Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 9 novembre 2023 - Ricorso n. 17378/20 - Causa Riela c. Italia


© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla dott.ssa Silvia Canullo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA RIELA c. ITALIA

(Ricorso n. 17378/20)

SENTENZA

STRASBURGO

9 novembre 2023


La presente sentenza è definitiva ma può subire modifiche di forma.

Nella causa Riela c. Italia,

la Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in un Comitato composto da:

Péter Paczolay, Presidente,
Ivana Jelić,
Raffaele Sabato, giudici,
e Liv Tigerstedt, cancelliere aggiunto di Sezione,

visto il ricorso (n. 17378/20) proposto contro la Repubblica italiana con il quale, in data 28 aprile 2020, un cittadino italiano, il sig. Francesco Riela (“il ricorrente”), nato nel 1956 e detenuto a Napoli, rappresentato dagli avvocati R. Ghini del foro di Modena e P. Di Credico del foro di Reggio Emilia, ha adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”);

vista la decisione di comunicare le doglianze sollevate ai sensi degli articoli 2 e 3 della Convenzione al Governo italiano (“il Governo”), rappresentato dal suo agente, il Sig L. D’Ascia;

vista la decisione di concedere priorità al ricorso (articolo 41 del Regolamento della Corte);

viste le osservazioni delle parti;

dopo aver deliberato in camera di consiglio in data 17 ottobre 2023,

pronuncia la seguente sentenza adottata in tale data:

