Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 19 ottobre 2023 - Ricorso n. 20860/20 - Causa A.S. c. Italia

 

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

QUINTA SEZIONE

CAUSA A.S. c. ITALIA

(Ricorso n. 20860/20)

SENTENZA

STRASBURGO

19 ottobre 2023

La presente sentenza è definitiva ma può subire modifiche di forma.

 

Nella causa A.S. c. Italia,
la Corte europea dei diritti dell’uomo (Quinta Sezione), riunita in un Comitato composto da:
Stéphanie Mourou-Vikström, Presidente,
Lado Chanturia,
Mattias Guyomar, giudici,
e Sophie Piquet, cancelliere aggiunto di Sezione facente funzioni,
visto il ricorso (n. 20860/20) presentato contro la Repubblica italiana con il quale in data 15 maggio 2020 un cittadino tunisino, il Sig. A.S., che è nato e vive ad Agrigento (“il ricorrente”) e che è stato rappresentato dall’avvocatessa A. Brambilla, del Foro di Milano, ha adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”);
vista la decisione di comunicare il ricorso al Governo italiano (“il Governo”), rappresentato dal suo Agente, Sig. L. D’Ascia;
viste le osservazioni formulate dalle parti;

dopo avere deliberato in camera di consiglio in data 28 settembre 2023,
pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

L’OGGETTO DEL CASO DI SPECIE

  1. La causa concerne il trattenimento del ricorrente nel punto di crisi sito in Contrada Imbriacola, sull’isola di Lampedusa, e le inadeguate condizioni della sua permanenza. Il Centro di Soccorso e Prima Accoglienza – CSPA sito sull’isola di Lampedusa è stato individuato come uno dei punti di crisi italiani ai sensi dell’articolo 17 del Decreto-Legge 17 febbraio 2017 n. 13.
  2. Il ricorrente raggiunse la costa italiana in data 7 ottobre 2019 a bordo di un’imbarcazione di fortuna. Il giorno successivo fu trasferito nel punto di crisi di Lampedusa e in data 19 ottobre 2019 espresse il desiderio di presentare una domanda di asilo.
  3. Conseguentemente, in data 25 ottobre 2019 il ricorrente fu trasferito in un centro di accoglienza sito ad Agrigento e in pari data egli presentò una domanda di asilo.
  4. Con decisione del 29 ottobre 2019, la Sezione di Agrigento della Commissione territoriale di Palermo rigettò la domanda di asilo del ricorrente in quanto manifestamente infondata.
  5. La decisione fu notificata al ricorrente in data 2 novembre 2019. In pari data fu notificato al ricorrente un decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Agrigento, unitamente a un provvedimento emesso dal Questore di Agrigento che disponeva il trattenimento del ricorrente presso il Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) di Caltanissetta per il tempo necessario a eseguire il rimpatrio del ricorrente.
  6. In data 5 novembre 2019, il Giudice di pace di Caltanissetta declinò di convalidare il provvedimento di trattenimento in quanto incompetente e rinviò il caso al Tribunale ordinario di Caltanissetta. Il ricorrente lasciò pertanto il CPR.
  7. In data 21 novembre 2019 il ricorrente propose impugnazione del suo decreto di espulsione al Giudice di pace di Agrigento.
  8. Con decisione del 6 dicembre 2019 il Giudice di pace di Agrigento revocò per motivi procedurali il decreto di espulsione del ricorrente dall’Italia.

