Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 23 marzo 2023 - Ricorso n. 24820/03 - Causa Palazzi c. Italia


Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con la sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA PALAZZI c. ITALIA

(Ricorso n. 24820/03)

SENTENZA

STRASBURGO

23 marzo 2023

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Palazzi c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in un comitato composto da:

Péter Paczolay, presidente,
Gilberto Felici,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Liv Tigerstedt, cancelliere aggiunto di sezione,

Visti:

il ricorso (n. 24820/03) presentato contro la Repubblica italiana da 3 cittadine di questo Stato, le sigg.re Vera Palazzi, Fernanda Palazzi e Renata Palazzi, nate rispettivamente nel 1938, 1920 e 1923, e rappresentate dagli avv.ti S. Ferrara e G. Del Vecchio, del foro di Benevento, le quali, il 28 giugno 1999, hanno adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),

la decisione di portare il ricorso a conoscenza del governo italiano («il Governo»), rappresentato prima dai suoi agenti e co-agenti, I.M. Braguglia, E. Spatafora, F. Crisafulli e P. Accardo, e poi dal suo agente, L. D’Ascia,

le osservazioni delle parti,

Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 28 febbraio 2023,

Emette la seguente decisione, adottata in tale data:

OGGETTO DELLA CAUSA

  1. La presente causa riguarda la privazione dei beni delle ricorrenti in applicazione del principio dell’«espropriazione indiretta».
  2. Tra il 1984 e il 1997, il comune di Benevento occupò quattro porzioni di terreno delle ricorrenti per realizzarvi delle opere pubbliche.
  3. In particolare, fu costruito un acquedotto su una parte dei terreni («prima particella»), senza alcun decreto di espropriazione e senza alcun risarcimento.
  4. Una particella («seconda particella»), destinata alla realizzazione di una strada, fu oggetto di un accordo di cessione, in base al quale il comune versò alle ricorrenti la somma di 184.500.000 lire italiane (ITL) a titolo di indennità di espropriazione, e la somma di 4.774.585 ITL a titolo di indennità di occupazione.
  5. Altre due particelle furono destinate alla costruzione di case popolari: una («terza particella»), affidata all’impresa A, fu espropriata il 28 luglio 1997; l’altra («quarta particella»), assegnata all’IACP («Istituto autonomo case popolari»), era stata espropriata il 28 novembre 1996. I due decreti di espropriazione furono annullati rispettivamente dal tribunale amministrativo regionale della Campania nel 1999, e dal Consiglio di Stato nel 2009.
  6. Il 13 marzo 1995 le ricorrenti citarono il comune, l’IACP e la società A. dinanzi al tribunale di Benevento.
  7. Le ricorrenti chiedevano la restituzione della seconda particella, sulla quale erano state costruite delle abitazioni invece della strada prevista dall’accordo di cessione. Per quanto riguarda le altre tre particelle, le ricorrenti affermavano che la loro occupazione era illegale ab initio a causa dell’assenza di pubblica utilità. Tuttavia, tenuto conto del fatto che, in ragione della loro trasformazione irreversibile, la proprietà era stata trasferita all’amministrazione in virtù del principio dell’espropriazione indiretta, le ricorrenti chiedevano un risarcimento.
  8. Il 24 settembre 2003 la sig.ra Fernanda Palazzi decedette. I sigg. Sergio e Saverio Santamaria, suoi eredi, si costituirono nel procedimento nazionale e dichiararono di voler mantenere il presente ricorso.
  9. Il 30 maggio 2005 il tribunale di Benevento respinse la domanda sul primo punto, in quanto il comune aveva versato le somme previste dall’accordo di cessione, la cui efficacia non era subordinata alla condizione della realizzazione di una strada.
