Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 31 agosto 2023 - Ricorso n. 71304/16 - Causa Shala c. Italia


© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla dott.ssa Silvia Canullo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA SHALA c. ITALIA

(Ricorso n. 71304/16)

SENTENZA

STRASBURGO

31 agosto 2023

La presente sentenza è definitiva ma può subire modifiche di forma.

Nella causa Shala c. Italia,

la Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in un Comitato composto da:

Péter Paczolay, Presidente,
Gilberto Felici,
Raffaele Sabato, giudici,
e Liv Tigerstedt, cancelliere aggiunto di Sezione,

visto il ricorso (n. 71304/16) proposto contro la Repubblica italiana con il quale, in data 23 novembre 2016, un cittadino kosovaro[1], il sig. Sami Shala (“il ricorrente”), nato nel 1963, detenuto a Saluzzo e rappresentato dall’avvocato M.S. Mori del foro di Milano, ha adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”);

vista la decisione di comunicare il ricorso al Governo italiano (“il Governo”) rappresentato dal suo agente, il sig. L. D’Ascia;

viste le osservazioni delle parti;

dopo aver deliberato in camera di consiglio in data 27 giugno 2023,

pronuncia la seguente sentenza adottata in tale data:

OGGETTO DELLA CAUSA

  1. Nel caso si specie si tratta di stabilire se il ricorrente, che è stato dichiarato latitante e processato in contumacia, abbia avuto un equo processo conforme all’articolo 6 §§ 1 e 3 della Convenzione, dato che nel procedimento riaperto dopo il suo arresto gli era stata negata la possibilità di esercitare alcuni diritti di difesa.
  2. In data 4 ottobre 1999, nell’ambito di un procedimento penale a carico del ricorrente per reati legati al traffico di sostanze stupefacenti, le autorità giudiziarie disponevano la custodia cautelare nei suoi confronti. Poiché il ricorrente, che gli atti delle indagini già indicavano essere residente a Bratislava in luogo ignoto, fu considerato irreperibile, in data 25 ottobre 1999 fu dichiarato latitante e gli fu assegnato un difensore d’ufficio.
  3. Il ricorrente fu processato in contumacia e condannato a ventisei anni di reclusione dal Tribunale di Milano con sentenza del 24 ottobre 2001, divenuta irrevocabile il 26 marzo 2002. Tutti gli atti processuali, compresa la sentenza, furono notificati al difensore del ricorrente.
  4. In data 28 agosto 2013, dopo essere stato arrestato dalla polizia albanese, il ricorrente fu estradato in Italia. Ai sensi dell’articolo 175 comma 2 del codice di procedura penale, applicabile all’epoca dei fatti, chiese la restituzione nel termine per impugnare la sentenza.
  5. La richiesta fu accolta ed egli propose appello avverso la sentenza, chiedendo, inter alia, la riapertura ab initio del procedimento, in quanto egli era stato dichiarato latitante nonostante non fosse a conoscenza del procedimento e non si fosse sottratto volontariamente ad esso. Inoltre egli eccepì l‘incompetenza territoriale dei tribunali di Milano e chiese, in ogni caso, di essere ammesso al rito abbreviato.
  6. Con sentenza del 27 ottobre 2014, la Corte di appello di Milano confermò la condanna di primo grado rigettando tutte le richieste del ricorrente. Ritenne che fosse stata dimostrata la volontà del ricorrente di sottrarsi al procedimento (egli era senza fissa dimora; alcune intercettazioni avevano dimostrato che era a conoscenza dell’arresto di altre persone coinvolte nel traffico di sostanze stupefacenti e che temeva di poter essere arrestato anche lui) e che egli non avesse diritto alla riapertura del procedimento ab initio. Ritenne inoltre che la richiesta di ammissione al rito abbreviato del ricorrente fosse fuori del termine e che il difensore d’ufficio avrebbe dovuto eccepire l’incompetenza territoriale al processo di primo grado.
  7. Con sentenza del 10 maggio 2016, depositata in cancelleria il 1° giugno 2016, la Corte di Cassazione confermò la sentenza della Corte di appello di Milano.
  8. Il ricorrente, ai sensi dell’articolo 6 §§ 1 e 3 della Convenzione, ha lamentato di essere stato condannato in contumacia, senza avere una possibilità reale ed effettiva di presentare la sua difesa dinanzi ai tribunali italiani. Nonostante fosse venuto a conoscenza del procedimento soltanto al momento dell’arresto, gli era stata negata la possibilità della riapertura ab initio del procedimento. Ha lamentato inoltre che, in ogni caso, non era stato sentito di persona e gli era stato negato il diritto di eccepire l’incompetenza territoriale e di essere processato con rito abbreviato.