OGGETTO DELLA CAUSA

  1. La causa concerne la perdurante detenzione in carcere del ricorrente nonostante le sue molteplici patologie e il rischio di contrarre il virus COVID-19, nonché le cure mediche prestategli durante la detenzione.
  2. Il ricorrente, di anni 67, sta scontando l’ergastolo nel carcere napoletano di Secondigliano, a seguito della condanna per appartenenza a un’associazione a delinquere di stampo mafioso, omicidio e detenzione illegale di armi. È recluso dal 26 giugno 1998.
  3. Il ricorrente è affetto da numerose patologie, in particolare da grave apnea ostruttiva del sonno, obesità, diabete di tipo 2 e cardiopatia ipertensiva.
  4. In data 31 dicembre 2018, egli presentò una richiesta al Tribunale di sorveglianza di Napoli (in prosieguo “il Tribunale di sorveglianza”) affinché l’esecuzione della sua pena detentiva fosse sospesa o sostituita dalla detenzione domiciliare. Due perizie di parte concludevano che il suo stato di salute era incompatibile con la detenzione in carcere e segnalavano notevoli ritardi nella fornitura di un apparecchio CPAP (un ventilatore utilizzato nel trattamento dell’apnea notturna), nonché nell’esecuzione di altre visite e terapie.
  5. In data 10 aprile 2019, il Tribunale di sorveglianza rigettò la richiesta del ricorrente, tale decisione fu però successivamente annullata dalla Corte di Cassazione e la causa fu rinviata dinanzi al tribunale inferiore.
  6. In data 17 aprile 2020, il ricorrente presentò una richiesta urgente al magistrato di sorveglianza di Napoli motivata dal rischio posto dall’epidemia di COVID-19. Non sono state fornite informazioni sugli esiti di tale procedimento.
  7. In data 27 aprile 2020, il ricorrente presentò una richiesta alla Corte affinché, ai sensi dell’articolo 39 del Regolamento della Corte, indicasse misure provvisorie. La Corte (il giudice di turno) chiese al Governo di fornire una perizia predisposta da un medico indipendente.
  8. Il Governo presentò una perizia redatta da D.F., un perito nominato dall’amministrazione sanitaria regionale. La perizia, datata 29 giugno 2020, dichiarava che lo stato di salute del ricorrente era compatibile con la detenzione in carcere, la sua vita non era in pericolo, e le sue patologie erano curate in maniera adeguata. Tuttavia essa individuò alcune carenze nelle cure prestategli che, benché non mettessero in pericolo la vita del ricorrente, erano fonte di preoccupazione e disagio. In particolare, il perito osservò che il ricorrente dal 2018 era in attesa di un ventilatore CPAP, che gli era necessario a causa delle apnee notturne delle quali soffriva. Inoltre sin da giugno 2019 erano stati richiesti esami endoscopici per la sua poliposi e un intervento chirurgico su una fistola che ancora non erano stati eseguiti.
  9. Nel frattempo, i rapporti medici penitenziari indicavano che le condizioni del ricorrente erano stabili e che egli aveva accesso alle cure necessarie, mentre le perizie di parte avevano sottolineato che il suo stato di salute era incompatibile con la detenzione in carcere.
  10. In data 7 luglio 2020, la Corte (il giudice di turno) rigettò la richiesta di misure provvisorie del ricorrente.
  11. In data 22 luglio 2020, basandosi sui rapporti medici penitenziari e sulla perizia di D.F., il tribunale di sorveglianza ritenne che lo stato di salute del ricorrente fosse compatibile con la detenzione in carcere e rigettò la sua richiesta. Tuttavia, al fine di affrontare le carenze individuate da D.F., dispose il suo ricovero temporaneo in ospedale. Il successivo ricorso dinanzi alla Corte di cassazione fu rigettato in data 18 ottobre 2021.
  12. Il ricorrente rimase ricoverato sino al 3 settembre 2020 quando fu dimesso e riportato in carcere.
  13. Dopo il suo ritorno in carcere il ricorrente seguitò a lamentare l’assenza di trattamenti di follow-up, e in particolare la mancata calibrazione dell’apparecchio CPAP e presentò una nuova richiesta di detenzione domiciliare al tribunale di sorveglianza, nonché una nuova richiesta ai sensi dell’articolo 39, che fu rigettata dalla Corte (dal giudice di turno) il 18 dicembre 2020.
  14. In data 11 maggio 2021, al ricorrente fu somministrata la prima dose del vaccino contro il virus COVID-19.
  15. In data 16 novembre 2022, il Tribunale di sorveglianza rigettò la nuova richiesta di detenzione domiciliare del ricorrente, confermando che egli poteva essere adeguatamente curato in carcere. Al contempo ordinò all’amministrazione del penitenziario di fissare una visita pneumologica e di provvedere alla calibrazione dell’apparecchio CPAP.
  16. Secondo il referto emesso il 9 dicembre 2022 in occasione della visita pneumologica, il ricorrente non tollerava e quindi non utilizzava l’apparecchio CPAP, che gli era stato fornito nel 2021. L’ospedale chiese maggiori informazioni e l’esecuzione di ulteriori controlli al fine di ricominciare il trattamento dei problemi respiratori del ricorrente.
  17. Il ricorrente ha lamentato, ai sensi degli articoli 2 e 3 della Convenzione, di non ricevere cure adeguate per le sue patologie e di essere stato esposto a gravi rischi per la sua vita e per la sua salute, in particolare in relazione al virus COVID-19, nonché di aver subito ritardi nell’esecuzione delle visite specialistiche e nella fornitura di un apparecchio CPAP funzionante. Ha lamentato inoltre l’assenza di una valutazione medica tempestiva e indipendente.

