si sia trasferito nel terreno, quanto dal terreno ai prodotti alimentari, quanto dai prodotti alimentari all’uomo non è dato sapere con esattezza. Si tratta di danni incalcolabili, che graveranno sulle generazioni future. Il danno ambientale che si è consumato è destinato, purtroppo, a produrre i suoi effetti in forma amplificata e progressiva nei prossimi anni con un picco che si raggiungerà (…) fra una cinquantina d’anni.”

  1. Studi scientifici
  1. In data imprecisata il Governo italiano (Dipartimento della protezione civile) chiese all’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) di condurre uno studio sull’impatto sulla salute del ciclo dei rifiuti nelle province di Napoli e Caserta. I risultati dello studio pilota, condotto in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità (ISS), con il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), con l’Agenzia regionale per la protezione ambientale (in prosieguo ARPAC) e con l’ Osservatorio epidemiologico regionale (OER) della Campania, furono presentati pubblicamente a Napoli nel 2005 e a Roma nel 2007. Essi rivelarono che il rischio di mortalità associato ai tumori dello stomaco, del fegato, dei reni, della trachea, dei bronchi e polmoni, della pleura e della vescica, nonché il rischio di malformazioni congenite del sistema cardiovascolare o urogenitale e degli arti era più elevato nell’area delle provincie di Napoli e Caserta che non nel resto della Campania. Tale territorio conteneva la maggior parte dei siti di smaltimento dei rifiuti, ma anche molti altri fattori di stress ambientale quali agricoltura intensiva, diffuse attività industriali e una densità di popolazione molto elevata.
  2. Nel 2007 i risultati del prosieguo dello studio (Correlazione tra rischio ambientale da rifiuti, mortalità e malformazioni congenite) furono pubblicati sul sito web del Dipartimento della protezione civile. Essi mostravano che l’area con il tasso più elevato di mortalità dovuta al cancro e di malformazioni era quella più colpita dallo smaltimento illecito di rifiuti pericolosi e dalla combustione incontrollata di rifiuti solidi urbani. Tale correlazione secondo lo studio suggeriva che l’esposizione al trattamento dei rifiuti incideva sul rischio di mortalità osservato in Campania, ma anche altri fattori, quali la storia familiare, l’alimentazione e il fumo potevano incidere sul tasso di mortalità.

II. LA DISCARICA DI “Lo Uttaro”

A. L’area di “Lo Uttaro” prima della riapertura della discarica

  1. Nel 1994 il Commissario delegato dispose che il suo ufficio tecnico effettuasse delle ispezioni sugli impianti di smaltimento dei rifiuti di proprietà privata situati nella provincia di Caserta al fine di valutare, inter alia, la possibilità di utilizzarli per mitigare gli effetti della crisi della gestione dei rifiuti.
  2. Il capo dell’ufficio tecnico ispezionò il sito di “Lo Uttaro” dove, ai sensi della decisione n. 1366 del 4 marzo 1989 del Consiglio regionale della Campania, nel periodo compreso tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta, una società a responsabilità limitata la Ecologica Meridionale S.r.l. (in prosieguo “Ecologica Meridionale”) aveva gestito un impianto di smaltimento dei rifiuti.
  3. In data 31 dicembre 2001, il capo dell’ufficio tecnico presentò un rapporto al nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Caserta che dichiarava l’assoluta inidoneità del sito ai fini di un nuovo impianto di smaltimento dei rifiuti. Secondo il rapporto, la discarica gestita dalla Ecologica Meridionale differiva sostanzialmente dal progetto che era stato autorizzato alla fine degli anni ottanta e non rispettava le norme si precauzione in materia di tutela ambientale indicate nell’autorizzazione. Inoltre, mentre era in attività aveva ricevuto quantitativi di rifiuti considerevolmente maggiori di quelli che erano stati autorizzati. Secondo il tecnico, l’area era stata interessata da un “inquinamento ambientale estremamente grave” che aveva portato a “un prevedibile disastro ambientale”.
  4. In data 1° aprile 2005, il Commissario di Governo per l’emergenza bonifiche e tutela delle acque nella regione Campania delegato approvò il Piano di bonifica della regione Campania, (in prosieguo “PRB”) (ordinanza n. 49 del 1° aprile 2005), che prevedeva la messa in sicurezza permanente della discarica della Ecologica Meridionale sita nell’area di “Lo Uttaro”.

B. La riapertura della discarica

  1. In data 11 novembre 2006, il sub-Commissario delegato e i rappresentanti della provincia e del comune di Caserta firmarono un protocollo di intesa concordando l’apertura di un nuovo impianto di smaltimento dei rifiuti nel sito di “Lo Uttaro”.
  2. In data 12 gennaio 2007, il sub-Commissario delegato dispose l’occupazione temporanea del terreno in questione e approvò il progetto preliminare dei lavori necessari per adattarlo allo smaltimento dei rifiuti non pericolosi (ordinanza n. 3 del 12 gennaio 2007).
  3. In data 19 aprile 2007, il sub-Commissario delegato autorizzò il consorzio ACSA CE 3 a effettuare lo smaltimento dei rifiuti non pericolosi nella discarica di “Lo Uttaro” (ordinanza n. 103 del 19 aprile 2007).
  4. In data 22 aprile 2007 il consorzio ACSA CE 3 mise in funzione la discarica.

C. Il procedimento civile dinanzi al Tribunale di Napoli

  1. Il 20 giugno 2007, un gruppo di residenti di un quartiere di Caserta (Villaggio Saint Gobain) presentò al Tribunale di Napoli una richiesta di provvedimento d’urgenza ai sensi dell’articolo 700 del codice di procedura civile finalizzato alla sospensione dell’attività dell’impianto di smaltimento dei rifiuti che, secondo loro, costituiva un pericolo imminente e irreparabile per la loro salute.
  2. In data 19 luglio 2007, il giudice del Tribunale di Napoli accolse la richiesta e ordinò al sub-Commissario delegato e al consorzio ACSA CE 3 di porre termine all’attività dell’impianto di smaltimento dei rifiuti. Il tribunale ritenne che le autorità non avessero predisposto tutte le misure necessarie per garantire che l’attività della discarica non danneggiasse la salute pubblica. Non era stata effettuata un’adeguata valutazione di impatto ambientale. Inoltre all’epoca l’area di “Lo Uttaro” era già inquinata, come riportato nella documentazione in possesso del sub- Commissario delegato e dimostrato anche dal fatto che essa era stata inclusa nel PRB. Secondo il Tribunale la decisione di creare una nuova discarica nell’area “lo Uttaro” era stata motivata dall’urgente necessità di trovare un sito per lo smaltimento dei rifiuti solidi della provincia di Caserta a scapito della salute della cittadinanza.
  3. In data 3 agosto 2007, il sub-Commissario delegato e il consorzio ACSA CE 3 impugnarono il provvedimento del 19 luglio 2007 dinanzi al Tribunale di Napoli in composizione collegiale.
  4. Il tribunale, in pendenza dell’esito del reclamo, permise l’attività della discarica e nominò un consulente per valutare, inter alia, eventuali danni causati dal suo funzionamento alla salute umana.
  5. Nella perizia depositata il 15 ottobre 2007, il consulente constatò che l’area di “Lo Uttaro” sin dagli anni novanta costituiva un rischio per la salute pubblica, in particolare per quanto riguardava le falde acquifere che erano già contaminate.
    La perizia concludeva affermando che la decisione di trasferire altri quantitativi di rifiuti nel sito era inopportuna, inter alia, perché:
    • la scelta del sito violava le norme applicabili ed era contraria ai riscontri di fatto contenuti nella documentazione in possesso del sub-Commissario delegato;
    • conferire altri rifiuti nell’impianto avrebbe esacerbato l’attuale rischio di danni all’ambiente e alla salute pubblica rendendo ancora più difficile la futura opera di bonifica.
  6. In data 7 novembre 2007, il Sindaco di Caserta, dopo aver preso atto della perizia del consulente e dei potenziali rischi per l’ambiente e la salute pubblica comportati dall’attività dell’impianto, ne ordinò la chiusura temporanea fino alla conclusione del procedimento civile pendente dinanzi al Tribunale di Napoli.
  7. In data 13 novembre 2007, il Tribunale di Napoli, in composizione collegiale rigettò il reclamo.
  8. Secondo le informazioni fornite dal Governo, non contestate dai ricorrenti, successivamente al suddetto provvedimento cautelare non fu instaurato alcun altro procedimento dinanzi ai tribunali civili.

