Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 19 gennaio 2010 - Ricorso n. 72746/01 - Zuccalà c. Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Martina Scantamburlo

Abstract
CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO E DELLE LIBERTA' FONDAMENTALI  -  ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (O UTILITÀ) PREVIA OCCUPAZIONE DI FATTO – LIQUIDAZIONE DELL’INDENNITÀ – SECONDO I CRITERI DI CALCOLO DI CUI ALLA LEGGE N. 359 DEL 1992 - INDENNITÀ NOTEVOLMENTE INFERIORE AL VALORE COMMERCIALE DEL BENE - VIOLAZIONE DEL DIRITTO ALLA PROTEZIONE DELLA PROPRIETÀ DI CUI ALL’ART. 1, PROTOCOLLO N. 1, CEDU – SUSSISTE. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (O UTILITÀ) PREVIA OCCUPAZIONE DI FATTO – LIQUIDAZIONE DELL’INDENNITÀ – SECONDO I CRITERI DI CALCOLO DI CUI ALLA LEGGE N. 359 DEL 1992 – APPLICAZIONE RETROATTIVA - VIOLAZIONE DEL DIRITTO A UN EQUO PROCESSO EX ART. 6 SOTTO IL PROFILO DELLA INIQUITÀ DELLA PROCEDURA PER MANCANZA DI UN INTERESSE GENERALE TALE DA GIUSTIFICARE L’APPLICAZIONE RETROATTIVA DELLA LEGGE N. 359 DEL 1992 - SUSSISTE. ECCESSIVA DURATA DEL PROCESSO - VIOLAZIONE DEL DIRITTO A UN EQUO PROCESSO EX ART. 6 CEDU SOTTO IL PROFILO DELLA DURATA RAGIONEVOLE - SUSSISTE. LA CORTE DICHIARA SUSSISTENTE LA VIOLAZIONE DELL’ART. 1, PROTOCOLLO N. 1, CEDU, RELATIVO ALLA PROTEZIONE DELLA PROPRIETÀ, STANTE L’INSUFFICIENZA DELL’INDENNIZZO ESPROPRIATIVO ACCORDATO IN SEDE NAZIONALE, IN QUANTO NEI CASI DI ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ SOLO IL PERSEGUIMENTO DI UNO SCOPO LEGITTIMO PUÒ GIUSTIFICARE UN’INDENNITÀ NOTEVOLMENTE INFERIORE AL VALORE COMMERCIALE DEL BENE. LA CORTE CONSTATA ALTRESÌ LA VIOLAZIONE DELL’ART. 6 CEDU, RELATIVO AL DIRITTO A UN PROCESSO EQUO SIA SOTTO IL PROFILO DELL’ECCESSIVA DURATA DEL PROCESSO SIA SOTTO IL PROFILO DELLA INIQUITÀ DELLA PROCEDURA PER MANCANZA DI UN INTERESSE GENERALE TALE DA GIUSTIFICARE L’APPLICAZIONE RETROATTIVA DELLA LEGGE N. 359 DEL 1992 RECANTE I NUOVI CRITERI DI CALCOLO DELL’INDENNIZZO.