  10. Per quanto riguarda la quarta particella assegnata all’IACP, il tribunale dichiarò che la sentenza di espropriazione era stata adottata conformemente alla legge e che, di conseguenza, il principio dell’espropriazione indiretta non era stato applicato nel caso di specie.
  11. Per il resto, il tribunale dichiarò che l’occupazione realizzata per causa di pubblica utilità era divenuta illegale, in quanto era proseguita oltre il periodo autorizzato senza che si fosse proceduto all’espropriazione formale. Pertanto, la proprietà di queste due particelle era stata trasferita all’amministrazione in ragione della loro trasformazione irreversibile, in virtù del principio dell’espropriazione indiretta. Alla luce di queste considerazioni, il tribunale dichiarò che le ricorrenti avevano diritto a un risarcimento. Allo scopo di valutarne l’importo, dispose la continuazione del processo.
  12. Il 29 dicembre 2006 il tribunale di Benevento condannò il comune a versare alle ricorrenti la somma di 13.848 euro (EUR), più gli interessi, per la prima particella, e l’impresa A. a versare la somma di 262.354 EUR, più gli interessi, per la terza particella.
  13. Il 20 dicembre 2013 la corte d’appello di Napoli riformò parzialmente la suddetta sentenza. Detta corte si dichiarò incompetente in favore del tribunale delle acque pubbliche relativamente alla prima particella e, fissando l’indennità per le altre particelle sulla base del loro valore venale, determinato nella perizia realizzata d’ufficio, condannò l’impresa A. a versare la somma di 107.467,46 EUR, maggiorata di interessi a partire da gennaio 1998 e di rivalutazione a partire dal 28 luglio 1997 e fino al saldo, e l’IACP al pagamento della somma di 186.993,38 EUR, maggiorata di interessi a partire da gennaio 1998 e di rivalutazione a partire dal 27 aprile 1997 e fino al saldo.
  14. Il 5 giugno 2020 la sentenza fu confermata dalla Corte di cassazione.
  15. In precedenza, il 5 aprile 2002, le ricorrenti avevano adito la corte d’appello di Roma, ai sensi della legge n. 89 del 24 marzo 2001, per lamentare l’eccessiva durata del procedimento dinanzi al tribunale di Benevento, e avevano chiesto il versamento della somma di 6.198 EUR ciascuna per il danno materiale e morale che ritenevano di avere subìto.
  16. Il 9 maggio 2003 la corte d’appello constatò che era stata superata la durata ragionevole, respinse la domanda relativa al danno materiale in quanto quest’ultimo non era stato dimostrato, accordò la somma di 800 EUR per ciascuna ricorrente per danno morale e la somma complessiva di 750 EUR per le spese. Questa decisione non fu impugnata dinanzi alla Corte di cassazione e divenne definitiva.
  17. Il 20 dicembre 2018, in seguito al decesso della sig.ra Renata Palazzi, avvenuto il 30 novembre 2016, i suoi eredi, la sig.ra Ornella De Matteis e il sig. Mariano De Matteis, espressero il desiderio di mantenere il ricorso.

VALUTAZIONE DELLA CORTE

  1. SULLA QUALITÀ DEGLI EREDI PER AGIRE DINANZI ALLA CORTE
    1. La Corte osserva che gli eredi delle sigg.re F. e R. Palazzi, i sigg. S. e S. Santamaria e la sig.ra O. e il sig. M. De Matteis, desiderano mantenere il ricorso, e che il Governo non si oppone.
    2. Essa ritiene che abbiano un interesse legittimo a proseguire il ricorso e, pertanto, riconosce loro la qualità per sostituirsi, rispettivamente, alle sigg.re F. e R. Palazzi nel presente procedimento (si veda, mutatis mutandis, Dalban c. Romania [GC], n. 28114/95, § 39, CEDU 1999 VI). Tuttavia, per motivi di ordine pratico, nella presente sentenza si continuerà a indicare queste ultime come «le ricorrenti», sebbene questa qualità debba essere oggi attribuita anche ai loro eredi.
       