D. Il procedimento penale dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e il sequestro della discarica di “Lo Uttaro”

  1. In una data imprecisata del 2005, il pubblico ministero presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere avviò un’indagine sulla gestione dell’impianto di smaltimento dei rifiuti di “Lo Uttaro” (RGNR 15618/05) per, inter alia, presunto smaltimento illecito di rifiuti pericolosi e cagionamento di disastro ambientale.
  2. In data 13 novembre 2007, Il giudice per le indagini preliminari (“GIP”) dello stesso tribunale accolse la richiesta di sequestro preventivo della discarica presentata dal pubblico ministero (GIP Santa Maria Capua Vetere, decreto n. n. 12033/05).
  3. Il GIP constatò che la discarica era stata utilizzata per lo smaltimento di rifiuti pericolosi, in violazione delle disposizioni legislative pertinenti e dell’autorizzazione all'esercizio dell’impianto di smaltimento. Erano state falsificate le certificazioni in modo da far risultare che i rifiuti pericolosi non fossero tali.
  4. Nella decisione si osservava inoltre che, sebbene le analisi di laboratorio eseguite sulle falde acquifere avessero dimostrato che esse erano contaminate, non erano state predisposte le necessarie misure, in violazione della pertinente normativa ambientale e del piano di sorveglianza e controllo stabilito nell’autorizzazione all'esercizio dell’impianto di smaltimento dei rifiuti.
  5. Il GIP riscontrò che secondo il rapporto ispettivo del capo dell’ufficio tecnico che riferiva al Commissario delegato, il sito “Lo Uttaro” era assolutamente inidoneo ai fini di un nuovo impianto di smaltimento dei rifiuti (si veda il paragrafo 28 supra). Le informazioni relative alle dimensioni e alle condizioni dell’area fornite a sostegno della sua riapertura erano false. Inoltre, l’attuale impianto era già stato utilizzato per lo smaltimento di una quantità di rifiuti pari a 4,5 volte il volume originariamente autorizzato.
  6. Il GIP riscontrò inoltre che i lavori effettuati per adattare l’area all’attività del nuovo impianto non garantivano la messa in sicurezza del sito ed erano insufficienti a riparare il danno ambientale in atto.
  7. Concluse che “non vi [è] dubbio che dalla palese mancanza di sicurezza ambientale dell’impianto deriva la sua sostanziale e obiettiva illiceità anche in una situazione di emergenza”, e dispose il suo sequestro per impedire il proseguimento dell’attività abusiva a discapito dell’ambiente e della salute pubblica.
  8. Dopo il trasferimento, per motivi di competenza, al Tribunale di Napoli (RG 26655/08), la parte della causa che concerneva l’attività della discarica di “Lo Uttaro nel 2007 fu trasferita di nuovo al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (RGNR 58582/08).
  9. In data 14 marzo 2016, il tribunale condannò il direttore generale del consorzio ACSA CE 3 e il sub-commissario delegato incaricato del trasferimento dei rifiuti nella discarica di “Lo Uttaro” per traffico illecito di rifiuti ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (“norme in materia ambientale”). Il direttore generale fu condannato anche per disastro ambientale ai sensi dell’articolo 434 del codice penale, mentre i procedimenti per le altre accuse contestategli (attività di gestione di rifiuti non autorizzata, falso e omissione di atti d’ufficio) furono dichiarati prescritti. Anche le accuse di falso contestate a un funzionario dell’ARPAC furono dichiarate prescritte.
  10. La sentenza ritenne che la contaminazione delle falde acquifere ponesse un grave pericolo alla salute pubblica a prescindere dal fatto che fosse stata o meno causata esclusivamente dall’impianto di smaltimento dei rifiuti. Il laboratorio che aveva eseguito analisi nell’area aveva già nel maggio 2007 riscontrato la contaminazione delle falde acquifere. Secondo il piano di gestione operativa, il direttore generale avrebbe allora dovuto sospendere l’attività della discarica e mettere in atto misure di sicurezza, mentre l’ARPAC avrebbe dovuto monitorare l’attività dell’impianto di smaltimento dei rifiuti.
  11. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere condannò il direttore generale a un anno e mezzo di reclusione e il sub-commissario delegato a otto mesi di reclusione, nonché entrambi all’interdizione temporanea dai pubblici uffici e alle altre pene accessorie di cui agli articoli 30, 32 bis e 32 ter del codice penale, pene che furono tutte sospese. Accordò un risarcimento alle parti civili e ordinò la bonifica dell’area.
  12. In data 9 febbraio 2017, la Corte di appello prosciolse il direttore generale e il sub-commissario delegato da tutti i reati per intervenuta prescrizione, ma confermò la parte restante della sentenza del tribunale di primo grado, comprese le ordinanze di risarcimento delle parti civili e di bonifica dell’area.
  13. Con sentenza del 2 luglio 2018, la Corte di cassazione cassò la sentenza della Corte di appello di Napoli con rinvio dinanzi alla stessa. Dichiarò che, nonostante il termine di prescrizione fosse scaduto, la Corte di appello avrebbe dovuto motivare adeguatamente la decisione di non assolvere gli imputati nel merito sulla base del fatto che, secondo quanto previsto dall’articolo 129 comma 2 del codice di procedura penale, essi non avevano commesso il fatto in questione, il fatto non sussisteva, non costituiva reato, o non era previsto dalla legge come reato. Inoltre, la Corte di appello non aveva motivato la conferma delle ordinanze di risarcimento delle parti civili e di bonifica dell’area.
  14. Le parti non hanno fornito informazioni circa l’esito del procedimento di rinvio dinanzi alla Corte di appello di Napoli.

E. Provvedimenti amministrativi per la messa in sicurezza e la bonifica della discarica di “Lo Uttaro”

  1. In data 19 maggio, 9 dicembre e 11 dicembre 2008, l’ARPAC effettuò ispezioni nella discarica. Riferì che il quantitativo di percolato raccolto e smaltito era ancora scarso rispetto alla quantità di rifiuti stoccata nell’impianto e ciò metteva sotto forte pressione tutto il sito della discarica con il rischio di compromettere il sistema di impermeabilizzazione. Secondo l’ARPAC la discarica aveva un impatto ambientale perché provocava emissioni gassose incontrollate e un accumulo e una sovrapproduzione di percolato. Si stimava che le emissioni di biogas ammontassero annualmente a milioni di metri cubi che, in assenza di un impianto di cattura, finivano direttamente nell’atmosfera. L’installazione anche temporanea di un sistema di cattura e utilizzo del biogas prodotto dalla discarica era ritenuta fondamentale.
  2. Ai sensi dell’articolo 11 del decreto-legge 23 maggio 2008 n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 14 luglio 2008 n. 123, il Ministero dell’ambiente doveva promuovere la stipula di accordi con soggetti pubblici o privati al fine di realizzare iniziative di compensazione ambientale per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania. Sulla base di tale quadro legislativo, il 18 luglio 2008 il Ministero dell’ambiente e il Consiglio regionale della Campania concordarono un “programma strategico di compensazione ambientale nella regione Campania” che prevedeva la bonifica del sito della discarica di “Lo Uttaro”
  3. In data 4 agosto 2009, il comune di Caserta e il Ministero dell’ambiente firmarono un accordo operativo relativo alle misure da adottare per la bonifica dell’area di “Lo Uttaro”.
  4. Il PRB n. 777 del 25 ottobre 2013, approvato dal Consiglio regionale e pubblicato sul BURC n. 30/2013 individuò un’area nei comuni di Caserta, San Marco Evangelista e San Nicola La Strada (conosciuta come area vasta “Lo Uttaro”) in cui le condizioni ambientali erano particolarmente compromesse a causa del numero di siti contaminati che comprendevano discariche e centri di trasferimento e di stoccaggio temporaneo dei rifiuti.
  5. Nel periodo compreso tra giugno 2013 e dicembre 2014, la Sogesid S.p.A. (in prosieguo “Sogesid”), una società in-house del Ministero dell’ambiente, avviò una prima fase di caratterizzazione ambientale dell’area.
  6. In base ai risultati delle analisi, validati dall’ARPAC (rapporto n. 22/TF/14), l’area risultò inquinata. In particolare le falde acquifere risultarono largamente contaminate, soprattutto da manganese, nitriti, ferro, arsenico e fluoruri. Il suolo non presentava una concentrazione di elementi abbastanza elevata da far ritenere contaminata l’area industriale, tranne nel caso di una struttura di stoccaggio temporaneo, dove i due campioni esaminati indicavano una concentrazione di arsenico superiore al limite di legge.
  7. In data 11 aprile 2014, l’ARPAC formulò, inter alia, le seguenti raccomandazioni:
    1. avviare una seconda fase di caratterizzazione ambientale dell’area, esaminando anche una zona superficiale più ampia per determinare l’estensione della contaminazione;
    2. astenersi dall’utilizzare l’acqua di falda proveniente dall’area di “Lo Uttaro” per il fabbisogno umano, agricolo e per l’allevamento; e limitare l’utilizzo dell’acqua di falda proveniente dalla zona compresa entro 500 metri dal perimetro di suddetta area, consentendone l’utilizzo soltanto dopo aver analizzato l’acqua dei pozzi in questione;
    3. adottare urgenti misure di sicurezza in ordine alla contaminazione delle falde acquifere;
    4. rimuovere e smaltire con urgenza i rifiuti pericolosi rinvenuti nella discarica di “Lo Uttaro” contenenti amianto, adottando misure immediate per evitare il possibile rilascio nell’atmosfera di tale sostanza.
  8. Sulla base dei risultati di tali indagini, in data 8 novembre 2013 e 4 giugno 2014, i sindaci di Caserta e di San Nicola La Strada vietarono l’utilizzo dell’acqua di falda proveniente dai pozzi situati nell’area di “Lo Uttaro”. 
  9. In occasione della riunione tecnica del 21 maggio 2014, la Sogesid dichiarò di non avere il potere di attuare le misure di sicurezza di emergenza raccomandate dall’ARPAC, in particolare quelle riguardanti la contaminazione delle falde acquifere e la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti pericolosi. La provincia di Caserta dichiarò che avrebbe chiesto alla società Gisec S.p.A. (in prosieguo “Gisec”), che era stata incaricata di gestire l’impianto di smaltimento dei rifiuti, di rimuovere e smaltire i rifiuti pericolosi. Il comune di Caserta inviò una richiesta all’autorità competente, il Comitato di indirizzo e controllo per la gestione dell’accordo di programma, affinché la Sogesid fosse autorizzata a redigere, in collaborazione con l’ARPAC, uno studio di fattibilità sulle misure di sicurezza da adottare per la contaminazione delle falde acquifere. La Sogesid accettò di produrre uno studio di fattibilità al termine della seconda fase di caratterizzazione ambientale.
  10. In data 6 giugno 2014, la Sogesid presentò un progetto riguardante la seconda fase di caratterizzazione ambientale dell’area, che fu approvato con decreto n. 45 del Consiglio regionale della Campania il 13 giugno 2014. Vi si affermava che i lavori dovevano essere intrapresi con urgenza e completati entro novanta giorni, escluso il tempo strettamente necessario per le procedure di gara.
  11. In data 14 gennaio 2015, la Sogesid trasmise al Consiglio regionale della Campania un calendario delle future attività e comunicò che quelle relative alla seconda fase di caratterizzazione ambientale sarebbero iniziate alla fine di gennaio 2015 e che, dopo la loro conclusione, il progetto relativo alla messa in sicurezza permanente e al risanamento sarebbe stato ultimato.
  12. In data 10 marzo 2016, l’ARPAC validò i risultati delle indagini svolte nell’ambito della seconda fase di caratterizzazione ambientale dell’area (rapporto n.7/TF/16). Confermò che le falde acquifere erano, contaminate da, inter alia, arsenico, nickel, antimonio, ferro, manganese, mercurio e fluoruri.
  13. In data 16 giugno 2016, un articolo pubblicato sul quotidiano Il Mattino denunciò che la Gisec non aveva ancora rimosso i rifiuti pericolosi contenenti amianto rinvenuti nel sito di “Lo Uttaro” nel 2014.
  14. In data 22 luglio 2016, suddetto quotidiano denunciò che, sebbene l’impermeabilizzazione della discarica dovesse essere completata entro il 13 marzo 2017, ulteriori indagini erano al momento sospese.
  15. In data 24 aprile 2016, il Consiglio regionale della Campania e la Presidenza del Consiglio dei ministri stipularono il Patto per lo sviluppo della regione Campania che stabiliva che le misure previste nel PRB dovevano essere attuate, anche le misure di sicurezza riguardanti le falde acquifere dell’area vasta “Lo Uttaro”.
  16. Nella risoluzione n. 510 del 1°agosto 2017, il Consiglio regionale della Campania indicò la messa in sicurezza delle falde acquifere del sito “Lo Uttaro” come uno degli interventi da realizzare con l’Agenzia Nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa s.p.a – “Invitalia”. La risoluzione descriveva così il progresso delle attività di messa in sicurezza dell’area di “Lo Uttaro”: “Programmazione non attuata. Risultati della caratterizzazione disponibili per alcuni siti dell’area.”
  17. In data 12 febbraio 2019, a seguito della richiesta del pubblico ministero presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dodici pozzi nell’area vasta di “Lo Uttaro” furono sequestrati a causa di una contaminazione da metalli pesanti. Un comunicato stampa della procura rese nota la misura cautelare.
  18. Con ordinanza n. 57 del 28 giugno 2019, il sindaco di Caserta vietò ai proprietari dei pozzi situati nell’area di “Lo Uttaro” di utilizzare l’acqua di falda per il consumo umano, l’irrigazione, l’abbeveraggio degli animali e gli usi industriali e impose il divieto di coltivazione dell’area. I pozzi situato entro 500 metri dal perimetro dell’area potevano essere utilizzati solo dopo che le autorità competenti avevano validato i risultati delle analisi che dimostravano la sicurezza dell’acqua.
  19. Secondo i ricorrenti nell’area di “Lo Uttaro” sino a marzo 2020 non erano stati svolti lavori di bonifica. La Sogesid aveva predisposto un progetto di messa in sicurezza permanente che non era stato attuato, né era stata indicata la tempistica dei lavori.
  20. Secondo le informazioni fornite dal Governo nelle ultime osservazioni pervenute alla Corte (6 luglio 2020), il 18 maggio 2019 Invitalia aveva lanciato una gara di appalto per la messa in sicurezza delle falde acquifere nell’area vasta “Lo Uttaro” che era ancora in corso. Inoltre, secondo il Governo, a tale data la messa in sicurezza dell’area da parte della Sogesid era stata avviata.