Fatto. Antonia Zuccalà ereditò dal padre un terreno. Parte di questo fu oggetto di un’espropriazione prefettizia nel 1972 ma la quota del terreno era già stata occupata in via di fatto nel 1961. A tale occupazione sine titulo la Zuccalà si era opposta nel 1969, citando per danni la società in mano pubblica che aveva disposto l’occupazione per incarico della Cassa per il Mezzogiorno.
Senonchè nel 1975 il tribunale di Reggio Calabria si era dichiarato incompetente. La Zuccalà si rivolse allora al tribunale delle acque per ottenere il risarcimento del danno per l’illecita occupazione e per ottenere un equo ristoro a titolo di indennità di espropriazione. Il giudizio del tribunale delle acque fu assai lungo e laborioso. Il giudice delle acque dispose ben due perizie, nel 1976 e nel 1991. Il perito nominato nel 1976 depositò a sua volta una relazione nel 1978 e un supplemento nel 1983. Nel 1998, infine il tribunale delle acque statuì che l’espropriazione era stata legittima. Determinò la somma dell’indennizzo in base alla legge n. 359 del 1992. (Vale la pena esplicitare che il terreno, nel 1972, valeva circa 1 milione e 200 mila lire, intorno a 1700 lire al metro quadro. Il tribunale delle acque accordò un indennizzo espropriativo di poco della metà di questo valore, cioè circa 680 mila lire - 350 euro circa). La Zuccalà non impugnò la sentenza del tribunale delle acque perché nel frattempo, già dal 1976, aveva adito il TAR per sentire annullato il decreto d’esproprio. Ma nel 1979 il TAR aveva respinto il ricorso.
Nel 2001, entrata in vigore la legge Pinto, l’interessata adì la corte d’appello di Roma per avere il risarcimento da eccessiva durata del processo e ne ottenne nel 2002 un importo liquidato in 7700 euro.
Nel 1999 ella presentò un ricorso (rubricato nel 2001) volto a ottenere la condanna dell’Italia sia per la violazione dell’art. 1 del Protocollo 1 sul diritto di proprietà, sia dell’art. 6 della Convenzione, sotto il duplice profilo dell’eccessiva durata e dell’intervento di una legge retroattiva in una controversia in corso.

Diritto. La Corte dei diritti, con una sentenza unanime e assolutamente conforme al proprio ormai granitico orientamento ha accolto il ricorso sotto tutti i profili.
Per quanto riguarda la violazione del diritto di proprietà, la Corte (ai nn. 27 e 28 della pronunzia) osserva che il terreno valeva circa 600 euro mentre l’indennizzo aveva di poco superato la metà di quella cifra. Tale scarto tra ristoro espropriativo e valore commerciale del bene è stato considerato eccessivo, secondo la costante giurisprudenza di Strasburgo, fissata con chiarezza anzitutto nella nota sentenza Scordino n. 1 del 2006, soprattutto perché non motivato da alcuno specifico riferimento a circostanze di pubblico interesse.
Quanto all’eccessiva durata, essa salta agli occhi senza ulteriore bisogno di motivazione (n. 35 della sentenza).
Circa infine il tema dell’illegittima interferenza di una legge posteriore in una lite in corso, la Corte osserva che la legge del 1992 (il cui art. 5-bis è stato peraltro dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale italiana nel 2007) è una fonte intervenuta a disciplinare la misura dell’indennizzo ben dopo l’insorgenza della lite (n. 36 della sentenza).
Ne è derivata la condanna dello Stato italiano a 5.000,00 euro, a integrazione dell’indennizzo espropriativo e 6.000,00 euro per danni morali.

Precedenti Corte EDU:

  • Sull’art. 1 del Protocollo 1:
  • Pisacane c/ Italia 2008
  • Mandola c/ Italia 2009
  • Perinati c/ Italia 2009
  • Vacca c/ Italia 2009

Sull’art. 6 della Convenzione:

  • Cocchiarella c/ Italia 2006
  • Simaldone c/ Italia 2009


CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA Zuccalà c. ITALIA
(Ricorso n.72746/01)
SENTENZA
STRASBURGO - 19 gennaio 2010

