Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 26 ottobre 2023 - Ricorso n. 2731/14 - Causa La Spada c. Italia

 

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC.
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA LA SPADA c. ITALIA

(Ricorso n. 2731/14)

SENTENZA

STRASBURGO

26 ottobre 2023

La presente sentenza è definitiva ma può subire modifiche di forma.

Nella causa La Spada c. Italia,

la Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in un Comitato composto da:

Péter Paczolay, Presidente,
Gilberto Felici,
Raffaele Sabato, giudici,
e Liv Tigerstedt, cancelliere aggiunto di Sezione,

visto il ricorso (n. 2731/14) presentato nei confronti della Repubblica italiana con il quale, in data 16 dicembre 2013, un cittadino italiano, il Sig. Attilio La Spada, nato nel 1948 e residente a Milazzo (“il ricorrente”), che è stato rappresentato dagli avvocati G. Romano ed E. Lizza, del Foro di Roma, ha adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”);

vista la decisione di comunicare il ricorso al Governo italiano (“il Governo”), rappresentato dalla sua ex co-Agente, Sig.ra P. Accardo;

viste le osservazioni delle parti;

dopo avere deliberato in camera di consiglio in data 3 ottobre 2023,

pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

L’OGGETTO DEL CASO DI SPECIE

  1. La causa concerne la privazione subita dal ricorrente del suo terreno mediante l’applicazione da parte dei tribunali nazionali della norma relativa all’espropriazione indiretta (accessione invertita o occupazione acquisitiva), nonché la mancata esecuzione delle decisioni dei tribunali nazionali rese a tale riguardo.
  2. Il ricorrente era proprietario di un lotto di terreno sito nel Comune di Milazzo, distinto nel catasto dei terreni al foglio n. 12, con particelle nn. 39, 47, 408 e 410. Il piano regolatore generale del 1989 aveva destinato il terreno a uso agricolo ed esso era utilizzato a fini agricoli.
  3. In data 8 giugno 1988, il Comune approvò un progetto per la costruzione di una strada. In data 30 gennaio 1990, il Comune autorizzò l’immediata occupazione di parte del terreno del ricorrente al fine della sua successiva espropriazione e, in data 6 aprile 1990, la società incaricata dei lavori di costruzione prese materialmente possesso di esso. Al momento della scadenza della dichiarazione di pubblica utilità, in data 8 giugno 1993, parte del terreno occupato era stato modificato irreversibilmente dai lavori di costruzione. In relazione a tale terreno, in data 30 dicembre 1996 fu emesso un formale decreto di espropriazione. Quanto al terreno rimanente, esso fu restituito al ricorrente in data 23 settembre 1993.
  4. Il ricorrente adì il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto con un’azione risarcitoria, sostenendo che l’occupazione del terreno fosse stata illegittima e chiedendo un indennizzo.
  5. Il Tribunale dispose una valutazione del terreno da parte di un perito indipendente. Il perito fornì diversi calcoli alternativi del suo valore venale: il primo, pari a 33.850 lire italiane (ITL) al metro quadro, teneva conto di un uso del terreno esclusivamente agricolo ed era basato sul prezzo di terreni vicini simili; le altre valutazioni, che erano notevolmente più elevate, erano basate sul potenziale edificatorio de facto del terreno o su altri usi alternativi.
  6. Con sentenza del 15 aprile 2003, il Tribunale ritenne che l’espropriazione fosse stata legittima e rigettò la richiesta del ricorrente. Il ricorrente propose appello avverso tale sentenza.
  7. Con sentenza del 6 marzo 2006, la Corte di appello di Messina annullò la precedente decisione e ritenne che parte del terreno del ricorrente fosse stata modificata irreversibilmente a seguito del completamento dei lavori pubblici. Conseguentemente, ai sensi della norma relativa all’espropriazione indiretta, il ricorrente aveva perso la proprietà del terreno in data 8 giugno 1993. Inoltre, la Corte di appello ammise che il ricorrente avesse diritto a un risarcimento per la perdita del suo bene.
  8. In ordine alla quantificazione del risarcimento, la Corte di appello sostenne che il terreno fosse destinato e utilizzato per l’agricoltura e che il ricorrente non avesse fornito alcuna prova di altri potenziali usi. La Corte di appello si basò quindi sull’importo indicato dal perito nominato in primo grado in relazione a un terreno agricolo e concesse un risarcimento per l’espropriazione pari a ITL 102.228,469, corrispondente a 52.796,69 euro (EUR), oltre alla rivalutazione per l’inflazione e gli interessi legali.
  9. Quanto all’indennizzo per l’indisponibilità del terreno, la Corte di appello non basò il suo calcolo sul valore venale del terreno come stimato sopra, bensì sul valore agricolo medio. Conseguentemente, essa concesse EUR 6.010,12, nonché gli interessi legali.
  10. La Corte di appello concesse infine EUR 17.562,90 per l’ulteriore danno causato alla rimanente parte del terreno ed EUR 11.020 per le spese.
  11. Il Comune presentò ricorso alla Corte di cassazione, contestando sia la conclusione secondo la quale l’espropriazione era stata illegittima che l’importo dell’indennizzo concesso. Il ricorso fu rigettato in data 8 agosto 2013.
  12. In data 8 novembre 2016, il Comune di Milazzo fu dichiarato insolvente. Conseguentemente, secondo le più recenti informazioni comunicate alla Corte, il ricorrente ha ricevuto soltanto l’importo di EUR 24.375,71, corrispondente all’indennità provvisoria per l’espropriazione, versata nel 2003, mentre la rimanente parte della sentenza della Corte di appello non è stata eseguita.
  13. Il ricorrente ha lamentato di essere stato privato illegittimamente del suo terreno in ragione dell’applicazione da parte dei tribunali nazionali della norma relativa all’espropriazione indiretta e di non avere ricevuto un adeguato indennizzo, in violazione dei suoi diritti di cui all’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione. Ha inoltre lamentato, ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 e dell’articolo 6 della Convenzione, la mancata esecuzione della decisione della Corte di appello di Messina del 6 marzo 2006 e l’impossibilità di instaurare un procedimento di esecuzione nei confronti del Comune di Milazzo.