F. Le conclusioni sul sito della discarica di “Lo Uttaro” della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti

  1. Nella sua relazione del 19 dicembre 2007, la Commissione parlamentare osservò che la decisione di autorizzare la riapertura del sito della discarica, nonostante il fatto che la documentazione in possesso del sub-commissario delegato comprovasse l’inadeguatezza ambientale dell’area, dimostrava l’incapacità della struttura commissariale a leggere le proprie stesse carte. Inoltre l’ARPAC aveva segnalato le criticità ambientali connesse alla gestione del piano con imperdonabile ritardo. Le autorità preposte alle funzioni di controllo si erano dimostrate incapaci di fornire informazioni veritiere sulle quali poter basare le politiche legislative e amministrative.
  2. Nella sua relazione del 5 febbraio 2013, la Commissione parlamentare denunciò che nel 2007 durante l’attività della discarica nell’impianto erano stati smaltiti rifiuti pericolosi, violando l’autorizzazione concessa e la normativa ambientale. Confermò che l’inquinamento del sito e la gestione illecita erano stati accertati grazie a documenti in possesso della struttura commissariale e delle altre autorità competenti, che pertanto avevano omesso di monitorare la situazione e avevano persino certificato informazioni false per giustificare il proseguimento dell’attività della discarica.

IL QUADRO GIURIDICO PERTINENTE

I. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

  1. Un riassunto della pertinente legislazione interna che disciplina il trattamento dei rifiuti è reperibile nella causa Di Sarno e altri (sopra citata, §§ 65-67).
  2. L’articolo 844 del codice civile stabilisce che il proprietario di un fondo non può impedire le propagazioni moleste provenienti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità.
  3. L’articolo 2043 del codice civile stabilisce che ogni fatto illecito che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno ai sensi del diritto civile.
  4. Ai sensi dell’articolo 700 del codice di procedura civile, chiunque abbia fondato motivo di temere che i propri diritti siano minacciati da un pregiudizio imminente e irreparabile può chiedere al giudice un provvedimento d’urgenza che assicuri l’immediata protezione dei suoi diritti.
  5. Ai sensi dell’articolo 133 comma 1 lettere p) e s) del codice del processo amministrativo, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie nelle seguenti materie:
    • controversie aventi ad oggetto le ordinanze e i provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza e controversie attinenti all’azione di gestione del ciclo dei rifiuti; la giurisdizione dei tribunali amministrativi si estende ai diritti costituzionali;
    • controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni in materia di danno all'ambiente, nonché avverso il silenzio inadempimento del Ministro dell'ambiente a fronte della richiesta di misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale e per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell'attivazione, da parte del medesimo Ministro, di dette misure.

II. IL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA E IL DIRITTO INTERNAZIONALE

  1. Un riassunto del pertinente diritto dell’Unione europea e del pertinente diritto internazionale è reperibile nella causa Di Sarno e altri (sopra citata, §§ 71-76).

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

  1. Invocando gli articoli 2 e 8 della Convenzione, i ricorrenti hanno sostenuto che lo Stato, non avendo adottato le misure necessarie per (i) garantire il corretto funzionamento dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti e per (ii) minimizzare o eliminare gli effetti dell’inquinamento originato dalla discarica di “Lo Uttaro”, aveva causato un grave danno all’ambiente e aveva messo in pericolo la loro vita e la loro salute e anche quella della popolazione locale in generale. Hanno sostenuto altresì che l’accumulo di grandi quantità di rifiuti lungo le strade pubbliche aveva costituito un’ingerenza illegittima nel loro diritto al rispetto del domicilio e della vita privata e familiare. Hanno inoltre lamentato che le autorità avevano omesso di informare le persone interessate dei rischi che correvano vivendo nell’area circostante la discarica di “Lo Uttaro”.
  2. Il Governo ha dissentito.
  3. Poiché è libera di qualificare giuridicamente i fatti della causa (si veda Guerra e altri c. Italia, 19 febbraio 1998, § 44, Reports of Judgments and Decisions 1998‑I), la Corte ritiene, tenuto conto della sua giurisprudenza in materia (si vedano López Ostra c. Spagna, 9 dicembre 1994, § 51, serie A n. 303‑C; Guerra e altri, sopra citata, 57; Hatton e altri c. Regno Unito [GC], n. 36022/97, § 96, CEDU 2003‑VIII; Di Sarno e altri, sopra citata, § 96; Cordella e altri c. Italia, nn. 54414/13 e 54264/15, §§ 93-94, 24 gennaio 2019), che le doglianze dei ricorrenti debbano essere esaminate sotto il profilo del diritto al rispetto del domicilio e della vita privata e familiare sancito dall’articolo 8 della Convenzione, le cui pertinenti disposizioni recitano:

 “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

  1. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.”

A. Sulla ricevibilità

  1. Il Governo ha sollevato due eccezioni di irricevibilità, sostenendo che i ricorrenti difettavano della qualità di vittima e non avevano esaurito le vie di ricorso interne.