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nona Tsotsoria, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 15 dicembre 2009,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 72746/01) presentato contro la Repubblica italiana e con cui una cittadina di tale Stato, la sig.ra Antonia Zuccalà («la ricorrente»), ha adito la Corte il 15 novembre 1999 in applicazione dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. La ricorrente è rappresentata dall’avv. G. Romano del foro di Benevento. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e al suo co-agente, N. Lettieri.
3. Il 18 febbraio 2004 il presidente della seconda sezione ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Come consente l’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata nel contempo sulla ricevibilità e sul merito.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. La ricorrente è nata nel 1939 ed è residente a Reggio Calabria.
5. La ricorrente ha ereditato dal padre un terreno situato a Condofuri.
6. Il 23 novembre 1960 la «Cassa per il Mezzogiorno» approvò il progetto di pianificazione della rete idrica della valle del fiume Amendola.
7. Con un decreto emesso il 7 dicembre 1960 il Presidente della Cassa per il Mezzogiorno decise che la società «Consorzio di bonifica del versante calabro jonico meridionale» («società concessionaria») avrebbe proceduto ai lavori di costruzione e pianificazione nella valle suddetta.
8. Il 22 maggio 1961 la società concessionaria procedette all’occupazione materiale di 688 metri quadrati del terreno della ricorrente e iniziò i lavori.
9. Con un provvedimento emesso il 15 novembre 1972 il Prefetto di Reggio Calabria decretò l’espropriazione del terreno.
10. Nel frattempo, con un atto di citazione notificato il 4 luglio 1969, la ricorrente aveva citato la società concessionaria dinanzi al tribunale di Reggio Calabria.
11. Essa affermava in particolare che l’occupazione del suo terreno era illegale, dato che non era stata autorizzata. La ricorrente chiedeva la restituzione del terreno, e il risarcimento danni per l’occupazione illecita dello stesso.
12. Con sentenza resa il 12 giugno 1975 il tribunale di Reggio Calabria si dichiarò incompetente per giudicare.
13. Con un atto di citazione notificato il 10 dicembre 1975 la ricorrente intentò un’azione legale dinanzi al Tribunale regionale delle Acque Pubbliche presso la corte d’appello di Napoli. Chiedeva in particolare il versamento di una indennità di espropriazione nonché di un risarcimento per l’occupazione illecita del suo terreno.
14. Il 27 febbraio 1976 il tribunale dispose una prima perizia relativa al terreno. La relazione peritale fu depositata l’8 gennaio 1978. L’8 gennaio 1983 il perito depositò una relazione supplementare.
15. Il 27 febbraio 1991 il tribunale dispose una seconda perizia.
16. Con una sentenza resa in data 8 luglio 1998 il tribunale regionale delle acque pubbliche dichiarò che la ricorrente era stata privata del suo terreno conformemente alle norme previste in materia di espropriazione. Basandosi sulle conclusioni del perito, il tribunale affermò che il valore di mercato del terreno nel 1972 era di 1.192.999 lire italiane, cioè 618,82 euro, ossia 1.734 lire/m². Di conseguenza, la ricorrente aveva diritto ad una indennità di espropriazione di 676.664 lire, ossia 349,47 euro, ai sensi della legge n. 359 del 1992.
17. La sentenza del tribunale regionale delle acque pubbliche divenne definitiva il 18 giugno 1999.
18. Nel frattempo, con un atto ci citazione notificato il 13 maggio 1976, la ricorrente aveva presentato un ricorso dinanzi al tribunale amministrativo regionale della Calabria («TAR») per contestare in particolare la legalità del decreto di espropriazione del 15 novembre 1975. Con sentenza in data 13 marzo 1979 il T.A.R. aveva rigettato il ricorso, in quanto il decreto in questione era legale.
19. Nel 2001 la ricorrente presentò una richiesta di risarcimento per la durata eccessiva del procedimento, ai sensi della legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta «legge Pinto», dinanzi alla corte d’appello di Roma. Essa contestava in particolare la durata della procedura volta a ottenere l’indennità di espropriazione.
20. Con una sentenza resa il 13 maggio 2002, depositata in cancelleria il 21 giugno 2002, la corte d’appello di Roma condannò il Ministero della giustizia a versare alla ricorrente un risarcimento di 7.700 euro, più 2.205 euro per le spese processuali.