LA VALUTAZIONE DELLA CORTE

  1. LA RICHIESTA DEL GOVERNO DI CANCELLARE IL RICORSO DAL RUOLO AI SENSI DELL’ARTICOLO 37 § 1 DELLA CONVENZIONE
  1. Il Governo ha presentato una dichiarazione unilaterale che non offre una base sufficiente per concludere che il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione non impone che la Corte prosegua l’esame della causa (articolo 37 § 1 in fine). La Corte rigetta la richiesta di cancellazione dal ruolo del ricorso presentata dal Governo e conseguentemente prosegue l’esame del merito della causa (si veda Tahsin Acar c. Turchia (questione preliminare) [GC],26307/95, § 75, CEDU 2003‑VI).
  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE
  1. Il diritto e la prassi interni pertinenti (in vigore all’epoca dei fatti) sono stati riassunti nella causa Huzuneanu c. Italia, n. 36043/08, §§ 27-32, 1° settembre 2016.
  2. La Corte osserva che la doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 lettera a) della Convenzione e che essa non incorre in altri motivi di irricevibilità. Deve pertanto essere dichiarata ricevibile.
  3. La Corte rinvia alle sue sentenze nelle cause Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, §§ 81-95, CEDU 2006‑II, e Huzuneanu, sopra citata, §47‑48, per un riassunto dei pertinenti principi applicabili al caso di specie.
  4. In applicazione di tali principi la Corte osserva che non è stato negato che il ricorrente sia stato processato in contumacia e che prima dell’arresto non avesse ricevuto comunicazioni ufficiali in merito alle accuse o alla data del processo. Non è stato neanche contestato il fatto che già durante le indagini preliminari era stato riscontrato che il ricorrente viveva fuori dell’Italia, in un luogo ignoto a Bratislava. Inoltre, al contrario di quanto sostenuto dal Governo nelle sue osservazioni, nel fascicolo non vi sono elementi che dimostrano in modo inequivocabile che il ricorrente era a conoscenza del procedimento nei suoi confronti e quindi aveva rinunciato al suo diritto a comparire in tribunale o aveva cercato di sottrarsi al processo. Invero, non si può ritenere che gli argomenti invocati dai tribunali interni per confermare la validità del decreto di latitanza (ovvero che il ricorrente era a conoscenza dell’arresto di altre persone coinvolte nel traffico di stupefacenti, che temeva semplicemente la possibilità di essere arrestato egli stesso, e che era senza fissa dimora) siano sufficienti a provare in modo inequivocabile che il ricorrente aveva cercato di sottrarsi al processo o aveva rinunciato al suo diritto a comparire (si veda Sejdovic, sopra citata, § 87).
  5. Stabilito ciò, la Corte deve quindi esaminare se il ricorrente, condannato in contumacia, abbia successivamente avuto l’effettiva possibilità di ottenere una rivalutazione del merito delle accuse a suo carico da parte di un tribunale che lo abbia sentito in ottemperanza ai suoi diritti di difesa (si vedano Sejdovic, sopra citata, 105, e Rizzotto c. Italia (n. 2), n. 20983/12, §§ 53-54, 5 settembre 2019).
  6. Nel caso di specie il ricorrente non ha avuto la possibilità di far riaprire il procedimento ab initio, ma soltanto di impugnare la sentenza di primo grado con tutte le limitazioni inerenti al procedimento di appello. Dal fascicolo non risulta alcuna attività di acquisizione di prove dinanzi alla Corte di appello né risulta che il ricorrente sua stato sentito di persona da tale corte. Gli è stato negato il diritto di eccepire l’incompetenza territoriale dei tribunali e di ottenere un processo con rito abbreviato, diritti che egli avrebbe potuto esercitare se fosse stato presente al procedimento di primo grado mentre era in realtà non lo era ed era stato rappresentato da un difensore d’ufficio.
  7. La Corte ribadisce che essere rappresentati da un difensore d’ufficio in un procedimento in contumacia non è di per sé una garanzia sufficiente contro il rischio di iniquità (si veda Huzuneanu, sopra citata, §§ 47-49). Inoltre, il fatto di essere processati da un tribunale competente secondo il diritto interno è una circostanza importante per accertare l’equità complessiva del procedimento ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (si vedano Richert c. Polonia, n. 54809/07, § 41, 25 ottobre 2011, e Jorgic c. Germania, n. 74613/01, § 64, CEDU 2007‑III).
  8. Tali considerazioni sono sufficienti a concludere che l’equità complessiva del procedimento è stata inficiata e che, diversamente da quanto sostenuto dal Governo, il ricorrente non ha ottenuto un effettiva rivalutazione del merito delle accuse mosse nei suoi confronti in conformità ai requisiti dell’articolo 6.
  9. Vi è stata conseguentemente violazione dell’articolo 6 della Convenzione.

SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

  1. Il ricorrente non ha presentato alcuna richiesta di danno, ritenendo la riapertura del processo un’equa soddisfazione adeguata. Ha però chiesto 15.387,28 euro (EUR) per le spese sostenute dinanzi alla Corte e 10.636,98 euro (EUR) per le spese da sostenere dinanzi ai tribunali interni in caso di riapertura del processo. Ha chiesto che le somme eventualmente accordategli dalla Corte fossero versate direttamente al suo difensore, che le aveva anticipate.
  2. Il Governo ha osservato che le somme richieste erano eccessive e ne ha chiesto una forte riduzione.
  3. Dato che il ricorrente non ha presentato una richiesta di danno la Corte non accorda nulla a tale titolo.
  4. Tenuto conto della documentazione in suo possesso, la Corte ritiene appropriato accordare EUR 7.000 per le spese del procedimento dinanzi alla Corte, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta. Tale somma dovrà essere versata direttamente alla rappresentante del ricorrente.
  5. La Corte rigetta la richiesta riguardante le spese che dovrebbero essere sostenute in caso di riapertura del processo, in quanto esse sono puramente congetturali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Rigetta la richiesta del Governo di cancellare il ricorso dal ruolo delle cause ai sensi dell’articolo 37 § 1 della Convenzione basata sulla dichiarazione unilaterale da esso presentata;
  2. Dichiara ricevibile il ricorso;
  3. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 6 della Convenzione;
  4. Ritiene
    1. che lo Stato convenuto debba versare al ricorrente entro tre mesi la somma di EUR 7.000 (settemila euro) oltre l’importo eventualmente dallo stesso dovuto a titolo di imposta, che deve essere versata direttamente alla rappresentante della ricorrente, per le spese;
    2. che a decorrere da detto termine e fino al versamento tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione del ricorrente per il resto.

Fatta in inglese e notificata per iscritto il 31 agosto 2023, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Péter Paczolay
Presidente

Liv Tigerstedt
Cancelliere aggiunto

[1] Ogni riferimento al Kosovo nel presente testo, che riguardi il territorio, le istituzioni o la popolazione, deve essere inteso come pienamente conforme alla risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e fatto salvo lo status del Kosovo.