1. La qualità di vittima dei ricorrenti

  1. Nelle osservazioni aggiuntive il Governo ha sostenuto che diversi ricorrenti difettavano della qualità di vittima in quanto non risedevano nei comuni circostanti la discarica.
  2. I ricorrenti hanno contestato tale affermazione citando i certificati di residenza che avevano presentato alla Corte.
  3. La Corte non ritiene necessario esaminare se al Governo sia preclusa la formulazione della suddetta eccezione poiché reputa che essa in ogni caso riguardi una questione di sua competenza che essa può esaminare d’ufficio (si vedano Buzadji c. Repubblica di Moldova [GC], n. 23755/07, § 70, 5 luglio 2016, e Satakunnan Markkinapörssi Oy e Satamedia Oy c. Finlandia [GC], n. 931/13, § 93, 27 giugno 2017).
  4. La Corte sottolinea che la Convenzione non conferisce ai singoli il diritto all’actio popularis (ai veda Perez c. Francia[GC], n. 47287/99, § 70, CEDU 2004-I). Secondo la consolidata giurisprudenza del Corte, l’elemento cruciale che deve essere presente per determinare se, date le circostanze di una causa, l’inquinamento ambientale abbia inciso negativamente su uno dei diritti garantiti dall’articolo 8 1 è costituito dal prodursi di un effetto dannoso sulla vita privata o la sfera familiare dell’interessato e non dal semplice deterioramento generale dell’ambiente (si vedano Di Sarno e altri, sopra citata, § 80, e Cordella e altri, sopra citata, § 101). La Corte osserva inoltre che in alcune cause in cui essa aveva ritenuto l’applicabilità dell’articolo 8, la prossimità del domicilio dei ricorrenti alle fonti di inquinamento era stato uno dei fattori di cui aveva tenuto conto (si veda Pavlov e altri c. Russia, n. 31612/09, §§ 63 - 71, 11 ottobre 2022).
  5. La Corte osserva che i ricorrenti hanno lamentato una situazione che aveva colpito l’intera popolazione campana, in quanto hanno lamentato il danno all’ambiente provocato dalla carente gestione da parte autorità dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti, e più in particolare alla popolazione residente nei comuni di Caserta e San Nicola La Strada, con riferimento all’inquinamento proveniente dalla vicina discarica di “Lo Uttaro”.
  6. La Corte osserva che la documentazione fornita dai ricorrenti mostra che sia Caserta che San Nicola La Strada sono state colpite dalla crisi dei rifiuti protrattasi dall’11 febbraio 1994 al 31 dicembre 2009. In particolare diverse ordinanze del sindaco di Caserta, emesse tra il 2 e il 9 gennaio 2008, denunciavano la “grave situazione” provocata dagli “enormi cumuli di rifiuti che si ammucchiano nelle strade” a seguito dell’interruzione della raccolta dei rifiuti che era cominciata oltre venti giorni prima. Denunciavano che la situazione aveva provocato un’emergenza di salute pubblica che aveva causato notevoli disagi e rischi potenziali per la sicurezza dei cittadini. In maniera analoga, in diverse ordinanze emesse nel periodo compreso tra il 6 aprile 2007 e il 12 maggio 2008, il sindaco di San Nicola La Strada denunciava la “interruzione della raccolta dei rifiuti provocata dalla chiusura dei siti di smaltimento” e il conseguente accumulo di rifiuti “su tutte le strade pubbliche” che costituiva un pericolo per la salute pubblica (si vedano i paragrafi 9 e 10 supra).
  7. Per quanto riguarda la discarica di “Lo Uttaro”, la documentazione fornita dalle parti mostra, inter alia, che al fine di tutelare la salute pubblica, le autorità locali avevano dovuto ripetutamente imporre alla popolazione residente a Caserta e a San Nicola La Strada il divieto di utilizzare l’acqua di falda attinta dai pozzi situati nell’area circostante la discarica (si vedano i paragrafi 63, 72 e 73supra). Alla luce di tali circostanze la Corte ritiene probabile che il danno ambientale lamentato dai ricorrenti residenti nei suddetti municipi abbia inciso direttamente sul loro benessere personale (si veda Di Sarno e altri, sopra citata, § 81).
  8. La Corte osserva tuttavia che i ricorrenti elencati ai numeri 2‑4, 7 e 15-18 dell’appendice non hanno presentato alcuna documentazione che comprovi che essi risiedevano nell’area colpita e ritiene perciò che non abbiano dimostrato di essere stati direttamente toccati dalla situazione lamentata (si veda Cordella e altri, sopra citata, § 108).
  9. La Corte accoglie pertanto l’eccezione del Governo rispetto ai ricorrenti elencati ai numeri 2‑4, 7 e 15-18 dell’appendice e la rigetta rispetto a tutti gli altri. Ogni qualvolta nel resto della sentenza ricorrerà l’espressione “i ricorrenti” essa deve intendersi riferita ai ricorrenti restanti.
  10. Di conseguenza, per quanto riguarda i ricorrenti elencati ai numeri 2‑4, 7 e 15-18, la presente doglianza è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione in conformità all’articolo 35 § 3 lettera a) e deve essere rigettata ai sensi dell’articolo 35 § 4.

2. Il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne

  1. Il Governo ha sostenuto anche che i ricorrenti non avevano esaurito le vie di ricorso interne.
  2. In primo luogo, il Governo ha osservato che i ricorrenti avevano la possibilità di formulare una richiesta di provvedimento d’urgenza ai sensi dell’articolo 700 del codice di procedura civile (si veda il paragrafo 81 supra) e che altri residente avevano chiesto e ottenuto un provvedimento del giudice ai sensi di tale disposizione che disponeva l’immediata sospensione dell’attività della discarica di “Lo Uttaro”.
  3. Il Governo ha sostenuto inoltre che, ai sensi dell’articolo 133 comma 1 lettera p) del codice del processo amministrativo (si veda il paragrafo 82 supra), i ricorrenti avrebbero potuto impugnare le ordinanze emesse dalle autorità durante lo stato di emergenza e, più in generale, tutte le decisioni adottate in relazione alla gestione dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti. A tale riguardo i ricorrenti avrebbero potuto ottenere che i tribunali amministrativi annullassero tali decisioni, emettessero ordinanze a tutela della loro salute e della loro vita privata e accordassero loro un risarcimento.
  4. Inoltre, ai sensi dell’articolo 133 comma 1 lettera s) del codice del processo amministrativo (si veda il paragrafo 82 supra), i ricorrenti avrebbero potuto impugnare le decisioni adottate dalle autorità in violazione delle disposizioni in materia di danno all'ambiente, nonché il silenzio inadempimento del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a fronte della richiesta di misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale.
  5. I ricorrenti avrebbero inoltre potuto promuovere un’azione risarcitoria dinanzi ai tribunali civili (si veda il paragrafo 80 supra).
  6. Nelle sue osservazioni aggiuntive il Governo ha invocato anche l’articolo 844 del codice civile (si veda il paragrafo 79 supra).
  7. I ricorrenti hanno sostenuto che i ricorsi interni a loro disposizione non erano adeguati ed effettivi come richiesto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione, in quanto nessuno di essi era in grado di trattare la sostanza delle doglianze ai sensi della Convenzione di cui trattasi e di accordare adeguata riparazione, specialmente considerando le prolungate e sistematiche carenze nella gestione da parte delle autorità amministrative dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti della Campania, e il considerevole e ingiustificato ritardo nel mettere permanentemente in sicurezza e bonificare il sito della discarica di “Lo Uttaro”.
  8. La Corte ribadisce che una caratteristica fondamentale del meccanismo di tutela istituito dalla Convenzione è la sua sussidiarietà rispetto ai sistemi nazionali di protezione dei diritti umani. Riguarda il controllo dell’adempimento da parte degli Stati contraenti dei loro obblighi convenzionali e non deve assumersi il ruolo di tali Stati, cui spetta la responsabilità di garantire che i diritti fondamentali e le libertà sanciti dalla Convenzione siano rispettati e tutelati a livello interno. La regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne è basata sull’assunto, recepito dall’articolo 13 della Convenzione - con il quale ha forte affinità - che sia disponibile rimedio effettivo per la violazione dedotta. La regola, pertanto, è parte indispensabile del funzionamento di suddetto sistema di protezione (si veda Vučković e altri c. Serbia (eccezione preliminare) [GC], nn. 17153/11 e altri 29, § 69, 25 marzo 2014).
  9. La Corte ribadisce altresì che, ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, occorre che il ricorrente faccia un normale utilizzo dei ricorsi disponibili e sufficienti a fornire una riparazione delle violazioni dedotte, mentre spetta al Governo che eccepisce il mancato esaurimento persuadere la Corte che il ricorso fosse effettivo e disponibile sia in teoria che in pratica all’epoca dei fatti, ovverossia che fosse accessibile, che fosse in grado di riparare le doglianze del ricorrente e che offrisse ragionevoli prospettive di successo (si veda, tra altri precedenti, Akdivar e altri c. Turchia, 16 settembre 1996, §§ 66-68, Reports 1996-IV).
  10. In ordine ai ricorsi risarcitori, la Corte osserva, da un lato, che essi in teoria avrebbero potuto dare luogo a risarcimenti per gli interessati, ma non alla rimozione dei rifiuti dalle strade pubbliche o alla bonifica del sito della discarica di “Lo Uttaro”. Pertanto avrebbero potuto fornire soltanto una riparazione parziale del danno ambientale lamentato dai ricorrenti. Dall’altro, anche supponendo che il risarcimento costituisse una riparazione adeguata delle dedotte violazioni della Convenzione, il Governo non ha dimostrato che i ricorrenti esperendo tali ricorsi avessero una qualche prospettiva di successo. Le decisioni interne invocate dal Governo (sentenze della Corte di cassazione nn. 27187/2007 e 22116/14, e della Corte costituzionale nn. 140/2007 e 167/2011) concernevano questioni di ripartizione delle competenze tra tribunali ordinari e tribunali amministrativi in materia di danno ambientale. Il Governo non ha fornito esempi di decisioni dei tribunali civili o amministrativi che abbiano effettivamente accordato risarcimenti agli abitanti delle aree colpite dall’accumulo dei rifiuti o dall’inquinamento derivante da una discarica (si veda Di Sarno e altri, sopra citata, § 87).
  11. Quanto alla possibilità menzionata dal Governo che i ricorrenti chiedessero ai tribunali amministrativi di annullare specifiche decisioni e ai tribunali civili e amministrativi di ordinare alle autorità di predisporre misure a tutela della loro salute e della loro vita privata, anche ammettendo che tali rimedi potessero in teoria essere effettivi, il Governo non ha dimostrato che essi sarebbero stati in grado nella pratica di fornire riparazione alle doglianze dei ricorrenti.
  12. In ordine ai ricorsi dinanzi ai tribunali civili, la Corte osserva che, ai sensi dell’articolo 700 del codice di procedura civile, il Tribunale di Napoli (in composizione monocratica) aveva disposto e poi confermato (in composizione collegiale) la sospensione dell’attività dell’impianto di smaltimento dei rifiuti. Tale provvedimento, però, non aveva impedito che i rifiuti già stoccati nella discarica continuassero a rilasciare emissioni nell’atmosfera e percolato nella falda acquifera, né era in grado di mettere in sicurezza e bonificare l’area interessata.
  13. Quanto ai ricorsi dinanzi ai tribunali amministrativi, la Corte osserva che il Governo ha invocato due sentenze del Tribunale amministrativo della regione Campania. La prima (n. 676/2012) ordinava al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di rispondere alla richiesta dei ricorrenti di misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale asseritamente provocato dal sito della discarica, fermo restando che le autorità dovevano soltanto fornire una risposta motivata e restava loro la facoltà di accogliere o rigettare la richiesta. La seconda (n. 3373/2013) rigettava l’impugnazione della consequenziale decisione delle autorità di rigettare la richiesta. Pertanto nessuna di tali sentenze imponeva alle autorità di predisporre misure di tutela della salute della vita privata dei ricorrenti (si veda, mutatis mutandis, Di Sarno e altri, sopra citata, § 87).
  14. La Corte osserva inoltre che, nelle circostanze del caso di specie (i) in Campania era stato dichiarato lo stato di emergenza per affrontare una crisi strutturale che da oltre quindici anni interessava tutta la gestione regionale dei rifiuti (si vedano i paragrafi 5 e 8 supra); e (ii) le autorità erano a conoscenza dell’inquinamento originato dalla discarica di “Lo Uttaro” almeno dal 2001 e molti anni dopo avevano deciso di eseguire dei lavori di messa in sicurezza dell’area, che erano ancora in corso senza una tempistica chiara per il loro completamento (si vedano i paragrafi 28 e 56-75 supra).
  15. Tenuto conto della documentazione presentata dalle parti, il Governo non è riuscito a persuadere la Corte che nel caso di specie un ricorso civile o amministrativo avrebbe potuto offrire una ragionevole prospettiva di successo.
  16. Di conseguenza l’eccezione preliminare di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sollevata dal Governo deve essere rigettata.
  17. La Corte osserva che le presenti doglianze non sono manifestamente infondate né incorrono negli altri motivi di irricevibilità elencati dall’articolo 35 della Convenzione. Devono pertanto essere dichiarate ricevibili.