IN DIRITTO

I. SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1

21. La ricorrente lamenta una violazione del suo diritto al rispetto dei suoi beni, in quanto il risarcimento non è adeguato, ed è stato calcolato sulla base dell’articolo 5bis della legge n. 359 del 1992. Essa invoca l'articolo 1 del Protocollo n. 1.
22. Il Governo solleva una doppia eccezione di irricevibilità. Anzitutto, eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, facendo notare che la ricorrente non ha impugnato la decisione interna controversa. In secondo luogo, osserva che il ricorso è tardivo, poiché avrebbe dovuto essere presentato entro il termine di sei mesi a decorrere dall’entrata in vigore della legge n. 359 del 1992.
23. La ricorrente contesta queste osservazioni.
24. La Corte ricorda che ha rigettato eccezioni analoghe in cause simili (v., tra molte altre, De Angelis e altri c. Italia, n. 68852/01, §§ 2-33, 21 dicembre 2006), e non scorge alcun motivo per discostarsi dalle sue precedenti conclusioni; rigetta pertanto le eccezioni in questione.
25. Per quanto riguarda il merito, la Corte osserva che le parti concordano nell’affermare che vi è stato trasferimento di proprietà a beneficio dell’amministrazione.
26. Inoltre, la Corte rileva che l’interessata è stata privata del suo terreno conformemente alla legge e che l’espropriazione perseguiva uno scopo legittimo di pubblica utilità (Mason e altri c. Italia, già cit., § 57; Scordino c. Italia (n. 1) [GC], n. 36813/97, § 81, CEDU 2006-... (n. 1)). Peraltro, si tratta di un caso di espropriazione isolato, che non si colloca in un contesto di riforma economica, sociale o politica e non si ricollega a nessun’altra circostanza particolare.
27. La Corte rinvia alla sentenza Scordino c. Italia (n. 1) già cit. (§§ 93-98) per il riepilogo dei principi pertinenti e per un quadro della sua giurisprudenza in materia.
28. Essa constata che l’indennità accordata alla ricorrente è stata calcolata conformemente all’articolo 5bis della legge n. 359 del 1992. L’importo definitivo del risarcimento per l’espropriazione fu fissato a 349,47 euro, mentre il valore di mercato del terreno stimato, alla data dell’espropriazione, era di 618,82 euro.
29. Ne consegue che la ricorrente ha dovuto sopportare un onere sproporzionato ed eccessivo che non può essere giustificato da un interesse generale legittimo perseguito dalle autorità.
30. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

II. SULLE ADDOTTE VIOLAZIONI DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

31. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, la ricorrente lamenta la durata eccessiva della procedura di indennizzo e l’insufficienza della riparazione ottenuta nell’ambito del ricorso «Pinto». Essa lamenta anche il fatto che l’adozione e l’applicazione dell’articolo 5bis della legge n. 352 del 1992 al suo procedimento costituisce una ingerenza legislativa contraria al suo diritto a un processo equo.
32. Il Governo contesta questi rilievi. Sostiene che la ricorrente non è più «vittima» della violazione relativa alla durata eccessiva del procedimento, poiché ha ottenuto dalla corte d’appello di Roma una constatazione di violazione e una riparazione adeguata e sufficiente.
33. La Corte, dopo aver esaminato tutti i fatti di causa e le argomentazioni delle parti, considera che la riparazione si è rivelata insufficiente (v. Cocchiarella c. Italia, già cit., §§ 69-98; Delle Cave e Corrado c. Italia, n. 14626/03, §§ 26-31, 5 giugno 2007; Simaldone c. Italia, n. 22644/03, §§ 19-33, 31 marzo 2009). Pertanto, la ricorrente può ancora pretendersi «vittima», ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
34. Quanto al merito del motivo di ricorso relativo alla durata del procedimento, la Corte constata che quest’ultimo, che è iniziato il 4 luglio 1969 per concludersi l’8 luglio 1998, è durato ventinove anni per un grado di giudizio.
35. La Corte ha esaminato molte volte dei ricorsi che sollevano questioni analoghe a quella del caso di specie ed ha constato una inosservanza dell’esigenza del «termine ragionevole», tenuto conto dei criteri resi nella sua giurisprudenza consolidata in materia (v., in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, già cit.). Non riscontrando elementi che possano condurre a una conclusione diversa nella presente causa, la Corte ritiene opportuno constatare una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a causa della durata eccessiva del procedimento.
36. Per quanto attiene al motivo di ricorso della ricorrente riguardante l’applicazione retroattiva della legge n. 359 del 1992, la Corte osserva di avere già esaminato cause che sollevano questioni analoghe a quella del caso di specie e di avere constatato la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (Scordino c. Italia (n. 1) già cit., §§ 126-133; Gigli Costruzioni S.r.l. c. Italia, n. 10557/03, §§ 59-61, 1° aprile 2008). La Corte ha esaminato questo motivo di ricorso e ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione in ragione dell’applicazione della legge controversa alla causa della ricorrente.