LA VALUTAZIONE DELLA CORTE

  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 2 DELLA CONVENZIONE
  1. I principi pertinenti relativi all’applicabilità dell’articolo 2 nei casi in cui il ricorrente è ancora in vita sono stati recentemente riassunti e applicati in una causa collegata al virus COVID-19 ovvero nella decisione Fenech c. Malta (n. 19090/20, §§ 103-07, 1° marzo 2022).
  2. In ordine ai rischi potenziali posti, in generale, dalle patologie del ricorrente, la Corte osserva che secondo la perizia di D.F. la sua vita non era in pericolo (si veda il paragrafo 8 supra). Tali conclusioni sono in linea con tutti i rapporti medici penitenziari e il ricorrente non ha fornito alcun elemento concreto per confutarle.
  3. In ordine ai rischi connessi al virus COVID-19, la Corte osserva che le autorità italiane hanno adottato misure urgenti per la riduzione della popolazione carceraria e specifiche misure di prevenzione per le carceri, quali periodi di quarantena per i nuovi arrivati, l’isolamento dei detenuti sintomatici, la fornitura di dispositivi di protezione al personale e di mascherine e gel igienizzante ai detenuti. Quanto alla situazione specifica del ricorrente, la Corte prende atto delle sue patologie che, come riconosciuto dall’amministrazione del penitenziario nella nota del 30 aprile 2020, lo esponevano a un grave rischio di complicanze in caso di contagio da coronavirus. Prende però anche atto del fatto che, a causa della sua fragilità di salute, egli era stato collocato in una cella singola e non aveva contratto la malattia. Inoltre l’11 maggio 2021 gli era stata data la possibilità di vaccinarsi contro il virus COVID-19 (si veda il paragrafo 14 supra).
  4. Alla luce di quanto suesposto, la Corte conclude che il ricorrente non ha dimostrato con prove sufficienti che le autorità interne non lo avevano protetto dal rischio di contrarre il virus COVID-19 né che perciò egli era stato esposto a un grave rischio di morte.
  5. Segue che tale doglianza è manifestamente infondata e deve essere rigettata in conformità all’articolo 35 § 3 lettera a) e § 4 della Convenzione.
  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
  1. Sulla ricevibilità
  1. Il Governo ha contestato la ricevibilità del ricorso in ragione del mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, sottolineando che quando esso era stato presentato, era in corso un procedimento interno. Ha sostenuto inoltre che il ricorrente avrebbe dovuto promuovere un’azione risarcitoria ai sensi degli articoli 2043 e 2051 del codice civile italiano.
  2. In ordine al primo rilievo, la Corte osserva che un ricorso non può essere dichiarato irricevibile per mancato esaurimento qualora il ricorso interno sia giunto alla fase finale prima che la Corte determini la questione della ricevibilità (si veda Molla Sali c. Grecia [GC], n. 20452/14, § 90, 19 dicembre 2018). Dato che il procedimento interno è terminato a seguito della decisione della Corte di cassazione del 18 ottobre 2021 (si veda il paragrafo 11 supra), la Corte rigetta l’eccezione del Governo.
  3. In ordine al rimedio previsto dall’articolo 2043 del codice civile italiano, la Corte ha già riscontrato che non è effettivo, giacché il Governo non ha saputo dimostrare che esso era stato utilizzato con successo in circostanze analoghe (si veda, mutatis mutandis, Sy c. Italia, n. 11791/20, § 147, 24 gennaio 2022); in assenza di prove concrete del contrario, la Corte non vede motivo di discostarsi da tale conclusione. Quanto all’articolo 2051 del codice civile italiano, il Governo non ha affatto spiegato perché dovrebbe essere applicabile al caso di specie.
  4. La Corte, pertanto, rigetta l’eccezione del Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.
  5. Poiché doglianza non è manifestamente infondata né incorre negli altri motivi di irricevibilità elencati dall’articolo 35 della Convenzione, deve essere dichiarata ricevibile.
  1. Sul merito
  1. I principi generali concernenti l’obbligo di preservare la salute e il benessere dei detenuti, in particolare mediante prestazione delle cure mediche necessarie, sono stati riassunti nella causa Rooman c. Belgio ([GC], n. 18052/11, §§ 144-48, 31 gennaio 2019). Nello specifico, la Corte tiene conto: a) delle condizioni del detenuto e degli effetti su quest’ultimo delle modalità della sua detenzione, b) della qualità delle cure prestate e c) della opportunità o meno di continuare la detenzione del ricorrente dato il suo stato di salute (si vedano Potoroc c. Romania, n. 37772/17, § 63, 2 giugno 2020, e Contrada c. Italia (n. 2), n. 7509/08, § 78, 11 febbraio 2014).
  2. In ordine al primo aspetto, sebbene il ricorrente soffra di diversi problemi di salute, a parte alcune affermazioni generiche contenute nelle perizie di parte prodotte dal ricorrente, non vi sono prove che le sue patologie siano peggiorate per effetto delle condizioni della sua detenzione.
  3. Inoltre, secondo la perizia di D.F. le condizioni di salute del ricorrente erano compatibili con la detenzione in carcere (si veda il paragrafo 8 supra).
  4. A tale proposito, le affermazioni del ricorrente circa la mancanza di indipendenza di D.F. non convincono la Corte. Il semplice fatto che un consulente sia dipendente di una struttura sanitaria pubblica non basta a giustificare il timore che egli non sia in grado di agire con neutralità e imparzialità (si vedano, nel contesto dell’articolo 6 della Convenzione, Hamzagić c. Croazia, n. 68437/13, § 46, 9 dicembre 2021, e Letinčić c. Croazia, n. 7183/11, § 62, 3 maggio 2016).
  5. Nel caso di specie, la Corte osserva che D.F. non aveva legami personali o professionali con l’amministrazione del penitenziario il cui direttore, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, aveva semplicemente chiesto all’amministrazione sanitaria di nominare un consulente, senza occuparsi della sua selezione. Inoltre, sebbene D.F. sia un dipendente dell’amministrazione sanitaria regionale, lo stesso soggetto incaricato di provvedere alle cure mediche nel carcere in questione, non vi sono indizi di legami professionali o di altro tipo tra lui e il personale medico che opera nel carcere di Secondigliano a Napoli.
  6. Pertanto, in assenza di concrete prove contrarie, la Corte non vede motivo di mettere in dubbio le conclusioni di D.F. circa la compatibilità dello stato di salute del ricorrente con il proseguimento della sua detenzione in carcere.
  7. In ordine alla qualità delle cure prestate, il ricorrente ha lamentato alcuni ritardi nelle terapie e nell’esecuzione di un intervento chirurgico e, in particolare, il fatto di non avere tempestivamente ricevuto un apparecchio CPAP, la cui calibrazione non era stata peraltro poi eseguita, e di non essere stato sottoposto a controlli di follow-up.
  8. La Corte osserva che sia la perizia di D.F. che l’ultimo referto ospedaliero indicano che, nel periodo compreso tra il 2018 e il 2021, vi sono stati ritardi significativi nel fornire al ricorrente l’apparecchio CPAP e nel sottoporlo ad alcune visite e terapie, in particolare agli esami endoscopici per la sua poliposi e all’intervento chirurgico su una fistola (si vedano i paragrafi 8 e 16 supra). Il ricorrente ha lamentato inoltre ulteriori ritardi nella calibrazione dell’apparecchio CPA e nello svolgimento dei controlli di follow-up, che il Governo non ha specificamente negato.
  9. Infine, tenuto conto della durata dei ritardi e del fatto che essi riguardavano la cura di patologie che, benché non pericolose per la vita, erano tuttavia numerose e di una certa gravità (si vedano i paragrafi 3e 8 supra), la Corte non condivide il giudizio del Governo secondo il quale esse costituivano dei semplici inconvenienti.
  10. La Corte ritiene, pertanto, che il ricorrente non abbia ricevuto cure mediche tempestive e adeguate mentre era detenuto. Vi è stata perciò violazione dell’articolo 3 della Convenzione.

SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

  1. Il ricorrente ha chiesto 50.000 euro (EUR) per il danno non patrimoniale, e 5.400 euro (EUR) per le spese.
  2. Il Governo ha sostenuto che le pretese del ricorrente non erano suffragate ed erano eccessive.
  3. La Corte accorda al ricorrente la somma di EUR 8.000 per il danno non patrimoniale, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta.
  4. Tenuto conto della documentazione in suo possesso, e osservando che essa ha riscontrato soltanto la violazione dell’articolo 3 della Convenzione, la Corte ritiene appropriato accordare per le spese la somma di EUR 3.000 che copre tutte le voci di spesa, oltre l’importo eventualmente dovuto dal ricorrente a titolo di imposta.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÁ,

  1. Dichiara ricevibile la doglianza sollevata ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione e irricevibile il resto del ricorso;
  2. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione;
  3. Ritiene
    1. che lo Stato convenuto debba versare al ricorrente, entro tre mesi, le seguenti somme:
      1. EUR 8.000 (euro ottomila), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno non patrimoniale;
      2. EUR 3,000 (euro tremila), oltre l’importo eventualmente dovuto dal ricorrente a titolo di imposta, per le spese;
    2. che a decorrere da detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta la domanda di equa soddisfazione del ricorrente per il resto.

Fatta in inglese e notificata per iscritto il 9 novembre 2023, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Péter Paczolay
Presidente

Liv Tigerstedt
Cancelliere aggiunto