B. Sul merito

1. Le osservazioni delle parti

(a) I ricorrenti

(i) La gestione dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti

  1. I ricorrenti hanno osservato che nel periodo compreso tra il 1994 e il 2009 i comuni di Caserta e San Nicola La Strada erano stati colpiti dagli effetti della crisi regionale della gestione dei rifiuti. I rifiuti ciclicamente si accumulavano nelle strade producendo odori intollerabili e attirando cani randagi, ratti e insetti. Venivano appiccati fuochi incontrollati per bruciare i rifiuti che rilasciavano diossina. I ricorrenti hanno anche invocato diversi studi sulla situazione ambientale delle province di Napoli e Caserta (si vedano i paragrafi 24 e 25 supra) per dimostrare che le carenze nella gestione della crisi da parte delle autorità avevano danneggiato l’ambiente e messo in pericolo le loro vite. Inoltre, l’accumulo di grandi quantità di rifiuti lungo le strade pubbliche aveva costituito un’ingerenza illegittima nel loro diritto al rispetto del domicilio e della vita privata, in quanto ostacolava la libera circolazione e aveva dato luogo alla chiusura temporanea degli istituti scolastici e dei mercati locali.
  2. Hanno sostenuto che la dedotta violazione era proseguita nel periodo successivo alla cessazione dello stato di emergenza. Hanno invocato, inter alia, le conclusioni della CGUE (si veda la sentenza C‑653/13, citata al paragrafo 21 supra).

(ii) Il sito della discarica di “Lo Uttaro”

  1. I ricorrenti hanno sostenuto che, benché le autorità sin dal 2001 sapessero che la discarica di “Lo Uttaro” poneva un grave rischio ambientale, nel 2007 il sub-commissario delegato aveva autorizzato la riapertura dell’impianto di smaltimento dei rifiuti. Inoltre, ancora a marzo 2020 (data in cui sono pervenute alla Corte le ultime osservazioni dei ricorrenti) l’area non era ancora stata messa in sicurezza né bonificata. Invocando le conclusioni dei tribunali penali e della Commissione parlamentare i ricorrenti hanno sostenuto che la prolungata gestione illecita dell’impianto di smaltimento dei rifiuti e la mancata adozione da parte delle autorità di misure di tutela volte a minimizzare o eliminare gli effetti dell’inquinamento originato dal sito avevano causato danni all’ambiente e messo in pericolo la loro salute. Secondo loro lo Stato convenuto aveva anche omesso di adempiere al suo obbligo di informare gli interessati dei rischi comportati dal vivere nell’area circostante la discarica.

(b) Il Governo

(i) La gestione dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti

  1. Il Governo ha riconosciuto che la Corte aveva già esaminato la situazione lamentata dai ricorrenti nella sentenza Di Sarno e altri (sopra citata), ma ha sostenuto che a seguito di tale sentenza la gestione dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti in Campania era notevolmente migliorata. Ha invocato diversi provvedimenti legislativi e amministrativi miranti a conseguire una gestione più efficiente del ciclo di vita dei rifiuti, lo sviluppo della raccolta differenziata e la razionalizzazione e l’ammodernamento delle strutture esistenti (si vedano i paragrafi 11, 12, 16 e 17 supra). In ordine agli effetti della crisi della gestione dei rifiuti sulla salute il Governo ha osservato che erano state adottate adeguate misure legislative e amministrative per salvaguardare l’ambiente e la salubrità degli alimenti e dei prodotti agricoli, nonché per bonificare i siti contaminati (si vedano i paragrafi 13-15 supra).

(ii) Il sito della discarica di “Lo Uttaro”

  1. Il Governo ha sostenuto che le autorità avevano adottato provvedimenti adeguati per minimizzare gli effetti sull’ambiente causati dalla discarica di “Lo Uttaro”. In primo luogo, poiché l’impianto di smaltimento dei rifiuti aveva cessato le attività nel 2007, eventuali danni ambientali erano limitati a bassi livelli di emissioni di biogas. Inoltre la situazione ambientale dell’area era costantemente monitorata dall’ARPAC e dalle altre autorità competenti. Le operazioni di messa in sicurezza permanente erano in corso. Nel frattempo le ordinanze emesse dalla magistratura e dalle autorità locali per vietare l’utilizzo dell’acqua di falda proveniente dai pozzi situati nell’area di “Lo Uttaro” garantivano la tutela effettiva della salute dei residenti.