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

37. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

38. Per il danno materiale, la ricorrente chiede la somma di 195.913 euro, corrispondente alla differenza tra il valore di mercato del terreno e l’importo del risarcimento accordato a livello nazionale, rivalutata e maggiorata degli interessi, più il valore dell’opera costruita sul terreno espropriato.
Per il danno morale, chiede la somma totale di 162.300 euro.
Infine, la ricorrente chiede il rimborso delle spese sostenute dinanzi ai giudici nazionali e dinanzi alla Corte, che quantifica in 372.172 euro senza tuttavia produrre documenti giustificativi a sostegno.
39. Il Governo si oppone a queste richieste.
40. Per quanto riguarda il danno materiale, riferendosi ai criteri generali enunciati nella sua giurisprudenza relativa all’articolo 1 del Protocollo n. 1 (Scordino c. Italia (n. 1) già cit., §§ 93-98; Stornaiuolo c. Italia, n. 52980/99, § 61, 8 agosto 2006; Mason e altri c. Italia (equa soddisfazione), n. 43663/98, § 38, 24 luglio 2007), la Corte ritiene che l’indennità di espropriazione adeguata nella fattispecie avrebbe dovuto corrispondere al valore di mercato del bene al momento della privazione di quest’ultimo.
41. Essa accorda di conseguenza una somma corrispondente alla differenza tra il valore del terreno all’epoca dell’espropriazione, risultante dagli elementi del fascicolo, e l’indennità di espropriazione ottenuta a livello nazionale indicizzata e maggiorata degli interessi che possono compensare, almeno in parte, il lungo lasso di tempo trascorso dallo spossessamento del terreno. Agli occhi della Corte, tali interessi devono corrispondere all’interesse legale semplice applicato al capitale progressivamente rivalutato. Tenuto conto di tali elementi, la Corte ritiene ragionevole accordare alla ricorrente la soma di 5.000 euro, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma, per il danno materiale.
42. Quanto al danno morale derivante dalla durata eccessiva del procedimento, la Corte ritiene che avrebbe potuto accordare alla ricorrente, in assenza di vie di ricorso interne, la somma di 21.000 euro. Il fatto che la corte d’appello di Roma abbia accordato 7.700 euro porta a un risultato manifestamente irragionevole. Considerate le caratteristiche della via di ricorso «Pinto» e il fatto che essa sia comunque giunta a una constatazione di violazione, la Corte, tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia (già cit., §§ 139-142 e 146), accorda alla ricorrente la somma di 2.000 euro.
Peraltro, la Corte ritiene che la ricorrente ha dovuto subire un danno morale certo a causa dell’iniquità del procedimento, nonché dell’attacco ingiustificato al suo diritto al rispetto dei beni, che le constatazioni di violazione non hanno sufficientemente riparato. Essa considera che, deliberando equamente, è opportuno accordare alla ricorrente 4.000 euro a questo titolo.
43. Per quanto riguarda le spese, secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne sono dimostrate la realtà, la necessità e l’importo ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dell’assenza di documenti giustificativi, la Corte rigetta la domanda della ricorrente riguardante le spese.

C. Interessi moratori

44. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 a causa della durata del procedimento;
  4. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a causa dell’applicazione della legge n. 359 del 1992;
  5. Dichiara
    a) che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
    (i) 5.000 euro (cinquemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno materiale;
    (ii) 6.000 euro (seimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
    b) che a decorrere dallo scadere di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  6. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 19 gennaio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.


Sally Dollé
Cancellliere

Françoise Tulkens
Presidente