LA VALUTAZIONE DELLA CORTE

  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELl’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 IN RELAZIONE ALL’ESPROPRIAZIONE
  1. Sulla ricevibilità
  1. Il Governo ha eccepito in ordine alla ricevibilità del presente ricorso per due motivi.
  2. Innanzitutto, esso ha sostenuto che il ricorrente non avesse esaurito le vie di ricorso interne, in quanto egli non aveva impugnato la decisione della Corte di appello di Messina dinanzi alla Corte di cassazione.
  3. La Corte ha precedentemente rigettato osservazioni simili nel contesto di cause relative all’espropriazione indiretta (si veda Ucci c. Italia, n. 213/04, §§ 83-86, 22 giugno 2006) e, nel caso di specie, non riscontra alcun motivo per ritenere diversamente.
  4. Il Governo ha inoltre sostenuto che il ricorrente avesse ottenuto un sufficiente risarcimento a livello nazionale e avesse quindi perso la qualità di vittima.
  5. Il ricorrente ha affermato di essere tuttora vittima della violazione dei suoi diritti di proprietà in quanto non aveva ottenuto un sufficiente risarcimento. Ha sostenuto, in particolare, che la Corte di appello si fosse basata sul valore agricolo medio piuttosto che sul valore venale del terreno indicato dal perito nominato dal tribunale.
  6. I criteri pertinenti per determinare il danno patrimoniale nei casi di espropriazione indiretta sono stati esposti nella sentenza Guiso-Gallisay c. Italia ((equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, §§ 105-07, 22 dicembre 2009). In particolare, la Corte ha ritenuto che i ricorrenti avessero diritto a un risarcimento economico sia per la perdita del bene che per la perdita di opportunità cagionata dall’indisponibilità del terreno durante il periodo di occupazione legittima.
  7. Nel caso di specie, per quanto riguarda la perdita del bene, la Corte osserva che l’indennizzo concesso dalla Corte di appello di Messina era basato su uno dei valori alternativi proposti dal perito, che corrispondeva a un uso esclusivamente agricolo del terreno (si veda il paragrafo 8 supra). In primo luogo, la Corte ritiene che la scelta di basarsi sul valore corrispondente a un terreno agricolo non fosse irragionevole. Infatti, il terreno del ricorrente era destinato e utilizzato per l’agricoltura (si veda il paragrafo 2 supra) e il ricorrente non sostiene che esso avesse un uso alternativo. In secondo luogo, la Corte osserva che la valutazione del perito non era basata sul valore agricolo medio del terreno, bensì piuttosto su una comparazione con il valore venale di terreni vicini aventi caratteristiche simili (si veda il paragrafo 5 supra). La Corte ammette pertanto che la somma accordata dalla Corte di appello di Messina in relazione alla perdita del bene rispecchiasse il valore venale del terreno (si veda, a contrario, Preite c. Italia, n. 28976/05, § 51, 17 novembre 2015).
  8. Tuttavia, il tribunale nazionale si era basato sul valore agricolo medio per la determinazione dell’indennizzo in relazione all’indisponibilità del terreno durante il periodo di occupazione legittima (si veda il paragrafo 9 supra).
  9. A tale riguardo, la Corte ha già ritenuto che l’indennizzo per l’indisponibilità del terreno dovrebbe essere basato, in via di principio, sul suo valore venale (si veda, mutatis mutandis, Luigi Serino c. Italia (n. 3), n. 21978/02, § 39, 12 ottobre 2010). In aggiunta, la Corte ha ritenuto anche che la concessione di un indennizzo basato sul valore agricolo medio non abbia alcun ragionevole rapporto con il valore venale del terreno, in quanto non tiene conto delle sue reali caratteristiche (Preite, sopra citata, § 51).
  10. Date le circostanze, la Corte ritiene che il ricorrente non abbia ricevuto un adeguato e sufficiente risarcimento per la violazione lamentata.