2. La valutazione della Corte

(a) Principi generali

  1. La Corte ribadisce che l’inquinamento ambientale grave può incidere sul benessere delle persone impedendo loro di godere del domicilio in modo tale da compromettere la loro vita privata e familiare (si vedano López Ostra, § 51; Guerra e altri, 60; e Di Sarno e altri, § 104, tutte sopra citate).
  2. La Corte sottolinea inoltre che gli effetti avversi dell’inquinamento ambientale devono raggiungere una certa soglia per rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 8. La valutazione di tale soglia è relativa e dipende da tutte le circostanze della causa, quali l’intensità e la durata del disturbo e i suoi effetti fisici o mentali (si veda Cordella e altri, sopra citata, § 157).
  3. È spesso impossibile quantificare gli effetti dell’inquinamento industriale grave in ciascun caso individuale e distinguerli dall’influenza di altri fattori pertinenti quali l’età, la professione e lo stile di vita personale. Lo stesso vale per l’eventuale peggioramento della qualità della vita causato dall’inquinamento industriale. La “qualità della vita” è una caratteristica soggettiva che mal si presta a una definizione precisa (si veda Kotov e altri c. Russia, nn. 6142/18 e altri 12, § 101, 11 ottobre 2022). Di conseguenza, tenuto conto delle difficoltà di prova esistenti, la Corte prenderà in considerazione principalmente, sebbene non esclusivamente, le conclusioni dei tribunali interni e delle altre autorità competenti nell’accertare le circostanze fattuali della causa (si vedano Jugheli e altri c. Georgia, n. 38342/05, § 63, 13 luglio 2017; Cordella e altri, sopra citata, § 160; e Pavlov e altri, sopra citata §§ 66 - 71).
  4. Inoltre, l’articolo 8 non si limita a imporre allo Stato di astenersi da ingerenze arbitrarie: oltre a tale obbligo fondamentalmente negativo, possono sussistere obblighi positivi impliciti nel rispetto effettivo della vita privata e familiare. In ogni caso che si analizzi la questione in termini di dovere positivo dello Stato di adottare misure ragionevoli e adeguate per garantire i diritti del ricorrente ai sensi dell’articolo 8 1, o in termini di “ingerenza di un’autorità pubblica” che deve essere giustificata ai sensi dell’articolo 8 § 2, i principi applicabili sono sostanzialmente analoghi (si vedano López Ostra, § 51; Guerra e altri, § 58; e Cordella e altri, § 158, tutte sopra citate).
  5. Nell’ambito specifico di attività pericolose gli Stati hanno l’obbligo di predisporre una normativa adattata alle specificità dell’attività in questione, con particolare riguardo al livello di potenziale rischio presente. Essa deve disciplinare l’autorizzazione, l’avviamento, il funzionamento, la sicurezza e il controllo dell’attività e deve rendere obbligatoria per tutti gli interessati l’adozione di misure concrete in grado di assicurare un’effettiva protezione ai cittadini le cui vite potrebbero essere messe in pericolo dai rischi inerenti all’attività (si vedano, mutatis mutandis, Öneryıldız c. Turchia [GC], n. 48939/99, § 90, CEDU 2004-XII; Di Sarno e altri, sopra citata, § 106; e Cordella e altri, sopra citata, § 159).
  6. Quanto agli obblighi procedurali di cui all’articolo 8, la Corte ribadisce che attribuisce particolare importanza a un accesso alle informazioni da parte della popolazione che le consenta di valutare il rischio cui è esposta (si vedano Guerra e altri, § 60, e Di Sarno e altri, § 107, entrambe sopra citate). Per valutare il rispetto del diritto di accesso alle informazioni di cui all’articolo 8, la Corte può prendere in considerazione gli obblighi derivanti dagli altri strumenti internazionali pertinenti, come per esempio la Convenzione di Aarhus, che l’Italia ha ratificato. L’articolo 5 § 1 lettera c) di tale testo, in particolare, obbliga ciascuna Parte a garantire che ”in caso di minaccia imminente per la salute umana o per l'ambiente, imputabile ad attività umane o dovuta a cause naturali, siano diffuse immediatamente e senza indugio tutte le informazioni in possesso delle autorità pubbliche che consentano a chiunque possa esserne colpito di adottare le misure atte a prevenire o limitare i danni derivanti da tale minaccia” (si vedano il paragrafo 83 supra e Di Sarno e altri, sopra citata, §§ 76 e 107).

(b) Applicazione dei suddetti principi al caso di specie

(i) La gestione dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti

(α) Periodo compreso tra l’11 febbraio 1994 e il 31 dicembre 2009, data di cessazione dello stato di emergenza

  1. La Corte ha già osservato (si veda il paragrafo 93 supra) che i comuni di Caserta e San Nicola La Strada, dove risiedono i ricorrenti, sono stati colpiti dalla crisi della gestione dei rifiuti. I ricorrenti hanno lamentato che tale situazione aveva messo in pericolo le loro vite e la loro salute, e aveva costituito un’ingerenza illegittima nel loro diritto al rispetto del domicilio e della vita privata.
  2. I ricorrenti non hanno affermato di essere stati colpiti da patologie collegate all’esposizione ai rifiuti. Hanno però invocato diversi studi sulla situazione ambientale delle province di Napoli e Caserta (si vedano i paragrafi 24 e 25). Secondo tali studi, le cui conclusioni non sono state contestate dal Governo, il rischio di mortalità associato ad alcuni tumori e ad altre condizioni patologiche era più elevato nel territorio di tali province (che comprende i comuni di Caserta e San Nicola La Strada) che non nel resto della Campania. La Corte non vede motivo di mettere in dubbio che, come suggeriscono suddetti studi, esista un nesso causale tra l’esposizione al trattamento dei rifiuti e l’aumento del rischio di sviluppare patologie quali il cancro o le malformazioni congenite, anche se pure altri fattori quali la storia familiare, l’alimentazione e il fumo potevano aver inciso sul tasso di mortalità.
  3. L’esistenza di un rischio per la salute umana conseguente alla crisi della gestione dei rifiuti è stata riconosciuta dalla CGUE. Essa, nell’esaminare la situazione dello smaltimento dei rifiuti in Campania, ha ritenuto che l’accumulo di grandi quantità di rifiuti lungo le strade pubbliche e nei siti di stoccaggio temporaneo esponesse gli abitanti del luogo a rischi per la salute (si veda la sentenza C-297/08, citata in Di Sarno e altri, sopra citata, §§ 55-56).
  4. Inoltre la Commissione parlamentare, nella sua relazione del 5 febbraio 2013, ha stimato che, benché fosse impossibile misurare esattamente fino a che punto l’inquinamento derivante dalla crisi della gestione dei rifiuti avesse inciso sulla salute umana, un simile danno incalcolabile si fosse comunque prodotto e avrebbe gravato sulle generazioni future raggiungendo il suo picco tra una cinquantina d’anni (si veda il paragrafo 23 supra).
  5. La Corte ritiene che, sebbene a causa dell’assenza di prove mediche non si possa affermare che l’inquinamento originatosi dalla crisi della gestione dei rifiuti abbia necessariamente provocato un danno alla salute dei ricorrenti, sia però possibile stabilire, tenendo conto delle relazioni ufficiali e delle prove disponibili, che risiedere in un’area caratterizzata da una forte esposizione ai rifiuti in violazione delle norme di sicurezza applicabili abbia reso i ricorrenti più vulnerabili a varie patologie (si veda, per un ragionamento analogo, Kotov e altri, sopra citata, § 107).
  6. Inoltre, la Corte ribadisce anche che l’inquinamento ambientale grave può incidere sul benessere delle persone in modo tale da compromettere la loro vita privata, senza tuttavia mettere in serio pericolo la loro salute (si veda López Ostra, sopra citata, § 51). Nel caso di specie, i ricorrenti sono stati costretti a vivere per parecchi mesi in un ambiente inquinato dai rifiuti abbandonati nelle strade e da quelli smaltiti in siti di stoccaggio temporaneo creati con urgenza per affrontare la prolungata indisponibilità di adeguate strutture di trattamento e smaltimento dei rifiuti. I servizi di raccolta dei rifiuti dei comuni di Caserta e San Nicola La Strada, nel periodo compreso tra la fine del 2007 e maggio 2008, hanno subito ripetute interruzioni. L’accumulo di grandi quantità di rifiuti lungo le strade pubbliche aveva indotto le autorità locali a emettere provvedimenti d’emergenza, tra i quali la chiusura temporanea di asili, scuole, università e mercati locali e la creazione di siti di stoccaggio temporaneo nei comuni.
  7. Anche assumendo che la fase acuta della crisi sia durata soltanto cinque mesi, dalla fine del 2007 a maggio 2008 (si vedano i paragrafi 9 e 10supra), la Corte ritiene che il disturbo ambientale patito dai ricorrenti nel corso della loro vita quotidiana abbia inciso negativamente e in misura sufficiente sulla loro vita privata durante tutto il periodo in esame (si vedano Hardy e Maile c. Regno Unito, n. 31965/07, § 188, 14 febbraio 2012, e, per un ragionamento analogo, Kotov e altri, sopra citata, § 109, con ulteriori riferimenti).
  8. La Corte ritiene anche che, data la protratta incapacità delle autorità italiane di garantire il corretto funzionamento dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti, e a onta del margine di discrezionalità accordato allo Stato convenuto, le autorità non abbiano rispettato il loro obbligo positivo di adottare tutte le misure necessarie a garantire l’effettiva protezione del diritto dei ricorrenti al rispetto del proprio domicilio e della propria vita privata (si vedano Cordella e altri, sopra citata, § 173; e Di Sarno e altri, sopra citata, § 112).
  9. Sotto questo profilo vi è stata pertanto violazione dell’articolo 8 della Convenzione per il periodo compreso tra l’11 febbraio 1994 e il 31 dicembre 2009.