  2. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1
    1. Invocando l’articolo 1 del Protocollo n. 1, le ricorrenti lamentano di essere state private dei loro terreni, per mezzo dell’espropriazione indiretta, in maniera illecita, e di avere ottenuto un’indennità insufficiente.
    2. Tenuto conto della sentenza del 20 dicembre 2013, con la quale la corte d’appello di Napoli declinava la sua competenza in favore del tribunale delle acque pubbliche per quanto riguarda la prima particella di terreno, il Governo ha eccepito che nulla impediva alle ricorrenti di adire tale tribunale, il che avrebbe reso inutile l’intervento sussidiario della Corte.
    3. Le ricorrenti, da parte loro, hanno dichiarato alla Corte di non voler proseguire il procedimento dinanzi alle giurisdizioni interne a causa del modesto valore della prima particella di terreno.
    4. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte ritiene che questa parte del ricorso debba essere respinta per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
    5. La Corte constata, inoltre, che il principio dell’«espropriazione indiretta» non è stato applicato alla seconda particella, in quanto quest’ultima è stata ceduta volontariamente al comune in cambio di un’indennità determinata tenendo conto del suo valore venale (si veda il paragrafo 4 supra).
    6. Per quanto riguarda la terza e la quarta particella, la Corte osserva che la corte d’appello di Napoli ha constatato la violazione del diritto di proprietà delle ricorrenti e si è conformata alla giurisprudenza della Corte accordando loro una somma corrispondente al valore venale dei terreni al momento della perdita di proprietà, attualizzata e maggiorata di interessi (si veda Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, § 105, 22 dicembre 2009).
    7. La Corte osserva di avere già ritenuto che una sentenza simile, in sostanza, a quella emessa dalla corte d’appello di Napoli (si veda il paragrafo 13 supra) aveva costituito una riparazione adeguata e sufficiente per la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (si veda Armando Iannelli c. Italia, n. 24818/03, §§ 35-37, 12 febbraio 2013). Dopo aver esaminato tutti gli elementi che le sono stati sottoposti, la Corte non ha rilevato alcun fatto o argomentazione, in riferimento alla terza e alla quarta particella, che possano portarla a giungere a una conclusione diversa nel caso di specie.
    8. Alla luce di tutte le considerazioni sopra esposte, la Corte dichiara che le ricorrenti non sono mai state vittime della violazione dedotta per quanto riguarda la seconda particella, e che non possono più sostenere di essere vittime della violazione dedotta relativamente alla terza e alla quarta particella. Di conseguenza, questa parte del ricorso è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3, e deve essere respinta ai sensi dell’articolo 35 § 4.
       
  3. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
    1. Le ricorrenti lamentano l’eccessiva durata del procedimento e l’insufficienza del risarcimento ottenuto dinanzi alla corte d’appello di Roma.
  1. Sulla ricevibilità
    1. Il Governo afferma che le ricorrenti non hanno presentato ricorso per cassazione contro la decisione della corte d’appello di Roma, e non si sono avvalse del rimedio «Pinto» in relazione all’ulteriore ritardo del procedimento.
    2. La Corte osserva che la corte d’appello ha valutato la durata del procedimento alla data della sua decisione, ossia il 4 aprile 2003. Poiché il procedimento di primo grado si è concluso il 29 dicembre 2006, la corte d’appello non ha potuto prendere in considerazione un periodo di circa tre anni e otto mesi.
    3. La Corte ritiene che, per quanto riguarda la fase posteriore al 4 aprile 2003, le ricorrenti avrebbero dovuto esaurire nuovamente le vie di ricorso interne rivolgendosi ancora una volta alla corte d’appello ai sensi della legge «Pinto».
    4. Di conseguenza, questa parte della doglianza deve essere respinta per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
    5. Per quanto riguarda l’insufficienza del risarcimento ottenuto, la Corte osserva che la sentenza di quest’ultima è divenuta definitiva il 26 novembre 2003. Alla luce della sua giurisprudenza (Di Sante c. Italia, n. 56079/00, 24 giugno 2004), essa respinge l’eccezione di mancato esaurimento in riferimento a questa parte della doglianza.
    6. Tenuto conto della giurisprudenza consolidata in materia (Provide S.r.l. c. Italia, n. 62155/00, §§ 20-25, CEDU 2007), la Corte constata inoltre che la riparazione si è rivelata insufficiente e che le ricorrenti possono ancora sostenere di essere «vittime» ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione. Pertanto, questa parte della doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararla ricevibile.
       