LA VALUTAZIONE DELLA CORTE

I. SULLE ECCEZIONI PRELIMINARI

  1. Il Governo ha sostenuto che il ricorrente non potesse affermare di essere una vittima in quanto nel suo caso non era avvenuta alcuna violazione delle disposizioni della Convenzione. In particolare, esso ha osservato che il ricorrente non era stato detenuto ai sensi dell’articolo 5 della Convenzione in quanto le misure di accoglienza cui era stato sottoposto nel punto di crisi di Lampedusa erano disciplinate dalla legge, vale a dire dagli articoli 8, 9, 10 e 12 del Decreto legislativo n. 142 del 2015. Inoltre, secondo il Governo, il ricorrente non era stato sottoposto ad alcun trattamento contrario all’articolo 3 della Convenzione.
  2. Il Governo ha inoltre sostenuto che il ricorrente non avesse esaurito le vie di ricorso interne disponibili. A suo avviso, ai sensi dell’articolo 10 § 2 del Decreto legislativo n. 142 del 2015, il ricorrente avrebbe potuto rivolgersi al Prefetto per ottenere un permesso temporaneo di lasciare il centro. In caso di rifiuto della domanda, egli avrebbe potuto impugnare la decisione pertinente dinanzi a un giudice civile. Il ricorrente poteva anche chiedere un provvedimento d’urgenza ai sensi dell’articolo 700 del Codice di procedura civile. In aggiunta, egli avrebbe potuto presentare ricorso ai tribunali amministrativi se la sua domanda al Prefetto non avesse ricevuto risposta.
  3. Inoltre, ai sensi dell’articolo 9, comma 4, del Decreto legislativo n. 142 del 2015, i migranti erano collocati nei “centri di prima accoglienza statali” per il tempo necessario alla loro identificazione. Secondo il Governo, dopo trenta giorni, il ricorrente avrebbe potuto presentare ricorso ai tribunali amministrativi.
  4. Il Governo ha sottolineato anche che il ricorrente avrebbe potuto presentare ricorso alla Corte di cassazione, ai sensi dell’articolo 14 del Decreto legislativo n. 286/1998, entro sessanta giorni dalla convalida da parte del giudice di pace del provvedimento che aveva disposto il suo trattenimento nel centro di identificazione ed espulsione.
  5. Il ricorrente poteva anche presentare un ricorso generale ai tribunali civili al fine della tutela dei suoi diritti fondamentali.
  6. Il ricorrente ha dissentito dalle eccezioni sollevate dal Governo. In ordine all’eccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, ha sottolineato di non avere avuto accesso all’assistenza legale.
  7. La Corte ritiene che l’eccezione del Governo relativa al difetto della qualità di vittima attenga alla sostanza delle doglianze del ricorrente. Decide pertanto di unire tale eccezione al merito della causa.
  8. In ordine all’eccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne la Corte riconosce che, benché ai sensi dell’articolo 10 § 2 del Decreto legislativo n. 142 del 2015, i richiedenti asilo potessero chiedere al Prefetto un permesso temporaneo per allontanarsi dal centro, il Governo non ha fornito alcuna informazione relativa all’accesso pratico del ricorrente all’assistenza legale al fine di presentare tale domanda all’epoca dei fatti. Dovrebbe essere osservato anche che l’articolo 9, comma 4, del Decreto legislativo n. 142 del 2015 (relativo ai “centri di prima accoglienza statali” e alla procedura in base alla quale un Prefetto può disporre la collocazione dei migranti un simile centro) e l’articolo 14 del Decreto legislativo n. 286/1998 (relativo al collocamento dei migranti nei centri di identificazione ed espulsione su disposizione del Capo della Polizia – Questore) non contengono misure chiaramente applicabili ai punti di crisi, che sono gli istituti lamentati dal ricorrente.
  9. Date le circostanze, l’eccezione del Governo deve essere respinta.
  10. La Corte osserva che il presente ricorso non è manifestamente infondato e non incorre in alcun altro motivo di irricevibilità elencato nell’articolo 35 della Convenzione. Deve pertanto essere dichiarato ricevibile, fatte salve le conclusioni della Corte relative alla qualità di vittima del ricorrente (si vedano i paragrafi 23 e 28 infra).

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE IN RELAZIONE ALLE CONDIZIONI MATERIALI DELLA PERMANENZA DEL RICORRENTE NEL PUNTO DI CRISI

  1. Il ricorrente ha lamentato ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione le condizioni materiali della sua permanenza nel punto di crisi di Lampedusa. Ha sottolineato che il centro era sovraffollato e ha lamentato le scadenti condizioni igieniche e il suo limitato accesso all’acqua calda e all’acqua potabile.
  2. Il ricorrente ha invocato, tra l’altro, la relazione del 2020 del Presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale al Parlamento italiano, che riferiva le condizioni materiali nel punto di crisi di Lampedusa nel 2019. In tale relazione era affermato che durante la visita del Garante del 23 novembre 2019 era emerso che quaranta migranti disponevano di due bagni, che i migranti dovevano condividere stanze che erano sovraffollate, eccessivamente calde o eccessivamente fredde e che le condizioni igieniche del centro erano inaccettabili.
  3. Il ricorrente ha presentato anche il rapporto del 2019 dell’organizzazione non governativa “Borderline Europe”, la cui parte pertinente recita come segue:

“Le condizioni sanitarie, organizzative e igieniche del punto di crisi di Lampedusa sono catastrofiche. Borderline Sicilia denuncia ripetutamente le condizioni inumane del punto di crisi. Al momento dell’arrivo dei migranti non è distribuita alcuna scheda telefonica per informare i parenti che essi sono sopravvissuti. I telefoni del centro sono guasti, le persone mangiano per terra o sui materassi e aspettano per ore la distribuzione del vitto. Le condizioni sanitarie del centro sono inumane e tutto ciò nonostante il fatto che in data 06/10/2019 l’amministrazione del centro sia cambiata un’altra volta. Il nuovo operatore Badia Grande è un’organizzazione che è stata presente in vari centri, dai punti di crisi ai CIE e ai CPR, e ha rilevato adesso la gestione organizzativa del punto di crisi. Borderline Sicilia ha ritenuto che questa gestione non sia migliore della precedente da parte di Facility Service e Nuova Generazione. Il punto di crisi è costantemente sovraffollato e non avviene quasi nessun trasferimento o perfino reinsediamento dei migranti.”