(β) Il periodo decorrente dal 1° gennaio 2010 dopo la cessazione dello stato di emergenza

  1. In ordine al periodo decorrente dal 1° gennaio 2010 dopo la cessazione dello stato di emergenza, la Corte osserva che la documentazione depositata dalle parti ha messo in luce diverse carenze nella gestione dei servizi di trattamento e smaltimento dei rifiuti in Campania. Nonostante i provvedimenti legislativi e politici adottati a partire da maggio 2008, la CGUE (si veda la sentenza C-653/13, citata al paragrafo 21 supra) ha constatato che alla data del 15 gennaio 2012 le autorità ancora dovevano esaminare e smaltire circa sei milioni di tonnellate di “ecoballe”, operazione che avrebbe richiesto circa quindici anni dal momento in cui fossero state costruite le infrastrutture necessarie. Secondo una dichiarazione del 6 luglio 2020 del Consiglio regionale della Campania, alla data del 24 giugno 2019 nella regione erano ancora presenti oltre quattro milioni di tonnellate di ecoballe (si veda il paragrafo 17 supra).
  2. La Corte ribadisce che non è suo compito pronunciarsi in abstracto sulla qualità dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti della Campania o sull’adeguatezza delle infrastrutture per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti, bensì accertare in concreto quali effetti tali attività abbiano avuto sul diritto dei ricorrenti al rispetto del domicilio e della vita privata di cui all’articolo 8 della Convenzione. In proposito essa osserva che i ricorrenti non hanno dimostrato che le carenze nella gestione dei servizi di trattamento e smaltimento dei rifiuti della Campania nel periodo successivo alla cessazione dello stato di emergenza abbiano avuto un impatto diretto sul proprio domicilio e sulla propria vita privata, né eventualmente in quale misura. Sebbene la presenza di grandi quantitativi di “ecoballe” dimostri il persistere di un generale deterioramento dell’ambiente in Campania, ciò di per sé non è sufficiente a stabilire che tale situazione abbia inciso in modo specifico sulla popolazione dei comuni di Caserta e San Nicola La Strada né, eventualmente, a stabilire la portata dell’ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto del domicilio e della vita privata.
  3. Pervenendo a tale conclusione, la Corte sottolinea che la doglianza dei ricorrenti riguarda nello specifico la carente gestione da parte delle autorità nazionali dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti e non tocca fenomeni distinti, benché collegati, come la situazione generale di illecito scarico e smaltimento dei rifiuti esistente nella cosiddetta “terra dei fuochi” (si vedano i paragrafi 14 e 15 supra), che perciò esula dall’ambito della presente causa.
  4. Alla luce della portata della doglianza come sopra stabilita, la Corte non può concludere che i ricorrenti abbiano dimostrato di aver personalmente subito gravi effetti derivanti dall’inquinamento da rifiuti a decorrere dal 1° gennaio 2010 dopo la cessazione dello stato di emergenza. Di conseguenza non vi è stata violazione dell’articolo 8 sotto questo profilo.

(ii) Il sito della discarica di “Lo Uttaro”

  1. I ricorrenti hanno lamentato che le autorità non avevano adottato le misure necessarie per proteggere la loro salute e l’ambiente, e avevano omesso di informare gli interessati del rischio comportato dal risiedere nell’area circostante la discarica di Lo Uttaro”.

(α) Sul profilo sostanziale dell’articolo 8

  1. La Corte osserva che non è suo compito determinare cosa esattamente andava fatto nel caso di specie per affrontare ed eventualmente ridurre l’inquinamento in modo più efficiente. Tuttavia rientra certamente nella sua competenza stabilire se il Governo abbia affrontato il problema con la necessaria diligenza, prendendo in considerazione tutti gli interessi concorrenti. A tale proposito la Corte ribadisce che spetta allo Stato l’onere di giustificare, producendo dati particolareggiati e rigorosi, una situazione in cui alcune persone sopportano un pesante gravame a beneficio del resto della collettività. Esaminando la presente causa da tale prospettiva, la Corte osserva i seguenti punti (si vedano Fadeyeva c. Russia, n. 55723/00, § 128, CEDU 2005-IV, e Cordella e altri, sopra citata, § 161).
  2. La documentazione fornita dalle parti mostra l’esistenza di un grave inquinamento ambientale originato dal sito della discarica di “Lo Uttaro” per effetto di uno smaltimento illecito di rifiuti durato circa venti anni. Dalla fine degli anni ottanta fino alla cessazione definitiva delle attività dell’impianto nel 2007, la discarica è stata fatta funzionare, violando le pertinenti disposizioni legislative e le autorizzazioni amministrative, oltre i confini della cava, oltre i limiti della sua capacità e per lo smaltimento illecito dei rifiuti pericolosi. Le autorità almeno dal 2001 sapevano che la discarica poneva un grave rischio ambientale. Malgrado la situazione ambientale dell’area e il suo inserimento dal 2005 nel PRB, il sub-commissario delegato aveva autorizzato la riapertura dell’impianto di smaltimento dei rifiuti, creando le condizioni per il peggioramento del danno ambientale. Le relazioni della Commissione parlamentare e le conclusioni dei tribunali nazionali dal 2007 in poi descrivono una lunga serie di problemi di gestione e monitoraggio e hanno ritenuto l’area di “Lo Uttaro” un rischio per la salute pubblica, specialmente in relazione alle falde acquifere (si vedano i paragrafi 34- 40 e 76-77 supra).
  3. A seguito del sequestro disposto dai tribunali penali a novembre 2007, le ispezioni eseguite dall’ARPAC nel 2008 avevano mostrato che il sito della discarica di “Lo Uttaro”, all’epoca non più in attività, continuava a provocare danni ambientali alle falde acquifere e all’atmosfera.
  4. La Corte osserva che, malgrado gli sforzi delle autorità per mettere in sicurezza l’area in questione, alla data delle ultime osservazioni pervenutele (6 luglio 2020), non erano ancora stati del tutto realizzati i progetti predisposti, né i lavori si stavano svolgendo secondo una precisa tempistica. Innanzitutto, la Corte rileva che, sebbene la messa in sicurezza e la bonifica dell’area siano state proposte nell’accordo quadro tra il Ministero dell’ambiente e il Consiglio regionale della Campania del 18 luglio 2008 e nel successivo accordo operativo tra il Ministero dell’ambiente e il comune di Caserta del 4 agosto 2009, lo svolgimento della prima fase di caratterizzazione ambientale dell’area aveva avuto luogo soltanto negli anni 2013-2014.
  5. Inoltre, sebbene in data 11 aprile 2014 l’ARPAC, sulla base dei dati raccolti, avesse raccomandato diversi interventi, tra i quali (1) misure di sicurezza urgenti in ordine alla contaminazione della falda acquifera e (ìì) la rimozione immediata e lo smaltimento dei rifiuti pericolosi contenenti amianto, tali provvedimenti urgenti non furono adottati (si vedano i paragrafi 64 - 75 supra).
  6. La Corte osserva inoltre che la seconda fase di caratterizzazione ambientale, che era stata approvata a giugno 2014, il cui inizio era previsto immediatamente dopo l’approvazione e la cui durata non doveva superare i novanta giorni, non era ancora cominciata il 14 gennaio 2015. I suoi risultati sono stati validati dall’ARPAC soltanto il 10 marzo 2016.
  7. In ordine alla messa in sicurezza permanente dell’area, la risoluzione del Consiglio regionale della Campania del 1° agosto 2017 indicava che non erano state ancora programmate le misure necessarie. Secondo le informazioni fornite dal Governo nelle ultime osservazioni pervenute alla Corte (6 luglio 2020), a quella data le operazioni di messa in sicurezza delle falde acquifere dell’Area Vasta “Lo Uttaro” erano ancora in corso e non era stato stabilito un temine preciso per il loro completamento.
  8. Sulla base di suddette informazioni, la Corte osserva che la semplice chiusura della discarica non ha impedito che i rifiuti continuassero a danneggiare l’ambiente e a mettere in pericolo la salute umana (si veda la sentenza della CGUE C-196/13, citata al paragrafo 21 supra). Inoltre la procedura finalizzata alla messa in sicurezza e alla bonifica dell’area appare piuttosto inconcludente (si veda, mutatis mutandis, Cordella e altri, sopra citata, § 168). Nel frattempo la concentrazione di alcune sostanze tossiche nelle falde acquifere nei pressi del sito della discarica hanno ripetutamente indotto le autorità giudiziarie e amministrative, nel periodo compreso tra il 2013 e il 2019, a vietare l’utilizzo dell’acqua di falda e la coltivazione dell’area, anche servendosi di ordinanze di sequestro dei pozzi (si vedano i paragrafi 63, 72 e 73 supra).
  9. Benché la Corte non possa determinare in quale misura le vite dei ricorrenti siano state specificamente minacciate dall’inquinamento proveniente dal sito della discarica di “Lo Uttaro”, essa ritiene che la documentazione depositata dalle parti dimostri il perdurare di una situazione di inquinamento ambientale nei comuni di Caserta e San Nicola La Strada che mette in pericolo la salute dei ricorrenti.
  10. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte conclude che le autorità nazionali non hanno adottato tutte le misure necessarie ad assicurare l’effettiva protezione del diritto degli interessati al rispetto della loro vita privata.
  11. Pertanto, nel caso di specie il giusto equilibrio che occorre conseguire tra, da un lato, l’interesse dei ricorrenti a non subire un danno ambientale grave che potrebbe incidere sul loro benessere e sulla loro vita privata e, dall’altro, l’interesse della società nel suo insieme è stato compromesso.
  12. Vi è stata, perciò, violazione dell’articolo 8 della Convenzione sotto il profilo sostanziale.