  2. Sul merito
    1. La Corte osserva che il procedimento principale è iniziato il 13 marzo 1995 ed era ancora pendente in primo grado il 4 aprile 2003, data in cui la corte d’appello «Pinto» ha emesso la sua decisione.
    2. La Corte ha esaminato molte volte dei ricorsi che sollevavano questioni simili a quella del caso di specie, e ha constatato che non era stato rispettato il requisito del «termine ragionevole», tenuto conto dei criteri risultanti dalla sua giurisprudenza ben consolidata in materia (si veda, in primo luogo, Cocchiarella c. Italia [GC], n. 64886/01, CEDU 2006-V). Non rilevando alcun elemento che possa portare a concludere diversamente nella presente causa, la Corte ritiene di dover constatare anche una violazione dell’articolo 6 § 1.
       
  1. SULLE ALTRE DOGLIANZE
    1. Le ricorrenti hanno sollevato altre doglianze sotto il profilo dell’articolo 13 della Convenzione. Tenuto conto dei fatti della presente causa, delle argomentazioni delle parti e delle conclusioni sopra esposte, la Corte ritiene di essersi già pronunciata sulle principali questioni giuridiche sollevate nella causa, e di non dover esaminare le altre doglianze (si veda Centro di risorse giuridiche in nome di Valentin Câmpeanu c. Romania [GC], n. 47848/08, § 156, CEDU 2014).

APPLICAZIONE dell'articolo 41 della convenzione

  1. Le ricorrenti chiedono la somma di 12.000 euro (EUR) per danno morale a causa della durata irragionevole del procedimento, e la somma di 113.826,39 EUR per le spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte.
  2. Il Governo respinge tali richieste.
  3. Conformemente alla giurisprudenza Cocchiarella (sopra citata), e deliberando in via equitativa, la Corte accorda alle ricorrenti, congiuntamente, la somma di 1.200 EUR.
  4. Per quanto riguarda le spese, tenuto conto degli elementi in suo possesso, la Corte ritiene ragionevole accordare alle ricorrenti la somma complessiva di 5.000 EUR, più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara che gli eredi delle sigg.re F. e R. Palazzi, i sigg. S. e S. Santamaria e la sig.ra O., e il sig. M. De Matteis, hanno la qualità per proseguire il presente procedimento;
  2. Dichiara che la doglianza presentata sotto il profilo dell’articolo 6 1 della Convenzione è ricevibile per quanto riguarda l’insufficienza dell’indennità ottenuta e irricevibile per il resto, e che le doglianze relative all’articolo 1 del Protocollo n. 1 sono irricevibili;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 1 della Convenzione;
  4. Dichiara non doversi pronunciare separatamente sulle doglianze presentate sotto il profilo dell’articolo 13 della Convenzione;
  5. Dichiara,
    1. che lo Stato convenuto deve versare congiuntamente alle ricorrenti, entro tre mesi:
      1. 1.5.200 EUR (milleduecento euro), più l'importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per danno morale;
      2. 5.000 EUR (cinquemila euro), più l'importo eventualmente dovuto su tale somma dalle ricorrenti a titolo di imposta, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  6. Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, e poi comunicata per iscritto il 23 marzo 2023, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Péter Paczolay
Presidente

Liv Tigerstedt
Cancelliere aggiunto