  1. La Corte osserva che nel caso di specie il ricorrente era rimasto nel punto di crisi di Lampedusa per diciotto giorni, dall’8 ottobre 2019 al 25 ottobre 2019.
  2. Visti gli elementi elencati sopra, presentati dal ricorrente, la Corte è convinta che, all’epoca in cui il ricorrente era stato collocato in tale luogo, il punto di crisi di Lampedusa fosse sovraffollato e le sue condizioni igieniche fossero inadeguate. Alla luce di quanto sopra, nonché delle sue conclusioni nella sentenza A. e altri c. Italia (n. 21329/18, 30 marzo 2023), la Corte rigetta l’eccezione del Governo riguardo all’asserito difetto della qualità di vittima da parte del ricorrente e conclude che il ricorrente sia stato sottoposto a un trattamento inumano e degradante durante la sua permanenza nel punto di crisi di Lampedusa, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione.

III. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 5 §§ 1, 2 E 4 DELLA CONVENZIONE

  1. Il ricorrente ha lamentato di essere stato privato della libertà durante la permanenza nel punto di crisi di Lampedusa, in assenza di una base giuridica chiara e accessibile e che era stato pertanto impossibile contestare la legittimità della privazione della libertà cui era stato sottoposto. Ha invocato l’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione.
  2. Le osservazioni formulate dalle parti riguardo alla presente doglianza sono le stesse di cui alla causa A. e altri (sopra citata, §§ 73-76).
  3. Tenendo presente che il ricorrente era stato collocato dalle autorità italiane nel punto di crisi di Lampedusa e vi era rimasto diciotto giorni senza una chiara e accessibile base giuridica per tale collocazione e in assenza di un provvedimento che indicasse i motivi del suo trattenimento, la Corte ritiene che il ricorrente sia stato privato arbitrariamente della libertà, in violazione della prima parte dell’articolo 5 § 1, lettera f) della Convenzione.
  4. In considerazione della conclusione di cui sopra relativa all’assenza di una chiara e accessibile base giuridica per il trattenimento del ricorrente, la Corte non vede come le autorità avrebbero potuto informare il ricorrente dei motivi giuridici della sua privazione della libertà o fornirgli sufficienti informazioni o permettergli di impugnare in un tribunale i motivi del suo trattenimento de facto (si veda Khlaifia e altri c. Italia [GC], n. 16483/12, §§ 117 e 132 e ss., 15 dicembre 2016).
  5. La Corte rigetta pertanto l’eccezione sollevata dal Governo relativa all’asserito difetto della qualità di vittima da parte del ricorrente, ritiene che l’articolo 5 della Convenzione sia applicabile e conclude che vi è stata violazione dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione.

IV. SULL’ALTRA DOGLIANZA

  1. Il ricorrente ha lamentato anche la violazione dell’articolo 13, in combinato disposto con l’articolo 3 della Convenzione.
  2. Visti i fatti oggetto della causa, le osservazioni delle parti e le sue conclusioni di cui sopra, la Corte ritiene di avere esaminato le principali questioni giuridiche sollevate nel presente ricorso. Ritiene pertanto che non vi sia la necessità di proseguire l’esame della rimanente doglianza del ricorrente (si veda Centro per le risorse giuridiche nell’interesse di Valentin Câmpeanu c. Romania [GC], n. 47848/08, § 156, CEDU 2014; si veda altresì Khlaifia, sopra citata, §§ 248-54).

SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

  1. Il ricorrente ha chiesto 20.000 euro (EUR) per il danno non patrimoniale ed EUR 6.432 per le spese sostenute dinanzi alla Corte.
  2. Il Governo ha contestato tali pretese.
  3. La Corte accorda al ricorrente EUR 5.000 per il danno non patrimoniale, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta.
  4. Vista la documentazione di cui è in possesso, la Corte ritiene ragionevole accordare EUR 4.000 per le spese del procedimento dinanzi alla Corte, oltre l’importo eventualmente dovuto dal ricorrente a titolo di imposta.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Unisce al merito le eccezioni preliminari del Governo relative al difetto della qualità di vittima da parte del ricorrente in relazione alle sue doglianze ai sensi dell’articolo 3 e dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione e all’applicabilità dell’articolo 5 della Convenzione e le rigetta;
  2. Dichiara ricevibili le doglianze relative all’articolo 3 e all’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione;
  3. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione;
  4. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione;
  5. Ritiene che non vi sia la necessità di esaminare le doglianze ai sensi dell’articolo 13 in combinato disposto con l’articolo 3 della Convenzione;
  6. Ritiene
    1. che lo Stato convenuto debba versare al ricorrente, entro tre mesi, le seguenti somme:
      1. EUR 5.000 (cinquemila euro), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno non patrimoniale;
      2. EUR 4.000 (quattromila euro), oltre l’importo eventualmente dovuto dal ricorrente a titolo di imposta, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza dei summenzionati tre mesi e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
  7. Rigetta la domanda di equa soddisfazione formulata dal ricorrente, per il resto.

Fatta in inglese e notificata per iscritto in data 19 ottobre 2023, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Stéphanie Mourou-Vikström
Presidente

Sophie Piquet
Cancelliere aggiunto facente funzioni