(β) Sul profilo procedurale dell’articolo 8

  1. In ordine al profilo procedurale dell’articolo 8 e alla doglianza relativa all’omessa comunicazione di informazioni che avrebbe consentito ai ricorrenti di valutare il rischio che correvano, la Corte osserva che il Dipartimento della protezione civile aveva pubblicato studi sull’impatto sulla salute del ciclo dei rifiuti nelle province di Napoli e Caserta nel 2005 e nel 2008. Inoltre la situazione ambientale del sito della discarica di “Lo Uttaro” era stata resa pubblica dalla Commissione parlamentare nel 2007 e nel 2013. Informazioni sull’esito delle analisi svolte nell’ambito della caratterizzazione dell’area di “Lo Uttaro” area erano contenute nelle ordinanze dei sindaci di Caserta e di San Nicola La Strada nonché nel comunicato stampa della Procura presso il Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere emessi nel periodo compreso tra il 2013 e il 2019. La Corte, di conseguenza, ritiene che le autorità italiane abbiano adempiuto al loro obbligo di informare gli interessati, compresi i ricorrenti, dei rischi potenziali cui si esponevano continuando a vivere a Caserta e a San Nicola La Strada (si vedano Di Sarno e altri, § 113, e Guerra e altri, 60, entrambe sopra citate). Non vi è stata pertanto alcuna violazione dell’articolo 8 della Convenzione sotto questo profilo.

II. SULLE ALTRE DEDOTTE VIOLAZIONI DELLA CONVENZIONE

A. Articolo 6 § 1 e articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 13 della Convenzione

  1. I ricorrenti hanno lamentato anche l’assenza di ricorsi effettivi per ottenere la completa restituzione delle tasse versate per la raccolta e lo smaltimento dei propri rifiuti solidi urbani. Secondo loro, il fatto che lo Stato non avesse garantito adeguati servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti conferiva loro il diritto alla completa restituzione delle tasse versate per tali servizi. Hanno invocato gli articoli 6 e 13 della Convenzione e l’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione che, nelle parti pertinenti recitano:

Articolo 6 § 1

“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…)”

Articolo 1 del Protocollo n. 1

“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.”

Articolo 13

“Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiale.”

  1. In ordine all’articolo 6 § 1, la Corte ribadisce che la semplice dimostrazione della natura patrimoniale di un controversia non è di per sé sufficiente a rendere applicabile tale disposizione sotto il profilo civile. Le questioni fiscali fanno tuttora parte del nucleo fondamentale delle prerogative della pubblica autorità, e la natura pubblica del rapporto tra il contribuente e la collettività resta predominante. Pertanto, il contenzioso fiscale esula dal campo di applicazione dei diritti e doveri di carattere civile, malgrado gli effetti patrimoniali che necessariamente produce per il contribuente (si vedano Ferrazzini c. Italia[GC], n. 44759/98, § 29, CEDU 2001 - VII, e, più di recente, Vegotex International S.A. c. Belgio [GC], n. 49812/09, § 66, 3 novembre 2022).
  2. Di conseguenza, la doglianza ai sensi dell’articolo 6 § 1 è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione.
  3. In ordine alla doglianza ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, la Corte ribadisce che la norma contenuta nel secondo paragrafo riserva espressamente agli Stati contraenti il diritto di approvare le leggi da essi ritenute necessarie per assicurare il pagamento delle imposte.
  4. Con riguardo all’osservazione dei ricorrenti secondo la quale in conformità al diritto interno essi avrebbero potuto chiedere la restituzione fino al 60% delle somme versate anche se a loro giudizio dovevano avere diritto alla completa restituzione di tali somme, la Corte osserva che ai sensi del diritto interno non esiste un interesse patrimoniale alla completa restituzione di dette somme in quanto tale. Suddetta doglianza, pertanto, in linea generale, è da ritenersi incompatibile ratione materiae con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 (Zhigalev c. Russia, n. 54891/00, § 131, 6 lugli 2006). Comunque, anche assumendo che si applichi tale disposizione, la doglianza è in ogni caso irricevibile in quanto manifestamente infondata, poiché la materia rientra nell’ampio margine di discrezionalità goduto dagli Stati contraenti quando si tratta di formulare e attuare una politica fiscale (si vedano Stere e altri c. Romania, n. 25632/02, § 51, 23 febbraio 2006, e “Bulves” AD c. Bulgaria, n. 3991/03, § 63, 22 gennaio 2009; si veda altresì la giurisprudenza citata al paragrafo 154 supra).
  5. La doglianza ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 è pertanto irricevibile ai sensi dell’articolo 35 § 3 lettera a) della Convenzione e deve essere rigettata ai sensi dell’articolo 35 § 4 della stessa.
  6. Infine, la Corte ribadisce che l’articolo 13 non sia applica qualora non sussista una pretesa sostenibile (si veda Balsamo c. San Marino, nn. 20319/17 e 21414/17, § 77, 8 ottobre 2019 e la giurisprudenza ivi citata). Così come affermato sopra, le doglianze ai sensi dell’articolo 6 § 1 e dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, sono irricevibili rispettivamente ratione materiae e per manifesta infondatezza, conseguentemente i ricorrenti non vantano una pretesa sostenibile ai sensi della Convenzione e nel caso di specie non è applicabile l’articolo 13 in combinato disposto con le suddette disposizioni.
  7. Di conseguenza la doglianza ai sensi dell’articolo 13 è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 lettera a) e deve essere rigettata conformemente all’articolo 35 § 4.

B. Sulle restanti doglianze

  1. Invocando l’articolo 14 in combinato disposto con gli articoli 2 e 8 della Convenzione, i ricorrenti hanno lamentato che, in quanto residenti della regione Campania, avevano goduto di un grado di tutela dei summenzionati diritti convenzionali inferiore a quello goduto da coloro che risiedevano altrove.
  2. La Corte osserva che la doglianza non è suffragata né corroborata da alcuna prova ed è pertanto manifestamente infondata.

C. Conclusione

  1. Conseguentemente il resto del ricorso deve essere rigettato in quanto irricevibile ai sensi dell’articolo 35 § 3 lettera a) e § 4 della Convenzione

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

  1. L’articolo 41 della Convenzione recita:

“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”

A. Danno

  1. I ricorrenti hanno chiesto 50.000 euro (EUR) per il danno non patrimoniale.
  2. Il Governo si è opposto.
  3. Alla luce delle circostanze del caso di specie, la Corte ritiene che la constatazione delle violazioni della Convenzione costituisca un’equa soddisfazione sufficiente per il danno non patrimoniale.

B. Spese

  1. I ricorrenti hanno chiesto inoltre EUR 28.492,95 per le spese sostenute dinanzi alla Corte.
  2. Il Governo ha contestato la richiesta.
  3. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente ha diritto al rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, tenuto conto della documentazione in suo possesso e dei criteri di cui sopra, la Corte ritiene appropriato accordare congiuntamente ai ricorrenti la somma di EUR 5.000 per il procedimento dinanzi alla Corte, oltre l’importo eventualmente da essi dovuto a titolo di imposta.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso irricevibile per quanto riguarda i ricorrenti elencati ai numeri 2-4, 7 e 15-18 dell’appendice;
  2. Dichiara ricevibili le doglianze dei restanti ricorrenti ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione e irricevibile il resto del ricorso;
  3. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione in relazione alla gestione dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti nel periodo compreso tra l’11 febbraio 1994 e il 31 dicembre 2009;
  4. Ritiene che non vi sia stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione in relazione alla gestione dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti nel periodo decorrente dal 1° gennaio 2010:
  5. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione sotto il profilo sostanziale in relazione alla mancata adozione da parte delle autorità italiane delle misure necessarie a tutelare il diritto dei ricorrenti al rispetto della vita privata in connessione con l’inquinamento ambientale causato dal sito della discarica di “Lo Uttaro”;
  6. Ritiene che non vi sia stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione sotto il profilo procedurale in relazione all’asserita mancata comunicazione ai ricorrenti da parte delle autorità italiane di informazioni circa l’inquinamento ambientale causato dal sito della discarica di “Lo Uttaro”;
  7. Ritiene che la constatazione di violazione costituisca di per sé equa soddisfazione sufficiente per il danno non patrimoniale subito dai ricorrenti;
  8. Ritiene
    1. che lo Stato convenuto debba versare ai ricorrenti congiuntamente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, la somma di EUR 5.000 (cinquemila euro), oltre l’importo eventualmente da essi dovuto a titolo di imposta, per le spese;
    2. che a decorrere da detto termine e fino al versamento tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
  9. Rigetta la domanda di equa soddisfazione dei ricorrenti per il resto.

Fatta in inglese e notificata per iscritto il 19 ottobre 2023, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Cancelliere
Renata Degener

Presidente
Marko Bošnjak
 

APPENDICE

Elenco dei ricorrenti:
 

N.

Nominativo del ricorrente

Anno di nascita

Luogo di residenza

1.

Loredana LOCASCIA

1972

San Nicola La Strada

2.

Guido ANTUONO

1951

Caserta

3.

Tiziana ANTUONO

1949

Caserta

4.

Laura BALDELLI

1945

Caserta

5.

Mariano DE MATTEIS

1947

San Nicola La Strada

6.

Anna Maria DI LILLO

1947

San Nicola La Strada

7.

Rosa GUERRIERO

1947

Caserta

8.

Alfredo IMPARATO

1971

San Nicola La Strada

9.

Vincenzo LAVORETANO

1953

San Nicola La Strada

10.

Renato LOCASCIA

1947

Caserta

11.

Daniele ORLANDO

1982

San Nicola La Strada

12.

Francesco Antonio ORLANDO

1943

San Nicola La Strada

13.

Michele ORLANDO

1972

San Nicola La Strada

14.

Vincenzo ORLANDO

1982

San Nicola La Strada

15.

Cinzia PANARO

1955

Caserta

16.

Giuseppe PETRELLA

1943

Caserta

17.

Pasquale PETRELLA

1941

Caserta

18.

Francesco SCOLASTICO

1948

Caserta

19.

Domenico TAGLIAFIERRO

1970

Caserta