  11. Conseguentemente, la Corte rigetta le eccezioni preliminari del Governo e, poiché la doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3, lettera a) della Convenzione e non incorre in alcun altro motivo di irricevibilità, la dichiara ricevibile.
  1. Sul merito
  1. La Corte osserva che il ricorrente era stato privato del suo bene mediante l’espropriazione indiretta o “acquisitiva”, ingerenza nel diritto al pacifico godimento dei beni che la Corte ha precedentemente ritenuto, in un notevole numero di cause, incompatibile con il principio di legittimità, dando luogo alla constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (si vedano, tra numerosi altri precedenti, Carbonara e Ventura c. Italia, n. 24638/94, §§ 63-73, CEDU 2000‑VI, e, quale precedente più recente, Messana c. Italia, n. 26128/04, §§ 38-43, 9 febbraio 2017).
  2. Nel caso di specie, dopo avere esaminato tutto il materiale che le è stato presentato e le osservazioni formulate dal Governo, la Corte non ha riscontrato alcun fatto o argomento in grado di persuaderla a pervenire a una differente conclusione.
  3. Segue che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n.1 alla Convenzione.
  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 E DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVZIONE IN RELAZIONE ALLA MANCATA ESECUZIONE DELLE DECISIONI NAZIONALI
  1. Il Governo eccepisce riguardo alla ricevibilità della doglianza a causa del mancato esaurimento, osservando che il ricorrente avrebbe potuto avviare un procedimento finalizzato all’esecuzione della decisione della Corte di appello di Messina almeno fino al 2013, quando era stata emessa la prima dichiarazione di insolvenza del Comune di Milazzo.
  2. A tale riguardo, la Corte ricorda che una persona che ha ottenuto un titolo esecutivo nei confronti dello Stato non può essere obbligata a ricorrere a un procedimento di esecuzione affinché esso sia eseguito (si vedano, per esempio, Ventorino c. Italia, n. 357/07, § 28, 17 maggio 2011, e Metaxas c. Grecia, n. 8415/02, § 19, 27 maggio 2004). La Corte rigetta pertanto l’eccezione sollevata dal Governo.
  3. Poiché la doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo35 § 3, lettera a) della Convenzione e non incorre in alcun altro motivo di irricevibilità, essa deve essere dichiarata ricevibile.
  4. Quanto al merito della doglianza, la Corte osserva che, secondo la decisione della Corte di appello di Messina, il ricorrente aveva diritto a ricevere importi specifici a titolo di risarcimento e di spese e che, secondo le più recenti informazioni comunicate alla Corte, il Comune di Milazzo non ha saldato il suo debito.
  5. Nelle cause esemplari De Luca Italia (n. 43870/04, §§ 50-56, 24 settembre 2013), Pennino c. Italia (n. 43892/04, §§ 54-60, 24 settembre 2013) e Ventorino (sopra citata, §§ 24-31) la Corte ha già riscontrato la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 e dell’articolo 6 in relazione a questioni simili a quelle di cui al caso di specie.
  6. Dopo avere esaminato tutto il materiale che le è stato presentato, la Corte non ha riscontrato alcun fatto o argomento in grado di persuaderla a pervenire a una differente conclusione.
  7. La Corte ritiene pertanto che vi sia stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 e dell’articolo 6 della Convenzione.
  1. SULL’ALTRA DOGLIANZA
  1. Il ricorrente ha inoltre lamentato ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione l’impossibilità di instaurare un procedimento di esecuzione nei confronti del Comune di Milazzo. Visti i fatti oggetto della causa, le osservazioni presentate dalle parti e le sue conclusioni di cui sopra, la Corte ritiene di avere trattato le principali questioni giuridiche sollevate dalla causa e che non vi sia la necessità di esaminare la ricevibilità e il merito della rimanente doglianza (si veda Centro per le risorse giuridiche nell’interesse di Valentin Câmpeanu c. Romania [GC], n. 47848/08, § 156, CEDU 2014).

SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

  1. Il ricorrente ha chiesto 579.116,72 euro (EUR) per il danno patrimoniale, EUR 50.000 per il danno non patrimoniale ed EUR 26.137 per le spese sostenute dinanzi alla Corte.
  2. Il Governo contesta le pretese in quanto eccessive.
  3. La Corte ha constatato la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 in ragione della violazione del principio di legittimità (si veda il paragrafo 26 supra). I criteri pertinenti per il calcolo del danno patrimoniale in cause relative all’espropriazione indiretta sono stati esposti nella sentenza Guiso-Gallisay (sopra citata, §§ 105-07).
  4. Alla luce delle sue considerazioni di cui sopra (si veda il paragrafo 20), la Corte non accorda alcuna somma per il danno patrimoniale derivante dalla perdita del bene. Essa accorda tuttavia un risarcimento patrimoniale per la perdita di opportunità derivante dall’indisponibilità del terreno a decorrere dall’inizio dell’occupazione legittima alla sua espropriazione o alla sua restituzione (si veda il paragrafo 3 supra). A tale riguardo, deliberando in via equitativa, essa accorda EUR 11.900, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta.
  5. La Corte ha inoltre constatato la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 e dell’articolo 6 della Convenzione in ragione della mancata esecuzione della decisione della Corte di appello di Messina. A tale riguardo, la Corte ribadisce che una sentenza in cui essa constata la violazione della Convenzione pone in capo allo Stato convenuto l’obbligo giuridico di fare cessare la violazione e di ripararne le conseguenze in modo tale da ripristinare nella misura possibile la situazione esistente precedentemente alla violazione (si veda Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 31107/96, § 32, CEDU 2000-XI). La Corte osserva pertanto che lo Stato convenuto ha un obbligo non assolto di fare rispettare la decisione della Corte di appello di Messina.
  6. La Corte accorda infine EUR 12.500 per il danno non patrimoniale ed EUR 6.000 per le spese, oltre l’importo eventualmente dovuto dal ricorrente a titolo di imposta.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara ricevibili le doglianze sollevate ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 e dell’articolo 6 della Convenzione relative all’espropriazione e alla mancata esecuzione della decisione nazionale;
  2. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione in relazione all’espropriazione;
  3. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 e dell’articolo 6 della Convenzione in relazione alla mancata esecuzione della decisione nazionale;
  4. Ritiene che non vi sia la necessità di esaminare la ricevibilità e il merito della rimanente doglianza;
  5. Ritiene
    1. che lo Stato convenuto debba versare al ricorrente, entro tre mesi, le seguenti somme:
      1. EUR 11.900 (euro undicimilanovecento), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno patrimoniale;
      2. EUR 12.500 (euro dodicimilacinquecento), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno non patrimoniale;
      3. EUR 6.000 (euro seimila), oltre l’importo eventualmente dovuto dal ricorrente a titolo di imposta, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza dei summenzionati tre mesi e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
  6. Rigetta la domanda di equa soddisfazione formulata dal ricorrente, per il resto.

Fatta in inglese e notificata per iscritto in data 26 ottobre 2023, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Péter Paczolay
Presidente

Liv Tigerstedt
Cancelliere aggiunto